Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Tormenta    31/12/2015    6 recensioni
Di ritorno ad Hogwarts dopo la guerra, Draco Malfoy ha cicatrici troppo profonde per essere quello di sempre. A Harry Potter basta poco per accorgersi che non sa accettare la sua assenza nella propria routine. Dal testo:
«Malfoy» chiamò, con voce cristallina e appena tremolante. [...]
«Che c’è, Potter?»
Harry si lasciò sfuggire una microscopica smorfia soddisfatta: per la prima volta da quando erano tornati ad Hogwarts, Malfoy gli aveva parlato. Era un inizio – di cosa, non lo sapeva neanche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
11.
Ad armi impari
 
 
 

        La mezzanotte era passata già da un po’ quando Potter si alzò a sedere sul letto, scostando dolcemente le coperte. Recuperò gli occhiali e, ascoltando distrattamente il ronfare dei compagni di stanza, con una buffa agitazione addosso prese a torturarsi le dita delle mani.

        La sfida con Malfoy si sarebbe dovuta tenere a breve, e non aveva ancora deciso come comportarsi.
        Sapeva perfettamente che presentarsi, e quindi affrontarlo, era una pessima idea. Il Serpeverde l’aveva fatto arrabbiare, certo, e non desiderava tirarsi indietro, ma comunque una lontana eco nella mente l’aveva convinto che quel loro scontro sarebbe stato del tutto inappropriato.
        Forse aveva ragione Hermione, a dire che la situazione era degenerata – in effetti, tra loro era dal nulla ricominciata una guerra a colpi serrati. E, come risultato, non era soddisfacente quanto preventivato; affatto.
        Nel buio, voltò istintivamente il capo in direzione del letto di Ron.
        Gli aveva assicurato che non l’avrebbe fatta, la follia della sfida. Si chiese distrattamente come avrebbe reagito, nel caso in cui non avesse mantenuto la parola data. Non bene, probabilmente. Per un attimo, pensò che avrebbe potuto svegliarlo: magari sarebbe riuscito a rimediare un consiglio. Ma no, si disse scuotendo tra sé e sé il capo; non era il caso di farlo, perché non voleva che Weasley sapesse di quella sua confusione.
        Rifletté per un po’ senza giungere a nessuna conclusione degna di nota. Poi, tagliando la testa al toro, saltò giù dal letto.
        Correva il rischio di combinare un disastro: ne era consapevole. Dopotutto, tra una sfida fuori luogo, il Serpeverde che poteva presentarsi con chissà quanti scagnozzi, le aspettative di Ron e, implicitamente, quelle di Hermione, le probabilità che tutto filasse liscio erano poche. Anzi, nulle. Ma la prospettiva di restare sotto le coperte e di essere coscienzioso, per un qualche motivo che non riuscì bene a cogliere, gli parve ben più terrificante – più sbagliata d’un possibile sbaglio.
        Sarebbe andato, allora.
        Una volta che fu pronto per uscire, esitò brevemente davanti alla porta della stanza. Prendendo un bel respiro, si convinse a forza d’avere una chance per gestire la situazione nel modo migliore. Poi, armato di mantello dell’invisibilità, allungò una mano, afferrò saldamente la maniglia e abbandonò il dormitorio.
 
 

