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Autore: Tormenta    10/12/2015    7 recensioni
Di ritorno ad Hogwarts dopo la guerra, Draco Malfoy ha cicatrici troppo profonde per essere quello di sempre. A Harry Potter basta poco per accorgersi che non sa accettare la sua assenza nella propria routine. Dal testo:
«Malfoy» chiamò, con voce cristallina e appena tremolante. [...]
«Che c’è, Potter?»
Harry si lasciò sfuggire una microscopica smorfia soddisfatta: per la prima volta da quando erano tornati ad Hogwarts, Malfoy gli aveva parlato. Era un inizio – di cosa, non lo sapeva neanche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
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8.
Da capo, con più indecisione
 
 
 


        Dicembre scorreva veloce.

        Era nevicato. Attorno ad Hogwarts, tutto sembrava avvolto in un bianco ovattato. All’interno della scuola, invece, l’atmosfera si era fatta calorosamente nitida: gli animi si stavano già scaldando in previsione dell’arrivo del Natale – e anche della pausa dalle lezioni.
 
 

        Harry aveva concesso a Malfoy un po’ di tempo, ma lui continuava ostinatamente a non dargli udienza. Non lo sopportava.
        Per dare una scossa alla situazione, lo cercò con sguardi e alcune parole secche che, però, caddero sempre nel silenzio. Cocciutamente, non si arrese nemmeno di fronte a quei chiari inviti a lasciar perdere, e pensò bene di replicare le azioni già compiute.
        Parlargli in biblioteca, la prima volta, aveva funzionato: l’avrebbe fatto di nuovo.
        Dovette solo aspettare che arrivasse il giovedì più vicino e poi, congedandosi da Neville, che gli aveva fatto compagnia le settimane precedenti, si diresse al quarto piano. Solo una volta lì, camminando tra gli scaffali, si rese conto d’essere stato avventato – non c’erano garanzie che il Serpeverde fosse al tavolo a cui l’aveva scorto precedentemente. Se non l’avesse trovato, sarebbe stato catapultato di nuovo al punto di partenza.
        Non volle preoccuparsene prima d’aver controllato. E fu una scelta saggia, la sua, perché, grazie a quello che volle interpretare come un aiuto del destino, rintracciò Malfoy esattamente dove preventivato. Con lui c’erano anche altri Serpeverde, però.
        Harry avrebbe preferito non doverli affrontare tutti insieme, perciò, prendendo posto ad un tavolo vicino, scelse d’aspettare un momento più consono per intervenire. Ammesso e non concesso che ne sarebbe mai giunto uno.
        «Cosa fa?» mormorò Pansy Parkinson, osservando il Grifondoro.
        Draco, vicino a lei, sospirò. «Non lo so». E da come pronunciò quelle parole, fu chiaro a tutti che non aveva alcuna intenzione di addentrarsi nell’argomento.
        Ricominciarono a studiare silenziosamente, quindi, e nel mentre, senza che nessuno sospettasse nulla, Malfoy pensò a Potter – a quell’incredibilmente testardo, seccante imbecille che continuava a ronzargli attorno malgrado i mille tentativi fatti per scacciarlo. E avrebbe dovuto ammetterlo, sapere d’essere tanto desiderato non era poi così orribile; il suo ego approvava.
        Si concesse di lanciare occhiate dalla sua parte, ogni tanto; sembrava determinato a restare. Quasi gli sembrò surreale che stesse facendo tutto quello per lui.
        Ma , lo stava proprio facendo, e poté appurarlo definitivamente nel momento in cui, insieme agli altri Serpeverde, s’alzò per andar via. Infatti, non appena imboccarono il percorso tra gli scaffali che li avrebbe portati all’uscita della biblioteca, il Grifondoro scattò in piedi e si mise platealmente al loro inseguimento.
