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Autore: Mary P_Stark    03/12/2015    4 recensioni
Una serie di OS dedicate ai personaggi della Trilogia della Luna. Qui raccoglierò le avventure, i segreti e le speranze di Brianna, Duncan, Alec e tutti gli altri personaggi facenti parte dell'universo di licantropi di cui vi ho narrato in "Figli della Luna", "Vendetta al chiaro di Luna", "All'ombra dell'eclissi" e "Avventura al chiaro di Luna" - AVVERTENZA: prima di leggere queste OS, è preferibile aver letto prima tutta la trilogia + lo Spin Off di Cecily
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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Una seconda occasione (Alec)
 
 
 
 
 
Ad Alec sembrava essere passato un secolo, eppure sapeva bene che non era così.
 
Erano partiti per affrontare un’orda di uomini-orso, e si erano ritrovati contro ben due dèi.
 
E altri tre come alleati.
 
Quante altre persone avrebbero potuto dire di aver affrontato un Fato simile?
 
Nessuno, credeva.
 
Eppure, non era questo a renderlo così ansioso.
 
Era, piuttosto, il pensiero di quello che avrebbe dovuto dire a sua madre, una volta giunto a casa con Penny.
 
Con la notizia del prossimo arrivo di Erin.
 
Già, perché Alec Dawson poteva essere tante cose, un licantropo feroce e coraggioso, un guerriero come pochi e un capo ligio alle regole… ma non poteva sopportare di veder soffrire sua madre.
 
Aveva impiegato anni – ed era servito l’aiuto di quella streghetta di Brianna – per capire quanto, il suo atteggiamento inflessibile e spesso crudele, avesse angustiato la madre.
 
Alec aveva guidato il suo branco con pugno di ferro, incorruttibile a qualsiasi tentativo di non seguire le regole. Aveva pensato, a torto – ormai lo sapeva –, che questo sarebbe servito a cancellare i comportamenti irresponsabili e incivili del padre.
 
Non aveva permesso a nessun lupo di comportarsi in maniera meno che corretta, ma lo aveva fatto instillando paura e timore nei suoi licantropi, convinto che loro volessero un leader forte.
 
Col tempo, il dolore e le violenze provati in gioventù si erano trasformati in una corazza di gelo che aveva finito per allontanare le persone che più amava.
 
Aveva quasi distrutto il futuro di sua sorella Pat, impuntandosi come uno sciocco perché sposasse Duncan. Per sua fortuna, sua sorella era stata abbastanza testarda da tenergli testa ma, per poter vivere serenamente con il suo Andrew, aveva dovuto abbandonare il branco, sua madre. E lui.
 
Naturalmente, Irina Petrova Dawson non aveva detto nulla al figlio, riguardo al suo comportamento riprovevole.
 
A un certo punto, Alec aveva anche desiderato che lei gli tirasse un orecchio per la sua cecità, ma sua madre non l’aveva fatto. Né l’avrebbe mai fatto.
 
Nel bene e nel male, era sempre stata una creatura delicata e fragile, un licantropo del tutto privo della tempra necessaria a reggere il carattere riottoso del marito e, in seguito, quello gelido del figlio.
 
Alec non gliene faceva una colpa. Il carattere non si sceglieva.
 
Irina era diventata Prima Lupa perché nessuna, nel branco, aveva avuto il coraggio di mettersi contro le decisioni di Fenrir. Non aveva dovuto affrontare nessuno scontro e, da quel momento, era stata guardata con rispetto, in primis, e compassione poco dopo.
 
Il branco, infatti, aveva impiegato poco per comprendere la scelta apparentemente inconsueta del loro Fenrir. Irina era stata elevata al grado di Prima Lupa non tanto per le sue capacità, ma per essere la vittima sacrificale delle ossessioni violente del marito.
 
In breve tempo, la sua condizione di Prima Lupa era divenuta ben poco invidiabile. I lividi, per quanto veloci a svanire, erano stati lampanti quanto un’insegna al neon, sul corpo di Irina, piegato dal timore e dal dolore.
 
