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Autore: L0g1c1ta    03/12/2015    3 recensioni
Settembre 1939, cade la resistenza polacca. La Polonia svanisce dalla cartina geografica. La città di Varsavia viene distrutta, mattone dopo mattone dai tedeschi e dai russi.
Polonia è morto e Lituania non riesce a superare la morte dell'amico. Con la morte nel cuore, lentamente viene guidato verso la follia e gli verranno aperti gli occhi sulla sua vita.
Polonia, fantasma e defunto, accompagnato da un insolito pulcino, osserva, fra le mura della villa di Russia, il dolore di Lituania.
Entrambi ripercorrono un cammino, entrambi si rendono conto di ciò che avevano e di ciò che hanno perso, per sempre...
...
Luglio 1952, la Polonia rinasce sotto una nuova bandiera. Polonia è morto, ma viene accompagnato nel suo viaggio da Toris e da una nuova presenza. Lituania vive la sua nuova vita con freddezza, nonostante i cambiamenti avvenuti in casa di Russia. Ma ogni cosa cambia con una scoperta avvenuta in una casetta abbandonata nel bosco.
Polonia, in questo mondo cartaceo, osserva i ricordi e gli anni che lo hanno separato dalla sua patria. E si rende conto di quanti sbagli abbia commesso in vita.
Entrambi percorrono un secondo cammino. Chi in un treno per Varsavia, chi con frammenti di ricordi perduti.
Genere: Angst, Drammatico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Baltici, Lituania/Toris Lorinaitis, Polonia/Feliks Łukasiewicz, Russia/Ivan Braginski
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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DIARIO DI LETTONIA

Più che Diario di Lettonia sta diventando il Diario di Lituania, questo qui. Ma non mi sorprendo proprio: ultimamente ne stanno accadendo tante e… No, ho cominciato male, ricomincio daccapo.

Prima di tutto ti chiedo scusa se non ti ho raccontato quel che sta succedendo qua dentro. Sarai curioso e immagino che non sia il massimo lasciarti nel comodino per più di una settimana, senza rileggerti o scriverti qualcosa. Chiedo scusa, ma, credo che ti sia già rotto di questa filastrocca. E’ accaduto di tutto in pochissimo tempo e ognuna di queste cose non è bella.

Ricordi cos’è successo a Lituania? Si, beh, non ti ho raccontato molto, ma credo che ti basti, no? No, immagino di no, ma questa volta ti scrivo tutto, giuro.

Dopo quel che è successo in quella casetta, sia io che gli altri non siamo mai stati tranquilli. Sapevamo che Russia fosse in grado di fare delle cose del genere, ma vederlo di persona è tutta un’altra cosa, soprattutto se di mezzo c’è qualcuno che conosci. Lì, si, che è tutta un’altra storia.

Estonia cercava di farmi stare tranquillo. Mi diceva che Russia era arrabbiato solo con Lituania, quindi non c’era niente da temere. È una delle cose più brutte che io abbia mai sentito da Estonia. Talvolta lo guardo e mi fa più paura di Russia e Lituania messi insieme. Ma credo che tu l’abbia già capito. Stiamo parlando di lui e non di me, tanto non mi succede molto. E poi, volevo confidarmi con te. Quindi… Scusa se ti parlo in questo modo, ma ho anche paura di raccontartele, queste cose. Ma ti ho promesso che te le dicevo.

Lituania, da quando lo abbiamo curato (non è stato per niente facile: Estonia ci ha messo delle ore per ricucirgli tutta la schiena!), non sembra mai stare tranquillo. E’ come se abbia il diavolo dietro le spalle. Si gira in continuazione per non ritrovarselo in faccia, il demonio. Non che abbia torto, però. Russia non è tanto diverso da Satana, quando s’impegna.

Però mi fa un bel po’ di pena e non dorme nemmeno. Ora che ci penso, da quando lo avevamo curato, lui non ha proprio dormito. Non capisco bene il perché: dopo un po’ la testa non ce la fa più a stare sveglia, ma si rifiuta ugualmente di dormire. Una volta l’abbiamo pure visto una mattina con il coltello di Estonia in mano, di fronte alla porta, come se stesse aspettando l’attacco da qualcuno. Fa sempre così, ogni notte. Ricordi, spesso mi sveglio per gli incubi, no? Talvolta lo vedo camminare avanti e indietro per la stanza, per non addormentarsi. E’ inquietante e orribile. Orribile perché non capiamo per quale ragione faccia così. In questi giorni non ricordo nemmeno com’è la sua voce, da tanto tempo non apre la bocca. Estonia, quando lo guarda, ritornava umano e gli chiede gentilmente cos’ha e se gli turba qualcosa. Lituania scuote sempre la testa e non risponde. Anche in questi momenti cerca di non dormire.

Ovviamente, di giorno in giorno, ha continuato a peggiorare. Gli tremano anche le mani, oltre ad essere stanco. E’ terrorizzato, probabilmente da Russia (sicuramente da Russia) e non riesce nemmeno a salire le scale senza stancarsi troppo. Anche Estonia si preoccupa, e quando Estonia si preoccupa, allora la cosa è gravissima.

Secondo me noi non sappiamo alcune cose che sono accadute in seguito. Forse Russia e Lituania si sono parlati o forse solamente Russia si è interessato a lui. Forse Estonia mi nasconde qualcosa, ecco perché non mi parla da un po’. So solo che Lituania è caduto dalle scale e si era fatto male. Solo questo. Questo perché, dopo tanti giorni, proprio ieri sera, Russia entra nella nostra stanza (eravamo solo io ed Estonia, senza Lituania) e ci chiede di chiudere la porta a chiave. Noi eravamo spaventati, non sapevamo cosa avesse in mente, ma poi l’abbiamo fatto. Russia si accomoda sul letto insieme a noi (ci stavamo mettendo i pigiami per dormire). All’inizio fa tutto lo zuccheroso e ci chiede come stavamo e cose così. Poi, però, diventa serio all’improvviso. A quel punto ci eravamo spaventati un bel po’, non si sa mai con Russia. No, no, non ci ha fatto niente, tranquillo. Ci aveva chiesto, di punto in bianco, da quanto tempo, secondo noi, Lituania non dorme.

Io ed Estonia ci siamo guardati, preoccupati, e gli abbiamo detto quel che sappiamo. Russia ci ha fatto una sorta di interrogatorio e il tema centrale era Lituania e come si sentiva dopo quel che è successo nella casetta. Estonia rispondeva e io dicevo i dettagli. È stranissimo vedere Russia serio, giuro. Sembra meno cattivo e più uomo, quando non sorride e pensa fra sé e sé.

Russia, poi, ha vuotato il sacco e ci ha detto che Lituania lo preoccupava, moltissimo. Detto da Russia, questa cosa, sembrava da perderci la testa. Ma, in questi giorni, non conosciamo bene nemmeno noi la gravità della questione. Russia ci aveva raccontato che l’aveva visto dormire, la sera prima, sul divano (secondo me ha nascosto qualcosa in questa informazione) e aveva visto quanto era terrorizzato da ogni cosa in casa. Ci ha detto che la sua situazione sembrava grave e se non si faceva qualcosa, allora Lituania sarebbe impazzito o si sarebbe fatto del male. Qui abbiamo deglutito tutti e due. Te lo ripeto: non sappiamo bene la gravità della questione e, detto così, all’improvviso, ci pareva quasi un’esagerazione.

Estonia, poi, gli chiese cosa potevamo fare noi due per farlo stare meglio. Russia, l’avevo notato solo io, ci ha guardato come per dirci ‘Scusate, ma non ne sapete voi più di me?’ mi hanno fatto star male quegli occhi. Russia ha suggerito, prima di tutto, di far dormire Lituania, in modo da farlo riposare e calmare un po’. Però, disse Estonia, che non è possibile dirgli soltanto di dormire e basta: è terrorizzato da qualsiasi cosa e non ci ascolterebbe comunque.

Russia ha frugato nella tasca della giubba e ha fatto uscire fuori un contenitore bianco. L’aveva agitato e sembrava che dentro ci fossero delle caramelle. Delle cose del genere non le avevo mai viste: sembravano proprio dei confetti bianchi. Russia ci ha detto che sono dei farmaci per dormire. L’avevano sperimentato solo in Russia e sembrava che facessero effetto. Voleva che noi li facevamo mangiare un paio a Lituania. Ci aveva detto che si potevano anche sbriciolare: l’effetto sarebbe stato lo stesso.

Ci aveva detto che, questa mattina, proprio fra poco, noi due dovremo mettere due di quelle caramelle nel cibo di Lituania, poi avrebbe dormito per ore e si sarebbe sentito meglio. Questa cosa, anche se detta da Russia, quasi mi piaceva. Non eravamo totalmente d'accordo, ma mi piace quest’idea. Vedere Lituania in quello stato, faceva sentir male anche a me. Voglio aiutarlo e ho trovato una soluzione. Sono felice.

Russia ci ha detto che le sue sorelle erano partite per i loro territori, per ragioni politiche, credo. Quindi possiamo fare di tutto questa mattina. Abbiamo accettato l’incarico e siamo andati a dormire. Di notte avevo visto Lituania. Camminava e girava su sé stesso. Canticchiava una vecchia filastrocca per bambini, nella sua lingua. E’ la cosa più inquietante e tenera che io abbia mai visto. Lì, se avevo dei dubbi su cosa fosse la cosa migliore da fare, dopo aver visto Lituania in quello stato, non avevo più incertezze. Voglio fare la cosa giusta. Lituania è rimasto sveglio per tutte queste ore, Estonia si è appena svegliato e si sta preparando.

Incrocia le dita per me!

Ah, ricordi che avrei voluto darti un nome? Forse l’ho trovato: Raivis. È un nome lettone, lo sai? Non viene usato spesso nel mio paese, ma a me piace molto. Se potessi, mi chiamerei io così. Ma, per ora, conserva questo nome per me. Va bene, Raivis?

 

 

 

 

Il ragazzino chiude Raivis, lo infila dentro il cassetto e getta i suoi piedi fuori dalla sedia. I due Baltici non lo guardano, troppo concentrati nel vestirsi. Lettonia è già pronto da tempo, abbastanza per aver scritto sul suo diario. Estonia deve solo aggiustarsi la cravatta. Lo fa, prende gli occhiali. Lituania non ha nemmeno indossato la camicia. È molto lento, nota Lettonia con tristezza. I suoi occhi vagano, sperduti, stanchi, dispersi, non sanno cosa cercare. Non si muovono nemmeno: è la testa a farlo per loro, come se fossero bloccati o incastrati. Estonia, pronto e preparato, nota anche lui gli occhi del fratello. Prende la camicia, la giacca e la cravatta di Lituania.

“Ti aiuto” dice, questa volta, senza rabbia nella voce. Ma lo stomaco brucia e si dimena. Il moro non lo nota, troppo stanco. Chiude le palpebre, esauste, mentre l’occhialuto lo aggiusta. I capelli sono spettinati, la pelle quasi grigia, il fiato lento e pesante. Eppure Estonia non si preoccupa, non vuole vedere nulla, è troppo arrabbiato per farlo. Lettonia osserva tutto, triste.

“Ecco, finito. Su, ora andiamo” dice Estonia, di fretta. Anche questo non viene notato da Lituania. Lettonia scende dalla sedia, elettrizzato e preoccupato. Escono fuori dalla stanza. Estonia sembra avere molta impazienza, quasi corre per il corridoio. Dietro c’è Lettonia, incredulo per la velocità, saltellante dietro al fratello. Lituania si guarda i piedi, li obbliga a muoversi, devono muoversi. Gli gira la testa. Sente il capo leggero e il corpo pesante. Non ha senso questa cosa, eppure riesce ad arrivare alla sala da pranzo.

