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Autore: fiammah_grace    18/12/2015    1 recensioni
[Resident Evil: code Veronica X]
"Seppur la non fisicità di Alexia, la sua presenza era rimasta come un alone costante nella vita dell’uomo che abitava oramai da solo quel vuoto castello.
Una costante fittizia, ma così viva e forte che a un certo punto lui stesso l’aveva resa reale continuando a dare un nome, un volto e un ruolo alla sua venerata e lontana sorella, muovendo uno spaventoso gioco di ruolo mentecatto in cui ella esisteva e non lo aveva mai lasciato.
Nulla avrebbe avuto importanza per lui. Avrebbe sacrificato ogni cosa al fine del benessere e del successo della sua Unica Donna, la sua Unica Regina. Persino se stesso.
Qualcuno tuttavia aveva osato disturbare la sua macabra attesa.
Claire Redfield. Il nome della donna dai capelli rossi che aveva invaso il suo cammino nel momento più prezioso. Il nome dell’infima donna che aveva sporcato l’universo perfetto di lui e Alexia, portando scompiglio nel suo territorio.
Quella formica che gli aveva dato del filo da torcere…persino troppo. Più di quanto potesse sopportare."

[Personaggi principali: Alfred Ashford, Claire Redfield]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfred Ashford, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo 12: La bella addormentata nel bosco
 
 
 
 
 
 
Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è.
(Marguerite Duras)
 
 
 
 
 
 
Un lungo percorso di scale che scendono e che salgono…
Non capisco più dove esse inizino o finiscano.
Non so se è normale, probabilmente no. Mi sento solo sempre più confusa, sopraffatta da questo mondo che non riesco né a capire, né a domare; il quale ha schiacciato la mia libertà costringendomi a piegarmi alle sue meschine regole imparziali.
Sto avanzando verso le profondità di un abisso? Oppure lentamente sto arrivando alla luce?
A cosa mi porterà questa strada?
Forse lo capirò solo quando vedrò sotto i miei piedi una voragine, oppure la penombra di un raggio di sole.
So solo una cosa: se non voglio morire, devo continuare ad andare avanti.
Se verso il basso o verso l’alto, non importa.
Posso soltanto stringere al petto la mia pistola e puntarla davanti al mio nemico, così che possa arrivare a scoprire dove mi trovo e verso dove sto viaggiando.
La mia unica alleata è la morte. Fintanto che riuscirò ad averla dalla mia parte, posso sperare di sopravvivere.
E’ a questo che mi ha condannato questo mondo folle.
Avevo giurato a me stessa che mai più sarei caduta in questo incubo.
Invece devo correre; correre contro questo destino, non sapendo se così sto velocemente avanzando verso la libertà, o il più probabile buio della mia anima.
 
Claire Redfield puntò la 9mm davanti a sé e sparò.
Aveva trovato una ricarica lasciata incustodita sul davanzale di una finestra.
Consumata e impolverata, al suo interno i proiettili sembravano comunque ancora utilizzabili, così aveva caricato la pistola e ora aveva ben dieci opportunità di sopravvivere.
Dieci colpi, dieci speranze di liberarsi dai suoi nemici.
Stette attenta a non sprecarne nessuno, consapevole di quanto quei colpi fossero tanti rappresentando che prima era disarmata, ma che fossero assolutamente pochi per sperare di combattere alla pari con loro. Doveva ben pesare le situazioni di pericolo, così che ogni volta che un proiettile sarebbe uscito fuori dalla canna, non sfumasse con esso anche la sua possibilità di sopravvivere.
Ogni proiettile…un’opportunità di salvarsi in meno.
Ognuno di essi aveva un peso terribile quando rintoccava sul pavimento.
La rossa strinse i denti, cercando costantemente scappatoie alternative. Il più delle volte optava per un mordi e fuggi ma non era sempre facile evitare quegli zombie.
In quel momento il destino sembrò volersi prendere gioco di lei, delle sue paure, del fatto che contasse ad uno a uno i colpi utilizzati proprio per non sprecarne nessuno.
Questo perché le si pararono improvvisamente davanti un’orda di ben sei zombie.
Era un corridoio stretto, non poteva evitarli in nessun modo. Dovette quindi schiacciarsi contro un angolo del muro e sparare, sparare e sparare ancora, mirando nel modo più preciso possibile e pregando che morissero velocemente. Dei pensieri duri, insostenibili per una ragazza come lei, che dava grande rispetto alla vita.
Fortuna che quei mostri sembravano sufficientemente malandati da cadere a terra dopo un paio di colpi ciascuno.
Non poté atterrirli tutti. Un paio continuarono a strascinarsi sulla moquette, imbrattandola con le loro viscere deteriorate ormai molto tempo fa.
Claire poté quindi scappare via, approfittando della loro lentezza.
Dopo aver ucciso la donna trasformata in zombie con l’abito di Alexia strappato indossato da lei stessa, Claire si era concessa qualche attimo di sfogo in cui aveva pianto silenziosamente nella solitudine di quella stanza.
Quella pausa l’aveva ricaricata, ripristinando la sua forza e la sua determinazione.
Seppure avesse l’umore sotto i piedi, si sentiva rinata in qualche modo.
Dopo tanto stress, ne aveva avuto davvero bisogno.
Così aveva aggiustato la sua coda di cavallo oramai sfatta, legandola stretta dietro la nuca, e aveva imbracciato l’arma che aveva fortuitamente trovato sul suo cammino.
Alfred aveva cercato di eliminarla facendola entrare in quella stanza chiusa assieme a quella b.o.w. , ma Claire si era dimostrata ancora una volta più capace di quanto lui avesse pensato. Così tanto da aver tratto un vantaggio persino da quella tremenda circostanza: adesso era in possesso di un’arma!
Era attualmente scarica, ma avere una pistola nell’arsenale era vitale. Finalmente poteva proteggersi.
Oltrepassato quindi il museo delle armi, si era ritrovata in nuova ala di quella villa oscura abitata dalle marionette.
Si era imbattuta così in molte aree chiuse, fino a quando era giunta in quello stretto corridoio infestato dagli zombie.
Adesso quindi avanzava dritto per la sua strada, con una scintilla negli occhi che trasmetteva tutta la sua tenacia.
Si fermò davanti ad un quadro molto strano, che ritraeva un viottolo.
Generalmente i quadri di quel castello erano per lo più ritratti. Quel paesaggio così semplice, quindi, destò la sua curiosità. Inoltre non c’erano altri luoghi dove proseguire e le venne spontaneo osservare quel dipinto.
Vedeva un prato verde, un albero, e poi questa stradina di campagna che proseguiva fino a perdere le sue linee nell’infinito. Era come se suggerisse allo spettatore di seguire quella strada con gli occhi.
Non seppe come le venne la brillante idea di provare a spostare il quadro; mossa che fu illuminante in quanto, dietro di esso, trovò nascosta una porta.
Con la tela ancora fra le mani, Claire boccheggiò più volte, sorpresa da quell’intuizione.
Se non avesse pensato a fare una cosa simile, si sarebbe trovata bloccata per chissà quanto tempo!
Lieta comunque che una parte del suo cervello non fosse totalmente negata nelle risoluzioni di certi enigmi, o piuttosto che si fosse oramai abituata a lasciarsi incuriosire da tutto, proseguì oltre quella porta.
Si stava proprio per chiedere se fosse ancora nella “casa delle bambole” oppure no, quando una luce la accecò improvvisamente.
Portò una mano all’altezza degli occhi, cercando parallelamente di sbirciare da dove provenisse quella fonte abbagliante.
Quel che riuscì a inquadrare però fu soltanto la zona circostante.
Era un luogo vuoto, sembrava come una piattaforma metallica, del tutto differente dall’ambiente sfarzoso e domestico visitato precedentemente.
Non si sorprese quando il padrone di casa fu la voce che la accolse in quello strano atrio.
Anzi…La padrona.
Alfred utilizzava ancora, infatti, quell’assurda voce da donna che diventava sempre più fastidiosa da sentire.
 
“Salve Redfield! Così sei sopravvissuta di nuovo alle mie trappole. Sei davvero così fortunata, oppure non sono stata ancora abbastanza cattiva? Non riesco a rispondere a questa domanda....
Poco importa, comunque. Visto che sei riuscita ad arrivare fin qui, e non solo, hai persino recuperato un’arma da tiro, voglio testare le tue abilità in un gioco che io personalmente adoro tantissimo!”
 
Disse tutto in modo stucchevole ed elettrizzato.
Claire si sentì confusa da quelle parole, oramai spazientita dall’ “ospitalità” di quei dannati ‘gemelli’!!
 
“Che hai in mente questa volta?”
 
“Sono contenta che me lo chiedi.” disse tutta eccitata Alexia. “Come noterai, quest’area è molto diversa da quelle che hai visitato. Oltrepassando la porta che vedi dinanzi a te, infatti, ti troverai in un luogo assolutamente…delizioso…”
 
Spiegò lei, pregustando già quel divertimento.
La Redfield poté sentire la sua euforia anche solo nell’immaginare il gioco di cui presto avrebbe inesorabilmente fatto parte, ancora una volta. Questo per sollazzare i capricci di quel maniaco mentecatto di Alfred.
Si limitò così a scorgere la porta menzionata e allora anche le sue meningi si attivarono.
Accanto ad essa, infatti, era disegnata la mediocre immagine di un omino realizzato con linee essenziali, con in mano quella che sembrava essere una pistola, con tanto di “BUM” scritto affianco. Sulla porta invece era pitturato un bersaglio. Il tutto con toni rossi.
Non le ci volle molto per comprendere in che tipo di gioco avrebbe dovuto cimentarsi: il tiro a bersaglio.
 
“Qui dentro c’è il mio personale e bellissimo poligono di tiro!”
 
Alexia confermò la deduzione di Claire e, dopo quella battuta, il faro che prima l’aveva accecata si spostò proprio su quella porta e partì l’audio di un pubblico che applaudiva entusiasta.
Fu davvero raccapricciante udire quella folla infervorata se immaginava che a manovrare il tutto fosse sempre e solo Alfred dalla sua stanza di monitoraggio.
 
“Come vedi il nostro pubblico è eccitato, quindi, Redfield, vedi di non deludere né loro né me, la tua Regina. Se no…”
 
Alexia rovesciò il pollice verso il basso e a quel punto partì un verso di disapprovazione da parte di quel finto pubblico.
 
“Buuuuu………………!!!”
 
“Se no, dovrò darti il mio pollice in giù e sopprimerti.”
 
Claire rimase sconvolta da quella messinscena.
Si sentì trattata come un gladiatore sottoposto al giudizio del pubblico e del sovrano che, a seconda del divertimento provato durante lo spettacolo di massacro cui hanno assistito, decidono se risparmiare o no la vittima che ha perduto.
Comunque il suo piano aveva una falla e Claire non si fece remore a farglielo notare. Portò così la mano dietro la schiena a prese fra le mani la pistola.
 