La cicatrice che ne solcava la schiena, poi, le sarebbe rimasta fino a che non avesse esalato l’ultimo respiro. Così come quelle sul cuore, del resto, dovute alle violenze subite dai suoi due figli per colpa di un padre padrone e del tutto ingovernabile.
 
Patricia era riuscita a superare il dramma grazie a Andrew, prima, e a Phillip poi.
 
Ora, Alec cominciava finalmente a rendersene conto – e a comprenderne la portata –; avrebbe avuto la sua seconda occasione grazie a Erin e Penny.
 
Però, forse, sarebbe stato più carino – e corretto – avvisare la madre del suo ritorno in compagnia di Penny.
 
Ormai, però, si trovava sulla piccola stradina di Littlemoor nel sobborgo di Queensbury, proprio accanto alla città di Bradford, che conduceva alla sua proprietà.
 
Il boschetto che circondava il loro cottage lanciava ombre lunghe sulla strada asfaltata, e l’aria che penetrava dai finestrini aperti sapeva di cose familiari, un tempo temute ma ora più che mai apprezzate e amate.
 
Penny, seduta accanto a lui sul pick-up di sua proprietà, scrutava il panorama con aria eccitata, lieta probabilmente per la presenza di tutte quelle piante. Forse, le ricordavano la casa che aveva lasciato a Belfast.
 
La ragazzina scelse proprio quel momento per volgere gli occhi di cielo verso Alec e, sorridendo lieta, esalò: “E’ davvero bellissimo, qui!”
 
“Bene” borbottò lui, accigliandosi e tornando a scrutare la strada che, pian piano, li stava avvicinando a casa.
 
Assottigliando le palpebre, sorpresa da quel cipiglio scuro, Penny levò una mano a sfiorare la guancia sfregiata dell’uomo, che sobbalzò leggermente in risposta. Si sentiva sempre molto strano, quasi esposto, quando lui la toccava.
 
“Non stiamo andando sul patibolo, sai?” ironizzò la ragazzina, mettendo allegria nel suo dire.
 
“Forse” sbuffò Alec, sempre più deciso a gettarsi nel dirupo più vicino. Peccato non ve ne fossero, in zona.
 
Ma in che razza di guaio si era cacciato?
 
Non aveva permesso a Beverly, anni addietro, di avvicinarsi così tanto a lui perché sapeva di non poter offrire nulla a nessuna donna. Ora, invece, gli era balenata in testa l’idea di fare da padre a quella ragazzina così solare? E da marito alla madre di quella creatura bellissima?
 
Le avrebbe rovinate entrambe nel giro di un mese!
 
Brianna, e le sue maledette storie su un futuro roseo e felice!
 
Sbuffando, si ripromise di telefonarle per insultarla fino alla fine dei tempi. Non meritava altro, quella sensale da strapazzo! Se poi Duncan si fosse incavolato, tanto meglio! Aveva davvero bisogno di una bella scazzottata.
 
Il cancello di ferro che delimitava la sua proprietà, in quel momento aperto sul vialetto inghiaiato, gli disse che ormai era tardi per tornare indietro e scappare.
 
Era fatta. Era a casa, e avrebbe dovuto spiegare a sua madre perché non l’aveva chiamata prima di rientrare dalla missione, avvertendola a quel modo dei prossimi cambiamenti nella vita del figlio.
 
Penny esalò un sospiro di sorpresa quando scorse il cottage a due piani dove Alec era nato e cresciuto. Costruito in mattoni grigi e rossi, dalle limpide e bianche imposte rivolte verso il sole del meriggio, appariva idilliaco come una dimora delle fiabe, ma Alec sapeva bene quanti incubi notturni e diurni avevano visto quelle apparentemente amene pareti.
 
Le aiole erano perfette come sempre, dinanzi a casa, così come il prato all’inglese, rasato di fresco e brillante sotto il sole. Se c’era una cosa a cui sua madre aveva sempre tenuto molto, era il giardino. Era stata la sua valvola di sfogo, il suo luogo sicuro, l’angolo in cui ripararsi dopo le sfuriate del marito.
 
“Non sapevo ti piacessero le piante” mormorò sorpresa Penny, mentre Alec bloccava il pick-up dinanzi a casa.
 
