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Autore: Emerlith    15/12/2015    3 recensioni
[Dorcas Meadowes/Rabastan Lestrange] con accenni a [Bellatrix Black/Rodolphus Lestrange]
Rabastan Lestrange ha quindici anni. È cresciuto all'ombra di suo fratello Rodolphus, cercando di racimolare, negli anni, almeno qualche briciola di quell'affetto che però lui sembra nutrire esclusivamente per Bellatrix.
Rabastan Lestrange ha probabilmente odiato Bellatrix Black con ogni suo atomo, durante l'arco della sua intera vita, e per diverse ragioni. Rabastan probabilmente non ha mai potuto tenersi stretto neppure un barlume di quell'amore che suo fratello viveva alla luce del sole. Rabastan ha conosciuto l'amore soltanto per sbaglio.
Genere: Angst, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Dorcas Meadowes, Rabastan Lestrange, Rodolphus Lestrange, Sorelle Black | Coppie: Rodolphus/Bellatrix
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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Parte quarta:
per un attimo
 

Avvolto in una spirale di surreale calma, Rabastan contemplava le onde del mare in burrasca.
Ne ascoltava il tumulto, stringeva al petto nudo la schiena di Dorcas e distrattamente carezzava le lisce ciocche dei suoi capelli, impigliati fra le coperte.
Lei giocava con la sabbia; ne faceva mucchietti, per poi lasciarla scivolare fra le dita, in silenzio, senza prestare attenzione né a Rabastan né al mare. Sembrava persa, e a guardarla ci si chiedeva se sarebbe mai ritornata indietro.
Rabastan rabbrividì. Constatò che fare l’amore su una spiaggia deserta in pieno inverno non fosse stata poi una grande trovata, ma poi pensò anche che –nonostante il freddo patito, fosse stata probabilmente la volta più bella di tutta la sua vita. Tirò su la testa quel tanto che bastava per scorgere il viso di Dorcas, ma non riuscì, di nuovo, a pronunciare parola.
La ragazza non sembrava né triste, né felice, né aveva l’aria di desiderare d’essere al caldo, magari in un letto. Se ne stava semplicemente così, inerme, sdraiata sulle dune con addosso solo un’esigua coperta rimediata all’ultimo momento, e non sembrava neppure accorgersi della presenza di Rabastan.
Lo strascico di luce violacea del tramonto stava rapidamente lasciando il posto al buio, e le prime stelle già facevano capolino all’orizzonte. Rabastan tossicchiò, ma Dorcas non parve cogliere nessuna allusione. Confuso, si tirò a sedere e le carezzò piano la schiena. Lei si voltò, e lui si rese conto che in realtà stava piangendo, -di nuovo.
 
Rammaricato, sbuffò. Non era abituato a quel genere di cose. Non era usuale, per lui, rendere palese qualsivoglia forma di sentimento, fosse stata anche rabbia era abituato a mascherare, nascondere, sopportare in silenzio, far buon viso a cattivo gioco. Per cui, non poteva essere biasimato più di tanto se, mentre Dorcas piangeva e singhiozzava accartocciata su se stessa, lui restava impalato come uno stoccafisso, la testa fra le mani, l’espressione ebete di un ragazzino impacciato.
Fu il mare a venire in suo soccorso; un’onda arrivò a bagnare le gambe di entrambi, e l’acqua gelata li costrinse ad alzarsi. Istintivamente, come aveva sempre fatto, Rabastan tirò Dorcas a sé, ma stavolta lei non lo abbracciò, né parve gradire lo stretto contatto fisico. Senza fare appello a richieste esplicite, né ad espliciti divieti, Rabastan fece l’unica cosa che gli parve sensata: la riprese in braccio e arrancando tornò in casa, gridando all’elfo di raccattare i vestiti e ravvivare il fuoco.
 
Non si fermò in salotto, ma si diresse direttamente al piano superiore, sorridendo suo malgrado al familiare scricchiolio dei gradini malconci. Aprì con un calcio la porta della sua stanza e con poco garbo gettò Dorcas sul letto, lasciandosi cadere dopo di lei, le gambe penzoloni e sporche di sabbia pronte a scappar via –per andare poi dove, non avrebbe saputo dirlo.