“L’idea non è male. Fra tutte le sfide a cui mi hai sottoposta, questa è anche per me una delle più belle, lo ammetto. Andavo spesso nei poligoni di tiro con mio fratello, sai? Ma devo deluderti, signorina Alexia.”
 
Sottolineò visibilmente prendendolo in giro.
 
“Questo perché, seppur ho recuperato una tua pistola, non ho proiettili.”
 
Alexia si fece pensierosa ma sembrò che quel dettaglio non fosse un problema per lei.
Infatti si prese un momento per riflettere, tenendo la rossa sulle spine, dopodiché cominciò a parlare con estrema esuberanza facendo tuonare la sua voce dall’altoparlante.
 
“Ah!Ah!Ah! Hai ragione! Hai assolutamente ragione!! Che gioco potrebbe mai essere se non sei messa nelle condizioni di giocare? Ognuno deve avere le sue pedine, il suo mazzo per giocarsi la partita.”
 
Dal nulla caddero a terra una serie di caricatori per la 9mm. Essi si ammucchiarono uno su l’altro, formando un cumulo che spiazzò del tutto Claire, che non si aspettava per nulla una reazione simile. Vedere tutti quei proiettili dinanzi a sé fu un’immagine che la pietrificò totalmente.
Poteva…davvero raccoglierli tutti?
Che diavolo stava facendo? Alfred era forse impazzito?
 
“Oh, eccoti tutto quello che ti serve Claire. Armati pure come più ti occorre, non farti limiti! Ti assicuro che avrai bisogno di ogni arsenale possibile, ahahahah! Ti aspetto dentroooo.”
 
Chiuse così la comunicazione.
La giovane si piegò sulle ginocchia e cominciò a infilare un caricatore dentro la pistola.
Deglutì, inorridendo al solo pensiero di partecipare a quel ‘gioco’ assieme ad una mente completamente fuori di sé come il biondo Ashford. Si chiese a che gioco stesse giocando, esattamente. Per lui era veramente solo un sollazzo comportarsi in quel modo?
In effetti, da quel che aveva capito, i gemelli Ashford dovevano aver vissuto una vita in solitudine, alienati in quel castello e circondati da cotanta follia e depravazione, senza contare il totale disinteressamento per la vita umana.
Erano quindi come cresciuti in cattività, ciò voleva dire che una parte di Alfred Ashford doveva essere rimasta profondamente infantile.
Claire dunque non trovò azzardato ipotizzare che quel ragazzo fosse leggermente immaturo da quel punto di vista e che quindi volesse per davvero un compagno di giochi, sebbene in una visione del tutto alterata del termine.
Emise un sonoro sospiro, dopodiché si equipaggiò per bene prima di entrare nel poligono personale dove avrebbe affrontato le insidie preparate per lei da ‘Alexia’.
 
 
 
 
***
 
 
 
Casa delle Bambole – poligono di tiro
 
 



La musica tipica di un carosello echeggiava nell’ambiente, destando nell’animo di Claire non tanto giocondità, quanto tormento e sbigottimento.
Si guardò più volte attorno, pronta a reagire alla prima avvisaglia di pericolo.
Il luogo in cui si trovava era come un labirinto. Era costituito da una serie di lunghi corridoi che si intrecciavano fra loro, tutti in legno, il cui percorso era spesso bloccato da figure di cartone dalla forma umana; i bersagli che si vedevano tipicamente nei poligoni reali.
La ragazza sembrava libera di poter scegliere da dove iniziare il suo percorso, abbattendo dunque i bersagli che avrebbe trovato lungo il tracciato.
 
“Avanti! Avanti! Non avere paura! Più andrai avanti, più il percorso si farà duro e interessante. Quindi non battere la fiacca e…..marsch!”
 
Cinguettò la bionda trasformazione femminile di Alfred, gustando il suo spettacolo.
Claire alzò gli occhi al cielo, ma non disse nulla. Imbracciò la sua arma e proseguì.
Il primo bersagliò si alzò dalla pavimentazione, apparendo come se una molla lo avesse fatto sopraelevare. Si piazzò sbarrando la strada della ragazza dalla giacca rossa, la quale fece partire il primo colpo che andò a segno.
Il suono di un campanellino echeggiò per il luogo circostante.
 
“Un bel centro! Te la cavi bene da vicino…vediamo da lontano!”
 
Sul fondo di quel percorso apparve un secondo bersaglio e Claire fu costretta a prendere bene la mira per essere sicura di centrarlo. Il primo colpo non andò subito a segno, ma il secondo sì.
A quel cartellone però se ne sostituì subito un altro in movimento, che cominciò a oscillare ininterrottamente a una distanza di circa venticinque metri.
La Redfield riuscì a centrarlo probabilmente per pura fortuna, non essendo abituata a cogliere corpi in movimento. Se fermi, infatti, sapeva sparare anche a diversi metri di distanza, ma in movimento era completamente diverso. 
Quel gioco cominciò a stufarla molto presto, questo perché Alfred la fece imbattere in un bersaglio dopo l’altro ininterrottamente, senza darle un attimo di tregua.
Apparivano sia lontano che vicino a lei, sbucando da ogni angolo di quel corridoio. Mantenere una certa concentrazione per più di quaranta bersagli di fila non era certo facile e cominciò presto a non avere più i nervi saldi.
Tuttavia era proprio ciò che Alfred aspettava per far partire la seconda fase del suo piano.
Questo perché alle sagome di cartone andarono a sostituirsi dei bersagli che ritraevano degli zombie.
Claire quasi sbandò quando se ne trovò uno di fronte, credendolo reale per un attimo.
Questi richiedevano più colpi per essere abbattuti e dunque cominciò a temere di non aver portato abbastanza proiettili con sé per completare quel percorso.
Controllò la ricarica e nel mentre che abbassò gli occhi, ecco che l’ennesimo bersaglio comparve a pochi metri di distanza da lei. Non batté ciglio e subito si mise in posizione di mira per mandare a centro quel colpo.
Uno schizzò rosso, inaspettatamente, fuoriuscì da quel particolare bersaglio, gocciolando sul cartone e macchiando parte della pavimentazione. Arrivò persino quasi a sfiorare gli stivali di Claire.
La ragazza abbassò lo sguardo, impietrita.
Cosa diavolo….era…..quel bersaglio…?
Riportò gli occhi su di esso e solo allora si accorse che dei gemiti provenivano da dietro il bersaglio di cartone; erano le inconfondibili urla di fame e di dolore delle b.o.w. .
Sbandò spaventata, perdendo quasi l’equilibrio.
I bersagli si stavano lentamente andando a sostituire con…con dei bersagli reali? Vivi?
Cioè, ‘vivi’ non era il termine più appropriato, tuttavia, rispetto a dei fantocci di cartone, erano la cosa più assimilabile a una vita in quel contesto.
Si sentì male al sol pensiero che anche dietro gli altri bersagli fossero celati degli zombie. Portò così una mano sulla bocca, inorridita.
 
“Avanti! Avanti! Perché stai perdendo tempo? Vuoi finirlo?”
 
La voce seccata di Alexia rimbombò per il poligono assieme ai lamenti del suo pubblico fasullo.
Claire batte un piede a terra, mettendo a tacere quella voce e parlando con tono duro.
 
“Mi rifiuto di continuare questo gioco! E’ disgustoso! Anche se dei morti viventi, non voglio fare parte delle tue macchinazioni deviate! Basta!”
 
Disse e girò i tacchi, facendo per tornare indietro e andarsene, ma a quel punto un muro si alzò di fronte a sé. La rossa dovette retrocedere.
 
“C-cosa?!”
 
“Ho mai detto che è permesso ritirarsi da questo gioco? NO!” urlò come un despota Alexia, rimproverando sonoramente il suo suddito.
“Non ti è permesso. Non lo farai! E per incitarti ad andare avanti, ecco qui quanto ti rimane da vivere.”
 
Apparve dal nulla un timer che indicava quindici minuti che stavano scalando alla rovescia.
 
“Sai cosa indica questo conto alla rovescia? Non appena arriverà a zero, l’uscita di questo luogo sarà bloccata. B-L-O-C-C-A-T-A. Capito? Rimarrai chiusa qui dentro in eterno! Ti assicuro che non ci sono altre vie d’uscita, a parte la porta da cui sei entrata e quella dalla quale puoi uscire.
La prima è già stata chiusa a chiave nel momento in cui hai fatto il tuo ingresso in quest’area. La seconda, beh…dipende da te.”
 
“Bastardo…”
 
Digrignò Claire.
 
“Cosa aspetti ancora, dunque? Completa il percorso Claire! E’ scattato il quattordicesimo minuto! Ahahahah!”
 
La rossa fu così costretta a proseguire suo malgrado. Portò di nuovo la pistola davanti ai suoi occhi e una nuova determinazione si disegnò sul suo volto.
Sparò e il mostro smise di gemere.
Corse in avanti, per la sua strada, controllando di tanto in tanto il cartellone che segnava il timer, attenta a percorrere quei corridoi nel minor tempo possibile, abbattendo al contempo i vari bersagli che la intralciavano.
Talvolta i bersagli si giravano dopo essere stati colpiti, mostrando dietro di essi la figura imbrigliata e spaventata dello zombie che era stato doppiamente condannato a morire.
Claire dovette discostare lo sguardo più volte per non finire nel baratro del senso di colpa.
Sebbene sapesse che fossero esseri già morti, non poteva fare a meno di leggere il dolore nei loro occhi.
Probabilmente si sbagliava. Forse essi non erano nemmeno più capaci di provare affanno. Eppure i fori dei suoi proietti che bucherellavano la loro carne non potevano non trasmetterle un senso di profonda agonia.
Intanto, per via del ritmo stavolta frenetico di quella prestazione di tiro, Alexia e il suo pubblico “su nastro” osservarono le gesta di Claire con estremo interesse.
Arrivò così il momento di rendere ancora più vivace quello spettacolo.
La ragazza arrivò in uno spiazzale abbastanza ampio e s’intravedeva una porta dall’altra parte. Era forse la via d’uscita di cui parlava Alfred/Alexia?
La ragazza strinse la pistola fra le mani e corse con tutte le sue forze ma, mentre attraversò quell’atrio vuoto, una serie di colpi di pistola le impedirono di andare avanti.
Si girò di scatto e in quel momento dal soffitto caddero dei pesanti sacchi impagliati, i quali rimasero appesi un po’ per tutta quella sala. Sembravano dei sacchi da box.
Si chiese cosa significassero, ma la risposta non tardò a venire.
Questo perché da dietro uno di questi spuntò lei…la Regina.
 
“Ti sono rimasti solo cinque minuti, come puoi vedere. Avanti Claire, finalmente giochiamo fra noi!”
 
