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Autore: Tormenta    03/12/2015    5 recensioni
Di ritorno ad Hogwarts dopo la guerra, Draco Malfoy ha cicatrici troppo profonde per essere quello di sempre. A Harry Potter basta poco per accorgersi che non sa accettare la sua assenza nella propria routine. Dal testo:
«Malfoy» chiamò, con voce cristallina e appena tremolante. [...]
«Che c’è, Potter?»
Harry si lasciò sfuggire una microscopica smorfia soddisfatta: per la prima volta da quando erano tornati ad Hogwarts, Malfoy gli aveva parlato. Era un inizio – di cosa, non lo sapeva neanche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
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7.
Quasi come ai vecchi tempi
 
 
 

        Avanzando nel corridoio a passo sostenuto, i tre Grifondoro borbottavano fitto tra loro, facendosi strada nel mare di studenti che avevano attorno.

        «Sei sicuro che non sia un problema, Harry?»
        «Sì, ne sono sicuro. È solo un pomeriggio alla settimana, non preoccupatevi».
        Hermione sembrava ancora poco convinta: si sentiva in colpa ad abbandonare l’amico per passare del tempo da sola con Ron quando la storia con Ginny era finita da così poco. Tuttavia, non volle insistere troppo. «D’accordo», soffiò.
        Weasley scoccò un’occhiata di ringraziamento a Potter, poi la buttò sullo scherzo, sorridendo sornione: «Avrai un sacco di tempo libero per studiare».
        Harry rise, «Sì, certo».
        Lei li rimproverò con lo sguardo, disapprovando tacitamente il loro atteggiamento. «Potresti davvero studiare. Dobbiamo sostenere degli esami, l’hai dimenticato?»
        Fissando dritto davanti a sé, Potter perse il sorriso. Lo stesso accadde a Ron, che subito si rivolse alla ragazza con tono lamentoso: «Hermione, lascia che te lo dica – hai il talento innato di distruggere la mia gioia».
        «Io lo dico per voi. Non voglio che vi riduciate a studiare all’ultimo».
        «Mancano ancora mesi agli esami. Mesi! Non vogliamo parlarne adesso. Dico bene, Harry?» Si voltò verso l’amico in cerca di sostegno, ma lo trovò con l’espressione accartocciata e gli occhi ancora puntati più in là nel corridoio. Non capendo, cercò di individuare cosa lui stesse fissando con tanto astio.
        Spostò lo sguardo in avanti, allora, e lo vide: Malfoy, con la fronte corrucciata e i pugni stretti, affiancato da Theodore Nott e Pansy Parkinson.
        I tre Serpeverde si stavano avvicinando in fretta, e lui girò nuovamente il capo verso Potter prima d’incupirsi e mettere su la faccia più seria di cui era capace.
        Harry serrò la mascella: il ricordo dei bigliettini meschini di Draco l’aveva infervorato, ed era stato travolto da una rinnovata rabbia. Non tolse gli occhi di dosso a Malfoy neanche per un secondo, e quando lui e i suoi compagni sfilarono loro accanto, superandoli, istintivamente si fermò e si voltò.
        «Malfoy», chiamò con voce sicura.
        Quello, insieme a Parkinson e Nott, si bloccò di colpo, ruotando il busto per vederlo in viso. Sentendosi appesantito dai vari sguardi affilati che aveva addosso, esitò, prima di borbottare: «Cosa vuoi, Potter?»
        «So che non ti applichi molto, quest’anno, ma vedi di non saltare i prossimi allenamenti di Quidditch. Non c’è gusto a batterti a occhi chiusi». A breve si sarebbe tenuta una partita tra le loro squadre: la prospettiva di stracciarlo lo allettava non poco.
        Draco soffiò con fare supponente. «Non preoccuparti. Non ti renderò il gioco facile».
        Si fissarono in cagnesco per un po’, dopodiché ognuno riprese a camminare per la propria strada.
        «Cos’era quello?» fece Hermione, vagamente preoccupata.
        Harry alzò le spalle, senza replicare.
        Lei, turbata, si raccolse in un silenzio denso di pensieri, mentre parallelamente Ron prese a bofonchiare commenti cattivi riguardanti i Serpeverde.
        Intanto, alle loro spalle, Pansy Parkinson gongolava. «L’avevo detto, che la faida era ripresa».
        Malfoy mugugnò, scocciato. «Risparmia il fiato».
        «Non essere così scontroso», lo riprese, stufa. «Anche se non vuoi dirci a cosa è dovuto il tuo improvviso cambiamento di rotta, ti copriremo le spalle lo stesso», aggiunse a voce più bassa, parlando anche a nome di Nott.
        In quel momento, Malfoy la detestò meno del solito. Sulle sue labbra nacque una piccola smorfia, che si trasformò rapidamente in un mite sogghigno quando, osservando Theodore, si vide rivolgere un silenzioso cenno di assenso.
        Decisamente, c’erano delle occasioni in cui far parte di un gruppo non faceva poi così schifo.
 