Passarono alcuni minuti interrotti solo dai singhiozzi sommessi della ragazza e dagli sbuffi secchi di Rabastan, che poi si rialzò, e stavolta la cosa che gli sembrò più ovvia da fare fu anche la più sbagliata.
-Si può sapere cos’hai da piangere? È tutto il pomeriggio che ascolto le tue lamentele, non ti sopporto più!-
Aveva urlato, e nel farlo aveva anche scaraventato contro la finestra un cuscino, ma almeno era riuscito a zittirla, o almeno così gli parve –anche se al buio non era così facile intuire l’espressione del viso di Dorcas, che ora era rannicchiata nell’angolo superiore del letto, le ginocchia serrate al petto, gli occhi zaffiro sbarrati. Frustrato, Rabastan raccolse il cuscino e in un altro impeto d’ira lo lanciò nuovamente; nel breve e azzardato volo verso il letto di Rodolphus, però, il cuscino urtò qualcosa, che cadde nel buio e si schiantò contro il pavimento con un fracasso tale da far ricominciare il pianto angosciato di Dorcas.
-Smettila di frignare, ragazzina! Ho detto smetti di piangere!- Non attese di calmarsi, non pensò lucidamente –non pensò affatto. Arrancò verso di lei e le assestò uno schiaffo in pieno viso.
Uno schiaffo violento, da farle girare la testa e rendere il buio ancora più buio, il freddo ancora più freddo e paralizzante.
-Sc-scusami.- Riuscì a balbettare dopo quelle che parvero ore. –Scusami, Dorcas, per Dio.-
Arrancò in cerca di un lume. Lo accese, lo portò al comodino e s’inginocchiò ai piedi del letto.
Le afferrò le braccia, poi il viso; la costrinse a voltarsi verso di lui, e avvicinò il viso al suo.
Si specchiò nelle sue lacrime che alla luce fioca parevano ambrate. Un’improvvisa e straziante voglia di piangere pervase anche lui, e per fingere, mascherare ancora una volta, tentò goffamente di baciarla, ma lei tremava così violentemente che urtò la fronte alla sua, e lui non riuscì a fare altro se non maledirsi, imprecare, e metterle la coperta sulle spalle per poi prenderla nuovamente in braccio.
-Ti prego.- Biascicò, cercando di cullarla. –Ti pregò, dì qualcosa. Sembri una bambola, fa’ qualcosa, altrimenti divento matto. Io non… io non volevo, Dorcas, guardami, per favore, Dorcas, fa’…-
-Ho tanto freddo.-
Rabastan sobbalzò. Tirò indietro la testa per vederla in viso. Finalmente lei ricambiò il suo sguardo. Aveva le labbra violacee e la pelle bianca come l’avorio. Sembrava morta. Rabastan scosse violentemente la testa per scacciare quell’orribile pensiero che gli si era affacciato alla mente e sedette nuovamente sul letto, tenendola ancora fra le sue braccia le cinse la vita, le sfiorò piano la guancia arrossata.
-Scusami. Vuoi che… vado a prenderti delle altre coperte e qualcosa da mettere indosso,
d’accordo? -
Dorcas annuì debolmente, ma Rabastan rimase dov’era. Dopo un attimo di trance fischiò, e l’elfo apparve dal nulla. Con un cenno Rabastan indicò l’armadio; velocemente apparve una pila di coperte e camicie da notte. Ne afferrò una senza badarvi e Dorcas lasciò che l’aiutasse ad infilarla. Poi si lasciò avvolgere da una pesante coperta di lana, e si distese sul letto con lui, mantenendo il contatto visivo. Rabastan raccattò un altro plaid e lo mise sulla testa di entrambi, una tenda improvvisata per farla sentire più al caldo, più protetta.
-Mi vergogno di me stesso.- Confessò, sfiorandole ancora la guancia. Il fiato caldo di lei gli annebbiò i pensieri per un momento. Sentì il cuore battergli con forza nel petto, arrossì all’improvviso, per la rabbia che lo rendeva incapace di agire nella giusta maniera, incapace di comunicarle quanto stesse male anche lui in quel momento, e quanto desiderasse solo stringerla a sé, per dimenticare il resto del mondo.
Dorcas, timidamente, annuì.
-Scusami.- Sussurrò, protendendosi verso le sue labbra. –Scusami, Cas.-
Lei non fiatò, lui la baciò delicatamente, salì fino alla fronte, intrecciò le gambe alle sue e la sentì tremare.