Alexia puntò con la sua pistola e sparò in direzione di Claire.
Aveva in mano un modello abbastanza antico, quasi d’antiquariato. Non si sorprese del fatto che un’esteta come Alfred avesse deciso di armare la sua amata e preziosa sorella con un’arma simile.
Peccato che la sua vetustà penalizzasse anche la sua prestazione, ma meglio per lei.
Claire si riparò dietro uno dei sacchi aspettando che Alexia cessasse il fuoco, dopodiché toccò a lei provare a colpirla.
Non aveva ancora concretizzato nella sua mente l’idea di spararle per davvero, o ucciderla. Fu più il momento che la guidò. Partecipò dunque a quel gioco mirando al solo scopo di uscire da quella stanza entro i prossimi cinque minuti.
Vide sbucare di tanto in tanto la bionda da dietro i sacchi, ma metterla nel mirino fu un’impresa più ardua del previsto.
Al contrario, fu lei che riuscì a colpirla di striscio, ferendo Claire all’altezza della coscia, strappando leggermente il tessuto dei suoi jeans e segnando la sua candida pelle con un rigo rosso.
La giovane Redfield approfittò comunque di quel momento per sparare a sua volta contro Alexia, essendo uscita allo scoperto.
Un proiettile andò a colpirla in un punto non preciso del braccio. Vide soltanto la donna contorcersi portando una mano sulla zona ferita.
Claire si affacciò verso di lei e vide Alexia traballare per poi scappare via.
Sbatté le palpebre più volte, ricordandosi poi tempestivamente del conto alla rovescia che oramai doveva essere prossimo allo zero.
Alzò lo sguardo e fra i sacchi appesi che offuscavano la visuale, distinse quello schermo e sgranò gli occhi quando lesse di essere sì in tempo, ma che doveva uscire di corsa da quella stanza!
Mancava, infatti, un minuto allo scattare dell’ultimo secondo.
Così velocemente prese a correre verso la porta, fiondandosi dentro e chiudendola dietro di sé.
Purtroppo però il percorso non era ancora finito.
Intanto il timer scorreva ineluttabile.
 
00:57
 
“Mio Dio!”
 
Esclamò cominciando a sentirsi nel panico.
L’unica cosa che fu capace di fare fu correre. Corse lungo il percorso, non osservando nemmeno la nuova zona labirintica dove era appena entrata. La paura le impedì di analizzare l’ambiente in modo da intuire dove fosse la via d’uscita, così finì per perdersi fra quei corridoi e quei bersagli che sbucavano da ogni dove.
Più andava avanti e più la zona si faceva ombrosa. Era oramai illuminata solamente dalle luci d’emergenza rosse che davano a quel luogo un che di sinistro.
Inoltre, ulteriori elementi che contribuirono ad accrescere quel senso di smarrimento, furono i bersagli: oramai completamente sostituiti a degli esseri “viventi”.
Essi erano costituiti da zombie legati al soffitto, che penzolavano lungo il percorso. Sui loro corpi erano disegnati i tipici cerchi del tiro a bersaglio, proprio a sottolineare il loro essere delle inutili entità prive di importanza. Dei giochi.
Claire comunque non perse tempo a sparare contro di loro. Si limitò a correre in ogni dove, mentre oramai il conto alla rovescia era prossimo alla fine.
 
00:13
 
“No, no, ti prego!”
 
Parlò fa sé, imbattendosi nell’ennesimo vicolo cieco. Provò a imboccare una strada diversa, ma quel percorso labirintico sembrava non portarla da nessuna parte.
Quando scattarono gli ultimi cinque secondi, il panico fece paralizzare le sue gambe. Ella tappò istintivamente le orecchie con le mani, piegandosi sulle ginocchia. Tremava all’impazzata, del tutto incapace di muoversi e attendere quel momento.
Non ce l’aveva fatta! Dannazione! Non ce l’aveva fatta!
A quel punto un allarme risuonò un paio di volte, segnando la fine del tempo.
Claire alzò gli occhi e cercò lo schermo, il quale indicava esattamente quello che temeva.
 
00:00
Silenzio.
Cosa sarebbe accaduto ora? Sarebbe davvero rimasta chiusa lì dentro…per sempre?
Il cuore prese a sbattere forte nel suo petto.
Lentamente Claire si rimise in piedi, decidendo di muovere qualche passo per scrutare l’ambiente circostante.
Le sue gambe tremavano ancora, le ci volle più di qualche istante per concretizzare che per davvero non aveva raggiunto l’uscita in tempo. Ammesso che ce ne fosse stata una per davvero.
Osservò le cariche che aveva ancora a sua disposizione. Come aveva temuto, anche quelle erano adesso ben poche.
Era sempre meglio che niente, tuttavia erano di nuovo pochi per garantirsi la sopravvivenza. Doveva tornare a fare parsimonia di colpi, era vitale.
Infilò la pistola nella cintura e avanzò in quel labirinto illuminato dal rosso della luce d’emergenza, accompagnata dal sottofondo dei gemiti degli zombie appesi come bersagli.
Fu angustiante muoversi in quella penombra rossastra, udendo quei sospiri indemoniati e raccapriccianti. Dovette indurire il suo spirito per riuscire ad avanzare ignorando tali elementi disturbanti.
Di tanto in tanto sbirciava nella loro direzione, osservando i loro volti deturpati che fissavano il vuoto e che talvolta si rivolgevano a lei, captandone la presenza.
Solo dopo aver circumnavigato per qualche minuto, trovò finalmente la famosa porta d’uscita.
Batté una mano su di essa, affranta.
Costatò che solo grazie a un colpo di fortuna sarebbe stato possibile raggiungerla al primo colpo, ma oramai era troppo tardi.
Si guardò attorno, doveva pur esserci una seconda via d’uscita!
Solo allora notò un bassorilievo inciso sulla parete di fronte la porta. Esso rappresentava una serie di uomini impiccati, raffigurati secondo un ordine ben preciso.
Sotto vi era un’incisione.
 
“Colui che è morto per primo risplende sotto la luce di un fuoco rosso.
Colui che è morto per secondo non è mai stato capace di vedere le sue colpe.
Colui che è morto per terzo era già stato punito per essere un ladro lestofante.
Colui che è morto per quarto, è stato sacrificato per la sua patria.”
 
Claire si domandò se quello non fosse una sorta di enigma per uscire magari da quella stanza!
Valeva la pena di tentare.
Prese dunque a riflettere su quelle parole e cominciò a pensare che forse il fatto che i bersagli fossero degli zombie non era stata solo una scelta macabra da parte di Alfred.
Forse erano proprio loro gli “impiccati” di cui parlava quell’incisione.
Andò quindi a cercarli uno a uno, distinguendo fra tutti loro quelli che potevano ricordare vagamente “un fuoco rosso”, “uno che non vedeva le sue colpe”, “un ladro” e un uomo “sacrificato per la patria”.
Quegli indizi non furono difficili da interpretare, per fortuna la sua intuizione di attribuirli alle b.o.w. fu giusta.
Fra i dieci zombie appesi lungo tutto il percorso, quattro rispecchiavano quelle caratteristiche.
Uno di loro era, infatti, collocato esattamente di fronte una delle luci di emergenza, che lo illuminava di rosso a tal punto da farlo sembrare in fiamme.
Un altro aveva gli occhi cavati. I suoi bulbi erano sostituiti dal rosso raggrumato delle sue ferite. Egli era ovviamente colui che era morto senza essere stato capace di vedere, letteralmente, le sue colpe.
Il ladro fu più difficile da identificare. Arrivò alla conclusione più per esclusione, notando uno zombie a cui mancava una mano.
In effetti, un tempo, coloro che rubavano erano puniti col taglio della mano. Doveva quindi essere lui, per forza.
L’ultimo invece, colui che fu sacrificato per la patria, lo riconobbe da una decorazione militare appesa ai pochi lembi di vestiti ancora addosso.
Rimaneva però da capire cosa dovesse fare adesso.
La risposta era purtroppo a portata di mano, ma le si stringeva il cuore nel concretizzare quella risposta.
Questo perché quell’enigma parlava di uomini morti impiccati….e quegli zombie erano sì dei morti, ma non lo erano del tutto.
Erano appesi come degli impiccati, ma erano vivi, sebbene in quella forma orribile.
Claire doveva quindi ucciderli. Ucciderli in quell’ordine esatto.
Il suo cuore fu costretto a chiudersi in se stesso, a pensare che essi non fossero effettivamente vivi, che dovesse farlo per sopravvivere.
Fatto stava che ucciderli non fu facile per lei. Non lo fu per niente.
Quattro colpi precisi e quegli zombie cessarono di mugugnare, inalando il loro ultimo e sofferto respiro.
Mentre i loro corpi già morti si abbandonavano del tutto, il loro peso fece scattare un qualche meccanismo.
Claire sperò con tutta se stessa che fosse la serratura della porta, ma si ritenne ugualmente fortunata quando, percorrendo la strada che portava ad essa, si imbatté in una botola che prima non aveva notato.
Essa era buia, ma non sembrava particolarmente profonda.
Prima di addentrarsi controllò che quell’enigma non avesse fatto aprire anche la porta d’uscita, così andò a verificare. Era chiusa.
Dovette quindi introdursi per forza nella botola, felice comunque di poter abbandonare quella stanza “di giochi” infausta.
 