“Infatti non è opera mia” mugugnò l’uomo, sfilando la chiave dal quadro prima di volgere lo sguardo verso la ragazzina.
 
Penny lo imitò, fissandolo con i suoi grandi e sinceri occhi azzurri, ora velati di curiosità.
 
La distruggerò, pensò tra sé, rabbrividendo al solo pensiero.
 
Sbuffando, Alec si grattò la nuca, indeciso su come affrontare l’argomento.
 
Penny sbatté le palpebre, confusa dalle sue reticenze a parlare, e disse: “Devi avere un rospo bello grosso, in gola, se non riesci a parlare. Da quando siamo usciti dall’aeroporto, bofonchi e borbotti monosillabi.”
 
Alec si accigliò a quel commento, ma dovette ammettere che era la verità. La ragazzina non si era lamentata, ma sapeva bene di non essere stato un compagno di viaggio molto simpatico.
 
“Devo dirti una cosa” ammise a quel punto.
 
“Okay…”
 
“La mamma non lo sa, per la cronaca” aggiunse Alec, storcendo la bocca.
 
“Hai una moglie, e non gliel’hai detto? No, perché allora ti conviene avvertire la poveretta, perché mamma la farà a fettine” ironizzò a quel punto Penny, sorridendo maliziosa.
 
Alec non poté che ghignare, di fronte a quel commento malizioso, ammettendo tra sé che Erin sarebbe stata davvero capace di sbranare un’eventuale avversaria.
 
Cosa ci vedesse Erin, in lui, doveva ancora capirlo, ma non voleva perdere quell’esigua possibilità di essere felice. Con tutta probabilità, avrebbe rovinato tutto, ma sapeva già a chi dare la colpa.
 
Brianna si sarebbe presa tutta la responsabilità, poco ma sicuro.
 
“Il giardino… e la casa… è … è mia madre a tenerli in ordine” ammise alla fine Alec, sciorinando quella verità come se stesse espellendo veleno dalla bocca.
 
Penny rimase alcuni attimi in totale silenzio, quasi si fosse aspettata una qualche tremenda verità. Dopo quell’iniziale sconcerto, però, strillò eccitata e, battendo le mani, esclamò: “Avrò una nonna, qui!?”
 
Nonna. Eh, già. Se Penny fosse diventata sua figlia, Irina sarebbe stata sua nonna.
 
Dio, e chi si sarebbe mai abituato ad abbinare le parole ‘Penny’ e ‘figlia’, all’interno della stessa frase?
 
Penny non gli lasciò il tempo di dire altro, perché uscì a precipizio dal pick-up per fiondarsi verso l’entrata di casa, già pronta a salutare la madre di Alec.
 
Terrorizzato, il licantropo la raggiunse in fretta per bloccarla prima che potesse mettere mano alla maniglia ottonata e, in un borbottio contrito, mormorò: “Aspetta, Penny. Non adesso.”
 
“Che c’è?” brontolò lei, fissandolo torva.
 
“Lei non sa nulla” le confessò, roso dal rimorso e dalla propria codardia.
 
Gli occhi azzurri di Penny si fecero grandi, addirittura enormi… e pieni di biasimo e tristezza. Le spalle le si incurvarono, e ogni gaiezza sul suo viso d’angelo svanì.
 
Ecco, ho già combinato un disastro, brontolò tra sé, dandosi dell’idiota.
 
Piegatosi su un ginocchio per poterla guardare agevolmente negli occhi, Alec le poggiò entrambe le mani sulle spalle, asserendo con tono roco e pieno di contrizione: “Non sapevo come dirle di voi. Non volevo turbarla.”
 
“Perché?”
 
La voce le uscì in un gracidio colmo di dolore, e Alec si sentì morire. Era così che la proteggeva? Erin avrebbe avuto ragione a scuoiarlo vivo.
 
Sospirando, l’uomo si sentì costretto ad affrontare una parte del suo passato per nulla idilliaco, per poterle spiegare il perché di simili scrupoli. Non che gli facesse piacere, ma doveva assoluta sincerità a quell’angelo biondo.
 
“Sai, vero, che mio padre non è stato uno stinco di santo…” iniziò col dire, vedendola annuire mogia. “… e che lui picchiava sia me che Pat.”
 