-Hai paura?_ Le domandò.
Lei annuì.
-Hai paura di me? Hai paura di… Cas, non ti farei mai del male.-
Finalmente Dorcas parlò, anche se ogni sillaba sembrò costarle un’immensa fatica.
-Lo hai appena fatto.-
Rabastan contrasse la mascella, serrò le palpebre.
-Lo so. Ma io… io non volevo, non avrei dovuto, tendo ad innervosirmi se…-
-Lo hai fatto. Lo hai sempre fatto.-
Rabastan riaprì gli occhi, sconcertato. Scacciò via la coperta, ma Dorcas ne riafferrò un lembo e lo strinse forte.
-Cosa vorresti dire?- Le chiese, sollevandosi sull’avambraccio. -Non ti avevo mai colpita prima di questa sera.-
Dorcas sorrise tristemente, asciugò gli occhi con il lembo della coperta. Poi li riaprì, e tornò a guardarlo fissamente, riprendendo a parlare piano, quasi si stesse rivolgendo ad un’altra parte di se stessa.
-A volte, quando fai… quando fai l’amore con me, mi fai male.-
Rabastan cercò di ribattere, ma lei lo zittì premendogli la mano sulle labbra.
-Usi la forza…non te ne rendi conto, ed io non ti dico nulla, perciò è anche colpa mia. Ma… mi fai male. E mi ferisci anche nei corridoi, quando ci incrociamo e tu…- La voce le si incrinò, fermò il tremore del labbro con un morso e riprese a sussurrare -E tu fingi di non conoscermi neppure…quando parli con altre ragazze, e chissà, magari te le porti anche a letto e… non lo so, magari è giusto che sia così, magari è colpa mia, perché anch’io sono, sono solo una …-
Rabastan la zittì con un altro bacio. Disperato, violento quasi quanto lo schiaffo precedente. Dorcas fece resistenza, ma lui le diede un morso e riuscì a calmarsi solo quando sentì il sapore dolce del sangue sulla sua lingua. La stese dolcemente sulla schiena e continuò a baciarla, per minuti interi, mentre lei piangeva. Ne sentiva ogni singulto, ogni lacrima s’impigliava alle sue ciglia ed ogni ansito strozzato moriva fra le sue labbra, ma se davvero un giorno fosse sopravvenuta la morte, allora avrebbe voluto morire così, con quelle lacrime a far da pioggia sulla sua salma nuda e priva di scopo, con quei singulti a far da ninna nanna per la sua anima persa –e dannata.
 
-Cas, sono io quello sbagliato, non tu.- Mormorò, non appena si slacciarono per riprendere fiato.
Dorcas si arrese, cominciò ad accarezzargli i capelli, giocare con i suoi riccioli, toccare ogni centimetro del suo viso.
-Scusami se… se sono stato quello che sono.- Abbassò la testa, fissò i piedi di entrambi, sporchi di sabbia, e ricordò i rimproveri apri di sua madre, ogni qualvolta lui e suo fratello rientravano dalla spiaggia e magari dimenticavano di ripulirsi a dovere prima di rientrare in casa. Il ricordo vivido delle sgridate, e dell’umiliazione provata nel ricevere senza tante cerimonie un bel paio di ceffoni, lo rese, se possibile, ancora più avvilito –ed ebbe il potere di farlo sentire ancora più in colpa.
Ora era Dorcas che lo scrutava; il pianto si era fermato, le guance avevano ripreso colore.
-Non hai niente da dirmi?- Chiese, con tono più fermo.
Rabastan scosse piano il capo. Cosa avrebbe potuto dirle, per giustificare le sue azioni?
Tutto ciò che Dorcas gli aveva appena fatto presente era vero. Spesso l’aveva trattata come un oggetto, una bambolina alla sua mercé, infischiandosene dei suoi sentimenti. Aveva minimizzato la questione persino con Andromeda, non era riuscito ad essere del tutto sincero neppure con se stesso, perché esserlo avrebbe significato ammettere qualcosa di molto più grande –e lui non era pronto per questo. Ammettere d’esserne innamorato –la sola parola gli procurava spavento, equivaleva a dire d’essere caduto in trappola, d’essere null’altro se non un debole, un vulnerabile fantoccio condizionato dalle manie d’onnipotenza della sua famiglia. Rabastan se ne rendeva conto, ma come avrebbe potuto spiegarglielo, senza farla soffrire ancora una volta?