        Agire non fu particolarmente semplice, per Harry; non aveva, infatti, una precisa idea di come comportarsi. Era da solo, mentre loro erano in quattro, e per quanto fosse audace non era certo di poter combattere contemporaneamente tutte quelle lingue affilate.
        Stavano ancora marciando tra le scaffalature, quando decise d’improvvisare – tanto, aveva pensato, non si divideranno. «Malfoy», chiamò.
        Draco e i suoi, di colpo, s’arrestarono. Pansy Parkinson, Gregory Goyle e Daphne Greengrass – che, sin da quando avevano abbandonato il tavolo, si erano messi in attesa di uno scontro con l’inseguitore rosso-oro – non esitarono a voltarsi per fronteggiare Potter. Malfoy, invece, continuò a dargli le spalle, irrigidito.
        «Non ignorarmi», sbottò Harry, con voce bassa ma dura.
        Al che, Draco l’accontentò e si girò verso di lui. Probabilmente tutti s’aspettavano che dicesse qualcosa, che sparasse un commento tagliente dei suoi, ma non lo fece, causando spaesamento soprattutto in Goyle, che per alcuni istanti fece saettare lo sguardo da lui, al Grifondoro.
        Vedendo che Malfoy non accennava a voler rompere il silenzio, Pansy pensò bene di prendere in mano le redini della questione. «Può ignorare chi gli pare», sibilò.
        «Già», confermò Goyle, spalleggiando la compagna.
        Daphne non disse nulla, ma sul suo viso nacque un’espressione minacciosa piuttosto eloquente.
        Costretto ad affrontare quel loro fronte comune, Harry non poté che stringere i pugni e costringersi a pensare a qualcosa d’intelligente da dire. Ma, purtroppo per lui, non ebbe grandi idee, perciò tacque.
        Colto da sentimenti contrastanti, Malfoy sbuffò. Non disdegnava l’aiuto che i compagni gli stavano fornendo, ma comunque li detestò per quell’intromissione: già troppe volte aveva lasciato che altri parlassero al posto suo e prendessero decisioni per lui, e non era incline a lasciare che succedesse di nuovo. Così, un po’ irritato, finalmente aprì bocca: «Andate».
        Parkinson, Goyle e Greengrass, straniti, si voltarono di scatto per guardarlo in viso. Credevano d’aver capito male.
        Ma no, avevano capito benissimo, e Draco era serio. «Avete sentito. Via», soffiò.
        «Cosa vuoi fare?» domandò Pansy, accigliata.
        «Non devi preoccupartene».
        Basiti, i tre non osarono protestare oltre. Si fecero da parte e si allontanarono, ma non prima d’essersi assicurati d’aver fulminato Potter un’ultima volta.
        Piacevolmente colpito dall’evolversi degli eventi, Harry s’ammorbidì un pochino.
        «Cosa vuoi?» chiese il Serpeverde con aria stufa una volta che furono soli.
        L’altro tentennò, perché non era facile introdurre l’argomento. «È come all’inizio dell’anno», esordì. «Mi ignori. Credevo avessimo chiarito».
        Fu dura, per Malfoy, combattere contro il sogghigno compiaciuto che premeva per fiorirgli sulle labbra. «Fammi capire: davvero sei così tanto disperato, Potter?»
        «Non sono disperato. Ma avevamo chiarito», ribadì. «Quindi qual è il problema?»
        Draco fece schioccare la lingua, piccato, poi indurì l’espressione e incurvò impercettibilmente le spalle. «Per te tutto è facile, vero?»
        Lievemente perplesso, Harry corrugò la fronte. «No».
        «Invece sì». Era sicuro di quello che diceva, che per lui tutto fosse scontato e immediato; e quasi si stupiva di se stesso, perché, per un po’, s’era lasciato illudere da lui e dalle sue prospettive semplicistiche. Aveva creduto di potercela fare, di poter riprendere da dove avevano lasciato prima della guerra. Invece, non poteva. Non con tanta leggerezza, almeno, perché avere a che fare con quel dannato eroe poteva essere tanto opprimente da togliergli il fiato. «Non è facile, per quanto tu ti diverta a credere il contrario», asserì, cupo.