 
 
***
 
 
 
Casa delle bambole – prigioni sotterranee
 
 
Il nuovo ambiente era del tutto offuscato dal buio. Per fortuna Claire riuscì a intravedere nell’ombra una torcia, che accese con l’accendino.
Mai si sarebbe aspetta di trovarsi in delle prigioni.
Percorrendo il lungo corridoio di pietra, si trovò circondata da un’infinità di celle, le quali occupavano sia il muro alla sua destra che quello alla sua sinistra.
Si articolavano almeno una ventina di gattabuie dentro cui erano imprigionate le solite bambole vestite da dame a grandezza umana, polverose e imbrigliate da grosse ragnatele.
Sole e abbandonate in quegli angoli bui e desolati, la rossa non poté non provare pietà per quei fantocci inanimati, sebbene incutessero persino un po’ di timore. Il loro aspetto deteriorato dal tempo era enfatizzato non solo dall’ambiente tetro, ma anche dal fatto che a molte di loro mancavano delle parti.
Una bambola vestita di rosso scuro era priva di un occhio di vetro e, sebbene fosse fra quelle meglio preservate dal tempo, quel buco nero e scheggiato la rendeva inquietante come tutte le altre.
Un’altra aveva una gamba tronca, un’altra invece tutto un braccio mozzato.
L’ultima fu la più raccapricciante.
Essa presentava infatti delle fattezze del tutto irregolari:  aveva un paio di braccia in più di cui una posizionata sulla testa, fuoriuscendo dai capelli legati in due codine; l’altro braccio invece spuntava dal suo cuore.
Inoltre la sua espressione era folle, demoniaca.
Il suo abito era lacero e, osservando meglio i suoi piedi, essi sembravano come essere quelli di un rettile. Quella figura era visibilmente una strana chimera umanoide, messa lì dentro proprio con lo scopo di turbare coloro che la osservavano.
Si avvicinò alle sbarre di metallo che imprigionavano quella particolare bambola e, costatando che la cella era aperta, si addentrò.
Vista da vicino era ancora più terrificante.
Quando si piegò su di lei per esaminarla, improvvisamente questa tese le quattro braccia in avanti facendo per afferrarla.
Le dita delle sue mani si mossero ossessivamente come le zambe di un ragno. Sembrava come se ognuna avesse una sua mobilità a sé stante. Quel pupazzo era una trappola assassina?!
In verità una parte di sé se lo era aspettato, dati quei meandri così raccapriccianti, ma ciò non le impedì di prendere un grosso spavento.
Oramai abituata a quei mostri che apparivano dal nulla abitualmente, subito puntò la pistola di fronte e fece per prendere la mira.
Quando però fece per premere il grilletto, non partì nessun colpo.
Dannazione! Aveva finito i colpi?!
Prima che la marionetta potesse colpirla, la ragazza approfittò del fatto che questa avesse usato i suoi arti snodati per appendersi al soffitto per sgattaiolare via dalla cella e chiuderla dentro.
Fu spaventoso quando, girando la chiave ancora incastrata nella fessura, vide a pochi centimetri di distanza quella “cosa” cercare disperatamente di raggiungerla.
Non rimase comunque lì ancora per molto, piuttosto affrettò il passo per andare via.
Avanzò molti metri e oramai la bambola, che impetuosamente batteva sulle sbarre, si percepiva a malapena.
Tornò più serenamente all’esplorazione di quel sotterraneo, il quale sembrava non finire più.
L’umido cominciò a intaccare le sue ossa e i brividi presero a irrigidirla.
A un certo punto, poi, il corridoio circondato da celle andò ad intrecciarsi con altre corsie e Claire non sapeva proprio in base a quale criterio scegliere dove dirigersi.
Era un guazzabuglio di prigioni, nel buio di delle segrete abbandonate; era impossibile decidere come muoversi.
Un bagliore, voltando verso sinistra, attirò però la sua attenzione.
Camminò lento, tenendo comunque stretta la pistola scarica. Fu più un riflesso condizionato che altro.
Quando arrivò di fronte la cella in questione, si accorse che questa non era come tutte le altre.
Quella luce calda appena percepita da lontano proveniva da una fessura aperta nella parete.
Mancavano alcuni mattoncini di pietra e quindi era possibile vedere oltre a quella che sembrava essere una cella murata.
La Redfield si affacciò e fu sorpresa quando scorse una figura umana che sembrava indaffarata a cucinare.
Era un uomo anziano, di bella presenza ma leggermente sciupato; indossava un completo nero dall’aria molto costosa, eppure era immerso nella preparazione della cena in modo del tutto disinvolto.
Si trattava di un prigioniero come lei?
Claire si chiese, con il cuore colmo di speranza, se fosse una persona “normale” o l’ennesimo nemico che le si sarebbe rivoltato contro.
 
“Mi scusi, signore?”
 
L’uomo si voltò. La sua pelle era rugosa e la sua espressione veramente stanca.
La rossa fu lieta che egli avesse reagito al suo richiamo. Allora era una persona ancora sana!
Quasi non poté credere di poter scambiare una parola con qualcuno dotato di raziocinio.
Portò i ciuffi più lunghi della frangia dietro l’orecchio, liberando i suoi occhi, poi si piegò meglio verso la fessura per approcciare un discorso.
 
“Il mio nome è Claire. Anche lei un prigioniero? ”
 
“Buonasera. Sono desolato, ma non mi è permesso parlare con altre persone.”
 
La sua voce rauca scaldò l’animo di Claire.
Okay, non era stato particolarmente loquace, ma almeno quella era la conferma che il suo cervello non fosse contagiato. Aveva quindi tutte le intenzioni di non lasciarsi scappare un’opportunità simile.
 
“Non crede che, in una circostanza come questa, sia bizzarro parlare di ‘permessi’ o roba del genere?”
 
“A quali circostanze si riferisce?”
 
Rispose inaspettatamente lui, tranquillo, continuando a girare il mestolo dentro una grande pentola.
La ragazza sgranò gli occhi, perplessa.
 
“C-cos…? Non si rende conto di essere in una prigione? Per giunta in una villa così…strana?”
 
Claire trovò difficile lì per lì spiegare qualcosa di così ovvio.
 
“Alfred! Lui deve averlo incontrato. Non le è sembrato ‘ambiguo’? Per usare un eufemismo…”
 
L’uomo guardò verso di lei, finalmente.
 
“Oh, il signor Alfred Ashford. Ovvio che lo conosco, lavoro qui. Beh, è un ragazzo un tantino eccentrico, ma d’altronde cosa ci si può fare. Rappresentando questo tipo di ambiente…”
 
“Lei lavora per Alfred?”
 
Claire si mise in allarme, allontanandosi leggermente. Il suo volto si fece più serio e corrucciato.
Il maggiordomo, dall’altra parte, cominciò a parlare fra sé e sé, rivolgendosi distrattamente alla ragazza.
Il suo, infatti, sembrò più uno sfogo personale che una conversazione vera e propria.
 
“In un certo senso è così. Ora che ricordo, fui portato qui molti anni fa, non ricordo più quanti con esattezza. So solo che fui rinchiuso in queste quattro mura e mi fu vietato di parlare con alcuno. Io dovevo solo cucinare e prendermi cura di parte della casa, quella dove il ragazzo abitava quando veniva qui.”
 
La rossa portò una mano sotto il mento. Qualcosa in quelle parole la colpì profondamente e fu capace di farle comprendere l’intera storia di quell’uomo adesso anziano.
Una storia triste, solitaria, lunga, desolata… prigioniero di quel luogo da così tanti anni che, probabilmente, adesso era diventato la sua unica realtà.
Fu qualcosa di drammatico da immaginare, che intristì enormemente Claire, la quale provò di nuovo ad approcciarsi con lui.
 
“Signore…perché se ne sta lì?” disse con dolcezza. “Non vuole fuggire da questo posto?”
 
“Fuggire da dove? Sono sempre stato qui. Il mio compito è cucinare.”
 
Il turbamento che poteva leggersi negli occhi di Claire era immenso. Egli sembrava ormai incapace di abbandonare quel luogo; lentamente era impazzito…come tutti in quel posto.
 
“Puoi farmi entrare?”
 
“Proprio non saprei come fare…”
 
Il suo tono era sempre molto tranquillo. Sembrava non gli importasse nulla.
La sua mente era più imprigionata della prigione stessa in cui era rinchiuso. Era lui stesso che si era arreso e aveva deciso di non combattere.
 
“Sai come posso uscire da qui?”
 
“Proprio non saprei…”
 
La ragazza abbassò il viso affranto. La speranza appena nutrita si sbriciolò davanti ai suoi occhi.
L’aver trovato una presenza umana oltre a lei non era servito a nulla.
Esistevano delle condizioni che erano peggiori della violenza, della sofferenza, della rassegnazione…esisteva qualcosa a livello mentale che poteva rappresentare una condanna molto più drammatica della morte.
Si trattava dell’arrendersi; una condizione in cui la nostra vita muore dentro noi stessi prima ancora che nel corpo, condannando così ogni cosa.
Poter quasi toccare con mano tale blocco mentale che finisce per logorare e distruggere tutto, fino a portare la vittima ad accettare quella condizione di sottomissione e di dolore senza alcun desiderio di salvarsi, fu così devastante che Claire preferì essere sola in quel momento.
Realizzò che non poteva fare più niente per lui.
Lasciò quindi quell’uomo nella sua cella, sia metaforica che reale, potendo soltanto augurarsi che alla fine sarebbe rinsavito e avrebbe deciso di fuggire.
Consapevole che non avrebbe ottenuto nulla da lui, decise di circumnavigare la zona, alla ricerca di un passaggio per entrare nella cucina.
Se quell’anziano maggiordomo accudiva il maniero Ashford, allora quella cucina doveva essere vicina all’uscita della Dollhouse più di quanto sembrava, dedusse.
A un certo punto trovò una porta che emetteva un insolito calore.
Già di per sé vedere una porta di legno fra tutte quelle celle rappresentava finalmente uno scenario diverso; costatare inoltre che la sua superficie fosse tiepida, rafforzò l’ipotesi che forse dietro si celasse proprio la cucina.
Quando aveva parlato con quell’uomo, infatti, dalla fessura aveva avvertito una temperatura abbastanza elevata per via dei fornelli accesi.
Controllò se la porta fosse aperta, ma ovviamente così non era.
Interagì con il manico di ferro battuto più volte, ma niente. Non accennava minimamente a muoversi.
Cercò quindi di identificare la chiave. Chissà se poteva essere nei paraggi.
Osservando meglio la porta, si accorse di un simbolo inciso sopra la maniglia: era un guazzabuglio di linee molto strane.
Più le analizzava, però, più queste prendevano forma e alla fine comprese che c’era un disegno nascosto fra esse.
Costatò inoltre che era possibile roteare i pezzi che componevano la maniglia, in modo da ottenere la rappresentazione giusta.
Giocherello con quel meccanismo e, una volta esaminati tutti i pezzi, si rese conto che la figura che ne sarebbe venuta fuori era più familiare di quanto non avrebbe pensato.
Era la rappresentazione di un mostro: una chimera.
Non una chimera qualsiasi, ma una che ricordava una bambola.
Subito sgranò gli occhi ricordando il manichino che l’aveva aggredita poco prima.
Grazie a quell’indizio fu in grado di aprire la porta, ottenendo il disegno esatto di quello strano mostro. Infatti, un suono si propagò nel silenzio; era la serratura.
Claire spinse la porta ed entrò.
 