Iniziò a passarsi furiosamente le mani fra i capelli, sentendo i granelli di sabbia solleticargli fastidiosamente la fronte. Si contorse fra le coperte, agitato –avrebbe preso a calci qualsiasi cosa. Dorcas rimase immobile, mentre il respiro di Rabastan diventava sempre più affannoso, smorzato, -pareva stesse annegando, e non c’era nessuno pronto a salvarlo dalla marea, tranne, forse, le labbra di lei. Con sua enorme sorpresa, Dorcas si sollevò piano e riprese ad accarezzargli il viso, lo tenne fermo mentre si contorceva, avvicinò la guancia alla sua e respirò lentamente, a pieni polmoni.
-Respira con me.- Gli sussurrò, tenendolo stretto a sé.
Rabastan cacciò indietro le lacrime, il pianto avrebbe dato libero sfogo a quei pensieri che dovevano necessariamente restare nascosti in un angolo buio della sua psiche, e tentò di seguire il respiro di lei, anche se era difficile, lo era dannatamente, -la morte sarebbe arrivata e lo avrebbe colto così, -e lei, lei non sarebbe stata al suo fianco.
Rimase a vagliare l’ipotesi di morire così, in quel letto, per un bel pezzo, finché il sonno non sopraggiunse per offrirgli ristoro.
 
Si svegliò con i raggi del sole che gli colpivano il viso. Aprì piano le palpebre e non ricordando dove si trovasse sobbalzò, rischiando di cadere fuori dal letto. Ma una rapida occhiata alla stanza gli bastò per sentire il sapore amaro dei suoi tentativi: il mare, il voler trascorrere un fine settimana con Dorcas –e il completo disastro che invece era riuscito a combinare. Si voltò di scatto in cerca della ragazza. Dormiva, gli dava le spalle e abbracciava un cuscino. Rabastan fu nuovamente pervaso da una profonda tristezza. Non ricordava d’essersi addormentato. Non ricordava neppure di averle spiegato le ragioni del suo comportamento meschino, anzi, a ben pensarci non ricordava d’aver parlato affatto. Si stropicciò gli occhi, esausto nonostante le ore di sonno profondo.
L’intera casa era immersa nel silenzio. Lasciò vagare lo sguardo vacuo lungo le pareti sbiadite e macchiate d’umidità. I suoi libri d’avventura, assieme ai pochi giocattoli in legno della sua infanzia, erano ordinatamente impilati sulla libreria. Un orsacchiotto, sul letto di Rodolphus, pareva fissarlo. Rabastan guardò sotto al proprio, di letto. Provando a non svegliare Dorcas, tirò verso di sé il baule dove teneva i suoi vecchi vestiti e iniziò a tirar fuori maglioni e camicie, in cerca di qualcosa di pulito da mettere. Stava giusto iniziando a vagliare l’ipotesi di una colazione, e anche quella di una conversazione –non avevano praticamente parlato, quando sentì Dorcas che, piano, faceva il suo nome. Lasciò cadere i maglioni e si voltò, cautamente mise una mano sulla spalla della ragazza.
-Sono qui.- Lei si voltò, di scatto, l’espressione spaventata e confusa.
-Dove sono?-
-Sei a casa mia, siamo nella mia residenza… al mare, siamo al mare, ricordi?- Tentò di sorriderle per rassicurarla, ma lei in risposta tirò su le coperte fino al mento, e strinse nuovamente il cuscino al petto. Rabastan sospirò, si chinò piano su di lei e scostò le coperte, infilandovisi dentro.
-Tu non… non avresti un libro, per caso?-
Rabastan si accigliò nuovamente, strinse le labbra.
-Tu vuoi… un libro?- Chiese, grattandosi furiosamente i capelli.
-Sì. Mi aiuterebbe. Sai, per calmarmi… io leggo molto, soprattutto quando sono agitata.- Pigolò Dorcas, arrossendo e tirandosi le coperte fino al mento. Se avesse potuto Smaterializzarsi, lo avrebbe fatto all’istante.
Rabastan decise di prendere in mano la situazione.
Invece di correre a prendere un libro, sedette, e con calma le scostò le coperte dal viso.