        Sgusciò fuori da dietro il ritratto della Signora Grassa e avanzò alla chetichella nel silenzio notturno, vagamente distratto dal ronzare dei propri dubbi.
        Era già al piano terra quando, prima soffuso e poi deciso, uno scalpiccio non identificato risuonò tra i muri. D’istinto, Harry s’appiattì contro la parete e, cercando d’avvicinarsi alla fonte del rumore, strisciò fino allo sbocco del corridoio per sporgersi e dare un’occhiata.
        Il suo primo pensiero era volato a Gazza e alla sua gatta. Non avrebbe potuto essere più in errore di così: poco lontano ed in avvicinamento, infatti, ad incedere a passi sicuri, c’era il professor Holmwood. Serio in volto, si stringeva in un caldo mantello grigio scuro; indossava guanti, sciarpa e scarpe pesanti, e in una mano brandiva la bacchetta.
        Potter s’insospettì. Cosa poteva fare lì a quell’ora? Controllava forse che nessuno infrangesse il coprifuoco? Sembrava decisamente poco probabile. Che si fosse attardato in qualche modo dopo cena, e che si stesse concedendo un giro per il castello prima di ritirarsi? Ma anche quell’ipotesi non aveva propriamente basi solide.
        Scrutandolo con un po’ più d’attenzione, dedusse che doveva esserci un motivo ben preciso se s’era bardato a quel modo. Quale, non avrebbe saputo dirlo.
        Quasi trattenne il respiro fino a quando l’insegnante, ignaro della sua presenza, gli sfilò davanti.
        Tentennò un paio di secondi, poi, spinto da un’incurabile curiosità, abbandonò la propria strada per accodarglisi. In fondo, era un po’ in anticipo: qualche minuto da dedicare a quella stranezza lo aveva.
        Poco dopo, Holmwood rallentò sino a fermarsi. Si mise in ascolto e, lanciando sguardi acuti a destra e a manca, assottigliò gli occhi, mentre alle sue spalle il ragazzo, temendo d’essersi fatto scoprire, si sforzava per non emettere fiato.
        Per un breve lasso di tempo, rimasero in stallo. Dopodiché, il professore riprese con rinnovata fiducia la propria marcia.
        Harry tirò un impercettibile sospiro di sollievo e, distanziandosi maggiormente rispetto a prima, continuò a seguirlo per i corridoi.
        Si fece sempre più perplesso. Stando dietro al mago, infatti, ebbe l’occasione di osservare meglio il suo abbigliamento e, anche a giudicare dalla via che aveva preso, iniziò a pensare che potesse essere intenzionato ad uscire dalle mura di Hogwarts.
        Quell’ipotesi si verificò ben presto azzeccata. Corrucciando la fronte, Potter portò avanti l’inseguimento anche nel buio della notte, illuminata debolmente dal Lumos di cui Holmwood si servì per rischiarare il proprio cammino. Nella mente del ragazzo si dipinsero le più disparate teorie, le quali, neanche a dirlo, assunsero toni cupi nel momento in cui il professore, senza alcuna esitazione, indirizzò i propri passi verso la Foresta Proibita.
        Infreddolito – i vestiti che aveva indosso e il mantello dell’invisibilità non erano abbastanza pesanti per far fronte al vento notturno di fine Gennaio –, Harry s’arrestò al limitare della foresta. Lì, nel più assoluto silenzio, osservò la figura dell’uomo scomparire tra gli alberi, inghiottita man mano dalle tenebre. Sentì il folle impulso di andargli ancora dietro, ma una forza misteriosa – la coscienza, probabilmente – lo trattenne, suggerendogli di fare dietrofront.
        Si ricordò di Malfoy. Ormai doveva essere l’una; doveva darsi una mossa e raggiungere l’entrata dei sotterranei.
        Combattuto, serrò la mascella. Ponderò le opzioni per un po’, poi, sulle note di un mezzo sbuffo, spronato anche dal bisogno di ripararsi dal freddo, girò i tacchi e, quasi correndo, s’avviò verso il castello.
 
 
* * *
 
 