Penny assentì ancora, calmandosi un poco. La bambina aveva intuito quanto, l’argomento, pesasse molto sull’animo di Alec, perciò lasciò perdere la sua eccitazione per concentrarsi su di lui.
 
“Beh, picchiava – e molto – anche mia madre” ammise a un certo punto il licantropo, sospirando pesantemente.
 
Rabbrividì a quei ricordi così violenti, e Penny se ne accorse subito.
 
“Fa lo stesso, Alec… davvero” scosse a quel punto il capo la bimba, tornando a carezzargli la cicatrice.
 
“No, devi sapere almeno qualcosa, altrimenti tutta questa storia ti sembrerà assurda” scosse il capo l’uomo, facendosi forza.
 
Penny annuì e, senza dirgli nulla, lo abbracciò. Solo lei poteva farlo senza che il suo corpo si irrigidisse per istinto. Persino con Erin non era così, anche se le motivazioni erano un tantino diverse.
 
Con Erin, il suo primo istinto era quello di fare sesso sfrenato e senza limiti, perciò gli abbracci erano banditi, specialmente in pubblico.
 
Lei lo sapeva, ed era pure compiaciuta dalla cosa. La strega.
 
Sorrise a mezzo a quel pensiero e, nel carezzare la chioma bionda di Penny, Alec mormorò: “L’ha spezzata, Penny. Nell’animo. E’… fragile. Non è mai stata molto forte neppure prima del matrimonio ma, con lui, la cosa è giunta alle estreme conseguenze. Parlarle di voi due l’avrebbe scioccata, e non volevo farlo per telefono, quando non potevo essere con lei per sorreggerla.”
 
La bambina annuì contro la sua spalla, asserendo: “Alec sorregge tutti, vero?”
 
“E’ il compito di un Fernir. Sorreggere il proprio branco, renderlo sempre più forte perché sappia proteggersi al meglio, qualora io non vi riuscissi.”
 
“Questo non potrebbe mai succedere” ironizzò Penny, scostandosi da lui per fissarlo con scetticismo.
 
Come aveva potuto guadagnarsi una simile fiducia? Davvero non lo sapeva.
 
“Ora sei qui, e io non so come affrontarla” ammise l’uomo, tornando ad alzarsi.
 
Penny allora lo prese per mano e, sorridendogli comprensiva, mormorò: “Io parlerò e tu la sorreggerai, va bene?”
 
“Forse è meglio” assentì Alec, aprendo finalmente la porta di casa.
 
All’interno, però, non si udì alcun rumore e, anche con i suoi sensi sviluppati, Alec non avvertì nulla. Che fosse nel boschetto sul retro di casa?
 
“Non c’è?” domandò Penny, curiosa.
 
“Già. Pare sia andata a fare la sua consueta passeggiata” dichiarò a quel punto Alec, tornando fuori dall’abitato assieme alla bambina.
 
D’istinto, poi, sollevò Penny per poggiarla sulle sue spalle, a cavalcioni e, nel dirigersi verso il retro del cottage, borbottò: “Tieniti stretta, ranocchietta. Faremo una corsetta.”
 
Lei rise, poggiando le mani sui capelli a spazzola dell’uomo e, guardando dinanzi a sé, asserì: “Qui ci potrei mettere un’altalena. Che ne dici?”
 
“Tutto quello che vuoi” dichiarò Alec, incamminandosi.
 
***
 
Forse, era stata fuori troppo a lungo.
 
Dopotutto, Alec le aveva detto che sarebbe rientrato quello stesso pomeriggio, pur se non aveva specificato a che ora. Se non l’avesse trovata a casa, si sarebbe certamente preoccupato.
 
Quel ragazzo non aveva mai potuto rilassarsi un momento, in tutta la sua vita, e lei non era certo stata d’aiuto, in questo. Avrebbe dovuto proteggere sia lui che Patricia, ma non ne era mai stata in grado.
 
Aveva accettato senza fiatare le angherie di Roland per tutto il tempo, e non era mai stata capace di fermarlo quando, anno dopo anno, se l’era presa anche coi suoi figli.
 