Ha lo sguardo basso quando Russia li saluta, già seduto a tavola. Non vede niente. Non vede il silenzioso segnale fatto dal generale bianco ai due fratelli affianco a lui. Non vede il loro cenno d’assenso. Non capisce e non vuole capire il perché i due Baltici siano scappati in cucina, lasciandolo lì, tutto solo, obbligandolo a stare a capo tavola, con Russia di fronte a sé.

Russia non sorride oggi, quindi c’è qualcosa che non va. Ma non ci pensa affatto, troppo spaventato da un possibile attacco da parte del mostro. Russia non sembra volerlo attaccare, ma deve sempre tenere alta la concentrazione, per essere più sicuro. Il gigante, seduto, con la testa poggiata sul palmo della mano, lo osserva. È inspiegabilmente autorevole Russia. Pare una statua: non si muove, né lo fa il corpo, né gli occhi. Dopo un po’, sbatte le palpebre. Le labbra si alzano leggermente, ingentilite. Ha gli occhi lucenti, Russia, ma non pare volergli fare del male. Gli occhi violacei si chiudono, come se avessero riflettuto a sufficienza su qualcosa. Il sorriso viene abbracciato dalla sciarpa, la testa del gigante cade in basso. Lì rimane, come se fosse addormentato. Lituania ha la tentazione di alzarsi dalla sedia e di scappare.

Estonia e Lettonia fuggono nella cucina, vogliono concludere il prima possibile. Preparano velocemente delle zuppe, come ha detto Russia. Estonia pensa di tagliare anche del pane, per non dare sospetti, dice lui. Vuole che Lituania non veda, anche se non noterebbe nulla ugualmente. Lettonia sfila dalla tasca le due pillole bianche, più nervoso che eccitato questa volta. Esita molto. Estonia, col coltello che taglia le fette di pane, lo rimprovera con lo sguardo. Con le dita in bilico sopra alla pietanza, tentenna nel gettare dentro i due falsi confetti. Estonia, di fianco a lui, sbuffa.

“Che c’è ora?” chiede, irritato. Lettonia sobbalza, atterrito per il tono di voce aspro. Gli tremano le mani. Estonia sembra molto impaziente, batte le dita sul fianco della divisa, irrequieto. Lettonia è ancora indeciso.

“Che hai?” vorrebbe urlare, ma non può, lo sentirebbero. Eppure, gli brucia la gola, pretende di essere liberata. Il cuore pompa più sangue del dovuto. Gli si stanno ingrossando le vene e le arterie. Se continua così, diventerà rosso in viso. Lettonia nota questo cambio di umore e trema, pauroso. Non vuole che Estonia si arrabbi di nuovo, come sempre.

“N-No, niente. Solo che…” sospira, sentendo lo sguardo di Estonia addosso a lui, infuocato “…mi sento molto male. Mi sembra di fare qualcosa di brutto a Lituania” Estonia si toglie gli occhiali e si massaggia le palpebre chiuse. È il suo modo di convincersi che dare un pugno a Lettonia non darà nulla di buono, anche se le dita chiedono di fargli del male. Vorrebbe dargli così tanti pugni da farlo piangere. Se Russia si sente meglio quando li picchia, allora varrà anche per lui.

“Non gli stiamo facendo nulla di male, anzi, non gli facciamo altro che bene” replica, secco, l’estone. Si rimette gli occhiali sul naso e gli spinge vicino agli occhi “Non vorrai mica tirarti indietro?” chiede minaccioso. Finisce di tagliare le fette di pane e le poggia vicino alle zuppe, sui piatti piani, dove sono appoggiate. Lettonia non sente l’intimidazione e continua a tremare, con le dita in bilico sulla pietanza rossa.

“No, no, certo che no, ma…” deglutisce, il piccolo, sentendo il respiro di rabbia del fratello “Sai, nel mio paese, in questo periodo, si muore di fame…”

“Quindi…?” lo interrompe il ragazzo. La voglia di sentire fra le dita il sangue del fratellino è sempre più grande. La trattiene per poco. Si sfoga graffiando il legno del bancone. Conta le gocce d’acqua che escono dal lavello. Guarda le sue dita lacrimanti di rosso. Ci passa sopra la lingua, istintivamente. Riesce a calmarsi un po’. Il sapore del ferro lo fa sentire meglio. È freddo e pungente e ad Estonia sta bene così.

“Beh, spesso, nel mio paese, è difficile vivere in inverno, soprattutto se non hai molti soldi e nemmeno un tetto sulla testa o un fuocherello con cui riscaldarti. Ecco… Spesso, quando ad una coppia nasce un figlio, e non possono tenerlo per tutte queste cose, danno da mangiare al piccolo un’erbaccia velenosa. Il bambino muore dopo poco tempo e i genitori lo lasciano nella neve, così se ne liberano e possono continuare a sopravvivere. Si, so che non è la stessa cosa, ma mi sembra di dare a Lituania del veleno e quindi…” il cuore di Estonia ritorna ad ingrossarsi e a pompare molto più sangue del normale. Interrompe di nuovo il lettone. Afferra bruscamente le sue dita e le obbliga ad aprirsi. Le pillole cadono dentro la zuppa con un plop. Lettonia sobbalza per la sorpresa. Osserva Estonia mentre mescola freneticamente i due confetti. Li schiaccia col cucchiaio. Lettonia è sorpreso e spaventato da questa reazione. Il ragazzo continua a mescolare e a comprimere con forza ogni cosa che si trova, sfortunata, dentro la zuppa. Diventa velocemente una poltiglia. Ad entrambi disgusta, ma ormai non c’è più niente da fare. L’estone muove con così tanta forza il cucchiaio da far uscire delle grosse gocce del miscuglio rosso.

“Non stiamo facendo niente di male, Lettonia” è arrabbiato, questo Lettonia lo capisce e per questo ha paura “Stiamo facendo una buona cosa. Dopo questa, la finiremo con tutte queste pagliacciate, che durano quasi più di un anno. La finiremo di vedere Lituania così come sta” il cucchiaio si ferma, esce dalla zuppa, viene gettato bruscamente nel lavello. Lettonia sussulta e trema. La posata ha sbattuto pesantemente ed è riuscita a rimbalzare fuori, per terra, producendo dei sibili metallici. Non capisce la rabbia di Estonia e il non comprenderla lo innervosisce e lo fa allarmare.

“Non ho nient’altro da dire” l’estone prende il piatto appena rovinato e lo consegna al piccolo. Lo comprime lentamente contro il petto ansimante, come se volesse affondarlo dentro la carne. Lettonia alza con timidezza e timore gli occhi. Estonia pensa di voler di nuovo il coltello in mano, non sa il perché. Sa solo che gli occhi impauriti del ragazzino li odia. Li schifa.

“Hai capito, Lettonia?” ha una voce cattiva, Estonia. Il lettone trema, gli manca il fiato. Quest’ira repressa e mal celata è orribile e la sente forte. La rabbia di Estonia è diversa da quella di Russia: è bollente, calda e brucia. Bolle facilmente e la avverti all'istante, ti fa male subito, senza troppi giri di parole. Lettonia annuisce freneticamente, ancora tremante. Estonia sembra essersi calmato e lo aiuta a portare le zuppe in sala.

Tutti iniziano a mangiare, Lettonia ha lo stomaco rivolto come un calzino. Perde subito l’appetito. Russia, disinvolto, alza gli occhi su Estonia e chiede, serioso. L’occhialuto annuisce e ritorna a mangiare, anche lui disinvolto. Lettonia non capisce come facciano ad essere così crudeli. O forse è solo lui molto debole. Ma è sempre stato debole, quindi è per forza così.

Lituania porta alle labbra il primo sorso. Lo inghiotte, con gli occhi scavati. Il ragazzino si guarda le maniche rosse della divisa. Non ha il coraggio di guardare la sua zuppa. Lancia degli occhi su Russia, cercando di non farsi notare. Il gigante bianco non mangia: dopo un paio di bocconi si è fermato. Lettonia lo osserva mentre immerge il cucchiaio, ma fa cadere subito il contenuto all’interno del piatto, con una vena malinconica in volto.

Ha gli occhi pensierosi e tristi, Russia. Osserva il brodo nel piatto e pensa che abbia qualcosa di diverso e sgradevole. Non trova nemmeno qualcosa per cui lamentarsi di quella zuppa, ma non riesce ad inghiottirne nemmeno un boccone. Ha lo stomaco chiuso da ieri sera, da quando ha deciso di usare quelle pillole su Lituania. Sono materiale per sperimentazioni, ricorda Russia, sentendo di nuovo le parole del chimico con cui ha parlato la scorsa mattina, non ancora del tutto sicure sul corpo umano. Ma non ha trovato altre soluzioni. Lituania lo preoccupa molto. Potrebbe essere la sua  unica possibilità di riaverlo indietro, di ripararlo. Non gli importa se negli avvertimenti dello scienziato c’era paura e falsa calma. Non gli importa nemmeno se dovesse avere delle allucinazioni, come gli ha detto. Vuole ugualmente provarci.

Russia capisce di essere osservato. Incrocia brevemente i suoi occhi violacei con i cerulei di Lettonia, prima che quest’ultimo li riabbassi, spaventato. Nota che anche il piccolo non riesce a mangiare. Sembra molto preoccupato. Il lettone occhieggia Estonia e non viene ricambiato. Sembra cercare un po’ di contatto, un sostegno. Russia si stupisce nel vedere lo sguardo quasi supplichevole di Lettonia, che cerca angosciosamente un cenno, un qualche occhio interessato da parte del fratello. Estonia, finalmente, alza lo sguardo, irritato. Russia non ricorda di averlo mai visto così arrabbiato, per questo strabuzza gli occhi violacei, interessato.

L’estone continua a fissare male il piccolo Lettonia, così tanto che il ragazzino è costretto ad abbassare di nuovo la testa, deluso ed insicuro. Russia non ricorda di aver visto una cosa del genere dai due Baltici, troppo concentrato su Lituania. Forse devono aver litigato, si domanda per cosa. Per quei pochi minuti, Russia se lo chiede. Si chiede perché Lettonia sia preoccupato e tremante. Si chiede anche perché ultimamente Estonia sia sempre così scontroso ed irascibile. Gli occhi irritati dell’estone erano prepotenti e duri. Questo, allo stesso tempo, atterrisce ed interessa Russia.

Un sospiro, dall’altra parte della tavola, lo desta dai suoi pensieri. Lituania, ricorda, sospira spesso nel sonno. Alza la testa, nota le mani, non più tremanti ma pigre, lasciare lentamente il cucchiaio. Osserva con attenzione i suoi occhi: non li sforza più di aprirsi, ora si chiudono e cedono al sonno. Anche la schiena si adagia sulla sedia e la testa cade piano su una spalla. Un altro sospiro da parte del ragazzo. Anche i due Baltici hanno notato questo fenomeno e attendono ordini dal russo. Russia si alza con cautela e si avvicina con calma al ragazzo. È di fianco a lui, il respiro è regolare.

“Lituania, sei sveglio?” dolcemente scuote la sua spalla. Il moro non si muove, il respiro ancor più regolare. Un altro sospiro, il corpo si alza e ritorna sulla sedia, calmo. I due Baltici ricevono un segno di assenso: Lituania dorme. Entrambi tirano un sospiro di sollievo. E’ finita, pensano entrambi. Russia fa lo stesso, ma non lo dimostra. Semplicemente abbassa le palpebre e tira un grande respiro silenzioso.

“Ora portiamolo nella vostra stanza. Deve riposare, lo farà per ore” Estonia si aggiusta gli occhiali e fa dei passi avanti, pronto a prendere in braccio il lituano. Viene fermato da una mano di Russia. Il gigante gli sorride, in modo diverso da come ha sempre fatto. Poggia una mano sotto la schiena del ragazzo e un’altra sotto le ginocchia. Lo alza dalla sedia, lo stringe dolcemente. Ad Estonia si congela il cuore, a Lettonia i polmoni. Si scongelano subito con un cenno da parte del russo: devono seguirlo. Lo fanno, s’incamminano nel corridoio, con una pacifica lentezza.