        Non era stato facile, per Draco, abbandonare il tepore del letto. Non che l’idea di prendersela con Potter non lo attirasse – anzi, tutt’altro. Purtroppo, però, gli trasmetteva anche un senso di disagio piuttosto acuto, un fastidio che fomentò la sua ansia.
        Una parte di lui aveva preso in considerazione la possibilità di non andare, ma l’orgoglio s’era fortemente opposto: non poteva tirarsene fuori a quel modo. Non dopo che, per la prima volta da quando la guerra aveva incasinato tutto, s’era sentito veramente in grado di fronteggiare il Grifondoro. Perché era successo; si era detto: posso farlo, senza che sorgessero paure o complessi d’inferiorità. E, per Salazar, non era poco.
        Ma non era neanche una garanzia di successo – e questo lo tenne bene a mente sin dal principio. Non poteva rischiare che il briciolo di sicurezza che aveva coltivato sin lì andasse in frantumi gettandosi in chissà quale impresa contro il dannato eroe; doveva fare in modo di minimizzare le possibili perdite. Proprio per questo, aveva deciso di non richiedere il supporto di nessuno – avere dei compagni attorno avrebbe reso quella cosa molto, troppo più grossa del necessario. In quel modo s’era messo nella condizione di potersi ritrovare da solo contro una schiera di grifoni, certo – era convinto che Potter si sarebbe trascinato appresso come minimo Weasley –, ma era abbastanza sicuro di poter far leva sul loro apprezzamento per il gioco leale per indurli ad uno scontro uno contro uno.
        Che poi, scontro – non avevano in alcun modo definito quale sarebbe stato l’ambito della sfida. Erano stati affrettati nel mettersi d’accordo, e questo dettaglio decisamente non secondario alimentò le sue insicurezze. La voce di queste ultime, comunque, venne ancora una volta zittita dall’orgoglio; perché poteva farcela: l’organizzazione maniacale non era essenziale. O, almeno, questo fu quello che si ripeté più volte mentre, pochi minuti prima che scoccasse l’una, procedeva spedito nei corridoi dei sotterranei.
 
 