 
***
 
 
Dollhouse- Fine
 
 
 
 
Fu strano per lei ritrovarsi nella cucina esaminata in precedenza attraverso quei mattoni di pietra mancanti. Il focolare acceso conferiva all’ambiente un aspetto caldo, ma anche molto opprimente.
C’era una temperatura quasi infernale, era invivibile. Persino l’aria sembrava pulsare, essendo molto densa per via dei fumi di cottura.
I fornelli accesi dall’aspetto datato eppure in un ottimo stato di conservazione, e poi anche il forno, il cui fuoco prorompeva emettendo dei piccoli schioppi. Vi era un’eccessiva quantità di fonti di calore rappresentando quella stanza così piccola, in cui c’era a malapena lo spazio per il tavolo di legno posto al centro sul quale erano posati i vari preparativi per la cena.
Il vecchio maggiordomo era ancora lì, che girava come ipnotizzato il contenuto dell’enorme pentola che sobbolliva sul fuoco.
Lì per lì Claire ebbe la tentazione di rivolgergli di nuovo la parola, ma qualcosa la bloccò.
Il fatto che lui non si fosse nemmeno girato per vedere chi fosse entrato nella sua cucina bastò a farle intendere che anche questa volta lui non si sarebbe curato di lei.
Sembrava un automa dedito al suo dovere, niente più.
La ragazza dovette stringere il cuore e proseguire senza di lui.
Abbassò il viso verso il tavolo, guardando distrattamente fra i pacchi di farina ivi poggiati, e una scintillante chiave con uno stemma dorato attirò la sua attenzione.
Sbirciò in direzione del maggiordomo e, dopo essersi assicurata che fosse ancora assorto, buttò l’oggetto nella tasca dei suoi pantaloni.
Quell’uomo non si accorse di nulla. Oppure non gli importava.
Claire lasciò la cucina salendo le scale di pietra che portavano a un piano superiore.
Salì su per una lunga scalinata a chiocciola, stava lentamente riemergendo dalle tenebre di quella pazza casa delle bambole.
Infine si trovò di fronte un maestoso portone.
Su di esso vi erano disegnati due bambini dai capelli dorati. Un maschio e una femmina. I due facevano un profondo inchino, salutando gli ospiti che stavano lasciando la loro dimora dei giochi.
 
“Came back anytime!”
 
Claire vide la fessura di quel portone.
Era stranamente molto piccola.
Allora si ricordò della piccola chiave trovata quando si era addentrata in quel losco mondo; ironia della sorte, l’aveva trovata appesa alla vita della prima bambola a grandezza umana cui si era imbattuta.
Era come se quella circostanza volesse suggerirle che quindi aveva raccolto la chiave di ‘casa’ di quel manichino.
Prese dunque l’oggetto fra le mani e lo incastrò nella serratura, la quale scattò.
Allora era vero…aveva sempre avuto con sé la chiave d’uscita, fin dall’inizio.
Era in circostanze simili che ringraziava la sua natura curiosa; se non avesse mai esaminato quella bambola, probabilmente adesso si sarebbe ritrovata davanti quel portone con un palmo di naso.
Tuttavia erano ragionamenti che era meglio non elaborare, dati i tanti inghippi che più volte avevano messo a repentaglio la sua sopravvivenza.
Uscì dunque dalla macabra e raccapricciante Dollhouse.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Ritorno alla residenza Ashford - Corridoio
 
 
 
 
 
Fu curioso il luogo dal quale Claire sbucò fuori.
Esso era un enorme quadro su cui era dipinta proprio una casa delle bambole.
Era molto simile a quella da lei visitata, solo non tetra, non macabra, senza inghippi e morte. Era una semplice villetta abitata da deliziose bambole che occupavano le varie stanze.
Scavalcata quella strana porta-quadro, si ritrovò proprio nel corridoio della villa Ashford, nella zona dove era situata la camera di Alexia/Alfred.
Fu sconvolgente per lei pensare di aver già esaminato, a suo tempo, quel corridoio, ove però aveva trovato solo porte chiuse. Invece fra le sue mura si celava un passaggio segreto di quella portata.
Osservò la chiave dorata rubata al maggiordomo.
Era molto appariscente, sembrava davvero un oggetto prezioso per via degli intagli molto particolari.
A causa del suo aspetto lussuoso, fu logico pensare che quella fosse la chiave della residenza, forse l’unica in grado di aprire le varie porte della villa.
Tuttavia una sola stanza era di suo interesse: la camera di Alfred.
Strinse l’oggetto fra le sue mani e puntò lo sguardo sulle numerose porte situate nel corridoio distinguendo velocemente la camera di Alexia.
Da lì avrebbe preso il passaggio nascosto dietro il bassorilievo scolpito nel muro per entrare finalmente nella stanza del fratello gemello.
Il suo cuore pulsò timoroso.
Il fatto di essere oramai a un passo da una meta che aveva puntato da tanto, paradossalmente cominciò a farle paura. Tuttavia non indugiò; si fece coraggio e avanzò verso la porta.
Girò la chiave e questa si aprì.
L’ultima volta che era riuscita a entrare nella camera di Alexia era stato casualmente quando era stata nella stanza delle torture. Adesso invece ci stava rientrando di sua spontanea volontà e anzi…per esaminare la camera personale del suo attuale nemico.
Oramai coinvolta a livello emotivo, non le fu indifferente solcare quei luoghi.
Una volta dentro, poggiò il piede sulla morbida moquette rossa che rivestiva la pavimentazione e richiuse la porta dietro di sé.
La porta emise un fastidioso stridio, che enfatizzò quel luogo malinconico ed evocativo.
Osservò il letto a baldacchino, la vetrina con le bambole da collezione, i mobili antichi, il carillon, la luce che pulsava tenue dai candelieri appesi alle pareti…
La poltrona su cui era stata imprigionata invece non c’era più, era stata rimossa.
Infine…il suo sguardo si posò sul bassorilievo in pietra posto sul muro di fronte la porta, raffigurante una donna in stile arte greca.
Camminò lento verso di esso e vi poggiò la mano; quel marmo freddo era più caldo della sua mano, invece addirittura gelata. Era molto nervosa, non poteva negarlo.
Spinse e riuscì quindi ad entrare nella camera da letto di Alfred Ashford.
 
 
 
 
***
 
   
 
 
Residenza Ashford
Camera da letto di Alfred Ashford
 


 
La stanza era speculare a quella precedente. Nessun elemento le differenziava.
La stessa moquette rossa, lo stesso ampio e vaporoso letto a baldacchino, gli stessi mobili, lo stesso carillon…soltanto la specchiera era diversa.
Quella postazione dall’aria così preziosa e pregiata, era invece deturpata da uno specchio ormai danneggiato. La sua superficie di vetro era segnata da una grossa crepa posta al centro, dentro la quale si diramavano piccoli frammenti che apparivano come i tasselli di un mosaico.
Oramai non erano più in grado di riflettere chi si sarebbe affacciato sulla sua superficie.
Claire si chiese se fosse stato Alfred a distruggerlo, sebbene la risposta fosse più che ovvia.
Aveva, infatti, potuto vedere lei stessa il suo rapporto con gli specchi, che in qualche modo torturavano la sua mente, così imbrigliata nel suo mondo fittizio da non sopportare la sua stessa immagine riflessa.
Suo malgrado, comunque, la ragazza non trovò molto da esaminare.
L’unico oggetto che attirò la sua attenzione fu il carillon sistemato di fronte il letto.
Era un enorme carillon a muro di legno massiccio che occupava gran parte della parete, sulla cui sommità vi erano delle decorazioni. Era pressoché lo stesso che un tempo utilizzò a Rockfort per salire al piano superiore nascosto in quella stanza; un passaggio ove era possibile entrare nel momento nel quale si faceva suonare l’oggetto, soltanto che adesso il coperchio era chiuso e quindi era impossibile metterlo in funzione.
Al posto di Alfred, era lì che lei avrebbe nascosto i suoi ‘tesori’, dunque scrutò il coperchio di quello strumento per cercare di attivarlo.
Trovò strano quando si accorse che la statuina della formica blu, la ‘chiave’ per aprire quello scomparto, era incastra nell’apposita fessura, ma solo per metà.
La parte posteriore era mancante, come se quell’oggetto fosse stato spaccato in due.
 
Spaccato in due….
 
“Oh mio dio, ma certo!”
 
Più osservava la parte mancante di quella formica, più la sua mente andò a ripescare dai suoi ricordi quella pietra blu che quasi si era dimenticata di aver raccolto!
La pietra che tolse dall’incastro nella parete, sulla quale era raffigurato un bambino che porgeva tutti i suoi tesori alla sua amata. In altre parole…Alfred e Alexia.
Ecco perché quella pietra le era stata così vagamente familiare!
Cercò nella tasca e quel frammento fu di nuovo fra le sue mani. La frase incisa sulla sua superficie adesso era finalmente chiara nel suo più completo significato.
 
“Ubi iacet dimidium iacet pectus meum”
-Dove giace la mia metà, giace il mio cuore.-
 
“Dove giace la mia metà”, riferito ovviamente all’altra metà della formica collocata sul carillon; “giace il mio cuore”, in altre parole i suoi ‘tesori’, quelli raffigurati in quel disegno infantile.
Chissà se quella frase era in qualche modo riferita anche al rapporto dei due gemelli:
Dove giace la mia amata sorella, è lì che giace anche il mio cuore.”
Fu un’interpretazione che venne spontanea nella mente di Claire, inducendola a chiedersi cosa avrebbe trovato al piano di sopra una volta attivato il carillon.
C’era però solo un modo per scoprirlo…
La Redfield incastrò dunque il pezzo nella zona posteriore della scultura, il quale combaciò alla perfezione.
Il coperchio si sollevò all’istante, mostrando così lo spartito già sistemato al suo interno.
Attese che il carillon emettesse la sua malinconica melodia, la quale ben presto echeggiò nella stanza suggestionando con le sue note la solitaria spettatrice/vittima di quell’incubo tremendo.
Claire ascoltò forse per la prima volta quel dolcissimo e nostalgico componimento. Trasmetteva uno strano senso di gioia eppure di amarezza, come se una bella storia fosse oramai inesorabilmente finita.
Una volta terminato il brano, il letto s’innalzò sostituendosi a una scala a pioli che conduceva al piano superiore. Esattamente come a Rockfort.
Prima di inoltrarvisi la ragazza emise un profondo respiro. In seguito si arrampicò sulla prima sbarra e salì la scaletta.
 