Lituania, addormentato, muove leggermente la testa verso il petto di Russia, come nel cercare del calore. Russia comprende e sorride tristemente: non può trovare nulla di caldo da lui. Lettonia è dietro Russia, nascosto dentro la sua ombra, lo osserva stringere al petto Lituania. Lo trova strano. Russia è sempre arrabbiato e crudele con suo fratello, non vede perché dovrebbe fare una cosa del genere. Forse perché il lituano sta male, forse è per questo. Lettonia spera di no, spera che non sia solo per questo. Questa insicurezza gli fa male, ma è un male speciale, che non lo danneggia, per questo è sereno, il ragazzino.

I passi morbidi di Russia carezzano il pavimento, come se non volesse svegliare anche quest’ultimo. Lettonia vede il braccio ciondolante di Lituania, che tenta inutilmente di toccare il pavimento. Il lettone si guarda le mani, fasciate troppo nella divisa rossa. Sono rosse e paffute in confronto a quelle del fratello. Deve aver freddo, pensa Lettonia. Si sfrega d’istinto le mani. Lancia un occhio su Russia, senza alcun tremore. Pare rilassato, nota Lettonia. Non vede alcun ostacolo, quindi osa: afferra tra le sue dita la mano di Lituania.

È vero: è fredda e ossuta. Ma la stringe forte, gli trasmette tutto il calore che ha. Poggia la mano ghiacciata sulla sua guancia e la fa strusciare sulla sua pelle. Con la coda dell’occhio nota delle unghie mancanti. Dove non ci sono, la carne è rosata e graffiata. Non ci pensa, non vuole pensare a cose brutte. Semplicemente vuole che Lituania non abbia più freddo. Russia vede questo senza essere notato, sorride sotto la sciarpa, intenerito. Lettonia sente un sospiro sereno da parte del moro. Sembra felice. Si rende conto di amare a fare del bene a Lituania.

Lettonia lascia penzolare la mano e sobbalza per il dolore e la sorpresa quando Estonia lo colpisce, con le nocche, alla tempia. Il ragazzino, incredulo, si passa le dita sul punto dolente, chiedendo con lo sguardo spiegazioni. Trema nel vedere l’espressione del fratello. Abbassa subito gli occhi, Estonia è arrabbiato. Sente la sua mano afferrargli i riccioli, come se volesse strapparglieli. Lettonia trattiene i gemiti di dolore e ingoia della saliva senza sapore. Perché stia facendo questo Estonia, non lo sa, ma spera che finisca presto, come tutte le volte. Ma l’occhialuto non vuole mollare la presa e continua a fargli male. Sente delle ciocche strapparsi, dei riccioli ribellarsi ed urlare di dolore. Lettonia ingoia tutto, non vuole svegliare Lituania. Non vuole fare o dire ancora delle cose stupide.

Russia continua a camminare, dalle finestre, dal loro riflesso, vede ciò che sta succedendo. Si continua a chiedere perché i due fratelli abbiano e stiano litigato. Si chiede da quanto tempo Estonia faccia del male a Lettonia. Credeva che fosse un ragazzo pacifico, gli estoni sono un popolo mite, ne è certo. Estonia non dovrebbe essere così prepotente coi suoi fratelli. Osserva interessato e perplesso gli occhi di Estonia. Bruciano di fiamme e rabbia, dimentiche di essere blu. Si chiede dove e come sia esplosa tutta quest’ira.

Arrivano di fronte alla porta della loro stanza. Lettonia, libero dalla presa dell’estone, la apre. Entrato il russo, Lettonia si massaggia la testa, sentendo delle ciocche cedere alla radice dei capelli. Estonia è nervoso, si morde le nocche delle mani, un tentativo di togliere l’ansia e la rabbia. Respira aria salata, Estonia. I suoi polmoni protestano, non vogliono stare lì. Delle bolle di rabbia e tensione scoppiano sotto la sua pelle. Ad un certo punto muore dal caldo. Vorrebbe immergersi nella neve, fuori, al freddo. Vorrebbe picchiare qualcosa, tanto è nervoso.

Russia viene aiutato da Lettonia, che sposta le lenzuola del letto. Il russo apprezza l’aiuto, nonostante la sgridata silenziosa del fratello, che intanto si è accucciato sulla sedia vicino alla scrivania, preso dall’ansia. Lettonia anticipa Russia: sfila gli stivali a Lituania. Il gigante bianco sbottona la giacca e la camicia, anche la cravatta va via. Estonia sospira, con la gola che pizzica, tutto quel lavoro per aggiustare il moro è stato buttato all’aria.

La cintura e i pantaloni volano sulla scrivania. Lettonia corre goffamente verso il loro cassettone e afferra il pigiama blu di Lituania, appena lavato e stirato. Russia, dentro di sé, è fiero del ragazzino. Gli dispiace per Estonia. Il lettone lo aiuta anche a far indossare il pigiama al fratello. Ha le gambe troppo sottili, nota il ragazzino, dispiaciuto. Finito tutto, Russia immerge nelle coperte Lituania, fino al collo. Ha la tentazione di passargli una mano sulla testa, ma non è il momento.

“Per ora lasciamolo riposare. Deve recuperare quasi una settimana di sonno” entrambi i fratelli trattengono il fiato. Non pensavano che fosse passato tanto tempo. Russia osserva il lituano, dormiente e pacifico, com’è giusto che sia “Ora possiamo andare, deve dormire molto” quel giorno, Russia non riesce a sorride. Per niente. Non prova nemmeno a farlo. Gli riesce sempre così naturale che ora ha dimenticato di non avere una maschera a coprirgli le emozioni. Per i due Baltici, Russia è molto più uomo di quel che hanno sempre visto. Russia inizia a fare dei passi verso la porta, ma non viene seguito da nessuno.

“Mi avete senti-?” si blocca subito. Lettonia è pallido, gli occhi piccoli, tremanti e la bocca tentennante. Estonia si sporge, gli si blocca il cuore. Russia non ha bisogno di alzare la testa per vederlo.

Lituania ha gli occhi spalancati, le iridi piccole, di un blu screziato. Li osserva sgomentato e con una vena spaccata per il tradimento.

 

 

 

 

 

Sole spezzato. Mille pezzetti di sole tranciati dai rami. Alberi forti, vento leggero. Carezza la pelle, al piccolo lituano. Che tanto piccolo non è: è la sua fantasia a farlo così innocente. Di innocenza non ha più nulla, troppo spezzato dalla tristezza e dalla perdita.

Lituania è una pantera. Una tigre. Un leone. E forse anche un cervo. Ne immagina tante, Lituania. Troppo preso dal suo gioco. È bello essere bambini. La vita ti sorride, anche per una Nazione. Sei così piccolo ed insignificante che nessuno ti guarda, fingono che tu non esista sulla cartina. Ti guardano, eppure non ti vedono. Le altre Nazioni sono sempre affamate di territori grandi e possenti, non di lui, un piccolo regno sperduto, toccato solo dal mar Baltico.

Da cervo, ora è un lupo. Si appiattisce, cerca la sua preda. L’annusa, la trova tra i rami spezzati e caduti. Il lupo fiuta della carne, una nuova preda da cacciare. È preso dal gioco, il lituano. Ma forse è davvero un lupo e non se né accorto. Non è vero, ma vorrebbe che sia così.

Tra i cespugli, gattona verso la sua preda. Non sente il pericolo, la sua futura vittima. È calma e docile, seduta lì, di fronte a sé. Il lituano continua ad avvicinarsi. Il lupo desidera la carne bianca di quel cerbiatto.

Dev’essere deliziosa e saporita, deve sapere di buono. Si lecca il labbro, già ingordo solo a guardarlo. È il momento dell’assalto.

Si alza in piedi, il cacciatore. Il vento cessa e cala, avvertito il pericolo, ma solamente lui. Le fronde degli alberi cessano di fischiare. La terra è un po’ più compatta, ma comunque morbida. Il lupo è molto vicino, deve attaccare o il cerbiatto scapperà via. Fa uno scatto veloce. Guaisce felice, il lupacchiotto. Si scaraventa sulla sua preda. Riesce a prenderla, la fa cadere di fianco. La stende di pancia, potrebbe ribellarsi e scappare via.

Il cerbiatto non si muove, non sembra voler fuggire. Il lupo è felice: ha vinto, ha tanta carne bianca con cui sfamarsi. Ulula felice, guaisce soddisfatto. La pelle del cerbiatto è bianca come una perla, mai toccata né sfregiata. Il lupacchiotto l’addenta per la guancia. Non usa denti, né ne strappa un po’. Aderisce le labbra sulla pelle e le lascia un bacio. Il giovane lituano è soddisfatto: la pelle è deliziosa così com’è, non c’è bisogno di provarlo. Sa di fiori e di mirtilli, sa di buono e di vivo. È felice di questo.

Il giovane lituano lascia la presa sul cerbiatto, non può essere così rude con una creatura talmente tanto pura. Ma comunque non vuole che scappi. Fa stendere il suo petto su quello bianco. Fa strisciare i capelli scuri sul torace dell’altro. Sospira di felicità: sente un forte battito lì, incastrato sotto la carne. È ancora più felice. Vuole dare elogio a questa scoperta. Le labbra sfiorano e si fermano in più punti in quella pelle luminosa e perfetta.

Quasi teme di offendere il cerbiatto con questi gesti. Saranno di sicuro troppo passionali, per un essere sporco come lui verso una creatura perfetta come questa. Eppure vuole osare. Ha bramato tanto di sfiorare la sua carne e di sentire i battiti del suo cuore. Tanto gli era mancato il piccolo cerbiatto. Vorrebbe che non abbia timore di lui. Vorrebbe che il cuore di questa piccola creatura non si infranga sotto i suoi baci. Vorrebbe che i suoi occhi furbi non siano impregnati di lacrime.

Si ferma il lupo, la carne del cerbiatto è troppo saporita per lui. Ne ha assaggiata troppa, ora sente la pancia piena. Eppure, forse non è ancora del tutto sazio. Si getta più in là di quanto dovrebbe. Lui, essere vergognoso e impuro, tocca con le fauci la gola della piccola creatura. La assaggia tutta, sale verso il viso perlaceo. Continua ad osare. Tocca con le labbra la sua guancia, fino alla fronte e ai capelli d’oro. Ora è completamente sazio.

“Liet…” sussurra la creatura. Meraviglia, ha detto il suo nome! Questo riempie il cuore del lupo, spaccato troppe volte “…ora basta…” smette di saziarsi. Sta ancora assaggiando la sua pelle. Osa troppo, è vero, ma è molto affamato. È rimasto a digiuno per troppo tempo, senza vedere il piccolo cerbiatto. Non riesce a smettere di sfiorare la sua pelle con le labbra. È goloso del suo sapore.

“No, ora tu resti qui: staremo insieme per sempre!” ulula giocondo, il piccolo lupo. Vuole che il cerbiatto resti per sempre lì con lui. Vorrebbe giocarci, assaggiare ancora la sua pelle, stringerlo forte. L’ingordigia è un male, ma questo non è che poco: ha dovuto digiunare per mesi, senza nemmeno sapere che fine abbia fatto la carcassa della povera creatura. È stata trinciata da una bestia, quella bestia spera di non rivederla mai più. Il piccolo ha gli occhi pieni di luce, pieni di dolore.

“Liet, ora basta. Devo andare via…” scongiura il cerbiatto. Il lupo non vuole che fugga, ora è suo, non può andare da nessuna parte. Quella bestia non può più tormentarli. Ora sono liberi. Il piccolo lituano vuole solo questo. Stringe Polonia, fa alzare il suo busto insieme a quello dell’amico. Affonda il naso nei capelli di seta. Profumano di dolce, di fiori, di pizzo, di mirtilli, di un letto caldo e di un forte abbraccio. Tutte queste cose non le vuole lasciare.