        Si mise in attesa dove avevano concordato. Poco tranquillo, da subito drizzò le orecchie e prese a guardarsi attorno con circospezione, così da poter scorgere con anticipo chiunque fosse in avvicinamento.
        Harry, però, riuscì comunque ad eludere il suo controllo. Sopraggiunse celato dal mantello, infatti, e avanzò di soppiatto, piazzandosi alle sue spalle. Solo a quel punto si rese visibile e, infantilmente, si rallegrò del timoroso sussulto che fu in grado di provocargli.
        Sforzandosi per nascondere il lampo di paura che l’aveva colto, Draco indurì l’espressione. «Da quando ti muovi così silenziosamente, Potter?» lo schernì.
        «Non ti avrò mica spaventato?»
        Pieno di sé, mentì: «Certo che no». Poi, sospettoso, lanciò un’occhiata al mantello piegato alla buona che il Grifondoro reggeva con un braccio. Sollevò appena un angolo del labbro superiore, ma non fece commenti, distratto da altri particolari ben più rilevanti. «Nessuno dei tuoi amichetti ti ha accompagnato, vedo», asserì.
        «Potrei dire la stessa cosa», gli rinfacciò Potter, che, in effetti, era piuttosto sorpreso dell’assenza di Goyle, Parkinson e compagni.
        Malfoy soffiò, risparmiandosi di borbottare che non aveva alcun bisogno di rinforzi per avere a che fare con lui – cosa che, per altro, sarebbe stata una mezza bugia. Preferì andare dritto al sodo: con lo sguardo vagante, si strinse nelle spalle, poi parlò. «Cos’hai in mente, allora?»
        Preso quasi alla sprovvista, Harry esitò. «Hm―»
        Passati alcuni secondi e registrata la mancata risposta dell’altro, Draco inarcò un sopracciglio con aria esterrefatta. «Non hai un piano?» appuntò. «Ti rendi conto che tu hai proposto questa cosa, vero?»
        «Ce l’ho, un piano». Ma no, non lo aveva, e fu costretto ad affidarsi alla prima idea che gli venne in mente. «Un duello», sussurrò.
        Per un attimo, si guardarono negli occhi restando in silenzio. Fu strano: entrambi ebbero la sensazione di star vivendo un momento particolarmente sbagliato. Tuttavia, nessuno dei due proferì una sola parola a riguardo.
        Il Serpeverde, sentendo crescere dentro di sé uno spettro d’insicurezza, si morse forte una guancia e strinse i pugni, nella speranza che tanto bastasse per restare saldo. «Bene», scandì. «Se proprio vuoi essere umiliato così― facciamolo». S’impegnò per recitare quella battuta, ma proprio perché l’aveva recitata, senza sentirla davvero propria, la sua voce risultò piatta e quasi inespressiva.
        Potter, irrigiditosi, si concesse un flebile sospiro. Per un attimo sentì il bisogno di dire no, non possiamo farlo, e d’aggiungere anche c’è qualcosa che non va, ma, non volendo fare la figura del rinunciatario, tacque.
        A Malfoy parve di scorgere sul suo viso un’ombra d’incertezza. Desiderò di potersi aggrappare a quel vago spiraglio, di avere l’audacia di questionare la sicurezza del Grifondoro; ma, pur avendo l’opportunità di farlo, non aprì bocca. Semplicemente non poté, perché, tra loro due – e detestava doverlo ammettere –, Potter era quello forte. Se c’era qualcuno che doveva essere sicuro, quello era lui: non poteva avere incertezze; non gli avrebbe concesso un tale lusso. Doveva essere convinto, per entrambi.
        Ignorò quanto notato, dunque, e si nascose dietro ad una maschera sprezzante. «Dove?» domandò spiccio.
        Apparentemente immerso in qualche pensiero, Harry spostò brevemente lo sguardo sul nulla alla propria destra. Poi, col cuore che batteva con più vigore del normale, si fece amaramente serio. «Seguimi», proferì, iniziando ad avanzare.
        Dopo un fugace tentennamento, Draco lo assecondò.
        Si spostarono lungo i corridoi e su per le scale, immersi in un silenzio teso. Dubbiosi, continuarono a riflettere, ciascuno a ripetersi quanto, di secondo in secondo, quella storia della sfida si facesse sempre più inadeguata e campata per aria.
        A parole sembrava tutto più semplice – prendersi in giro; persino odiarsi –, e proprio per quello avevano esagerato: erano passati ai fatti senza quasi rendersene conto.
        Non volevano che accadesse. Una sfida correva il rischio di portare a galla i dolori – e se n’erano dette tante, di cattiverie capaci di avere lo stesso effetto, ma un duello sarebbe stato così tanto più tangibile, più brutto, più inutile. Ce n’erano state anche troppe, di battaglie: non aveva alcun senso crearne di nuove. Eppure – e lo pensarono entrambi – era un po’ come se farsi la guerra fosse l’unica cosa che sapessero fare. Perciò, magari, anche se sembrava così errata, quella era la strada da imboccare.
        Se vuole farlo lui, si dissero, tenendosi quasi costantemente d’occhio a vicenda. E, paradossalmente, notarono i reciproci segni di perplessità, ma comunque continuarono a non voler riconoscere l’esistenza della riluttanza dell’altro – lui vuole farlo. Deve volerlo, si ripeterono allo sfinimento, ignari di pensarla allo stesso modo.
        D’un tratto, l’illusorio equilibrio che li aveva accompagnati sin lì vacillò: Malfoy, infatti, agitato, rallentò. Sul suo volto, un’espressione a metà tra l’arrabbiato e il disgustato.
        Quando notò d’averlo distanziato, Potter si voltò appena. «Che c’è?» chiese enfatico, con una forse bizzarra nota di speranza nella voce.