Quella stanza nascosta era del tutto buia.
Claire si tirò su e avanzò a tentoni, cercando di destreggiarsi al meglio. Accese l’accendino, ancora una volta la sua unica fonte di luce, e prese a esaminare quel luogo desolato.
Era polveroso e sembrava che Alfred non vi salisse da un bel po’ di tempo. Sperò comunque di trovare qualcosa di utile.
Il luogo era molto diverso da quello visto a Rockfort questa volta.
Era, infatti, una semplice soffitta nella quale sembravano essere riposte tutte quelle cianfrusaglie inutili che lui doveva aver sgomberato dalla sua stanza.
C’erano ben quattro specchiere rotte poggiate al muro una sull’altra, una cospicua quantità di carte, fogli, dipinti… persino un armadio con dentro dei vestiti.
Non si sorprese di trovare anche un manichino, sul quale era adagiato l’abito di Alexia e una parrucca bionda.
L’aveva visto travestirsi più volte da lei, quindi era abbastanza lampante che in quella soffitta fossero nascosti anche oggetti di sua sorella. Trovò dentro un cassetto, infatti, anche una serie di cosmetici e altri abiti sfarzosi.
Rilevò perfino un’inquietante quantità di candele sciolte sul pavimento, dettaglio che la indusse a pensare alle ore che probabilmente il ragazzo aveva passato lì dentro.
Il caos che regnava quel luogo andava davvero in contrasto con la sua stanza da letto, invece perfettamente pulita e ordinata.
Accese, comunque, qualcuna di quelle candele, in modo da fare un po’ di luce.
Andò poi a esaminare una scrivania, nascosta sotto un telo bianco oramai ingrigito. Lo scostò delicatamente in modo da non far sollevare troppa polvere, ponendolo poi ai piedi del mobile.
Osservò gli oggetti che vi erano riposti: c’erano fogli, penna e calamaio, un paio di modellini giocattolo di carri armati, infine uno scrigno di legno.
Avendo ancora il coltello da cucina con sé, Claire lo utilizzò per forzare la serratura visibilmente debole, così le fu molto semplice romperla per aprire quel forziere.
Dentro vi trovò una serie di ritagli di giornale. Erano tutti articoli riguardanti l’Umbrella ma non aveva il tempo per leggerli. Vi era anche tutta una serie di lettere il cui mittente era a volte Alfred stesso, altre volte Alexia.
Sbirciandone la data, il ragazzo doveva essere moto giovane all’epoca. Su di essere vi era scritto 1983, quando lui aveva quindi…solo dodici anni?
Trovò fra quei fogli anche un encomio ricevuto durante la laurea, conseguita nel 1993, presso il nome di un’università molto prestigiosa che la ragazza conosceva di fama.
Claire quasi si sorprese che Alfred avesse frequentato un ambiente di studio come quello, non solo. Che avesse eccelso a tal punto da ottenere voti così lodevoli e poi… si fosse tristemente ridotto in quel modo. Non aveva senso.
Conoscere quel particolare della sua vita fece leggermente salire la reputazione che aveva di lui.
Dietro la sua visibile instabilità mentale, era nascosto un uomo intelligente, forse addirittura geniale, che era stato capace di conseguire degli studi ferrei e avere successo nella vita.
Qualcosa tuttavia doveva essere andato storto, trasformandolo nella persona squilibrata che era attualmente. Un vero peccato.
Scrutò ancora fra quelle carte, trovando persino diverse fotografie che lo rappresentavano.
Una doveva essere anche piuttosto recente, visto che il suo viso era pressoché identico, così come la sua pettinatura rigorosamente tirata indietro. Soltanto che era vestito con un completo nero molto elegante. Degli abiti più usuali, rispetto la divisa militare inglese che indossava solitamente, gli conferivano un’aria drasticamente diversa. Più…normale?
Stette a guardarlo diversi istanti, quasi dovendosi sforzare di riconoscerlo.
Girò la fotografia e dietro vi era una dedica oramai illeggibile. Forse era il ricordo di qualche evento.
Claire s’immerse completamente nella lettura di quei frammenti dell’esistenza di Alfred, non riuscendo a frenare la sua curiosità e quell’intrinseca voglia di conoscenza circa il suo universo brutalmente macchiato.
Fu strano per lei poter entrare nei suoi ricordi, seppur frammentati, i quali la coinvolsero a tal punto che non seppe quando porsi un limite.
Uno strano sentimento guidava le sue azioni in quel momento, probabilmente era la sua profonda sensibilità che spesso la portava a non riuscire ad accettare la realtà così com’era.
Claire amava trovare delle ragioni dietro le persone, e quella cassa aveva stimolato quella parte del suo cervello che non accettava di dover soltanto scappare da lui.
Non avrebbe potuto fare niente per aiutarlo, lo sapeva…eppure avere la possibilità di capire meglio il suo mondo era un pensiero che l’aveva già posseduta da tempo, solo che non aveva ancora voluto darvi ascolto.
Il fatto di trovare così tanti oggetti che simboleggiassero un’esistenza così apparentemente normale, inoltre, la rendeva sempre più confusa.
Basandosi sul contenuto di quel forziere, Alfred appariva un uomo come tanti e anzi; persino uno che aveva ottenuto dei successi invidiabili, rappresentando che aveva solo ventisette anni.
Ad un tratto, qualcosa posto sul fondo attirò la sua attenzione.
Era un oggetto rosso, scintillante.
Lo raccolse e subito comprese di cosa si trattava: era la formica rossa, quella per il carillon invece posto nella stanza di Alexia!
Le ritornò di nuovo in mente quella frase: “Dove giace la mia metà, giace il mio cuore.”
La parola “metà” quindi era davvero riferita ai gemelli dai capelli biondi! Se la formica blu rappresentava Alfred, la rossa era invece Alexia.
Dunque… dove giaceva la sua metà, in altre parole Alexia, giaceva il cuore di Alfred. Doveva usare la formica rossa!
Fu lieta di aver trovato qualcosa di utile in quella soffitta.
Inoltre, avendo oramai perso la cognizione del tempo mentre frugava in quello scrigno di ricordi, decise che forse era arrivato il momento di lasciare quella stanza.
Era meglio muoversi in fretta, voleva evitare di imbattersi in Alfred se possibile.
Scese dunque la scaletta a pioli e tornò presto nella camera del biondo.
Proprio prima di attraversare il passaggio segreto che portava nella camera di Alexia, però, un particolare attirò la sua attenzione.
Aveva guardato distrattamente verso la scrivania e si accorse solo allora che il cassetto non era perfettamente chiuso. Si chiese come avesse fatto a non accorgersene prima.
Decise di aprirlo ed esaminare il suo interno più per quell’irripetibile opportunità di esaminare con calma un ambiente così prezioso per Alfred, che per altro.
Una volta aperto, dentro trovò solo alcuni effetti personali, ma ciò che attirò la sua attenzione fu un libricino dalla copertina rigida.
Non era tuttavia un libro qualsiasi. Aprendolo, Claire notò che le sue pagine erano scritte a mano, dunque quello doveva essere… il diario di Alfred!
Il biondo scriveva un diario?
Lo sbirciò velocemente, ma non credeva di avere il tempo effettivo per darci un’occhiata. Per via delle dimensioni ridotte, poteva riporlo nella sua tasca; l’avrebbe poi esaminato con calma.
Mentre lo chiuse, però, qualcosa attirò la sua attenzione.
Fra le pagine pendeva uno strano filamento scuro, veramente molto sottile. Quasi si percepiva a stento.
Prendendolo fra le mani, aprì il diario in prossimità della pagina dove era stato adagiato, la quale era tuttavia perfettamente bianca. Non c’era niente scritto all’interno.
Ciò nonostante, più osservava quella fibra sottilissima, più le sembrava un…capello? Possibile?
In effetti, era usuale conservare cose del genere dentro un diario, però quello non era un capello biondo, dunque non apparteneva né ad Alfred, né alla parrucca di Alexia.
Il pigmento era invece piuttosto scuro e…rossiccio.
Claire sgranò gli occhi a quella sua stessa costatazione.
Un capello rosso, visibilmente femminile per via della lunghezza………………
………Quel capello………….era suo! Di chi altri, se no?
La ragazza si sentì nel panico. Adesso che lo osservava meglio, era più che ovvio che fosse suo.
Quando lo aveva preso Alfred? Ma soprattutto, di che se ne faceva? Perché lo teneva conservato?
Era lì per caso, oppure vi era stato riposto appositamente?
La sua mente cominciò a ingarbugliarsi irrefrenabilmente. Questo perché il ragazzo che abitava quelle mura non era tipo da conservare casualmente un cimelio simile.
Era abbastanza strano e tormentato da arrivare a fare qualcosa del genere, ne era certa.
Purtroppo la teoria più probabile era che lo avesse riposto nel suo diario di proposito…ma per quale motivo?
La risposta era più ovvia di quanto sembrasse, ma Claire non era nella condizione mentale di ammetterlo, sebbene ne fosse già consapevole.
Come se non bastasse, d’improvviso un rumore proveniente dall’esterno interruppe bruscamente i suoi pensieri controversi.
Il movimento della maniglia che girava catapultò immediatamente Claire nella situazione di pericolo nella quale si stava per trovare.
Si era concentrata così tanto verso quel particolare, che non si era accorta dei passi che oramai si erano approssimati da oltre la porta.
Cercò di attraversare il passaggio segreto posto sul muro, ma era troppo tardi.
Quando sbirciò fugacemente alle sue spalle, ormai quel qualcuno stava già aprendo la porta.
 
Alexia, la regina di quel castello, entrò nella stanza da letto.
Il rumore dei suoi passi rintoccò sul pavimento, ammorbidito dalla superficie soffice della moquette.
Il suo ingresso sembrò come fermare il tempo.
Colei che dominava quel mondo emanava un’aurea così forte da essere capace di attirare tutte le attenzioni su di sé, cancellando ogni cosa vi si confrontasse.
La sua candida pelle, i suoi capelli pallidi, l’elegante vestito scuro che accarezzava il suo corpo.
Ella era solo una copia della reale bellezza di colei che era il vero genio della famiglia Ashford; eppure, nonostante ciò, anche ‘lei’ sapeva essere ammaliante e misteriosa come la sua gemella.
Tuttavia il suo viso assorto la tradiva questa volta.
Quello sguardo spento e avvilito rifletteva un mondo interiore in tormento, in contrasto con la maestosità che si proponeva di rappresentare.
Chiusa in quel momento di sconforto, in preda alle amarezze con le quali lottava ogni giorno, sembrava come se la ‘falsa Alexia’ fosse prevaricata per una volta dall’uomo in realtà nascosto dietro la sua effige.
Claire rimase a guardarlo attonita, non capacitandosi di vedere Alfred in quello stato persino nelle spoglie di colei che per lui era la sua ragione di vita.
Lo vide così malinconico che sembrò persino non essersi accorto della sua presenza.
Qualcosa turbava quel viso marmoreo, che invece non faceva che torturarla in quel perverso gioco che la stava ingabbiando sempre di più nel suo losco e folle mondo.
Vedere i suoi limpidi occhi cristallini così bassi e sconfortati, distorse la mente della giovane dal pericolo imminente di trovarsi sola al suo cospetto, nel suo territorio, nella sua camera.
Il suo sguardo scivolò sulla sua spalla, la quale, sebbene fosse bendata, era macchiata di sangue. Questo colava ancora, come se quella ferita non fosse stata suturata a dovere.
Claire dedusse che era lì dove doveva averlo sparato, quando si erano incontrati nel poligono di tiro. Sembrava un taglio doloroso.
Alexia intanto alzò lentamente i suoi occhi glaciali e li rivolse distrattamente alla sua stanza…la stanza di Alfred.
Egli era entrato nella sua camera per riposare, per dare sollievo alla sua ferita e trovare un attimo di pace interiore.
Persino nella sua mente le sue ragioni vacillavano fin troppo spesso. Più volte lottava contro quella pazzia che l’aveva condotto in quel martirio tanto atroce del quale tuttavia non poteva più fare a meno.
Per questo, quando alzò il viso rivolgendolo in avanti, quasi sbandò nel ritrovarsi di fronte Claire Redfield.
La bionda si ritrasse, a tratti confusa, a tratti inorridita.
Davvero non si era accorta di quella presenza e si sentì come minacciata.
La Redfield avvertì lo smarrimento che stava prendendo possesso di lui, così cercò di mitigare la frustrazione che sembrava già di per sé affliggerlo prima ancora che fosse entrato in quella stanza.
Prima però che potesse dire o fare qualsiasi cosa, fu lui a prender parola, parlando con un timbro vocale a metà fra il suo e quello da donna che adoperava per imitare sua sorella; questo proprio perché qualcosa stava andando a collimare in quel momento.
Probabilmente si trattava di quel senso di profanazione che aveva colpito l’Alfred in realtà nascosto dietro quel travestimento.
 