“No, tu ora resti qui con me. Così saremo felici e nessuno ci darà fastidio!” continua a vaneggiare Lituania, troppo ammaliato dal profumo e dal cuore gonfio di felicità per vedere le lacrime di Polska. Polonia non voleva ingannarlo, non voleva mentirgli: lui non può restare lì. Liet lo pretende troppo. Così non potrà mai andarsene.

“Non posso, Liet…” il lituano è cocciuto come un vero lupo. Affonda ancora una volta le labbra, ora sulla spalla scoperta e infreddolita. Spera che il suo calore possa passare anche dentro la carne di Polska. Il vento ritorna a fischiare, come un ambasciatore che avverte i soldati dell’arrivo dei nemici. Le foglie, cavalieri del vento, si buttano di sotto, giostrando tra i rami. Cavaliere è anche Lituania che non vuole lasciare il suo principe, il povero Polonia morto e dimenticato da chiunque se non che dal proprio soldato.

“No, tu resterai qui con me. Finalmente saremo insieme! Resta qui, sii felice qui con me!” qualcosa si rompe dentro Polonia. Le lacrime ritornano indietro, ma ancora pronte a cadere giù. Piange troppo e se ne vergogna.

“Liet, devi lasciarmi andare!” urla, sulla pelle rosata del cavaliere. Il lituano sente la pelle bianca mutare. Avverte dell’umido sotto i suoi polpastrelli. Gettando l’occhio, non vede altro che rosso. La pelle lattea dell’amico è sporca di sangue. Si stacca Lituania, spaventato ed infelice. Il piccolo cerbiatto è stato di nuovo ferito. Il rosso sgorga e macchia le foglie sotto di loro. Il verde diventa vermiglio. Scorre sangue dal petto del principe. I capelli sono rame gocciolante. Si sono formati altri solchi, non solo al centro del petto, anche in altre parti del busto. Lacrimano fiumi scarlatti, da quelli aperti. Lituania ritorna col panico galoppante nel cuore. Ora il cuore ha smesso di ingrossarsi: è sgonfio per lo sconforto, la tristezza, la paura e l’incredulità. Ciò perché Polonia non può restare con lui. I suoi capelli si aggrappano alla pelle, umidi, gli occhi paludosi, ancora lucenti.

“Liet, lasciami andare!” troppe volte rimbomba questa voce nella mente del lituano. La terra trema e così anche il suo cuore. Lo sconforto gli strazia l’anima. Il cuore vorrebbe smettere di battere ancora, spezzato troppe volte.

 

 

 

 

 

Spalanca le palpebre, lucide e piccole.

Volta le iridi in ogni dove. Non ricorda di essere stato lì. Prima c’era della luce, ora c’è buio. Gli piace il buio, ma non questo buio. È un buio freddo di stasi. Aspetta un cedimento dal ragazzo, il buio. Questa oscurità non è docile. Vuole afferrarlo e spezzarlo, come un ramoscello sotto il piede di un ragazzino. Il petto di Lituania è la manopola incastrata di un treno in corsa. Anche le coperte lo soffocano.

Nel buio ci sono delle figure. Saranno dei mostri. Non vede i loro occhi, ma sa che lo stanno guardando. Sente i loro sguardi sul suo. Sono troppi per lui. Si sente schiacciare e comprimere per il silenzio, il buio e quest’atmosfera di attesa. Lo terrorizza il mostro più lontano, quello vicino alla porta di luce. È gigantesco, ingombra questa cella. Vede i suoi occhi, soltanto i suoi. Sono di un profondo ametista. Il viola è il colore della sfortuna e del male. Si sente in trappola.

“Lituania, stai calmo…” queste parole fanno l’effetto contrario. Il treno impazzito che è il suo sangue continua a fluire in una corsa spaventata. Si butta nel cuore, lo fa rimbalzare nel petto, lo lascia, per poi fuggire via. Ripete questo circolo tante, tante volte. Ha poca aria nei polmoni. E, quel che è peggio, i due mostri più piccoli si stanno avvicinando lentamente a lui. La stanza la sente chiudersi su sé stessa. Dal nero diventa rossa. Gocciolano i mobili, come sciolti da un improvviso calore. Anche il cuore di Lituania si sta sciogliendo e gocciolando. Vuole uscire di lì, al freddo.

Le due creature si sono avvicinate troppo. Lituania cade dal letto, ha un brivido di ansia ed elettricità che si è espanso nel suo cuore. La scossa la ricevono anche le sue gambe, libere dalla coperta soffocante. Le braccia, tremanti dalla paura e dalla voglia di fuggire, spingono il mostriciattolo più piccolo. Era troppo vicino. Il piccolo cade per terra, sbatte contro il muro. Lituania se ne approfitta, lo scavalca e cerca il freddo della porta di luce.

Gli si strozza un grido di terrore: il secondo mostro, grande quanto lui stesso, si è gettato sulle spalle e ha avvolto le braccia nere e pesanti al suo collo. Lituania sente di sprofondare, di cadere, di farsi troppo male. Eppure questo non lo frena. Si agita, disperato, ma il mostro non lo lascia andare. È insolitamente forte. Il ragazzo sente la sua viscosità, penetra nei suoi vestiti, s’immerge nella sua carne. Il sangue è disperato, cerca di sputare via questo viscidume, ma non se ne va. Lituania ha paura, non sente più il suo respiro.

Fa uno scatto veloce ed inaspettato all’indietro. La sua schiena, coperta dal mostro, sbatte pesantemente contro il muro. Sente un gemito di dolore nelle sue orecchie, ma non lo lascia ancora. Sbatte ancora all’indietro. Questa volta ha fatto un gran tonfo dietro di lui. La creatura alle sue spalle lascia la presa. Non c’è più viscidume, il cuore e il sangue combattono per cacciarlo via e ci riescono. Sono liberi, ma ancora terrorizzati.

Alza lo sguardo e le iridi piccole: la porta di luce è di fronte a lui. Si getta su di essa, veloce. La sua testa viene inondata dal bianco e dal giallo. Il calore scompare dal viso e dalle orecchie. Anche il collo è fresco e gioisce della libertà. Viene strattonato all’indietro. Un affondo di coltello nel cuore. Ritorna il caldo, ritorna nella stanza rovente. Per un attimo ritorna la stasi. Viene interrotta da una mano pesante: il mostro più grande lo fissa, occhi piccoli, terrorizzato quanto lui stesso. Trema convulsamente. L’ha afferrato per la collottola. Non vuole lasciarlo andare. Liet, devi lasciarmi andare!

Polska… Lituania vuole Polska! Lui potrà aiutarlo!

Vuole cercarlo e trovarlo, lui lo libererà, lui lo farà fuggire! Ma dov’è, Polska? Dov’è?

Si agita. Le palpebre scompaiono del tutto: i due mostri che ha sconfitto sono tornati in piedi e si stanno avvicinando a lui. Un altro urlo strozzato scappa dalla sua gola. La bocca non ha nemmeno tentato di trattenerlo. Scatta in avanti. Anche le gambe pretendono di scappare. Il cuore grida nelle sue orecchie. Chiede di fuggire. Lui vorrebbe, ma è bloccato. Il cuore graffia la carne del petto, come per struggerla per scappare, lasciando quel corpo inutile e fastidioso. Il mostro gigantesco lo trattiene ancora per la collottola con facilità, tanto da farlo disperare.

I mostri sono vicini a lui. Il secondo più grande gattona, dolorante. Il più piccolo si avvicina con cautela. Sembrano tremanti anch’elli. Lituania pensa solo a sé, ha troppo caldo e troppa paura. Scalcia ancora sul terreno, si spinge ancora più in là, sotto la luce. Ma non gli basta, vuole scappare. Vuole farlo. Una mano, d’istinto, si getta sui bottoni della camicia. Ne strappa di scatto tre, i restanti vengono sradicati dalla sua folle corsa. Le gambe saltellano sul terreno, incerte. Ma ora sono forti e scattano lontane, corrono insieme al cuore, gemelle e fedeli. Il freddo lo avvolge, questo in qualche modo lo rassicura un po’.

Lituania!” strappata quella piccola goccia di vita, distrutta completamente: i due mostri, cechi per la luce forte, lo stanno inseguendo. Lo stomaco s’irrigidisce, bolle all’interno del liquido nauseante. Ritorna dentro la gola, ma il moro lo ricaccia all’indietro. Lituania non vuole farsi prendere. Ha troppa paura. Cosa vogliono da lui? Perché vogliono fargli del male? Ma sono molto lenti, troppo per lui. Il più piccolo è inciampato. C’è solo il secondo mostro dietro di lui. Urla qualcosa, forse di fermarsi, forse di non correre. Lituania non riesce e non vuole ascoltarlo. Il mostro è, in qualche modo, diventato più veloce. Vede i suoi occhi azzurri arrabbiati ed affaticati. Lituania scongiura il cuore di fare più veloce. Questo, caldaia delle sue gambe, accetta e batte più forte.

Ma il mostro è ancora dietro di lui. Allunga un braccio, supplica di fermarsi. Lituania non lo ascolta. Vede la libertà: una finestra è aperta, un passaggio per andare via. Il ragazzo e il mostro pensano la stessa cosa. Dietro di lui sente un urlo di panico, non gli bada. Il moro scavalca la finestra e si getta. La creatura dietro di lui si blocca. Estonia vede suo fratello cadere di sotto, nel giardino rovinato di neve di Russia. Il lituano si rialza subito e continua la fuga. Estonia, ripreso dalla sorpresa, sentendosi fortunato perché si trovavano al primo piano, fa la strada più lunga, circonda la casa ed esce fuori. Anche Lettonia lo ha seguito, col cuore nella gola e il freddo nei vestiti. Russia è sparito.

Lituania esce fuori, sgattaiola attraverso il cancello e fugge. Non sa dove andare. Deve trovare Polska. Lui saprà cosa fare, saprà come liberarlo di nuovo. Il cuore ora è in tormento. I battiti accelerano dentro di sé, fanno un eco potente e distruttivo che si percuote per tutto il corpo. Nel cervello c’è solo quel battito, offuscato anche dalla paura. Le gambe, salve da quel suono di angoscia, continuano a correre tra gli alberi, sulla neve.

Ha nevicato molto quella notte, come se fosse gennaio. Ma è normale: in Russia il freddo, l’inverno, giunge in anticipo. I piedi, scalzi, sono violacei e blu. La neve ha aghi d’argento. Penetrano nella carne, nelle braccia esposte, sul collo e pungono il viso. Il cuore trova sollievo grazie a questo tempo rigido. Ma il cervello protesta: fa troppo freddo, i piedi sono ghiacciati e le lacrime solidificate nelle iridi. Questo non basta per fermare Lituania. Il fiato è corto, sta correndo troppo, ma lo ignora. Anche questo non è sufficiente.

Polska!” urla, grida, voce gracchiante, del povero, piccolo lituano “Polska! Polska!!!” urla, si lamenta la gola, rossa e scavata dagli aghi del freddo. Nel sentiero di neve si forma anche del ghiaccio. I piedi di Lituania sono troppo freddi per avvertirlo, per fermarlo o per convincerlo a non scivolare giù. Cade, bruciano il fianco e il braccio. Non deve fermarsi, se si ferma lo prenderanno e gli faranno del male. Per questo si rialza, nonostante il dolore, gli aghi di ghiaccio e la neve che inizia a cadere giù dal cielo.