Hati e Sköll poco avevano potuto, per aiutare lei e i figli, trattandosi del loro Fenrir.
 
Anche nel branco, nessuno era stato abbastanza forte – o coraggioso – da sfidarlo perché le sue violenze avessero una fine.
 
Soltanto Alec, appena quattordicenne, si era preso quell’impegno. Quel peso enorme.
 
Il parricidio poteva essere una croce orribile da portare, anche se il padre aveva meritato ampiamente quella fine, ma Alec l’aveva portata stoicamente, senza mai chiedere aiuto a nessuno.
 
Questo, lo aveva però portato a chiudersi in se stesso e a mettere fin troppo impegno nella protezione del suo branco. Le regole erano state fatte rispettare con un rigore quasi religioso e, pur di difendere sua sorella, Alec era quasi giunto a fare guerra al clan di Matlock.
 
Patricia si era allontanata proprio a causa di questo amore portato alle estreme conseguenze, ma Irina non se l’era mai sentita di farne una colpa ad Alec.
 
Che altro poteva pretendere che facesse, il suo caro figliolo?
 
Forse, ci sarebbe stato un tempo e un modo per riconciliarsi con Patricia, ora che il pericolo sembrava essere svanito, ma non voleva ossessionare il figlio con quell’argomento così spinoso.
 
Al telefono, comunque, Alec le era parso tranquillo, sereno come poche altre volte era stato nella sua vita.
 
Ricevere la visita di Beverly, e sentire dalle sue stesse labbra della buona riuscita della missione e della salute ottima di Alec, aveva rincuorato Irina.
 
L’alto e possente berserkr che aveva accompagnato la loro veggente le era parso una brava persona, e non aveva potuto non pensare a quanto, la cara Beverly, stesse bene al suo fianco.
 
Era tempo che quella ragazza pensasse anche al suo futuro, e non solo a quello del suo Fenrir.
 
Le spiaceva che le cose non avessero funzionato, tra lei e il figlio, ma mai e poi mai si sarebbe intromessa in una cosa simile.
 
“Mamma!”
 
La voce di Alec giunse alla sua destra, a circa mezzo miglio di distanza, strappandola a quei pensieri.
 
Bloccandosi a metà di un passo, Irina annusò l’aria per capire dove si trovasse, e questo la fece sobbalzare per la sorpresa.
 
Chi c’era con lui?
 
Indirizzando i propri passi verso la fonte di quel suono, la donna aumentò l’andatura per raggiungerlo il prima possibile, finendo con il ritrovarsi in breve tempo nella radura nei pressi della loro abitazione.
 
Lì, Irina si fermò per osservare senza parole la figura del figlio che, apparentemente, non si era accorto del suo arrivo.
 
Sulle sue spalle portava una ragazzina che non poteva superare i dieci anni, la cui chioma dorata brillava sotto il sole di quel pomeriggio d’agosto inoltrato.
 
Il fatto stesso che suo figlio stesse portandola a cavalcioni era di per sé un evento biblico, ma a sorprenderla fu altro.
 
Fu scorgere la sua fronte liscia, il suo viso del tutto privo dei pensieri ombrosi che solevano solcarlo, rendendolo perennemente cupo e accigliato. Tutto questo era apparentemente scomparso, dal bel volto del figlio.
 
“Sono qui, Alec” si permise di dire, attirandone finalmente l’attenzione.
 
Lui si volse, il viso gli si tinse di un insolito rossore e, avvicinandosi a lei, dichiarò laconico: “Immaginavo saresti andata in cerca di fiori. Lo fai sempre, a quest’ora.”
 
“Sono assai prevedibile” ammise, inclinando il capo di bianchi e corti capelli per sorridere alla bimba sulle spalle del figlio.
 
Con un movimento fluido, Alec fece scendere Penny dalle spalle e, dopo aver guardato la madre con espressione contrita, si passò una mano sulla nuca con fare nervoso.
 
Quel gesto sorprese non poco Irina, confermandole che doveva essere successo qualcosa di veramente grosso. Non vedeva il figlio così indeciso dacché aveva avuto dodici anni.
 