-Di libri ne ho, lo studio al piano di sotto ne è pieno. Ma… sinceramente, non vorrei che tu leggessi, stamattina. Invece di leggere, potresti, potremmo…-
-Non prenderla male, ma io… se mi chiedi ancora di fare sesso fingerò di avere un’emicrania. Sono esausta.- Confessò, senza però abbassare lo sguardo.
Rabastan sorrise, sinceramente. Scosse la testa, e fece un cenno con la mano per farle capire che le sue intenzioni erano, per la prima volta, più nobili.
-In realtà non volevo chiederti di fare sesso. Volevo chiederti di… di parlare, semplicemente. Potremmo parlare, per una volta. Che cosa ne dici? Ti piace, come programma?-
La ragazza non rispose. Continuò a guardarlo come se non credesse a ciò che aveva appena udito, o come se stesse cercando di decifrare l’enigma di un sogno. Rabastan però intravide un nuovo barlume nei suoi occhi, non più offuscati dal pianto, e ciò lo pervase nel tentare l’ardua impresa.
Si distese nuovamente, abbracciò il secondo cuscino e passandole l’indice sul naso rimase a fissarla.
Dorcas deglutì, il fiato corto.
-Vuoi baciarmi?- Gli sussurrò un secondo dopo, suscitando un secondo sorriso divertito da parte di Rabastan.
-Baciarti non è una cosa che mi dispiace, e questo… questo credo che tu lo sappia. Invece ci sono altre cose, cose che mi incuriosiscono e vorrei…-
-Vorresti cosa?-
-Vorrei chiederti qual è il tuo colore preferito, ad esempio. O il tuo libro preferito. Anche la tua materia scolastica preferita, e quando sei caduta dalla scopa la prima volta. Vorrei chiederti a cosa pensi, quando hai lo sguardo assorto, all’ora di pranzo, e guardi al di là delle vetrate. Vorrei essere nella tua testa, a volte, per sapere se pensi mai a me, quando non ci vediamo. E adesso vorrei essere persino nei tuoi occhi, proprio qui –allungò l’indice a sfiorarle le palpebre, sul fondo delle tue iridi azzurre, e vorrei sapere perché senti ancora il bisogno di piangere.-
Prese un profondo respiro, mentre raccoglieva con delicatezza una lacrima dalla punta delle sue ciglia. Dorcas cercò di ricomporsi.
-Non ti sembra di voler sapere troppo, in una sola volta?-
Rabastan rise, poi l’abbracciò, tirandola a sé, e le stampò un bacio, delicatamente.
-È troppo?- Sussurrò, giocando con le sue labbra.
-È il verde.-
-Cosa?-
-Il mio colore preferito. Ed il libro… questo non lo so, perché ne ho letti troppi. Storia antica, checché ne dicano tutti, è una materia meravigliosa. E la prima volta in cui sono andata su una scopa avevo tre anni; cadendo ho urtato la fronte contro lo spigolo di marmo della scalinata di casa, credo che sia per questo che non ho mai amato particolarmente il Quidditch. Sono spesso assorta, me lo dicono tutti, ma non sempre penso a qualcosa in particolare. E se…se davvero vuoi saperlo, spesso penso a te. Penso a te sempre. Continuamente. Non riesco a smettere di pensare a te da almeno due anni, e…-
 
Rabastan non le diede il tempo di continuare, la sollevò e prese a baciarla con foga, con il cuore che pareva dovesse scoppiargli nel petto. Non avrebbe saputo spiegare come si sentisse, sapeva solo che stava bene, che aveva caldo, che i raggi del sole nella stanza illuminata non erano mai stati più belli di così, e per un attimo, cullato in quel morbido abbraccio e dal ritmo scandito di quei teneri baci, ebbe la certezza assoluta che quel momento fosse unico e irripetibile: l’attimo per cui era valso tutto il resto. Si sorrisero, timidi e impacciati come se si trovassero in quella situazione di intimità per la prima volta.
-C’è dell’altro che vorresti sapere?- Mormorò Dorcas, giocando con i suoi riccioli.
-Qual è il tuo piatto preferito? Avrei un discreto appetito… non abbiamo mangiato nulla da quando siamo arrivati.- Dorcas rise come se Rabastan avesse detto la cosa più spassosa del mondo, e lui si lasciò contagiare da quella risata tersa come una giornata d’estate. Rotolarono fra le coperte facendosi il solletico, mordendosi le orecchie, giocando come due bambini alla mattina di Natale.