I fiocchi danzano e si urtano, complice il vento cattivo e severo dell’inverno. Sono stanchi di scontrarsi, i fiocchi di neve. Vogliono abbracciare, vogliono trovare un posto dove stendersi. Sono stanchi del loro lungo viaggio. Il cielo è stato molto cattivo con loro, li ha obbligati a scendere giù e ad andare, di corsa, a posarsi sulla terra rossa di Russia. Quel viaggio lo fanno da anni, eppure non possono fare a meno di pensare che abbiano iniziato a scendere troppo in fretta. È pur sempre autunno, non ancora inverno. Neppure il Grande Generale è arrivato prima di loro, per far visita a suo figlio, nella sua terra. Quel viaggio è troppo faticoso, devono riposarsi.

Continuano la loro ascesa verso la terra rossa e nera. Appena veduta questa, iniziano a riflettere su dove posarsi. La stanchezza inizia a farsi sentire ed urtarsi fra loro è davvero doloroso. Eppure il vento birbante continua a spingerli, cattivo e briccone. Non è mai stato un buon amico, per i fiocchi di neve.

Alcuni decidono di fermarsi sui tetti delle case. Alcuni, più nostalgici, si lasciano cadere sui rami degli alberi più alti insieme ai loro fratelli: troppa nostalgia dell’aria e delle nuvole. Alcuni, più curiosi, balzano sulle finestre delle case, osservano gli umani, troppo interessati da quello strano mondo assolutamente diverso dal loro. Alcuni, più vivaci, decidono di tentare la sorte e di cadere sopra le spalle, i cappelli o i visi rossi delle persone. Sono troppo caldi gli umani, ma vogliono comunque stuzzicarli col loro freddo. Sono troppo buffi, gli umani. Non fanno altro che appallottolarsi nei vestiti ed odiare il freddo. Quanto sono strani gli uomini: odiano ciò per cui la loro terra è tanto famosa!

Gran parte dei fiocchi sono solo stanchi e vorrebbero riposare, senza badare al luogo in cui si posano. Alcuni piccini notano qualcosa di strano. Avvertono i fiocchi più grandi per indicare l’anormalità. C’è un ragazzo (che bizzarro: senza cappotto e senza maglia! Senza nemmeno le scarpe!) che corre nella foresta. Pare terrorizzato dalle sue spalle. I fiocchi guardano, interessati, ciò che possa rincorrerlo. Non vedono nulla, eppure il ragazzo continua ad avanzare rapidamente, come se avesse uno spirito (o magari un mostro) pronto a divorarlo. Il ragazzo, notano, non sembra avere alcuna direzione. È solo un pazzo che corre nel nulla, in mezzo alla neve e al ghiaccio. I fiocchi più grandi avvertono i più piccoli di ignorarlo: non serve a niente. Ma loro, sempre più curiosi, continuano a scendere, fino a raggiungere il ragazzo dai capelli scuri.

Non pare essere d’origine di quelle terre. Sembra infreddolito, con la carne esposta, blu e viola. Sembra chiamare qualcuno, ma i fiocchi non comprendono la lingua degli umani, quindi non capiscono. Sono sempre più curiosi, i piccini. Molti di loro sono già sdraiati sui capelli scuri e sulle spalle scoperte. È freddo il ragazzo, avvertono loro, potete scendere! E non se lo fanno ripetere due volte. Si gettano tutti sui capelli mori, compongono delle scie di luce su un cielo nero. Non riescono a vederlo bene i ritardatari, ma il ragazzo ha trovato una casetta rovinata, in mezzo alla foresta, e ci si è buttato dentro. I fiocchi, curiosi, osservano ciò che sta per accadere.

Lituania trema, non solo per la paura. I piedi sono ghiacciati, come le spalle. Quella casa è ancora fredda, non è cambiato nulla. Non c’è niente con cui ripararsi dal freddo. La cucina è ancora invasa di rosso, ora congelato e solido. Il silenzio è assillante, ma non lo avverte: il cervello chiede del calore, ma non lo riceve. Il cuore smette di battere troppo, stanco e provato.

“Polska!” urla il ragazzo. Dove sarà il ragazzo dai capelli di grano? Dove sono i suoi occhi di smeraldo? Delle nuvole di aria fredda escono dalla sua bocca. Il petto, anche se calmo, continua a respirare affannosamente. Gli occhi sbarrati, troppo sonno, troppa paura. Polska deve essere qui.

La paura, velocemente, smette di pressare sul cuore del lituano. Supera la cucina, non ricorda e non vuole ricordare Russia. La casetta è minuta, ci sono solo due stanze. Russia e le sue sorelle non avevano nulla, quello era ciò per cui avevano combattuto per sopravvivere. Quella casetta, ora, è solo un ammasso di legna, sperduto nella foresta di fianco a Mosca. La stanza in cui entra Lituania è piccola, polverosa, disordinata, povera. Non ha niente, questa stanza. Avrebbe dovuto essere una stanza da letto, ma non ci sono neppure dei letti. I materassi sono gettati per terra. Le coperte, sporche e gialle per gli anni, tirate ed ammassate. Alcune sono rattoppate o ricucite. Dei topi, già fuori dalle loro tane per mangiare, di fronte alla porta sbattuta, scappano dentro le fenditure del pavimento e dei muri, terrorizzati dal ragazzo che, fino a pochi giorni prima, avrebbero voluto assaggiarne le carni.

“Liet…” respira ed inspira felice, il moro. Corre verso il capo del letto. Polonia è tornato lì velocemente, con più fretta di Liet. E’ abbattuto, ha lo sguardo basso, i capelli gli coprono gli occhi. Ha usato molte piume questa volta, ne ha usate troppe. Ora non ha quasi nulla con cui comunicare con Liet. Non capisce perché il suo amico non riesca a comprendere. Vorrebbe che lo dimenticasse. Lituania non legge nulla di tutto ciò. Si getta sulle ginocchia, di fronte al suo principe. Sorride raggiante, Polska non lo ricambia.

“…tornerai qui da me?” Polonia deglutisce, non ha il coraggio di guardare in faccia il moro. Per questo tiene lo sguardo basso, colpevole, come un cagnolino appena bastonato. Si graffia le dita, l’una con l’altra. Si chiede perché tutto sia così difficile. Dalle travi sconnesse del pavimento vede degli occhietti vispi di ratti, grossi quanto dei gatti. Non che abbiano da lamentarsi per il cibo. Tanto c’è lui a sfamarli… Questo pensiero lo rende ancora più triste. Russia è stato molto crudele con lui, anche da morto. Scuote la testa, il piccolo Polonia. Gli si è bloccata la gola. Ha rabbia per ciò, odia essere così debole. Odia Liet che lo guarda con così tante aspettative.

“Non posso, Liet. Cerca di capire…” continua a guardarsi le mani. Nonostante i suoi sforzi nello sfregare, non esce nemmeno una goccia di sangue. I capelli sono un ottimo scudo per tenere lontano gli occhi intristiti di Liet. Ma nemmeno questo funziona. Le mani scheggiate del lituano, crepate le unghie e distrutte dalle percosse, desiderano congiungersi con le sue. Polonia vede i tagli ancora aperti e pensa che Russia non sia stato crudele solo con lui. Lituania nota lo sguardo scoraggiato del biondo, inclina gentilmente la testa per guardarlo meglio. I suoi occhi scavati sfiorano i verdi di Polska. Immediatamente gli serra, il polacco. Getta lo sguardo lontano dal suo. La mente di Lituania inizia a scongelarsi e a muoversi.

“Perché…?” chiede, come se fosse una supplica. Entrambi sanno che non lo è, la stanchezza ha mutato la voce del moro. È solo semplicemente curioso e turbato dalla tristezza dell’amico. Si chiede perché Polska sia così triste. Non gli piace Polska quando è triste. Vorrebbe rimediare in qualche modo. Forse, dopo che tornerà da lui, potrebbe giocare un po’ e poi…

“Guarda là sotto” interrompe bruscamente i suoi pensieri Polonia, ancora con gli occhi serrati. Dopo un po’ gli riapre, sia corrucciati che depressi. Lituania, un po’ stordito per queste parole aspre, guardia dietro l’amico. Vede di nuovo il cumulo di coperte sporche e polverose. Polonia continua a tacere, Lituania inizia a preoccuparsi. Si rialza, scattante e curioso, troppo provato dalla stanchezza per ragionare correttamente, per rendersi conto della puzza che c’è in quella stanza. Afferra i lembi delle coperte più basse e le strattona velocemente, sempre più incuriosito, molto più dei tanti fiocchi di neve che ha in testa.

Ci sono una decina di grossi topi, scuri e sporchi, che banchettano sopra della carne rossa e ancora esposta. C’è solo rosso in mezzo a quel pantano. Alcuni ratti, spaventati dall’essere stati scoperti, fuggono via, imitando i compagni sotto le travi del pavimento. Alcuni si accorgono troppo tardi di essere visti e, imbarazzati, sgattaiolano via, come se realmente si siano vergognati di trovarsi il muso sporco di rosso. Ne rimangono solo un paio, del tutto indifferenti della presenza di Lituania. Il moro osserva quella pozza rossa e non capisce cosa sia, pensa solo che quei due ratti lo disgustano.

Indietreggiando goffamente, riafferra una coperta, più piccola e simile ad un asciugamano. Guarda i due topi grassi e pelosi continuare a strappare pezzetti di carne, affamati. Con la copertina stretta su sé stessa, frusta uno dei due che, terrorizzato, scappa via, verso un buco sotto la parete. Il secondo, nonostante gli sforzi del lituano, non si decide ad andar via.

Solo ora Lituania si accorge del tanfo di ferro lì dentro. È molto più forte del suo, nella cucina. Il ragazzo, ancora scosso per la vista della carne, abbassa la copertina che ha in mano. Ha un brivido di terrore, fa un grosso balzo all’indietro. Trema anche il suo cuore: si è reso conto di aver toccato delle dita ghiacciate e fredde. Si sfrega velocemente le mani, cercando di eliminare la sensazione di panico sulle falangi. Polska, nota, si è accartocciato su sé stesso, come un pezzo di carta. Le ginocchia schiacciate sulla fronte, la divisa verde spiegazzata, la mantella serve da coperta per ripararsi dal dolore, i capelli scompigliati. Il polacco sembra molto provato ora.

Lituania si riavvicina di nuovo al cumulo di carne. Ha una consapevolezza crudele e meschina che viaggia sulla sua colonna vertebrale. Ha ancora i piedi scalzi e freddi, trema anche per questo. Il ratto continua a mangiare, ignora il ragazzo. Non gli importa, ha solo fame. Lituania si riavvicina alla mano che ha toccato. Ne sfiora i polpastrelli magri e grigi. Vede dei tagli e dei morsi su alcune falangi. Nemmeno i topi hanno avuto pietà di Polonia.

Inizia a singhiozzare, incrocia le sue dita con quelle ghiacciate del cadavere. Non vuole guardare il volto di Polonia, carcassa rossa. E’ coperto già con un altro panno. Gli basta solo contemplare la sua gola e il pomo d’Adamo che fuoriesce da esso, come una pallina incastrata in un muro. Gli basta notare i capelli dorati, crespi e sporchi, che fuoriescono da sotto la copertina. Continua a piangere, Lituania. Ha un brivido di rabbia nel cuore. Il suo stomaco è freddo, non si accartoccia né si rivolta. Sente solo che, qualsiasi cosa gli abbiano dato Russia e i suoi traditori, stia facendo effetto. Forse è per questo che non riesce a comprendere bene la realtà che lo circonda, forse è per questo che le sue emozioni sono bloccate.

Una gettata di rabbia elimina questo effetto malato. Riguarda il topo, incurante di lui, non ancora abbastanza sazio di quella carne saporita. Quel ratto non ha idea di cosa stia facendo. Lituania lascia velocemente le dita morte di Polonia e afferra, iracondo, il topo. Questo, oltraggiato, si dimena e prova a mordere il ragazzo. Il moro è abbastanza veloce. Lo scaraventa sulla finestra, la quale produce un tonfo, indignata per essere stata toccata da quell’essere disgustoso. Il ratto si rimette sulle zampette sporche di rosso. Ancora più sdegnato, gli sibila contro, mostrando i denti. Se ne va, lasciando impronte scarlatte dietro di sé.