La bambina, nel frattempo, lanciò occhiate alternate ad Alec e alla minuta signora dinanzi a loro, prima di dire: “Io sono Penny. Ciao.”
 
Irina, allora, si piegò in avanti, poggiando le mani sulle cosce e, dopo averla squadrata meglio, sgranò gli occhi ed esalò: “Dio onnipotente, bambina… sembri proprio…”
 
“Già” borbottò Alec, assentendo all’occhiata significativa lanciatagli della madre.
 
Penny, allora, guardò a sua volta Alec e mormorò: “La bambina che mi somigliava?”
 
“Sì, ranocchietta” assentì l’uomo, sorprendendo non poco la madre.
 
Facendosi coraggio, Penny allora allungò una mano e disse: “Beh, io sono… o sarò…”
 
Si guardò ancora indietro, cercando l’approvazione di Alec, che annuì e dichiarò: “Sei.”
 
Ringalluzzita dal suo tono lapidario, Penny allora asserì: “Sono la figlia di Alec. Sì, insomma, la nuova figlia. Beh, quando sposerà la mamma. Non so bene come funzionano le cose, e sto facendo un sacco di confusione, mi sa…”
 
Irina si ritrovò a sbattere le palpebre di fronte a quel fiume apparentemente incessante di informazioni. Senza parole, ma del tutto conquistata da quell’angelo biondo dalla parlantina sciolta, strinse la mano protesa della bambina e, basita, fissò il figlio in cerca di spiegazioni.
 
Lui si limitò a fare spallucce, borbottando contrito: “Novità.”
 
“Ancora monosillabi, Alec?” brontolò Penny, fissandolo maliziosa.
 
L’uomo, allora, le passò una mano sui capelli, scompigliandoglieli, e Irina non poté che sorridere per la gioia, le lacrime già pronte a debordare dagli occhi grigio ghiaccio.
 
Subito, Alec se ne preoccupò, dopo un’imprecazione smozzicata, disse: “Ecco, lo sapevo… stai per piangere…”
 
“Smettila di preoccuparti come una chioccia, Aleksej!” sbottò gentilmente la madre, sventolando una mano dinanzi a sé per cancellare i suoi timori.
 
Lui si accigliò immediatamente, di fronte a quel rimbrotto ma Penny, fissando a bocca aperta l’uomo, esclamò scioccata: “Ti chiami Aleksej?!”
 
“Alec” brontolò per contro il licantropo, fissandola ombroso.
 
Lei non vi badò minimamente e, balzellando sul posto, lo prese per mano e trillò: “Ti chiami Aleksej! Ti chiami Aleksej! E’ troppo carino!
 
Il mannaro storse la bocca, di fronte a quella parola – carino – mentre la madre, del tutto spiazzata dal comportamento intimo e familiare della bambina nei confronti del figlio, esalava: “E io che pensavo di averle viste tutte.”
 
“Posso chiamarti Aleksej anch’io? Posso, posso? Posso?” mugugnò allora Penny, abbracciandolo con forza alla vita.
 
Alec a quel punto cedette e, nel piegarsi su di lei, le baciò i capelli e mormorò: “Tutto quello che vuoi.”
 
Irina carezzò la guancia sfregiata del figlio con il tocco leggero delle dita e, con voce esitante, domandò: “E’ davvero tua figlia?”
 
“Lo sarà quando sua madre si deciderà a venire qui da Belfast. E’ impegnata con il passaggio di potere sul clan, ma non ci metterà molto” borbottò Alec, scostandosi appena da quel tocco.
 
Irina non se ne stupì. Era raro che Alec si facesse toccare da chiunque, ed era dunque doppiamente mirabile che la bambina potesse abbracciarlo senza che lui si irrigidisse, o scantonasse.
 
“La mamma sbranerà tutte le lupe che cercheranno di impedirglielo, visto che mi ha detto che Alec sarà solo suo” dichiarò con orgoglio la bambina, guardando Irina con incrollabile fiducia.
 
Alec si esibì in una risatina imbarazzata, e il rossore tornò.
 
E da quando, suo figlio, arrossiva?, si chiese tra sé Irina, trovando l’intera scena più che surreale. Non vedeva l’ora di conoscere la donna che aveva compiuto un simile miracolo. Doveva essere davvero eccezionale.
 