        «Non fare il filosofico, Malfoy», lo riprese il Grifondoro. Poi sospirò e si morse una guancia, e senza neanche domandare a cosa l’altro si fosse riferito – non ce n’era alcun bisogno, aveva capito –, disse: «So che non è facile. Lo so meglio di quanto credi». Si sentì vagamente a disagio, perché parlare di quelle cose proprio con lui faceva uno strano effetto. «È per questo che mi servi», ammise tutto d’un fiato.
        Anche se ne ebbe l’occasione, Draco non commentò quell’ultima frase, perché vide Potter abbassare lo sguardo e ingoiare l’orgoglio e prendere colore in viso e, davvero, era già uno spettacolo abbastanza pietoso senza che infierisse. E sè detto tutto.
        «E io servo a te», aggiunse Harry, concitato.
        Inarcò un sopracciglio, «Come fai a esserne tanto sicuro?»
        Oh, lui non ne era affatto sicuro. Solo, lo sperava; perché pensare d’essere l’unico tra loro due ad avere bisogno dell’altro in quel maledetto dopoguerra era deprimente. «Lo so e basta», replicò, secco. «Perciò smetti di fare così, e riprenditi una volta per tutte».
        Malfoy, con malcelata supponenza, sgranò lentamente gli occhi: seriamente quell’idiota aveva appena calpestato problemi psicologici che neanche conosceva? E l’aveva più o meno giudicato per come aveva scelto di comportarsi? Gli parve pazzesco. S’arrabbiò, ma fu una rabbia strana, perché mista ad uno stupore che prese piede in lui sino quasi a paralizzarlo – proprio a causa di tale semi paralisi, dovette rinunciare a snocciolare gli insulti che gli stavano facendo pizzicare la punta della lingua.
        Un silenzio denso li avvolse per diversi secondi, mentre si fissavano. Ad un tratto il Grifondoro lo spezzò, schiarendosi la voce – aveva ripetuto tra sé e sé ciò che s’erano detti, e gli pareva d’aver portato a termine il proprio compito. Con un vago cenno della testa, quindi, accompagnato da un ultimo sguardo più penetrante degli altri, si congedò; fece un passo avanti, aggirò il Serpeverde, e avanzò tra gli scaffali senza voltarsi indietro.
        Ancora scosso, Draco per un po’ non reagì. Rimase lì, impalato, colto da quell’immobilizzante senso di confusione che non accennava a voler scomparire.
        Provò l’irrefrenabile desiderio di far qualcosa a Potter. Qualcosa di brutto. Di violento, forse; non si soffermò a mettere bene a fuoco il tutto. Pensò solo che sarebbe stato bello corrergli dietro e criticarlo, fargli presente quanto poco sapesse di lui e che non doveva permettersi di dirgli cosa fare; magari avrebbe potuto anche tirargli un pugno, perché se lo meritava, e―
        Ecco. Quel beota l’aveva fatto di nuovo. Chissà come, c’era riuscito.
        Gli aveva messo in testa l’idea di poter fare tutte quelle cose, d’esserne ancora capace. E di volerle fare, addirittura; d’avere, in sostanza, la possibilità di aggrapparsi al loro odio reciproco. Di sperare che servisse a qualcosa. E la speranza non era una cosa alla quale era avvezzo – affatto. Ad essere onesti, stentava a fidarsene e un po’ la temeva, perché gli pareva tanto un’accozzaglia di false promesse; e pur pensandola a quel modo, ne era umanamente attratto.  
        Contrasse i muscoli e quasi ringhiò sommessamente, non sapendo se essere grato a Potter o detestarlo con più forza. Nel dubbio, fece entrambe le cose. Ma soprattutto lo detestò.
 