 
* * *
 
 

        Il professor Holmwood aveva preso l’abitudine di dividere in due parti, spesso senza soluzione di continuità, le proprie lezioni. Cioè, prima dedicava tempo alle spiegazioni teoriche, poi cambiava argomento e proponeva le più disparate esercitazioni pratiche. Ciò per, a suo dire, «alleviare la noia» – non si era ben capito se la sua o quella degli studenti.
        In ogni caso, in quel venerdì novembrino, dopo aver blaterato a lungo di Negromanzia, mostrò agli alunni dell’ultimo anno di Grifondoro e Serpeverde un nuovo incantesimo. Per illustrarne l’effetto, si avvalse dell’aiuto di una piccola creatura ingabbiata che recuperò da un baule rimasto chiuso sino a quel momento.
        «È una Gontallantula», asserì freddamente, mentre quella che sembrava una scura palla di pelo si dimenava, sibilando con fare minaccioso e strabuzzando i minuscoli occhietti rossi. «È una specie piuttosto aggressiva e territoriale». A rimarcare le sue parole, ci pensarono gli artigli di otto zampette sottili, che suonarono sordamente sul metallo della gabbia.
        «Vorrei che vi esercitaste con l’incantesimo Aferox, per calmarla. Potrebbe risparmiarvi parecchie grane, se mai ne incontrerete un esemplare».
        Puntò la bacchetta contro la creatura, accompagnò la formula ad un sicuro movimento del polso, e di colpo i soffi irritati e il clangore degli artigli che colpivano la gabbia si estinsero. «Oh, e fate attenzione – se spostate la bacchetta troppo in fretta», e nel dirlo, lo fece, «l’incanto si rompe». L’agitazione della Gontallantula esplose nuovamente. «Vorrei che provaste a mettere in atto la variante non verbale», aggiunse, curioso di scoprire chi ci sarebbe riuscito.
        Seduta al proprio posto, Hermione controllò sul libro le pagine dedicate a quegli esserini dal pelo nodoso; storse il naso quando lesse delle violenze che erano in grado di commettere. Poco più in là, anche Ron mise su un’espressione poco felice: più che altro perché la bestiola assomigliava un po’ troppo ad un ragno, per i suoi gusti.
        Prima di dare il via alle esercitazioni, Holmwood elargì un paio di istruzioni e di consigli. In particolare, ripeté più d’una volta: «Non guardatela troppo a lungo negli occhi. La interpreterebbe come una provocazione».
        Ben rinchiusa, la Gontallantula fu posta davanti alla cattedra: gli studenti furono invitati a farsi avanti, e si schierarono spontaneamente in due gruppi, in base alla Casa d’appartenenza. Per un po’, tutto filò liscio.
        Poi, giunse il turno Ron.
        Era avanzato con la ferma intenzione di eseguire al meglio la magia, e subito aveva puntato la bacchetta sul bersaglio. Tuttavia, una volta che fu davanti al mostriciattolo, finì con l’esitare di fronte all’aspetto da aracnide che tanto trovava repellente e, senza volerlo, fissò un po’ troppo a lungo lo sguardo in quegli occhietti rossi che lo scrutavano dal basso.
        «Smetti di fissarla», suggerì prontamente il professore; ma era già troppo tardi.
        Con un verso a metà tra un sibilo e un ringhio, infatti, l’animale caricò la gabbia nell’intento di sembrare minaccioso, e la rovesciò.
        Istintivamente Weasley indietreggiò di un mezzo passo, temendo di venir attaccato. Strinse la presa sulla bacchetta, capace solo di pensare che doveva realizzare l’incanto Aferox il prima possibile – insomma, aveva fronteggiato ragni ben più terrificanti di quello, perciò doveva farcela.