        Guardandosi attorno, Draco soffiò pesantemente e deglutì. «Niente» sibilò con cattiveria, cercando di scacciare dalla testa la consapevolezza di conoscere fin troppo bene il percorso che stavano seguendo.
        Ricominciarono ad avanzare a passo sostenuto, e Harry abbassò appena il capo. Aveva pregato che il Serpeverde avesse qualche obiezione da muovere, o magari una lamentela da esprimere; insomma, qualcosa in grado di mettere un freno alla vicenda. Rammaricandosi e prendendo un profondo respiro, realizzò che non era così che sarebbe dovuta andare – doveva mettere in chiaro le cose, se quello che stavano combinando non gli andava a genio.
        E l’avrebbe fatto, davvero – aveva già le labbra dischiuse. Non poté proferir verbo, però, perché Malfoy, che era rimasto di nuovo indietro, lo precedette.
        «Potter», chiamò cupo, evidentemente alterato e con gli occhi pieni di risentimento; da come articolò il suo nome, apparve chiaro che qualcosa l’aveva spinto al limite della sopportazione. «Stiamo andando dove penso?»
        Harry, colpito da quel tono catastrofico, aggrottò la fronte e si girò di scatto dalla sua parte. «Stanza delle Necessità», sussurrò, titubante.
        Ecco, appunto, pensò Draco. Ghignò spaventosamente e, mentre un gran turbamento gli montava nello stomaco e nel sangue, si prodigò con una mano in un gesto teatrale. Aprì bocca come se fosse intenzionato a dir qualcosa: gli tremarono le labbra, ma non proferì parola. Ringhiò, però, e subito dopo, frettolosamente, tornò sui propri passi pestando i piedi a terra.
        Travolto da un vaghissimo sollievo e da una buona quantità di confusione, l’altro si mise all’inseguimento. «Ehi! Dove vai?»
        Dovettero passare diversi istanti prima che Malfoy gli rispondesse. «Lasciami in pace», sbottò scendendo i gradini d’una rampa di scale a due a due.
        Harry però non s’arrese. «Si può sapere che succede?»
        «Succede che sei un idiota, Potter».
        «Fermati!» Irritato, lo agguantò per un braccio e lo costrinse a fronteggiarlo. «Qual è il problema?»
        Il Serpeverde tese tutti i muscoli, poi strattonò il braccio per liberarsi dalla sua presa. Grazie alla matta rabbia che aveva in corpo, trovò la forza di essere sincero: «Il problema è che non voglio più farlo. Perciò vattene».
        Ma Harry, scombussolato dalla concitata piega che avevano preso gli eventi, continuò a seguirlo giù per le scale, senza neanche soffermarsi a riflettere.
        «Smetti di seguirmi!» tuonò Draco, quasi urlando.
        «No! Non finché non mi avrai spiegato cosa―»
        «Non c’è niente da spiegare!»
        «Sì che c’è. Da cosa stai scappando?»
        Provocato, Malfoy si pietrificò, piantandosi dov’era. Stava scappando, era vero, ma non sopportava l’idea che fosse tanto evidente. Voltò il capo per guardare l’altro dritto negli occhi e, con ira, scandì: «Non scappo. È che quella stanza―» ma non terminò la frase.
        «Quella stanza…?»
        Si morse una guancia. «Non ci metterò mai più piede, Potter». Detto ciò, riprese a correr via.
        Nella mente del Grifondoro si formò un abbozzo di comprensione: in un istante, tutt’una serie di pensieri sull’accaduto gli si riversarono addosso. Ma li avrebbe processati dopo. «Aspetta!»
        «No, non aspetto! Va’ via, lasciami in pace!» Accelerò, per quanto possibile. «È tutt’una stronzata, questa. Non avremmo dovuto farlo. Non avrei dovuto darti corda!» rettificò immediatamente, rifiutandosi di riconoscere come propria parte della colpa.
        Nonostante tutti quei rifiuti e quelle accuse, Potter non volle demordere: affrontando anche gli sguardi indignati di qualche dipinto, gli stette alle calcagna lungo rampe e corridoi, pur non sapendo bene cos’altro fare o come esprimersi. In effetti, non era nemmeno del tutto certo che ci fosse qualcosa d’appropriato da dire.
        «È la volta buona che ti schianto», lo minacciò infuriato Draco, stanco d’essere braccato. «Sparisci».
        Serrò la mascella fino quasi a farsi male. «No».
        Sconcertato, il Serpeverde sbuffò e, girato l’ennesimo angolo, si costrinse a fermarsi per vedersela con lui. «Si può sapere cosa vuoi ancora da me? Ho detto: niente duello».
        «Non è per il duello!»
        «Per cosa, allora?» La voce quasi gli tremò.
        Incapace di rispondere, Harry mugugnò mettendo su una faccia dura.
        Malfoy roteò gli occhi, piccato, e «Fuori dai piedi», sentenziò prima di dargli nuovamente le spalle.
        «No
        Lasciandosi sfuggire un versetto scocciato, col cuore a mille e un casino di proporzioni bibliche in testa e nel petto, tornò a rivolgergli lo sguardo. «Per Morgana, Potter―» ed era a tanto così dall’estrarre la bacchetta per puntargliela contro, quando all’improvviso una voce roca li fece sussultare.
        «Guarda, guarda». Dietro al Grifondoro, era comparso Gazza: una smorfia storta gli increspava le labbra. «Non dovreste essere qui. Ma questo già lo sapete, vero?» Appena ebbe finito di parlare, Mrs. Purr, zampettando ai suoi piedi, miagolò con aria strafottente.
        Simultaneamente, i due ragazzi s’irrigidirono e Draco, con tono quasi disperato, mormorò ciò che entrambi pensavano: «Grandioso».
 