“Vile donna, bieca e spregevole, come lo è tutta la razza alla quale appartieni. Calpestate il suolo di un regno che non vi appartiene, permettendovi di macchiarlo e deturparlo perché voi ritenete che la vostra vita sia più giusta; quando invece esistono delle entità che si elevano alla vostra umana e mediocre concezione del potere. Come osi quindi oltraggiare il suolo di questa stanza? Come osi insinuarti qui dentro, come un’ignobile formica alla ricerca di una salvezza cui non può ambire?
Credi forse di poter fare il tuo gioco? Di poter dominare a modo tuo fra i meandri del mio palazzo?
Avanti, Redfield, mostrami pure come intendi fare…rivela come credi di poter intrappolare il ragno nella sua stessa tela.”
 
Claire rimase esterrefatta di fronte quegli occhi spettrali e apatici, dai quali si ergeva una rabbia incontrollata.
Oltre le sue parole, c’era visibilmente qualcos’altro che l’aveva animato a tal punto.
Claire non lo aveva mai visto così affranto, così addolorato, così ferito… al livello di arrivare a trasmettere soltanto odio, perdendo completamente il senno.
Questo perché poteva vedere nitidamente quanto la sua ira non fosse rivolta a lei, ma a un mondo che gli aveva voltato le spalle e di cui lei era il capro espiatorio in quel momento.
Quel rancore la fece rabbrividire, ma presto quei sentimenti si trasformarono in compassione. Cosa gli era accaduto?
 
“Cosa ti è successo?”
 
“Non essere arrogante, non sei degna di tale risposta.”
 
L’oscurità della sua anima ombrava persino il suo volto, che appariva tetro, ermetico, invalicabile.
Era come se si stesse ergendo una fosca barriera fra lui e tutto ciò che lo circondava. Qualcosa di lugubre e triste brillava nei suoi occhi.
Claire si sentiva sempre più distante dalla comprensione di quelle ferite inguaribili.
Tentennò per qualche istante, non sapendo cosa mai poter dire, o cosa fare, schiacciandosi al contempo contro la parete.
La sua mente e il suo corpo erano concentrati sulla ‘falsa Alexia’ che invece dominava quella scena e che intanto avanza spietata verso di lei, con passo lento e felino.
 
“Non…non stavo facendo niente qui dentro. Me ne stavo andando, tranquillo.” deglutì. “Lasciami andare via, lascia che io torni a casa. Sta durando troppo, per fav…”
 
A quel punto Alexia si fiondò contro di lei afferrandola per il mento.
La scaraventò contro il muro col bassorilievo di pietra e premette con forza, obbligandola a guardarla nei suoi occhi vitrei e impetuosi.
Quelli di una Regina che non ammetteva farabutti nel suo amato regno da proteggere!
 
“Vuoi raccontarmi la tua farsa? Credi davvero che me ne importi? Probabilmente ancora non ti sei accorta di quello che ti circonda. Forse ancora non riesci a vedere chi hai per davvero davanti.”
 
Claire vide davanti ai suoi occhi l’inquietante immagine di quella donna diabolica che muoveva le sue labbra rosseggianti con tono tirannico.
La brutalità che trapelava da esse la fece rabbrividire quanto la sua figura eterea e femminile, eppure oscurata dalla malvagità e dalla pazzia.
Per un attimo dimenticò di avere Alfred dinanzi a sé, perché quella che vedeva era l’ira di una regina ferita al punto di sferrare il suo attacco finale.
Le stava stritolando la mascella contenendo visibilmente la sua collera, consapevole che l’avrebbe triturata se l’avesse voluto. Claire fu costretta a digrignare i denti con forza per cercare di contrastare quella potenza in qualche modo.
La donna dai lunghi capelli biondi intanto si avvicinò ancora di più con fare intimidatorio, volendo violentare con il suo sguardo imperioso la mente di quella giovane ribelle che osava ancora insinuarsi fra i suoi beni più preziosi.
Lo fece perdendo pienamente il controllo di sé, delle sue azioni, guidata da un istinto viscerale che covava nel suo intimo e che bramava trasmette nella donna che si era introdotta nella sua vita. Voleva infettarla con quel senso di prevaricazione che l’avrebbe sottomessa al suo potere.
Claire, infatti, non potette che incrociare i suoi occhi cupi e prepotenti, non essendo nelle condizioni nemmeno di sfuggire dal vincolo che la Regina stava imponendo su di lei.
Era come se la sua forza potesse arrivare a inchiodarla fino a quel punto.
La bionda e oscura gemella si avvicinò arrivando persino a sfiorare le sue labbra, come una serpe che vuole affondare le sue velenose fauci dentro la sua vittima.
Era questo che quella bocca voleva comunicare nella ragazza dai capelli rossi.
Claire, dal suo canto, vide approssimarsi a lei il viso di quella donna, le cui labbra non trapelavano il gesto di un malato amante, ma di una fiera velenosa e mortale che voleva divorarla.
Quando il suo fiato soffiò sul suo viso, il cuore prese a sbatterle impetuoso, ma non potette sottrarsi a quel bacio immorale e letale.
La sua mente lì per lì non seppe collegare quello che stava accadendo realmente.
Sentì quella bocca profanarla con fare diabolico, imbrigliandola nella sua tela velenosa fino a iniettarle le turbolenze che animavano quel mondo demoniaco dominato dalla follia.
Sussurrò appena poche parole incomprensibili, nel mentre in cui tutto ciò accadde. Parole che non riuscì a pronunciare e che avrebbero dovuto distogliere quella donna da quel gesto.
Alexia baciò la sua prigioniera col desiderio di disturbare la sua mente, come l’atto di un malevole aguzzino.
Il diavolo che assapora il terrore delle sue vittime e che le riduce in uno stato di soggezione, lasciandole in balia delle loro angosce.
Adorava nutrire i suoi prigionieri con il suo odio e la sua depravazione, con quella solitudine e aridità che invece animava il suo mondo.
Volle portare tutto questo anche dentro la giovane Claire Redfield.
Sentiva la sua paura. Sentiva il suo sgomento.
La cosa la esaltava e la faceva sentire la vera regina di quel palazzo perverso.
 
Eppure…non si trattava solo di questo.
 
La Regina che si ergeva sovrana e che dominava gloriosa quel mondo...
La Regina che osava compiere le azioni della sua storia e costruire il suo regno…
 
Cose cui lui aveva rinunciato consapevolmente.
Cose cui lui aveva deciso di non abbandonarsi categoricamente.
 
La Regina che viveva attraverso il corpo umile e devoto di suo fratello gemello...e che era anche quella che permetteva l’esistenza di quest’ultimo.
Era tramite Alexia che l’umile servitore poteva vivere anche la sua vita, ormai.
Non c’erano altrimenti.
 
Alfred aveva deciso di eclissasi volontariamente, non desiderando mai di prevaricare su di lei, in onore a un amore che aveva caratterizzato tutta la sua vita.
Tuttavia fu grazie all’autorità e alla fermezza di Alexia che anche lui aveva avuto modo di esprimersi.
Forse, dietro quel travestimento, non c’era solo l’intento di far rinascere Alexia.
Non era lei che prevaricava sulla sua personalità.
Forse semplicemente era grazie al fatto che si fingesse Alexia, che Alfred riusciva a esprimere quello che in realtà era nascosto anche nel suo cuore.
Perché la bionda non era solo una sorella per lui. Lei era un ideale.
L’ideale di quella grandezza che lui stesso ambiva raggiungere.
Alexia era la spada che usava per difendersi dalle sue insicurezze e i suoi tormenti.
Quando diventava Lei, poteva tutto.
Lui…diventava il Re di quel regno dimenticato. Il sovrano che poteva ogni cosa.
 
Per questo quella morsa velenosa, data dalla sua personalità come Alexia, andò presto in collisione con la sua altra personalità.
La sua personalità reale.
La sua personalità fino a quel momento rimasta celata.
La sua personalità come Alfred Ashford.
La sua somma sorella aveva potuto compiere senza indugio qualcosa che invece a lui il cuore impediva, in virtù del suo eterno amore per lei…
Facendolo, era come se avesse avuto il suo tacito permesso, il suo consenso. Era Alexia che aveva deciso di farlo.
Quel vincolo era stato sciolto dalla sua Regina e adesso la sua bella e desiderata Claire era fra le sue braccia…
Fu qualcosa che cominciò a mandare in panne la mente di Alfred, lasciandolo in balia dei suoi sentimenti repressi che avevano violentato la sua mente, rendendolo instabile e sedizioso. 
Prese a baciare intensamente la ragazza senza nemmeno accorgersi di quel lento, eppure repentino, scambio di ruoli che lo fece tornare Alfred Ashford, sebbene fosse ancora travestito dalla sua gloriosa sorella.
Spinse così forte, protraendosi verso di lei, tanto da far ribaltare il passaggio dietro il bassorilievo di pietra che collegava la sua camera con quella di Alexia.
In questo modo i due caddero a terra e Claire si ritrovò il corpo pesante e prepotente della bionda che violava le sue labbra con fare sempre meno indiscreto.
Lentamente quella morsa velenosa si trasformò in un bacio passionale che travolse lo spirito in subbuglio del giovane castellano.
Come se una parte di sé si fosse accorta che la bionda stesse compiendo quel gesto come uomo perso nei suoi sentimenti, Claire cominciò a muovere il suo viso sperando di togliersi da quella situazione.
Era disorientata non solo da quelle labbra, ma soprattutto dalla loro veemenza, dissimile dalla malignità avvertita prima.
Alienata e ancora incapace di intendere e volere, non fu in grado di alzarsi e scappare via da quella situazione fuorviante.
Si sentì soltanto schiacciata fra il corpo di ‘Alexia’ e la moquette sotto di lei. Una posizione scomoda ma che agevolava i movimenti di quella donna, che così poteva costringerla alla sua mercé senza particolari sforzi.
Dal suo canto, Alfred per una volta nella sua vita dimenticò di star interpretando Alexia in quel momento. Fu forse una delle uniche volte in cui, invece, fu il biondo a prevaricare sulla Regina assoluta….. e fu un qualcosa di cui non se ne accorse nemmeno, lì per lì.
Più tardi, sarebbe stato un pensiero che l’avrebbe devastato, ma al momento quell’ignobile e tormentato istinto l’aveva indotto a rischiare la sua intera rappresentazione pur di essere assieme a quella figura spregevole e ordinaria, lontana dal suo concetto di regalità e perfezione.
Una parte di lui era ammaliata da quella sconosciuta e comunissima donna, da quella ignota e imperfetta formica…
 
Né l’incoscienza, né l’incoerenza; né il dolore e né l’umiliazione.
Neppure l’adorazione che invece riservava alla sua unica donna prediletta.
Nulla di tutto ciò prevaricava sulle sue ragioni in quel momento.
 