        La situazione degenerò in un istante. Holmwood s’era avvicinato, pronto a intervenire, ma prima che potesse fare alcunché sia il Grifondoro, sia la Gontallantula agirono: da una parte, la creatura si dimenò con forza facendo sobbalzare la gabbia; dall’altra, Ron tentò di scagliare l’incantesimo assegnato. L’agitarsi della bestiola, però, lo distrasse e, emettendo una sottospecie di lamento con voce acuta, fallì. Miseramente, per giunta, perché subì una sorta di contraccolpo al braccio e dal nulla la manica della sua divisa prese fuoco.
        «Miseriaccia», bofonchiò, a dir poco allarmato, mentre alcuni compagni di Casa sopraggiungevano; senza tante cerimonie, Hermione gli riversò addosso un Aguamenti ben assestato.
        «Tutto okay?» gli chiese, preoccupata.
        Zuppo d’acqua, Ron controllò di non aver riportato danni gravi, poi annuì.
        Dopo che si fu assicurato che il problema delle fiamme fosse risolto, l’insegnante fece levitare la creatura imprigionata per riportarla al proprio posto, e provvide a placarla almeno in parte. «Serve calma, Weasley», fece poi, rivolgendo un’occhiata di rimprovero allo studente. «Ed è anche necessario aprire le orecchie quando vi dico cosa va fatto e cosa non va fatto. Potrei sottrarre punti a Grifondoro per incompetenza».
        Alcuni lievi risolini stupiti si alzarono dalle fila dei Serpeverde, i quali si guadagnarono un’abbondante quantità di sguardi di rimprovero. In particolare, Draco Malfoy, che s’era concesso un mezzo sorrisino, venne fulminato da un seccato Harry Potter.
        I due si scrutarono brevemente, e Draco capì che quello era un buon momento per lanciare una frecciatina. Tentennò per svariati secondi prima di decidersi ad aprir bocca e mormorare: «Incompetenza. Ti suona familiare, Potter?»
        Harry strinse i pugni. «Sta’ zitto, Malfoy».
        E forse era una cosa ridicola – il Serpeverde proprio non avrebbe saputo giudicare con precisione –, ma essere zittito da Potter aveva un retrogusto nostalgico tutt’altro che terribile.
        La loro parentesi, comunque, si concluse lì, senza tanti fronzoli; eppure colpì in maniera significativa l’attenta osservatrice Hermione Granger. In quel momento, però, lei non poté soffermarsi sui due ragazzi troppo a lungo, perché Holmwood ricominciò a parlare attirando la sua attenzione.
        «Sapresti almeno dirmi cos’è appena successo al tuo braccio?» chiese, rivolgendosi a Weasley.
        Quello, sforzandosi di riflettere, scrollò la manica gocciolante. «Hm, è stato un effetto collaterale di un incantesimo sbagliato?» borbottò, incerto.
         «Più precisamente?»
        Vedendo che Ron titubava, Hermione alzò una mano per rispondere al suo posto – proprio non poteva suggerirgli cosa dire: l’insegnante se ne sarebbe accorto.
        Dopo alcuni secondi di silenzio, Holmwood si arrese e le diede la parola.
        «È stato un Maleficio di Finnstock. Cioè, la conseguenza di un incantesimo non verbale con difetti di esecuzione».
        Annuendo, il professore soffiò tra sé e sé, rinunciando all’idea di sottrarre punti alla Casa dei rosso-oro – in fondo, almeno una di loro era ben preparata e reattiva. «Temo sia necessario un po’ più di studio, Weasley. Non ci sarà sempre Granger a tirarti fuori dai guai», proferì, per poi riprendere con le esercitazioni.
        Colpito nell’orgoglio, Ron diventò tutto rosso; per fortuna, però, incrociò uno sguardo di Hermione, e si tranquillizzò. Ciò, grazie alla sicurezza che – a priori da ciò che poteva pensare l’insegnante – : lei ci sarebbe sempre stata.
 