Lituania sente di star per scoppiare. La rabbia viene sostituita dall’angoscia. Deve convincere i polmoni a cercare aria, ghiacciata e troppo fredda per loro. Ora, finalmente, sente veramente quanto faccia freddo lì dentro. Rabbrividisce, i polmoni non vogliono aspirare ed espirare aria. Polska non parla, ancora raggomitolato su sé stesso. Forse piange e non vuole farsi vedere da lui, forse si vergogna.

“Ora capisci…?” mormora una vocina dalla pallottola di tessuto verde di Polonia fantasma. È spezzata e fragile, la sua voce. Ma Lituania la sente come se fosse un urlo. Continua a singhiozzare, il moro. Le lacrime sono congelate nelle iridi, non possono uscire. Le nuvolette di freddo escono copiose dalla sua bocca. Cercano di formare delle parole, le labbra, ma non esce niente più che dei gemiti di dolore. Si è fatto male, Liet, proprio in mezzo al cuore. Ora lacrima sangue e non smette di chiedere aiuto.

“L-Lituania!” si volta di scatto, come se avesse appena avvertito una gettata di acqua fredda sulle spalle. Vuole scappare, il cuore è pieno di brividi di terrore. Troppo tardi: Estonia lo ha già immobilizzato sotto il suo peso, comprimendo le braccia. Lettonia lo raggiunge, ansimante e con le lacrime in pericolo di scorrere per le sue guance rosse dal freddo. Trema, il ragazzino, quando entra nella stanza. Non immaginava nemmeno che ci fosse un’altra stanza in quella cascina, non immaginava nemmeno che ci fosse così tanto sangue anche là dentro.

“E-Estonia…” mormora Lettonia, non riuscendo a vedere il cadavere, lì alla sua destra. Vede solo il sangue, ma altro non vede né vuole vedere. Non vede nemmeno Polonia fantasma, altrettanto ignorato dal secondo Baltico. Ma ignora anche lui i due, quindi non gli importa.

“Sta’ zitto e aiutami!” ringhia Estonia, con una nota di panico nella voce. Il fratellino afferra per un braccio il lituano. Trema, Lituania, non ha idea di cosa vogliono fargli e questo non sapere gli paralizza la coscienza.

Iniziano a trascinarlo via. Estonia è sorprendentemente più forte di come ricordava. Eppure è strano: Estonia non è mai stato forte. Anche Lettonia è determinato a tirarlo fuori da quel pattume. Il cuore di Lituania fa un sobbalzo, quando nota che i due stanno riuscendo nel loro intento. Sa dove lo vogliono portare, non sa che cosa vogliono fargli. Questo non sapere gli fa ritornare la paura. Urla, geme, scalcia, eppure non lo lasciano andare. Lituania cerca aiuto. Lo vede, Polonia fantasma è ancora appallottolato su sé stesso.

“Polska! Polska, aiutami!” il biondo non si muove, sobbalza semplicemente, sentendosi tirato in causa. I due Baltici anch’essi sobbalzano, ma per il dolore che hanno al cuore. Lituania non capisce, i suoi occhi si gettano supplichevoli sull’amico. Perché non mi aiuti?

“Polska, ti prego, salvami!” Polonia non si muove ancora. In quel guscio in cui si è raggomitolato sospira di dolore. La gola si è impigliata, le lacrime prossime ad uscire. Le sente salate e bollenti. Non vuole che escano. Non può nemmeno aiutare Liet. Ricorda un episodio: la battaglia contro Russia, avevano perso, Russia porta via Liet, Liet gli chiede aiuto, lui, stupido, non fa nulla. Ma è sempre stato una persona inutile, Polonia. Ripensando a questo episodio, si vede molto più imbecille di com’è. All’epoca pensava che avrebbe potuto riavere Liet con un’altra battaglia, troppo ottimista. Si considerava ancora una potente Nazione. Non sapeva che ci fossero Austria e Prussia con un fucile in mano. Forse nella sua testa c’è ancora quella pallottola. Liet scalcia e per poco riesce a colpire Lettonia.

“Polska, apri gli occhi! Aiutami! Polska!” un altro sospiro di dolore esce fuori dalla gola di Polonia. Questo è stato molto forte, tanto da fargli tremare ogni cellula del suo corpo. Continua a sospirare per il cuore troppo pesante e colpevole. Si rivede nella neve, con quel sorriso da bastardo in volto, mentre Liet gli implorava di aiutarlo. Troppe similitudini, sono troppe. Il labbro del biondo trema, sente della bile colare dal suo naso.

Polska!!!” con gli occhi chiusi è molto più semplice trattenere le lacrime, nota Polonia, sentendosi cattivo e crudele, come lo era stato in passato. Con la gola bloccata e la testa ancora nascosta sotto le ginocchia, scuote il capo più volte, negativamente. Le labbra si schiudono, ma riesce a ricacciare nei polmoni i pianti soffocati. Rigetta all’indietro anche la bile gocciolante. Lituania vede e non riesce a capire. Ignora la rabbia repressa di Estonia, ignora le suppliche di Lettonia. Perché, Polska, perché?!

“Perché, Polska…? Perché mi odi anche tu…?” ora piange per davvero. Pensa che Polska lo odi, è l’unica soluzione possibile. Ora cosa ha fatto per farsi odiare dal suo amico? Forse è stato troppo insistente. Forse troppo appiccicoso. Ricorda lui, lupo, e Polonia, cerbiatto, nella foresta. E se si sia offeso per la sua ingordigia e per il suo desiderio? Quest’ultima possibilità gli sembra quasi una certezza. Il biondo comincia ad odiare Lituania. Perché non capisce? Perché non ammette l’evidenza? Sarebbe tutto molto più facile. Lui non è fatto per dire la verità nuda e spietata così com’è. Ma, in realtà, lui non è fatto per fare nulla di buono.

“Perché sono morto, Liet!” un sobbalzo da parte di entrambi. Polonia ha cacciato, finalmente, fuori la testa dal suo bozzolo e ora lo guarda dispiaciuto e colpevole, con un po’ di frustrazione, troppo poca per essere notata del tutto. Lituania sente lo stomaco scongelarsi e battere forte contro la sua pancia, come se fosse il suo stesso cuore. Polonia, con un impeto di rabbia e dolore, scoperchia il suo volto nascosto dalle lenzuola, quello del corpo morto.

Lituania lo guarda. È come lo ricordava, ma più magro, più sciupato, più grigio, più rotto, più calpestato. Più distrutto e sanguineo. Russia ha maltrattato il suo cadavere, anche dopo la morte. Non è possibile essere talmente tanto crudeli con un povero ragazzo che hai visto solo poche volte in vita tua. Non può credere che esista così tanta rabbia nel suo carceriere. Eppure l’odio è nato dal nulla, dalla gelosia, dal desiderio di possesso. Polonia fantasma non riesce più a trattenere le lacrime.

“Come potrei tornare in questo corpo!? Dimmelo, Liet!” il moro urla per la disperazione. Polonia non lo odia, questo è un sollievo. Ma non può più tornare, e questa è una tortura.

I due Baltici non vedono né sentono il fantasma di Polonia. Continuano semplicemente a trascinare via Lituania, chiedendosi quando smettano gli effetti collaterali di quei falsi confetti. Intanto Lettonia ha chiuso la porta della stanza. Polonia è rimasto dentro, sente le urla di Lituania.

“Polska! Polska!” urla e geme, con la voce liquida e gracchiante. Sta urlando troppo, Liet. Il biondo si getta sul letto, di fianco al suo corpo. Da dietro la porta si sentono grida acute. È un condannato portato alla gogna. Il ragazzo osserva il suo corpo, ad una spanna da sé. È orribile, pensa. Continua a guardarlo e le lacrime si fermano.

“…Lasciatemi! Lasciatemi!” Polonia fantasma non ha più occhi lucidi. Sente il cuore in subbuglio. Il suo cadavere ha il volto violaceo. I capelli strappati, gettati nelle tane di topi tra le travi spaccate. Le palpebre sfregiate molte volte, come se Russia abbia desiderato di strapparle. Sono rossicce. Il labbro tagliato, come se fosse leporino. La gola squarciata dalla lama di un coltello. Russia ha voluto assicurarsi che lui non sarebbe più tornato. L’ha svuotato completamente dal sangue e dalla forza di vivere, quel corpo. Ma Polonia non piange, l’ha accettato: lui non tornerà più. Ormai lo sa e l’ha ammesso. Ma piange per Liet, che non l’ha ancora capito. E piange anche un po’ per lui.

È un pianto breve, non troppo lungo. Si è svuotato dal sale e dal sangue. Le mani guantate sono umide, ma non gli importa. I capelli s’incastrano nel sudore della fronte, nelle ciglia e provano ad entrare in bocca. Polonia li rimette al loro posto sbattendoli bruscamente. Anche il cuore si è svuotato dalle lacrime. Respira tranquillo, il biondo, raccoglie gran parte del controllo. Tira su il naso, con la lingua tocca le labbra, inumidendole. Si alza e scatta verso la porta. Non guarda il suo corpo, sarebbe un’altra pugnalata troppo forte per la sua anima. Fiora il legno, lo attraversa con le dita. La piuma si è bruciata del tutto, allora. Fa un grosso respiro e corre in avanti. Attraversa la porta, così come tutta la casa. Esce fuori nella neve e cammina verso la villa.

I fiocchi più piccoli, ritornati nel cielo insieme ai loro fratelli, raccontano l’accaduto misterioso. I più grandi ne sono meravigliati: che garbuglio, che mistero, che strana avventura! Sono anche loro interessati alla vicenda. Che nasconda altri segreti questo ragazzo dai capelli scuri? I più piccoli non sanno cosa rispondere, sono solo molto eccitati. Mai capitato un avvenimento del genere in vita loro! Non che la loro vita sia stata molto lunga…

Il vento ascolta anch’esso il racconto dei piccoli fiocchi di neve. Si quieta un po’, giusto per ascoltare meglio e per non allontanarsi troppo dal luogo del mistero. I piccoli fiocchi sono eccitati: voglio vedere altro! Questo luogo è più divertente di quel che credevano. I grandi, pazienti ed anch’essi divertiti, decidono di seguire anche loro i fratellini. Indicato il luogo dov’è sparito per la seconda volta il ragazzo dai capelli scuri, rimangono sbalorditi.

Un altro ragazzo entra a capo basso e con passo strascicato dentro il giardino del figlio dell’Inverno. Tutti i fiocchi sono d’accordo fra di loro. Sono l’uno l’opposto dell’altro!, esclamano, entusiasti. Inizia una piccola gara fra i piccini, decidono quante differenze trovano tra i due. Iniziano tutti, entusiasmati, ignorando gli sguardi esasperati dei loro fratelli più grandi.

Questo ragazzo è biondo, con occhi verdi, esclama un piccolo fiocco, non come l’altro, con capelli scuri e occhi blu. Tutti sono d'accordo. Guardate come cammina lento!, fa notare una piccina, sembra che si stia trascinando la croce sulle spalle! Non come l’altro, con il demonio a rincorrerlo. Questo particolare fa annuire felici tutti i fiocchi, anche i più grandi. Oh, ragazzi, i suoi occhi!, esclama un fiocco più piccolo dei suoi fratellini, sceso più in basso di quel che dovrebbe, sono tristi e scuri, come una notte senza luna! I fiocchi più grandi si avvicinano anch’essi, interessati. Guardateli meglio!, esclama un altro fiocco di neve, sono tagliati male, i suoi occhi. Questa scoperta rende tutti perplessi. Guardateli: sembrano occhi severi e cattivi. Sembrano gli occhi di un gatto!, esclama, felice. O di un demone!, esclama un altro fiocco, facendo annuire tutti di gioia. Dev’essere un ragazzo cattivo, afferma una piccolina, curiosa e credulona, non come l’altro con gli occhi d’ angelo!, finisce, diventando più piccola di com’è. Già, chissà cos’ha combinato per camminare in questo modo e in mezzo al vento maldestro, annuisce un fiocco più grande e meno saggio. Oh, sta per entrare anche lui, andiamo a vedere!, urla un fiocco birbante e sbarazzino, gettandosi già sulla divisa militare di Polonia.