Le risate riecheggiavano giù, lungo le scale: ma non se ne preoccuparono. Non c’era nessuno, per testimoniare quello sprazzo d’amore e d’azzurro. Solo il mare ne sarebbe stato l’eterno custode, e con lui il suo brusio.
 
Rabastan riuscì a trascinare Dorcas giù dal letto, e continuando a ridere la fece girare su se stessa, improvvisando un Walzer privato. L’atmosfera cupa della notte precedente pareva essere solo un lontano ricordo, quando improvvisamente la ragazza smise di ridere e con una smorfia di dolore si arricciò contro il petto di lui.
-Cosa c’è, che hai?-
Rabastan le sollevò il viso, nuovamente bagnato di lacrime.
-Cosa c’è, cos’ho fatto, hai… cos’è tutto questo sangue?!-
Dorcas si accasciò su di lui, che la sorresse prontamente e la mise a sedere sulla scrivania.
-Cas, dov’è he ti fa male, che cosa…-
-Il piede, ho, devo essermi…-
-Ti sei tagliata.- Constatò Rabastan, più confuso che mai. –È una brutta ferita… no, non guardare, altrimenti svieni, io non…-
-Ma con chi credi di parlare, perché dovrei svenire?- Bofonchiò Dorcas, chinandosi verso il suo piede grondante copiosi rivoli di sangue. Rabastan si inginocchiò.
-C’è una scheggia, devi…-
-Devo toglierla? Ma…ma è conficcata in profondità, potrei chiamare…dove diavolo si è cacciato quell’essere obbrobrioso?-
-Smettila, Rab. So estrarla anche da sola.- Ribatté seccamente Dorcas.
Un attimo dopo la scheggia era sullo scrittoio, e quello sul punto di svenire pareva essere proprio Rabastan, che per distrarsi dalla vista del sangue, mentre l’elfo puliva, si preoccupò di andare a prendere degli asciugamani puliti nel bagno. Di ritorno, calpestò un’altra scheggia, ancor più grossa della precedente. Per fortuna aveva avuto l’accortezza d’indossare delle ciabatte, ma si mise nuovamente carponi all’altezza del pavimento e prese a scrutarlo con attenzione.
-Riesce a far danni anche quando non c’è.- Disse poi, il tono spensierato di prima volato via dietro alle raffiche di vento.
-Cosa, di chi parli?- Rabastan sbuffò, rialzandosi gettò gli asciugamani in direzione di Dorcas.
-Pulisciti, anzi, vieni, ti accompagno in bagno, sarebbe meglio lavarla…-
-Chi è che fa danni?-
 
A Rabastan non piaceva particolarmente la vista del sangue, ma non si considerava un ragazzo superstizioso e facilmente impressionabile. Crescendo in casa Lestrange, era stato abituato ad una certa quantità di stranezze e macabre usanze. Eppure, un brivido freddo, lo stesso di tanti mesi prima, quando era in quella grotta e aspettava Dorcas, lo percorse interamente fino alla punta dei capelli. Rabbrividì, e per mascherarlo si chinò ancora per raccattare le altre schegge di vetro.
-Mi spieghi da dove arriva questo…-
-È questa.- Rabastan sollevò una cornice completamente spaccata, con dentro un ritratto di una perfetta Bellatrix Black che sorrideva in tutto il suo splendore.
Dorcas saltò giù dalla scrivania, prima che Rabastan potesse far qualcosa per impedirglielo afferrò la cornice e la portò vicino al viso, in silenzio.
-Lei è…-
-È Bellatrix Black, la fidanzata di tuo fratello. Non è così?-
Rabastan si mise sulle difensive; il tono di Dorcas pareva leggermente accusatorio.
-Dev’essere caduta ieri notte, quando ho lanciato il cuscino… ma sì, quando stavamo discutendo.-
-Vorrai dire quando tu mi stavi picchiando.-
Rabastan arrossì violentemente.
-Ora non ti sembra di esagerare un po’? Per un tallone perforato da una scheggia da cinque centimetri non fai una piega, e per uno schiaffo invece fai cascare il mondo…-
-La scheggia non ha deliberatamente deciso di farmi del male.-
-Se quel vetro custodiva una fotografia di Bella, io non ci giurerei troppo.-
Voleva essere divertente, ed invece ottenne l’effetto contrario; ebbe il potere di suggestionare ulteriormente perfino se stesso.