 

        Non appena Holmwood dichiarò la lezione terminata e li congedò, Hermione si avvicinò con passi decisi ad Harry. «Dobbiamo parlare di una cosa», mormorò, facendo un cenno col capo in direzione dei Serpeverde. «Si tratta di Malfoy».
        Potter aggrottò la fronte, perplesso. «Sì, hm― che succede?»
        «Questo pensavo di chiederlo io a te».
        «Perché?»
        «Che c’è?» intervenne Ron, che non aveva colto il tema della discussione.
        La ragazza sospirò, prima di illustrare, concisa: «Ho notato qualcosa di strano. In Malfoy».
        Uscirono dall’aula lasciando in sospeso il discorso. Prima d’imboccare la porta, di nascosto, Potter lanciò un’occhiata non ricambiata a Draco.
        «Che c’entra Malfoy?» riattaccò Weasley, mentre camminavano nel corridoio.
        Hermione arricciò le labbra, concentrata. «Per un bel po’ ci ha ignorati. No?» I due ragazzi confermarono. «Ora invece ci parla di nuovo. O, meglio, ti parla» si corresse, indicando Harry.
        Lui inarcò un sopracciglio. «Già. Quindi?»
        «Non lo trovate strano? Voglio dire, in passato Malfoy non si è mai fatto scrupoli a prendere in giro me, Ron o chiunque altro. Poi ha smesso di farlo – e fin qui tutto bene. Ma perché ricominciare prendendo di mira solo te?» Ancora una volta, si rivolse a Potter.
        «Solo me?» Storse il naso, «Prima ha fatto lo stupido dopo l’incidente di Ron».
        «Dimentichiamoci di questa storia, per favore», mormorò Weasley in sottofondo, ancora un po’ imbarazzato.
        Lei, intanto, mise su un’espressione compiaciuta, come se avesse voluto sentirgli dire proprio quella frase. «Lo ha fatto, è vero; ma non se l’è presa con Ron. Si è rivolto a te».
        «Beh, Ron era vicino al professore. Non poteva prendersela con lui», fece Harry, non cogliendo il punto.
        «Io lo trovo comunque strano», replicò Hermione. «Tra voi due non è successo niente di spiacevole, vero?»
        «No».
        «Sicuro? Perché mi sono accorta di come vi comportate».
        «Come ci comportiamo?» Potter non riusciva a capire cosa avessero fatto di male.
        «Ho notato che ogni tanto lo fissi e, ultimamente, anche lui fissa te. In più, ti ha scritto quelle cose cattive l’altro giorno, e l’hai fermato in mezzo a un corridoio per provocarlo». Sbuffò, pensierosa. «Non so, ho creduto fosse successo qualcosa».
        Harry si fece mogio e puntò gli occhi a terra con aria colpevole. Probabilmente, era giunto il momento di vuotare il sacco. «Forse― forse ho capito a cosa ti riferisci. È successa una cosa, in effetti», ammise in un soffio.
        «Cosa?»
        Sia Hermione, sia Ron gli rivolsero sguardi a metà tra il preoccupato e il curioso.
        «La settimana scorsa l’ho incontrato in biblioteca».
        «Quando la settimana scorsa?» chiese Weasley, perplesso.
        «Giovedì. Ginny quel giorno doveva studiare e―» s’incupì, bloccandosi a causa del groppo alla gola che comparve nel momento in cui dovette pronunciare il nome della sua ormai ex ragazza. «Ero da solo», riassunse, «e, insomma, l’ho incrociato in biblioteca. Abbiamo parlato».
        «Di cosa?»
        Di colpo, a Potter tornò alla mente il motivo per cui aveva evitato di confessare agli amici quella vicenda: chissà che avrebbero pensato di lui, una volta saputa la verità. «Niente di che. Però, ecco – potrei avergli chiesto di tornare quello di prima».
        Per qualche secondo, su di loro calò il silenzio.
        Poi, Ron reagì: «Miseriaccia, Harry! Perché?» Ai suoi occhi, non aveva alcun senso. «Si stava tanto bene senza Malfoy!»
        «Io non stavo poi così bene». Le parole gli scivolarono fuori dalle labbra senza che se ne accorgesse, e subito, gesticolando, si sentì in dovere di spiegare: «Un sacco di cose sono diverse da quando c’è stata la guerra, e non mi piace. Volevo solo che questa restasse normale».
        Hermione sospirò, poggiandogli gentilmente una mano su un braccio. «Capisco quello che vuoi dire, Harry, ma non credo proprio che sia stata una buona mossa».
        Lui tacque.
        «Perché non ce l’hai detto prima?» tornò alla carica Weasley, incredulo.
        «Non volevo che vi faceste strane idee».
        La ragazza rifletté per qualche istante. «Spero che tutto ciò non ti si ritorca contro».
        «Se ricomincerà a dare fastidio anche a noi, ti riterrò responsabile!» si lamentò ancora Ron, inquieto.
        Harry sbuffò, senza ribattere.
        Per alcuni lunghi momenti, si sentì un po’ folle: capiva che potesse sembrare strano, controproducente, insensato che si fosse ripreso Malfoy; e capiva anche la reazione degli amici. Ma non riuscì a convincersi a curarsene più di tanto, perché al di là del buon senso, della logica e di cosa potesse essere giusto fare, lui, col Serpeverde a farlo dannare, stava bene. Meglio di prima, se non altro, perché Hogwarts sembrava più quella di un tempo, e aveva una ragione in più per credere che non tutti, ad un certo punto, fossero destinati a sparire dalla sua vita.
 