Orrore, incredulità: il fiocco di neve oltrepassa il corpo del ragazzo demone. Il piccolino, incredulo, si lascia abbandonare per terra, nel fango. Quel posto lo disgusta, ma non riesce più a liberarsi. Anche i suoi fratelli, grandi e piccoli, hanno visto la scena. I più grandi e saggi notano che il ragazzo non lascia impronte né mostra alcuna ombra alle spalle. I piccini provano a tuffarsi su di lui. Uno dopo l’altro falliscono. Protestano e piangono. I fiocchi più grandi si domandano chi sia quel ragazzo. Che Padre Inverno abbia dato un posto da alloggiare a quest’anima rea?, si chiede uno di loro. Nella terra di suo figlio? Impossibile!, esclama un altro, quasi disgustato da questa domanda. E se sia davvero un demone?, si domanda un fiocco poco più giovane. I grandi ed anziani rabbrividiscono e notano che il ragazzo demone riesce ad oltrepassare la porta della villa e ad entrare all’interno. I fiocchi più piccoli si lagnano e piangono, alcuni se ne vanno indignati. I grandi ed anziani decidono di ignorare l’accaduto e di continuare il loro viaggio. Sarà dura convincere i piccini, sospirano tutti.

Polonia trascina i piedi nella grande villa di Russia. L’oro e l’argento non lo toccano né attirano la sua attenzione. Alza un po’ la testa, il cuore ancora scosso e spezzato. Si dirige nella camera dei ragazzi, sa dov’è, ci è andato mille volte, avanti e indietro nelle notti senza Toris. C’è caos fuori dalla porta: il tappeto scuro è stato maltrattato, così come il tavolino con il vaso da fiori vuoto. Per miracolo si è salvato. La porta è sigillata, ma si odono già i lamenti e le urla. Polonia rimane fuori, non entra, gli basta questo. Non vuole piangere di nuovo.

No!” un urlo diventa comprensibile. Polonia apre le orecchie, si ferma nel mezzo del corridoio e lì rimane ad ascoltare “Non voglio morire! Non voglio!” Lituania si massacra la gola. L’urlo ha troncato in due il silenzio della casa. Non è l’urlo di un essere umano, troppo pieno di angoscia e terrore. Nessun umano potrebbe avere così tanto panico e liberarlo nella voce “Non voglio morire! Non voglio morire! Non voglio…!”

“Non morirai, Lituania!” la voce di Lettonia è decisa e forte. Il polacco si meraviglia di ciò: la sua voce era sempre immersa nelle lacrime “Non ti faremo del male!”

“Lettonia, sta’ zitto!” ruggisce la voce di Estonia, spaccata in due. Polonia non la ricordava così aggressiva, anche se umida “Lituania, lo diciamo per il tuo bene, non ti vogliamo far del male. Devi solo dormire” l’occhialuto parla in modo troppo distaccato e professionale per essere solo minimamente confortante. Polonia pensa che non l’abbia fatto apposta. Semplicemente, l’estone non è mai stato in grado di rincuorare nessuno. Però il principe polacco è certo che stia tentando, anche se il risultato è misero.

“Dio, Signore, aiuto…” mormora il lituano, con un terrore statico in gola. Deglutisce il biondo, nell’ascoltare la sua voce martoriata.

“Calmo, Lituania, calmo…” Lettonia è molto più convincente, anche se la voce sta iniziando ad inclinarsi.

“Polonia, Polska, salvami, salvami…” lo chiama, la voce immersa completamente nelle lacrime e nel sudore. Polonia ha già il cuore spezzato, per questo non sente niente. Ciò che è già stato distrutto non può rovinarsi ancor di più. Ci vorrà un po’ per ripararlo, il cuore, ma ora non sente nulla. Il polacco è quasi grato di ciò.

“Polonia non è qui, Lituania” forse, in realtà, è possibile distruggere qualcosa già spezzato in due. Polonia, a queste parole, ha sentito formarsi una crepa nel suo cuore “Shh… Ora ci siamo noi qui. Nessuno ti farà del male” singhiozza la voce di Estonia, come se avesse incastrata nella gola una pallina, che non si decide di salire o scendere, intrappolata nella trachea.

“Polska… Polska…”

“Polska è in Paradiso, Lietuva” Lettonia ha la voce un po’ più coraggiosa, quasi senza lacrime. Polonia sa che ci sono, le lacrime, ma il ragazzino è riuscito a nasconderle bene. Polonia è grato al lettone. Sia per aver usato il nome autentico di Liet, sia per aver detto di essere in pace, nonostante sia lì, dietro la porta. Polonia è grato e per questo sorride “Sta bene lassù. Vuole solo che tu sia felice. Ma sta bene e ti vuole tanto bene. Vuole che anche tu sia felice” il sorriso del polacco tocca le guance, allargandosi di più. Chiude gli occhi, forse saranno i due Baltici a dare la pace al fratello.

“Si, è così!” Polonia riapre le palpebre. La voce imbranata e disperata di Estonia è falsa e, a suo parere, patetica. Continua a guardare gli arabeschi dei pavimenti, il ragazzo, senza guardargli per davvero “Ora ci siamo noi, Lituania. Se qualcuno ti farà del male, finché saremo qui con te, noi ti difenderemo” nemmeno io stesso sarei convinto da te, Estonia, pensa Polonia, tristemente. Un attimo di silenzio. L’aria si arresta e il sangue smette di fluire nei corpi. Anche Polonia è in ascolto. Sente dei fiati tremuli, delle mani che si muovono sulle lenzuola. Il pendolo nel corridoio scandisce i secondi. Un brivido di ansia percorre le orecchie di Polonia e sgattaiola dentro il padiglione auricolare, penetra nel cervello, ghiacciato e statico. Sta passando troppo tempo. Anche i due Baltici hanno lo stesso brivido. Il pendolo sbatte la grande lancetta altre dieci volte.

“…Lituania?” mormora il timido Lettonia.

Un urlo pieno di forza, diverso da quelli precedenti, strappa e si abbatte sulle pareti della stanza. Polonia lo ode e viene trapassato anche lui dalla sua onda. Liet ha lanciato un urlo da battaglia, imitando i cavalieri in guerra tra armi e dragoni. Questo però è diverso. È un grido di disprezzo. Estonia deve aver sbagliato a dire qualcosa.

“Non lo farete mai! Mai!!!” le molle del materasso scricchiolano e vengono schiacciate, le coperte sbattute. I due Baltici balzano in avanti, timorosi. Polonia fantasma volta la testa, le iridi sbarrate. Quell’urlo di dolore e rabbia non lo sentiva da secoli.

“Lituania, sta’ calmo!” singhiozza Lettonia, per il dolore. Forse il fratello l’ha colpito.

“Vuoi mi odiate! Mi volete morto!”

“Non è vero!” risponde prontamente Lettonia, coraggioso e forte, anche se dolorante. Ma la sua vocina viene assorbita da quella del lituano.

“Non mi difenderete mai! Non lo avete mai fatto!” un singhiozzo, l’urlo si dissolve, viene sostituito dal pianto “Non lo farete mai! Voi mi odiate, volete che io muoia…” un altro singhiozzo spacca l’aria della stanza e le molle del materasso “Ve ne scapperete, mi uccideranno e voi scapperete…” un altro singhiozzo, seguito subito da un gemito di dolore al cuore “…come sempre” finisce questo con un pianto nervoso. Scuote forte il petto di Lituania, questo pianto. Gemiti, pianti, molle schiacciate e percosse. Polonia sente solo questo e desidera non udire nulla. È stanco e non ha più forze per piangere. L’aveva sempre detto e l’aveva detto anche ai due Baltici, un giorno, quando aveva visto i tre fratelli insieme, per la prima volta: se io non dovessi esserci più, Liet morirebbe da solo. I due fratelli lo avevano squadrato male. Probabilmente doveva aver avuto uno sguardo molto severo, perché poi avevano subito abbassato gli occhi. O forse avevano ammesso la verità. O magari entrambe.

“No, non è vero… Questa volta no…” mormora il piccolo Lettonia. Non è convincente, anche la sua voce è spezzata. Sta piangendo anche lui. Un naso tirato, non dal ragazzino. Sente qualcosa muoversi sulle molle del pavimento. Liet ha ricominciato ad agitarsi e a provare a scappare. Un altro scatto veloce verso il letto: i due Baltici lo stanno di nuovo tenendo fermo. Si odono più pianti, in quella stanza. Polonia si sente triste.

“Estonia, non piangere…” sussurra il lettone, spera di non essersi fatto sentire da nessuno, ma non è mai stato molto prudente o delicato. L’estone piange e singhiozza. La pallina nella sua gola si blocca e non gli permette di respirare bene. Respira con affanno, con la gola rotta. Se ne sono resi conto, pensa Polonia, per la prima volta Liet glielo dice…

“Zitto, Lettonia…” dovrebbe essere minacciosa la voce, ma è solo un sussurro incapace ed umido. Polonia lo trova ancora più patetico e triste. Non gli era mai andato a genio Estonia. Si credeva il più intelligente e capace, ed era anche vero, non che ci voglia molto ad essere più intelligente di lui, ma lo dimostrava in modi assolutamente patetici. Sembrava desiderare di essere importante solo per le poche cose che è in grado di fare con la meccanica o con la nuova tecnologia. Questo Polonia lo odia e lo odiava.

“Polonia non è meglio di me, Lituania” un ringhio frustato, spezzato da un gemito “Te lo giuro…” continua il pianto spaccato dalle scosse. Polonia continua a guardare il pavimento sotto di sé come se avesse Estonia proprio lì, sotto i suoi piedi. Lo vede con le ginocchia per terra, tremante, singhiozzante, con la testa gettata verso il pavimento e gli occhiali quasi caduti dal naso. Lo vede lì, di fronte a lui e si chiede quando, di preciso, l’estone abbia desiderato di superarlo. Quando e perché vuole superare lui. In cosa? La risposta la sa, Polonia, ma non vuole pensarla.

“Polska, aiutami… aiutami… salvami…” continuano le suppliche verso il morto. Polonia non può né vuole intervenire, sarebbe troppo doloroso. Qualcosa nell’aria si spezza. È una battuta di caccia, c’era silenzio prima, ora è stato interrotto da un ramoscello spezzato. Uno dei due Baltici salta veloce sul letto, sopra Lituania. Lettonia sobbalza e si allontana, pauroso. Le molle sotto di loro protestano per il peso.

“Non ti voglio morto, Lietuva…” Estonia non ha solo la voce spezzata “Non ti voglio uccidere. Ti vogliamo bene. Non ti odiamo…” ritornano i pianti, distruggono le parole. Estonia ha sputato velocemente queste frasi, ma poi è scoppiato. Non riesce più a dire altro. I passettini di Lettonia si avvicinano di più ai due fratelli più grandi. C’è ancora silenzio scandito, questa volta, dalle scosse dei singhiozzi di Estonia. Seguiti subito dal piccolo lettone. Straziato è Lettonia, rabbioso è il pianto di Estonia. Polonia non può far altro che compatirli. Lituania non si agita più, immobile nel letto. Estonia ha i nervi fuori dalla carne, pieno di angoscia e disperazione. Non sa cosa stia facendo Liet, ma questo rompe qualcosa dentro l’estone.