-Dammi qua.- Bruscamente, riafferrò la cornice in pezzi e la rimise sulla scrivania, a faccia in giù.
-Non la ripari?-
-E come faccio, senza usare la magia? E poi, a malapena se ne accorgerà, mio fratello, visto che…-
Solo ora Dorcas parve notare veramente la stanza in cui si trovavano. Se non fosse stata sicura d’essere in camera di Rabastan, avrebbe potuto giurare di essere in quella di una ragazza. Non una qualunque, bensì Bellatrix Black. Tutti i quadri alle pareti, eccetto uno, che raffigurava una nave in tempesta, ritraevano lei.
Lei da bambina, lei con Rodolphus, lei con le sue sorelle. Di un ritratto del povero Rabastan, neppure l’ombra.
-Ma è…- Si strinse nelle spalle, l’esigua camicia da notte frusciò sul pavimento.
-Patetico? Inquietante? Come definiresti l’ossessione di mio fratello nei confronti di Bellatrix?-
Dorcas abbassò lo sguardo, ravviandosi i lunghi capelli dorati.
-Magari ne è semplicemente innamorato.- Si limitò ad aggiungere.
Rabastan rise, ma fu una risata senza la minima traccia di gioia.
-Sarà quello che vuoi, io continuo a sostenere che non è da persona sana di mente…-
-Tu non hai neppure una mia fotografia.-
Cadde nuovamente il silenzio.
Rabastan cercò di ribattere, ma si rese conto che la constatazione della ragazza era vera e, cosa ancor più grave, si rese conto di non averci mai pensato.
-Io, io…- Dorcas indossò uno dei maglioni finiti in terra.
-Lascia perdere. Non avrai mai una mia fotografia, né ci sarà mai un mio ritratto incorniciato alle pareti di casa tua.- La voce le si incrinò di nuovo. Rabastan maledisse Bellatrix ancora una volta.
-Non ci sarà mai un mio vestito appeso al pomello di un tuo armadio, o un mio orsacchiotto sul tuo letto, non …-
Rabastan sussultò, e in uno scatto andò a cingerle la vita, il viso affondato nei suoi capelli.
-Tranquilla, Cas. Non ricominciare, adesso, non piangere, non lo sopporterei un’altra volta…-
Dorcas si voltò, liberandosi dalla presa.
-Ma sto dicendo la verità! Che c’è, non vuoi sentirtela dire? Perché, perché mi hai portato qui, se non riesci a vedere un futuro per noi? Se non hai il coraggio di raccontare di me neppure a tuo fratello…-
-Sssh! Smettila!- Svelto le tappò la bocca con una mano, intimandole con gli occhi di non muovere un muscolo.
-Lo hai sentito anche tu?- Bisbigliò, concitato.
Dorcas aggrottò la fronte, lentamente scostò la mano di Rabastan e la strinse nella sua.
-Cosa, sentito cosa?-
-Un… qualcosa, era… sembrava una risata, e poi… un rumore di passi.-
In un attimo afferrò la bacchetta –Dorcas non sapeva neppure dove fosse finita la propria, e la puntò contro la porta spalancata.
-Chi c’è?- Urlò poi, continuando a tenere la ragazza per mano. Frog, sei tu?-
Dorcas gli strinse il braccio, cercò di strattonarlo verso di sé.
-Andiamo Rab, così mi spaventi. Non può esserci nessuno di sotto, c’è solo l’elfo, sarà stato lui…-
-Frog è fuori, l’ho mandato a raccogliere della legna da ardere. E poi riconosco i passi degli elfi…e soprattutto gli elfi non ridono a quella maniera.-
-Se vuoi spaventarmi, sappi che non attacca…-
Rabastan le tappò nuovamente la bocca e il frastuono di un tuono scosse l’intera casa. L’ultimo raggio di sole si allontanò fugacemente, e all’orizzonte apparvero nubi bluastre, cariche di pioggia.
-Non sto scherzando.- Sussurrò Rabastan, mortalmente serio.
-Non siamo soli in questa casa.-
 
Un lampo illuminò le impronte del sangue di
Dorcas sul parquet tirato a lucido. 
  
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