 
* * *
 
 

        Draco Malfoy, vestendo i panni del diligente cercatore della squadra di Quidditch di Serpeverde, si presentò più puntuale che mai agli allenamenti della settimana successiva. E non perché glielo avesse suggerito Potter – per carità, avrebbe fatto presenza comunque; checché se ne dicesse in giro, infatti, non aveva dato buca poi tante volte ai propri compagni. S’impegnò più del solito, però – e questo , lo fece perché spronato dalle parole del Grifondoro.
        Voleva un avversario? Avrebbe provato ad esserlo. Magari sarebbe stato facile come prenderlo in giro.
        In effetti, nonostante tutto, con Potter ogni cosa sembrava stupidamente semplice. Non poteva esserne certo, ma forse era proprio quello il dettaglio capace di dargli sollievo.
 
 

        Il giorno della partita, diede il meglio di sé. Riuscì a tenere testa a Potter e, per un attimo, rendendosi conto di essere a tanto così dal raggiungere il boccino, provò l’inebriante sensazione di avere la vittoria in pugno. Doveva solo allungare il braccio un altro po’, curvare nel modo giusto, mantenere il proprio vantaggio – poteva farcela, e così infliggere ai rosso-oro una sconfitta che non avrebbero dimenticato tanto in fretta.
        Ma si rivelò solo un’illusione: il boccino fece una svolta imprevista sgusciandogli via dalle dita e, ancora prima che potesse impostare una nuova traiettoria, Harry lo intercettò, catturandolo con un gesto fluido.
        Grida festose s’innalzarono dagli spalti. Venne annunciata la vittoria della squadra di Grifondoro. Volarono alcuni complimenti.
        Draco non sentì nulla di tutto ciò: mentre rallentava l’andatura, tenne lo sguardo puntato sul rivale – e se gli sguardi avessero potuto causare combustioni, il suo l’avrebbe fatto. Strinse forte la presa sul manico della scopa, travolto da un’immensa frustrazione, e imprecò ripetute volte tra sé e sé.
        Inacidito, non rivolse la parola né a Potter, né a chiunque altro. Solo più tardi, negli spogliatoi, avrebbe trovato la voglia di fare commenti; e anche in quel frangente non fu particolarmente sportivo nell’accettare la sconfitta. Infatti, bofonchiò, rivolto ai compagni di squadra: «È tutta colpa vostra. Siete per metà degli incapaci, e anche chi non lo è oggi ha giocato da schifo».
        Mai partita persa gli diede più fastidio. Forse perché s’era illuso di poterla vincere. Non che non avesse creduto di potercela fare anche in passato; però quella volta era diverso, perché l’idea di essere ancora il solito perdente, e di esserlo nientemeno che in confronto alleroe del Mondo Magico, faceva bruciare dolorosamente il suo orgoglio e gli riportava alla mente il fallimento che vedeva in se stesso.
        Aveva creduto di potersi ancora confrontare con Potter, per un po’. Ma forse aveva commesso un errore: magari, dopotutto, per lui sarebbe stato meglio stargli alla larga, se la conseguenza dell’averci a che fare doveva essere quel sentirsi una nullità.
        Harry, ovviamente, rimase all’oscuro dell’esistenza di tali pensieri. Tuttavia, si accorse degli effetti che ebbero, perché a seguito della partita – dal suo punto di vista, senza motivo – Malfoy interruppe la scia positiva a cui avevano dato inizio: tornò praticamente ad ignorarlo, privandolo della piccola frazione del loro rapporto che s’era convinto d’aver recuperato.
        La cosa non gli piacque per niente. E mentre Hermione, sollevata, notava che la situazione era “migliorata”, sostenendo che «per fortuna vi siete resi conto che odiarsi ancora non ha senso», lui morì un pochino dentro.
        Tra sé e sé, comunque, decise che non avrebbe gettato la spugna tanto facilmente.
 
 
» …



 
Angolo di Tormenta

Insomma, Malfoy ha dei dubbi e "scappa" - non me la sentivo proprio di liquidare le sue insicurezze con tanta leggerezza. Ma Harry è un tipo cocciuto; e con ciò ho detto tutto. ;)
Poi, Holmwood. Non è sparito nel vuoto cosmico! Come tutti, anche lui avrà un ruolo nella vicenda, quindi era doveroso farvelo conoscere un po' meglio. Detto ciò, sono terrorizzata dall'idea di aver combinato un disastro con lui, la sua lezione, la bestiola con troppe zampe - tutto quanto. Perciò ora fuggo e corro a nascondermi (?).

Mille grazie a chi segue la storia! Love you all! ♥
Alla prossima,
T. ♪
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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
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