Io vi odio” sussurra, serpeggia, la lingua di Lituania. Polonia sbarra le iridi, incrociate ancora tra le piastrelle dorate di Russia. Sente i battiti del suo cuore, ingenui e paurosi. Si sente piccolo ed indifeso, senza sapere il perché. Si sente in pericolo, senza capirne il motivo. Un ringhio di frustrazione esce fuori dalla gola di Estonia. Sente il materasso lamentarsi e cigolare, d’un tratto. Lettonia lancia un urlo. Polonia sente delle mani, dei pugni, l’uno sull’altro. Sente percosse e ceffoni dietro quella porta, gemiti e urla di rabbia. Nonostante ciò, non sente nulla. Forse il suo cuore è ancora rotto. O forse sa che non si faranno troppo male.

“Ripetimelo, bastardo!” abbaia Estonia, la voce velenosa, dannata e desiderosa di sangue. Polonia sospira. Lituania è più forte di te, imbecille, pensa tristemente, continuando ad immaginare la lotta di fronte ai suoi occhi, incastrata nelle piastrelle. Sente gli occhi stanchi e delusi. Estonia lo ha deluso.

“Ti odio, ti ho sempre odiato!” urla Lituania, una voce più umana e sensibile “Sei un coniglio e morirai coniglio!” un colpo ben assestato. Lituania non sembra voler combattere, non ha mai voluto farlo, ha sempre parato i colpi. Questo lo ha preso dritto alla tempia. Ha sentito le nocche di Estonia sbattere con forza sulla sua fronte, vicino ai capelli.

“…basta…basta…” mormora Lettonia, con la voce tremule e piangente. Polonia lo immagina, anche lui, tra le pieghe del pavimento lucido. Occhi rossi, guance di fuoco, mani premute sulle orecchie, tremolante come un giunco in mezzo alla tempesta. Polonia sospira sconfortato. Anche Lettonia lo ha deluso. Eppure, questa delusione fa molto più male di quella di prima. Inghiotte saliva acre ed acerba. Non vede il proprio riflesso nelle piastrelle gialle e questo lo fa tremare. Si stringe le braccia attorno al petto. Ignora gli insulti dietro quella porta, ignora i pugni e le urla. Ignora tutto, sa solo che dentro di lui c’è una guerra peggiore di quella che c’è là fuori.

“Bene!” esclama ad un certo punto Estonia “Ti odio anch’io, spero che muori in fretta!” passi profondi martellano vicino alla porta di fronte a Polonia. Il biondo si volta, ancora col dolore nel petto e le braccia attorcigliate. Ha occhi bassi, ma orecchie attente. Estonia apre la porta, con una calma malcelata. Si volta un’altra volta, crudele, con gli occhiali spaccati e la fronte graffiata “Che Polonia ti porti via!” Lituania rimane immobile mentre l’estone esce fuori e va via, con passo pesante, come se stesse scaricando la rabbia tramortendo il pavimento. Il goffo Lettonia lo segue, con gli occhi nascosti tra le maniche della divisa rossa. Spariscono tutti e due, con un tonfo secco della porta del corridoio. Ritorna il silenzio, scandito di nuovo dal pendolo.

Lituania pensa a tutto e a niente. Ha detto ciò che voleva dire, eppure si sente più vuoto che pieno. Ha spezzato ogni legame con i Baltici. Nonostante ciò, non gli importa, così come a loro non è mai importato di lui. Scende dal letto, gli fa male il petto e la fronte. Soprattutto la fronte. Muove i passi, pesanti ed inceppati, sul pavimento, ondeggiando per mettere un piede di fronte all’altro. Si sente a pezzi. Si getta in ginocchio, spossato, di fronte allo specchio.

Si toglie i capelli dalla fronte. Gli tremano le mani, più per la stanchezza che per altro. Estonia gli ha fatto un livido, graffiato. Continua ad uscire molto sangue. Scorre giù come un piccolo fiume. Taglia una parte di volto, come una torta. A Lituania non importa. Non gli importa molto, in realtà. Guarda il suo viso. Le iridi ristrette hanno cancellato l’azzurro del Mar Baltico nei suoi occhi. E’ grigia la sua pelle. Come quella di Polska, pensa d’istinto. Questo paragone quasi gli piace. Significa che sta diventando come lui. E’ una piccola amichevole solidarietà. Gli sfregi neri sotto agli occhi lo orripilano, così come lo avevano sconvolto la pelle violacea del cadavere.

Anche se coperte, Lituania vede le cicatrici sulla sua schiena, lì Russia gli ha strappato le ali di angelo e la voglia di vivere. Così come Russia ha strappato la vita di Polska. Si guarda più attentamente. Era bello prima, si considerava abbastanza carino come ragazzo. Ora è magro e malato dal profondo del cuore, spezzato e rotto come un giocattolo troppo abusato dal padroncino. Ha sempre saputo che la schiena si sarebbe spezzata sotto il giogo di Russia. Questa volta l’ha mosso così bruscamente che lo ha tagliato e spezzettato nell’anima. Si sfiora il sangue, che gocciola dalla fronte fino allo zigomo. Lo osserva, anche quello è freddo, senza vita. Si trova brutto, come non mai.

Qualcuno entra nella stanza, timido ma deciso. Polonia ha gli occhi sullo specchio. Guarda l’azzurro morto degli occhi dell’amico. Lo guarda e lo trova triste e malinconico. È come se fossero tornati indietro, nella reggia di Vilnius, con i violini maledetti. Sente la loro musica e l’associa a ciò che sta vedendo ora. Polonia è sempre bello e posato in suo confronto, anche se con sguardo colpevole e basso. Lituania lo osserva nel chinarsi dietro di lui, nell’abbracciarlo, incrociando le braccia sul suo ombellico. Nel baciargli la scapola, nell’affondare il volto tra le spalle, vergognoso. Lo osserva senza sentimento, senza una scintilla negli occhi. E’ morto più di Polska e lo vede ad occhio nudo, di un mortale.

“Non mi perdonerai vero…?” mormora, distrutto, il piccolo Polonia. Lituania non sente battiti dal proprio cuore. È morto come lui. Anche il sangue è congelato nelle vene, non vuole muoversi. Il fiato freddo e leggero, troppo per essere di un vivo.

“Avevi ragione” sussurra con voce rauca. Polonia alza gli occhi, abbattuti e supplichevoli. Il moro sente il fiato caldo dell’amico, incastrato tra i capelli e il collo. Vorrebbe che lo baciasse lì, sul collo, che lo mordesse e gli facesse del male. Vuole altro sangue su di lui, non solo sulla sua fronte. Si guarda le dita rosse attraverso lo specchio, ancora un magnete per i suoi occhi blu.

“Con un corpo così distrutto, anche se ritornerai, morirai subito dopo…” continua a sussurrare più a sé stesso che a Polonia. Il biondo nasconde le labbra sotto la spalla di Liet. Ha occhi lucidi, ma quieti, senza alcuna voglia di piangere “Non ci sei più Polska…” le dita macchiate di rosso toccano lo specchio, dove viene riflesso il polacco. I polpastrelli tranciano e ricoprono i capelli d’oro, gli occhi smeraldini, il naso piccolo. Polska non c’è più sullo specchio, ci sono solo delle linee di sangue.

Polonia non si sente sollevato. Lituania ha abbassato il braccio. Gli occhi sono ancora più scuri, il volto nero, i capelli disordinati e confusi. Non è morto più nulla dentro il lituano, non c’era nient’altro da uccidere. Ogni cosa di sé è morta, incastrata ancora nella realtà. Non cerca più la libertà, non ne ha alcuna. Si rende conto di essere in un mondo che, in questo momento, non gli appartiene. Dovrebbe essere con Polska, nel mondo dei morti, non in quello dei vivi, non in quella gabbia. Lituania non si capacita di questo capriccio del fato, pensa solo che si spegnerà completamente se continuerà a guardare le strisce di sangue sulla figura di Polonia. C’è troppo silenzio, entra nelle ossa del biondo.

Polska stringe di più a sé Liet. Vorrebbe che si abbandonasse nel suo grembo, ma il suo corpo è troppo rigido e non vuole essere consolato o liberato dalle lacrime. Lituania ha un macigno sull’anima e non desidera toglierselo. Il polacco gli lascia un altro bacio, questa volta, sul collo. Lascia le labbra per molto più tempo di prima. Poi, dolcemente, sfrega su e giù il naso, sotto la canottiera. Tocca le cicatrici nere, le sfiora, ma a Liet non sembra importare. È diventato insensibile d’animo e di volto. Polonia si ferma, i suoi sforzi sono vani. Non sa più cosa fare per accendere Lituania. Il non saperlo fare lo fa sentire male.

Un sobbalzo, piccolo ed innocente, fa muovere il petto ghiacciato del moro. Le labbra raccolgono aria, l’afferrano sazie, senza desiderarla davvero. Un momento di silenzio. Lituania inclina leggermente la testa. Un bambino di fronte ad un disegno interessante. Si tocca di nuovo la fronte rossa. Sfiora e calpesta il vetro dello specchio. Il medio e l’indice iniziano a tracciare delle strisce in mezzo alla testa del lituano. Poi si aggiungono anche l’anulare e il mignolo. Si sentono le dita sul vetro. Fanno sibilare di dolore la superficie liscia. Anche il pollice fa questo sporco lavoro.

Un angolo del labbro di Lituania si alza leggermente. La mano viene di nuovo affondata, il palmo, sulla fronte sanguinolenta. Con una lentezza allarmante, il moro getta l’intera mano sul suo viso riflesso. Con altrettanta angosciante calma sfrega e fa urlare il vetro. Il labbro spezzato di Lituania continua a salire. Le palpebre si muovono, si schiudono. Sospira il lituano, Polonia non sa per cosa. La mano si toglie dal vetro. Rivela una grossa chiazza rossa lì, che copre l’intero viso di Lituania. Polska, dietro di lui, muove leggermente la testa in avanti. La inclina verso il moro. Vede finalmente il suo volto. Qualcosa è sbagliato nel suo sorriso.

“…Liet?” sussurra. Non capisce. Sente il suo cuore morire per l’impazienza, l’attesa e l’ansia. Lituania non scrolla gli occhi dal vetro. Ha ancora quell’espressione sbagliata. Polonia scuote la testa, cercando risposte. Liet sospira, Polonia non capisce.

“Mi segui in un posto? Ti devo parlare di una cosa molto importante” si rimette in piedi, con fretta. Polonia si chiede perché abbia tanta foga.

“Riguarda noi…?” azzarda, timido. Liet lo guarda dall’interno dello specchio, come se fosse realmente lui, quel riflesso. Polonia scontra le dita fra di loro. Sente i violini spezzati, il pianoforte scordato, i balli vivaci di dolore, la musica frantumata. Ha paura, d’un tratto. Liet annuisce convinto.

“Si, riguarda noi” dice, vago. Liet non è mai vago, ricorda l’amico. Questa cosa lo inquieta. È come se tenesse un segreto. Come un bambino. Liet non è mai bambino, ricorda. Il bambino cattivo e crudele è sempre stato lui, ricorda. Anche questa cosa gli fa paura e tristezza. Lituania si volta di scatto. Polska sobbalza per la sorpresa. Il moro non ha cambiato espressione. I suoi occhi azzurri si spalancano. Sentire quegli occhi sbarrati ed immaturi sui suoi, fa male. È un male diverso, molto più vicino al terrore.

“Mi segui?” chiede, gli porge la mano. Polonia guarda quel palmo come se gli stesse offrendo una pistola carica. Lituania inclina la testa, ancora più immaturo. Polonia ha le ossa di pietra, ma è curioso. Non è una curiosità fanciullesca, come suo solito. È una curiosità più sulla sopravvivenza. E sul bene di Liet.

“Si, vengo”

Gli afferra la mano e lo trascina via dalla stanza.

Polonia ha paura, ma si lascia trascinare dall’immaturità di Liet.

  
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