 
* * *
 
 

        Una volta che furono rientrati in Sala Comune dopo la cena, Hermione prese brevemente da parte Ron mentre Harry s’accomodava vicino al caminetto.
        «Credo di dovergli parlare», gli disse. «Solo noi due. Lasciaci un attimo da soli, d’accordo?»
        Si erano entrambi accorti che nell’amico c’era qualcosa fuori dall’ordinario – una specie di accenno di agitazione –, e non capivano cosa lo stesse spingendo a trattenersi dal confidarsi con loro.
        «Cos’hai in mente?»
        Lei arricciò le labbra. «Da quando lui e Ginny non stanno più insieme, non ha ancora voluto parlare di come si sente. Magari è giunto il momento, e tu sei il fratello di Ginny, perciò―»
        Ron annuì. «Capito. Va bene, pensaci tu». Le sorrise, poi scoccò un’occhiata a Potter e si fece da parte: per non restare a fare lo stoccafisso mentre loro discutevano, si aggregò a Seamus e Dean, che stavano parlando di banalità.
        Dopo un istante di tentennamento, Hermione avanzò e prese posto accanto a Harry, sussurrando in tono materno: «Ehi. Va tutto bene?»
        Lui, colto quasi alla sprovvista, fece spallucce. «Hm, sì. Perché me lo chiedi?»
        «Ti vedo un po’ agitato. Ho pensato che ne volessi parlare».
        «Non sono agitato». Pronunciò quelle parole con fin troppa decisione, velocemente, tradendo se stesso.
        «Ne sei sicuro?»
        «Sì. Sicuro».
        Non se la sentì di parlarle del fatto che, in effetti, era un po’ su di giri – e questo per il semplice motivo che il tutto era dovuto alla chiacchierata fatta con Malfoy quel pomeriggio. Pregava di aver fatto le mosse giuste e di non aver esagerato, soprattutto nel rendersi ridicolo di fronte all’altro. Era un pensiero che un po’ lo tormentava, quello; proprio non riusciva a scacciarlo. In ogni caso, sapeva quale fosse l’opinione dell’amica a riguardo, e preferì risparmiarsi la lavata di capo che, senza dubbio, sarebbe derivata dal confidarsi con lei.
        «Non― non è a causa di quello che è successo con Ginny, vero?» insistette Hermione, onestamente preoccupata.
        Harry, serio, negò col capo. «No, no». La figura della ragazza gli attraversò la mente, e per un secondo s’incupì. «No», ripeté in un sussurro. «È tutto a posto».
        «Okay», mormorò l’altra, costretta ad arrendersi – pensò che lui non fosse ancora pronto ad aprirsi. «Ma ricordati che se vuoi parlare di qualcosa, io sono qui».
        «Certo. Grazie», e sorrise.
        Poco dopo, lei fece un cenno a Ron, che li raggiunse. Passarono il resto della serata chiacchierando.
 
 

        Prima di dirigersi al dormitorio femminile, Hermione si premurò di far sapere a Weasley che «Non mi ha detto nulla. Non so se sta male per la storia di Ginny». Lui, di colpo, s’appesantì, e sentì il bisogno di scambiare due parole con l’amico: per sua grande frustrazione, infatti, non gli era ancora chiaro come avesse preso la rottura con sua sorella – sembrava abbattuto, ma non troppo. O non abbastanza, non avrebbe saputo dirlo.
        In ogni caso, lo chiamò quando erano già in stanza, nel dormitorio, mentre stavano per infilarsi sotto le coperte. «C’è una cosa che devo chiederti», fece.
        Potter si sedette sul proprio letto, in ascolto.
        «Come va fra te e mia sorella?»
        Si morse una guancia. Poi, sottotono, rispose: «Tutto normale, direi. Ci hai visti».
        Lui e Ginny non avevano completamente tagliato i ponti. Non cercavano di evitarsi, e quando si incontravano riuscivano a rivolgersi un saluto impacciato e dei sorrisini di circostanza. Non era sorto rancore, solo tanta malinconia. Ma anche se si trattava di una specie di allontanamento “amichevole”, Harry non avrebbe potuto negare di sentire una puntura al petto ogni volta che tra sé e sé pensava che s’erano lasciati.
        Ron rifletté per qualche secondo. «Sai che sei invitato a passare il Natale con noi; ci farebbe piacere se venissi alla Tana. Pensi che― insomma, che sia possibile?»
        Avrebbe fatto l’impossibile, pur di potersi godere le feste in un ambiente familiare. «Mi piacerebbe», replicò, «ma forse dovresti chiedere anche a Ginny».
        «Per lei va bene», replicò prontamente l’altro, che con la sorella s’era già consultato.
        «Oh. Allora, grazie mille per l’invito. Accetto volentieri». E sorrise debolmente.
 