Non meno della figlia, comunque, che sembrava avere del tutto in pugno il suo riottoso figliolo.
 
“Visto che sei, o sarai, la figlia del mio ragazzo, io posso essere la tua nonna?” le propose Irina, allungandole una mano.
 
Penny accettò con gioia l’invito e, presa nella sua la mano della donna, balzellò al suo fianco mentre rientravano a casa. Come una radio, quindi, la bambina iniziò a raccontarle di sua madre e di come si fossero conosciuti con Alec.
 
Le spiegò del loro primo incontro-scontro, e di come Brianna lo avesse fatto planare contro una cassettiera, il che portò Irina a ridere di gusto e fissare il figlio con incrollabile amore.
 
Alec le lasciò fare. Che sparlassero pure di lui, se volevano.
 
Si fece distanziare a sufficienza e, quando fu certo che non potessero udirlo, prese il cellulare e chiamò Erin.
 
Al terzo squillo, lei rispose e domandò: “Siete arrivati?”
 
“Già” assentì, lieto di sentire di nuovo la sua voce. Era già ridotto così male? A quanto pareva sì, e non gli dispiaceva per nulla.
 
“E Penny, come sta?”
 
“Sta sparlando di me e di te con mia madre.”
 
Un attimo di silenzio, ed Erin disse: “Oh. Tua madre. E come l’ha presa?”
 
Cos’ho mai fatto per meritarla?, pensò tra sé Alec.
 
Quale altra donna avrebbe preso una simile notizia con così tanto pragmatismo? Magari, un’altra avrebbe voluto sapere dell’ipotetica presenza, nella sua futura casa, di una suocera.
 
Erin, però, non era così. O, forse, gliel’avrebbe fatta pagare al suo arrivo. Chissà.
 
L’avrebbe scoperto tra qualche mese, comunque.
 
“L’adora già. Penso avrai qualche difficoltà a riaverla indietro, quando arriverai.”
 
Erin si lasciò andare a una risatina, replicando: “Per lei sarà una novità avere una nonna che non la guarda come se fosse il peggior errore mai concepito.”
 
Alec sbuffò a quelle parole, e dichiarò lapidario: “Cadranno teste, se qualcuno oserà mai guardarla a quel modo, qui da me.”
 
“Non avevo dubbi” asserì orgogliosa Erin. “Hai già incontrato il resto del branco?”
 
“Non ancora. Ma c’è tempo. Era più importante mia madre, prima di tutto.”
 
“Già” disse soltanto la donna, racchiudendo in quell’unica parola tutto il rispetto che provava per lui.
 
Alec poteva essere scontroso, ruvido e persino volgare, se l’occasione lo richiedeva, ma avrebbe sempre e comunque pensato al bene delle persone che amava.
 
Ora, però, lo avrebbe fatto con persone che, a sua volta, lo riamavano. E forse, col tempo, un po’ delle ombre sul suo viso sarebbero sparite.
 
“Assicurati che non la stanchi a forza di chiacchiere” lo pregò a quel punto Erin.
 
Alec allora rise – una cosa davvero rara, per lui – e dichiarò: “Prima che mia madre si stanchi di chiacchiere, nostra figlia sarà già adulta.”
 
Erin sorrise nell’ombra del suo ufficio, a quelle parole apparentemente innocue e, nel mandare un bacio ad Alec, chiuse la comunicazione.
 
Volgendosi poi a scrutare il suo fido Richard, la donna asserì: “Tutto bene. Penny è arrivata a casa.”
 
Già. A casa.







Note: Molte di voi mi avevano chiesto di creare qualcosa per i 'missing moments', per tutti quegli attimi che, per ragioni di spazio od opportunità, non ho potuto inserire nella Trilogia della Luna, come nello Spin-Off su Cecily e Darcy.
Questo spazio è dedicato a voi, alle vostre curiosità, ai vostri dubbi e, se vorrete, potrete propormi dei progetti, delle idee che, spero, potranno poi vedere la luce qui, per il vostro e il mio piacere.
Per ora, vi ringrazio se vorrete farmi sapere cosa ne pensate.
A presto!


  
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