Egli bramava soltanto possedere quel corpo vivo, reale; una sensazione di appagamento concreto, tangibile, che soppiantasse il sentimento di solitudine che da troppo tempo era rimasto trascurato fino a logorarlo.
Era come se lo stesso burattinaio si fosse stancato delle sue maschere e volesse spogliarsi delle sue vesti anche solo per un istante.
Questo per vivere qualcosa di più reale rispetto a una scenografia falsa interpretata da attori che recitavano soltanto le loro parti.
In seguito, lo show sarebbe andato avanti senza indugio, ripartendo da dove era stato lasciato.
Alfred era conscio, infatti, che non avrebbe mai visto ciò che voleva dietro il suo teatrino, quell’unica realtà che lui concepiva.
Oppure era semplicemente riluttante verso l’ammissione di quella colpa; verso quell’inconfessabile piacere che non gli avrebbe arrecato che dolore se si fosse concesso ad esso.
Per questo ammirava la sua bella “protagonista” dai capelli rossi da lontano, in quel tacito idillio che alcuno avrebbe mai conosciuto. Persino lui stesso.
Egli, infatti, si teneva appositamente alla larga da quei sentimenti proprio per non finire in balia di essi.
Altrimenti un disonore imperdonabile avrebbe annegato il suo cuore, col quale non avrebbe mai più avuto pace.
Alfred era quindi sempre rimasto solo nell’ombra, immobile a contemplarla, senza dar voce a nulla dei suoi piaceri o turbamenti; senza mai dare sfogo all’irrefrenabile istinto privo delle ragioni del suo super io devastato.
Era consapevole di quella trappola micidiale in cui sarebbe caduto se avesse continuato a venerare una donna che non fosse la sua preziosa e amata Alexia, quindi aveva posto un ‘no’ categorico a quel piacere. Eppure restava ugualmente a osservarla, insistentemente….
Non era mai riuscito a toglierla dalla sua scena, nemmeno quando l’aveva travestita da Alexia per poter rendere più ‘accettabile’ quell’infatuazione.
Alla fine, persino in quell’occasione aveva finito per interrompere per una notte la somministrazione di quella droga, per poter ammirare la Claire che intrinsecamente lo aveva conquistato.
La sua tenace e riluttante formica…
Le mani di Alfred scivolarono sul ventre scoperto della Redfield, che percepì quelle dita delicate eppure invadenti muoversi sulla sua pelle.
Claire le sentì raggiungere la parte più alta del suo busto, insinuandosi fra il tessuto dei suoi abiti fino a toccare il suo corpo con insistenza.
Quando comprese che egli non si sarebbe limitato a quel bacio, ma che era sua intenzione possederla nel vero senso della parola, la sua lotta fu più impetuosa e scrollò con veemenza il corpo del biondo.
Egli toccò appena il suo petto, al contempo adagiando meglio le sue gambe fra quelle della ragazza, imponendo il suo corpo sul suo.
Tempestivamente, però, un sonoro e violento schiaffo lo colpì sul viso bloccando i suoi movimenti.
Alfred si ritrovò così a cadere di lato, affiancandosi a terra accanto a Claire.
La parrucca scomposta, tuttavia ancora ferma sulla testa, inondava la sua fronte; e nei suoi occhi qualcosa era cambiato.
La crudeltà e la maestosità vista prima era sparita. Al suo posto c’era un volto smarrito, affannato e confuso.
Il vestito era in disordine e persino lui stesso sembrava quasi incapace di riconoscersi.
Poggiò i gomiti sulla moquette, accorgendosi di essere sdraiato a terra accanto alla nemica che tanto aveva cercato di uccidere.
Claire era confusa tanto quanto lui e lo guardava con occhi sgomentati e sotto shock.
La sua frangia era ricaduta tutta sul viso e il suo colore rosso era lo stesso delle sue labbra, violate in quel modo tanto concitato da averle arrossate di brutto. 
Ella sistemò la sua maglia accertandosi che fosse a posto, ma non staccò mai gli occhi da ‘Alexia’, accorgendosi immediatamente che qualcosa non quadrava.
La bionda intanto si alzò tremante, sembrava come non riuscire nemmeno a reggersi in piedi.
Il suo atteggiamento prepotente era drasticamente cambiato, adesso sembrava solo un cagnolino spaurito.
Claire fissò i suoi occhi in tormento su di lei, capacitandosi che quella non era più Alexia, oramai….…
Egli era tornato Alfred.
Lo vide farfugliare qualcosa mentre si poggiava sul muro, ma non riuscì a dire niente. Era talmente shockato da non riuscire a stabilire subito una connessione fra mente e corpo.
Qualcosa stava collassando in lui, quel crollo psicologico era visibile nitidamente.
Spostò una ciocca della lunga parrucca bionda dai suoi occhi e deformò la sua espressione in uno sguardo truce, addolorato, che divenne poi addirittura disperato.
 
“P…perdonami…!”
 
Disse come non riuscendo a trattenere le lacrime della vergogna, adoperando la sua voce normale.
La rossa si fece sempre più confusa, ancora in balia di quel momento in realtà già abbastanza sconvolgente anche per lei.
Alfred si stava scusando con lei…….oppure con Alexia? Non riuscì davvero a capire.
Vedeva solo quegli occhi di ghiaccio tremare, come spaventati da ciò che aveva compiuto.
Egli forse era persino più sconvolto di lei.
Subito dopo, il ragazzo mise il viso fra le mani e corse via dalla stanza, attraversando di nuovo il passaggio segreto che era rimasto aperto essendo Claire sdraiata proprio nel mezzo.
La sua fuga disperata fu il chiaro messaggio che qualcosa fosse accaduto nella sua mente, che in modo irrazionale l’aveva portato a dare sfogo a quell’irrefrenabile passione.
La ragazza rimase a terra, frastornata, a guardare nella direzione dove era sparito, non sapendo davvero cosa fare, cosa pensare...
Il suo cuore batteva forte, incessante; le sue labbra pulsavano; la sua mente era nel panico.
Cosa diavolo stava succedendo?
 
 
 
 
Un sentimento nascosto, a lungo assopito nel tempo, come addormentato in un luogo segreto e irraggiungibile, abbandonato fino a essere dimenticato.
Questo perché si pensa di non averne alcun bisogno.
Una maledizione dell’anima, che condanna la vittima a sopportare un lungo silenzio, celato nella propria tetra fortezza.
Una ferita che si pensa di poter sopportare.
 
Poi…
Qualcosa cambia.


 
Date al dolore la parola;
il dolore che non parla, sussurra al cuore oppresso e gli dice di spezzarsi.
 

 

 
 
***
 
 
 
 
 
   
 
 
NdA:
Breve spiegazione sulla scelta di questo titolo.
Perché ‘la bella addormentata nel bosco’?
Per due motivi.
Il primo. Nella scelta dei titoli dei capitoli di questa fan fiction intendo ispirarmi al mondo teatrale, le favole, le commedie…ambiti che rappresentano nel modo migliore, per come la vedo, la condizione di vita di Alfred, costretto a ripiegare la sua gioia sulla “finzione” per non cadere totalmente nello sconforto della solitudine.
Perché la scelta di questa precisa fiaba?
Qui il secondo motivo, forse un po’ “romantico”.
La risposta è: il bacio.
Un bacio che risveglia qualcosa. Un qualcosa rimasto a lungo assopito, che è stato negato ad Alfred per ben 15 anni.
Come nella fiaba della Bella addormentata nel bosco, in cui lei si risveglia dopo un lungo sonno grazie al bacio di un principe. Un sonno causato da una maledizione.
Allo stesso modo, Alfred ha negato a se stesso qualcosa che alla fine lo ha condotto alla pazzia, cadendo in una sorta di maledizione da quando Alexia scompare dalla sua vita.
Desidera dunque in modo tacito e inconfessabile quel calore umano di cui invece ha sempre avuto bisogno, ma che ritiene un peccato e un tradimento gravissimo perché offende il suo amore esclusivo per la Regina.
Quel bacio risveglia dei sentimenti che alla fine non ha più potuto controllare. Nemmeno nei panni della sua venerata sorella.
Perché questa scena avviene proprio quando è vestito da Alexia?
Ho cercato di spiegarlo nella narrazione stessa e spero che il significato di questa scelta narrativa sia stata chiara. Nel caso non lo fosse stata,  mi rispiego qui.
La scena del bacio fra Alfred e Claire è nata così nella mia mente fin dal principio. Volevo avvenisse quando lui fosse vestito da Alexia. Era un momento chiave in quanto Alfred grazie a sua sorella trae un’enorme energia, un’immensa forza.
Lei è la sua roccia, il suo punto di riferimento, la donna per la quale vive e si immola. Lei è LA REGINA.
Una regina assoluta, che può tutto.
Alfred da solo mai avrebbe potuto farlo, per lui non esiste nulla al di fuori della sorella. Anche a costo di negarsi la felicità, mentirebbe e impazzirebbe pur di non infangare questo amore eterno.
Come gli accade infatti.
Vestiti i panni di Alexia, egli abbatte una barriera e si trasforma in una persona capace di auto determinarsi, forte, sicura di sé. Si trasforma nella regina appunto. Una regina che si erge al di sopra dei comuni esseri umani.
Così non ha più freni, esibisce la sua follia e la sua tirannia senza inibizioni…e così può baciare Claire. Può farlo perché è la sua personalità come Alexia che glielo permette. Lei che può tutto, lei che è la donna alla quale ha sacrificato tutto, fa quello che lui non si è mai permesso di fare in virtù della sua devozione.
Eppure accade un momento chiave alla fine di tutto.
Ovvero Alfred prevarica su Alexia.
Nel mentre di quel bacio c’è un capovolgimento di ruoli ed egli torna a essere Alfred…
 
Grazie per aver letto!
 
Fiammah_Grace
 
  
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