 
* * *
 
 

        Quando, il giorno successivo, Potter entrò nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, si sentì carico d’aspettativa: quella sarebbe stata la prima lezione condivisa con Serpeverde dopo la discussione con Malfoy; la prima vera occasione che aveva d’interagire con lui. Avrebbe dunque potuto scoprire se prendersi la briga di cercarlo in biblioteca aveva sortito l’effetto sperato.
        Discretamente, si demoralizzò un pochino quando si rese conto che a stento Draco lo guardava.
        Durante l’ora non si rivolsero la parola. Ed era già pronto a lasciarsi travolgere dalla mortificazione, quando, al termine della lezione, mentre s’avvicinava alla porta affiancato da Ron, all’improvviso fu scosso da una mezza spallata.
        Rivendicando quel gesto, Malfoy gli si portò davanti alla distanza d’un passo, scoccandogli un’occhiata torva. «Guarda dove vai», fece, arrogante, continuando a camminare.
        Harry, pervaso da un qualcosa a metà tra la soddisfazione e l’irritazione, soffiò minaccioso osservando l’altro uscire dall’aula. In sottofondo, Weasley espresse il proprio disappunto, ma lui non l’ascoltò.
 
 

        Avanzando a passi sicuri nel corridoio, Draco fu attraversato da una scossa di timore.
        L’aveva fatto: s’era lasciato cadere per la seconda volta in un buco di sfocata speranza. E lì per lì non era stato terribile – anzi, era stato piuttosto appagante. Prendersela con Potter, sapendo d’essergli necessario, lo gonfiava d’autocompiacimento e lo faceva star bene. Ma doveva star all’erta e procedere con attenzione – non poteva proprio permettersi d’esagerare, d’essere ingordo del sollievo che era in grado di procurarsi, perché gli era già capitato di peccare d’eccessiva sicurezza, e ne aveva sofferto. Ancora vibrava dal fastidio al ricordo dello scenario che era susseguito all’ultima partita di Quidditch; s’era sentito orribilmente piccolo, e se fosse ricapitato il suo amor proprio non avrebbe retto il colpo.
        Immerso a metà in quei ricordi, pensò, distrattamente e con una punta di insofferenza, che l’effetto che Potter gli faceva non poteva essere confinato in alcuno schema logico. Quell’idiota era capace di sfasciare le sue barriere, e averci a che fare era un po’ come maneggiare del veleno. Piccole dosi assunte con cautela, infatti, sembravano essere innocue e gli ingigantivano l’ego, perché il grande eroe del Mondo Magico in fondo era solo un ragazzo un po’ smilzo che aveva bisogno di lui; e sapere d’essere un tassello importante per qualcuno era una sensazione che decisamente causava dipendenza. D’altro canto, se calcava la mano e osava tanto così più del dovuto, avvicinandolo e provando a rapportarcisi, la mole di quel suo titolo – d’eroe, per l’appunto – pareva proiettare un’ombra che oscurava tutto, e allora la maledetta tossina gli stringeva il petto e lo schiacciava.
        Era assurdo: mai avrebbe creduto che odiare qualcuno potesse essere tanto difficile. E soprattutto, mai avrebbe creduto di potersi riscoprire disposto a far tanti sforzi pur di portare avanti un rapporto di quel tipo.
        Evidentemente, ne valeva la pena.
 
 
» …
 



 
Angolo di Tormenta

Non volevo che i fatti di questo capitolo fossero un copia incolla di quelli del quinto. Per quel che riguarda la scena tra Potter e Malfoy, intendo; l'intenzione era di renderla più "diretta", ad indicare un bisogno più impellente. Spero d'esserci riuscita! A voi la sentenza. ;) 

Vi ringrazio per aver letto sin qui! Love you all! c:
Baci e a presto,
T. ♪
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
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Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
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