 

        Furono scortati sino all’ufficio della preside McGranitt. Lì, la strega, infastidita e palesemente delusa dal loro comportamento, sottrasse com’era prevedibile punti alle loro Case, per poi lanciarsi in un rimprovero da manuale.
        Né Malfoy, né Potter l’ascoltarono davvero. Il primo perché intento a tenere a bada – con scarsi risultati – l’agitazione e il desiderio d’eclissarsi; il secondo perché occupato a lanciare occhiate in tralice all’altro.
        Vennero congedati dopo l’assegnazione d’una punizione da scontare la sera successiva.
        Non appena furono lasciati liberi, si separarono senza congedarsi. Cioè, Draco se ne andò senza voltarsi indietro, diretto ai sotterranei, ed Harry fu costretto a lasciarlo fuggire. Lo fissò mentre s’allontanava per alcuni secondi, dopodiché s’avviò verso la Sala Comune.
 
 

        Quella notte non dormirono bene.
        Il Serpeverde neanche ricordava l’ultima volta che si era sentito tanto arrabbiato, frustrato, pervaso da un fuoco insopportabile – un fuoco, sì, come quello che era avvampato in quella stanza. La stanza dove aveva riparato l’armadio. La stanza che rappresentava i suoi mille sbagli e le sue mille colpe.
        Com’era venuto in mente a Potter di cercare di potarlo lì? E beh, certo, si disse; Potter era ignorante. Davvero molto, molto ignorante, perciò era ovvio che non avesse capito niente. Non capiva mai niente, lui.
        Al contrario di ciò che pensava Draco, però, quella sera Harry aveva capito un sacco di cose. In ritardo, certo, ma le aveva capite, e questo non gli diede pace.
        Loro due non potevano più essere veramente quelli di prima: era diventato ovvio anche per lui; tanto da far male. Chiedere a Malfoy di tornare quello di una volta era stato egoista, e mettere in scena quella dannata sfida era stato incredibilmente stupido. Non avevano più voglia di combattere, di odiarsi per davvero. E anche farlo per scherzo, come a volersi illudere di poter recuperare qualche brandello dal passato, era doloroso, perché a dividerli c’era un campo minato: ordigni ovunque, pronti ad esplodere; ed erano targati guerra, responsabilità, perdite, ruoli, Sectumsempra, processi, Mangiamorte… e doveva essercene anche uno etichettato Stanza delle Necessità, o Armadio Svanitore, o Ardemonio – qualunque fosse il suo nome, Potter era certo d’averlo sfiorato. Si diede dell’idiota per questo.
        Poteva aver mandato tutto all’aria. E forse il suo era solo il pensiero d’un folle – non avrebbe saputo giudicare obiettivamente –, ma per l’ennesima volta l’idea di aver perso quel morboso cercarsi, che pur era un farsi del male, gli compresse orribilmente il petto.
        Per quanto si sforzò, non ebbe modo di non pensarci.
        Quando finalmente s’addormentò, vinto da una stanchezza radicata, il buio della notte s’era già diradato.
 
 
» …



 
Angolo di Tormenta

Mannaggia a Harry, non considera mai tutte le variabili. :c A parte gli scherzi - quest'idea, di Potter e Malfoy che effettivamente non possono tornare a essere quelli di prima, è un po' la mia regina. E' un dato di fatto magari amaro, ma ehi! non implica che tra i due non possa svilupparsi qualcosa di... nuovo. (Che allusione sottile! XD) Inoltre, sullo sfondo, finalmente assume rilievo anche il professore di Difesa. ...Succederanno cose.
Oh, e ovviamente:
BUON ANNO! ☻~

Come sempre, mille grazie a tutti coloro che leggono, seguono, commentano. Love you all! ♥
A risentirci nel 2016,
T. ♪
Campagna di Promozione Sociale - Messaggio No Profit:
Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Tormenta