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Autore: Tormenta    14/01/2016    7 recensioni
Di ritorno ad Hogwarts dopo la guerra, Draco Malfoy ha cicatrici troppo profonde per essere quello di sempre. A Harry Potter basta poco per accorgersi che non sa accettare la sua assenza nella propria routine. Dal testo:
«Malfoy» chiamò, con voce cristallina e appena tremolante. [...]
«Che c’è, Potter?»
Harry si lasciò sfuggire una microscopica smorfia soddisfatta: per la prima volta da quando erano tornati ad Hogwarts, Malfoy gli aveva parlato. Era un inizio – di cosa, non lo sapeva neanche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
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13.
Penultimo tassello
 
 
 
        Astoria Greengrass era una delle persone più particolari che Draco Malfoy avesse mai conosciuto. Non che avesse doti straordinarie; anzi, era… normale, ma in un modo tutto suo.

        Era piuttosto introversa. Per questo, in principio, quando sua sorella Daphne li aveva presentati, non avevano parlato granché – e anche in seguito non erano diventati propriamente amici. Potevano più che altro definirsi buoni conoscenti. Rispettavano sempre i reciproci spazi e, nelle occasioni in cui conversavano, stavano ben attenti a trattare solo argomenti banali. C’erano però alcuni preziosi dettagli della personalità di Astoria, che, a priori dalla natura di quel loro quasi inesistente rapporto fatto di chiacchiere superficiali, Draco era stato capace di cogliere: era incredibilmente carismatica e, al contrario di tanti, tantissimi altri Serpeverde, era spontanea, per nulla impostata – o, alternativamente, sapeva comportarsi con una sprezzatura tale da risultare perfettamente naturale in ogni espressione, ogni gesto, ogni lieve sorriso.
        Tanta autenticità non poteva far altro che spingere coloro che le parlavano a sentirsi a proprio agio. E Malfoy – pur essendo, beh, Malfoy – non faceva eccezione: quando si trattava d’avere a che fare con la più giovane delle sorelle Greengrass, in lui spariva ogni traccia di senso d’incomodo. Era un po’ come se, inconsciamente, sapesse che lei non gli avrebbe mai potuto fare alcun torto, quindi non aveva alcuna ragione per barricarsi dietro atteggiamenti difensivi, né tantomeno alcun istinto che gli suggerisse di farlo, quando se la ritrovava attorno; in qualsiasi momento ciò accadesse. Insomma, accettava la sua presenza di buon grado, poiché non era affatto molesta.
        Ad esempio, non l’aveva allontanata quando, dopo che era rientrato in Sala Comune in quella notte di fine Gennaio, lei gli era comparsa accanto.
 
 

        «Ehi. Ti va un po’ di compagnia?» aveva mormorato per annunciarsi Astoria.
        Prima di rispondere, Draco l’aveva fissata per un momento come a volerla analizzare. «Uh, okay. Ma non ho molta voglia di parlare».
        «Neanch’io, in realtà». Prendendo posto vicino a lui sul divanetto, gli aveva mostrato il grosso libro che si portava appresso – stava tenendo il segno ad una pagina con un dito. «Maratona di studio. Ma non ne posso proprio più; un altro minuto, e potrei impazzire. Ho bisogno di una pausa».
        S’erano crogiolati nel silenzio per un po’, comodamente e fiaccamente rilassati. E non erano stati istanti tesi o imbarazzanti – tutt’altro: quello che li aveva avvolti era un silenzio neutro, che nessuno dei due s’era sentito in dovere di spezzare.
        Pian piano, i pensieri di Malfoy erano scivolati in direzione della ragazza: aveva voltato appena il capo dalla sua parte, occhieggiando i capelli biondi raccolti e lievemente fuori posto, poi il viso appesantito da chiara stanchezza, e infine aveva fissato lo sguardo sul libro poggiato sulle sue ginocchia. A quel punto quasi s’era imbronciato perché, cavolo, per quanto si potesse essere bravi alunni, studiare di notte per lui equivaleva all’autoinfliggersi una pena.
        Per un po’, aveva ponderato per decidere se fosse o meno il caso di far commenti. Poi, non potendo più sopportare tutte quelle riflessioni, s’era semplicemente lasciato andare: «Perché cavolo studi di notte? È follia pura».
        «Lo è davvero» aveva riso candidamente Astoria, «ma non ho scelta».
        «Uh».
        «Insomma, potrei farlo di pomeriggio. E in effetti lo faccio, solo che― a volte non riesco proprio a concentrarmi. Colpa di mia sorella».
        «Daphne?»
        «Sì, è l’unica sorella che ho». Nel dirlo, s’era girata verso di lui e aveva sorriso sorniona.
        Draco, mettendo su una smorfia vagamente simile ad un sogghigno, aveva alzato le spalle e scosso appena il capo. «Lo so. È che non immagino cosa possa fare per distrarti. Ci ho studiato insieme, non è così terribile».
        «Scherzi, vero?»
        «Hm». A quel punto aveva chiuso per un istante gli occhi, sorprendendosi della propria improvvisa voglia di chiacchierare. «No, sul serio. Sta zitta. È molto più di quello che si può dire di altri».
        «Okay, non parla, ma― Salazar, è tutto il resto il problema! Non ti sei mai accorto di niente?»
        Spendendo un paio di secondi per cercare di ricordare qualche possibile dettaglio, Malfoy aveva inspirato profondamente per scacciare la pesantezza dovuta al sonno. «Non so; non credo. Cosa fa di così terribile?»
        Al che, con aria un po’ divertita e un po’ esasperata, Astoria s’era concessa una debole risata e aveva lasciato ricadere la testa all’indietro. «Farei prima a dirti cosa non fa. Giuro, è un incubo – ogni volta che devo studiarci insieme non fa altro che interrompermi in continuazione; mi colpisce il braccio mentre scrivo, mi tira calci da sotto al tavolo, sospira rumorosamente, invade il mio spazio». Lì s’era fermata, ma dal tono che aveva usato era chiaro che ci fossero mille altre piccole cose che la infastidivano. «È terrificante».
        Draco, senza riuscire ad immaginare una Daphne tanto seccante, aveva supposto che si trattasse di spontanea non-sopportazione tra sorelle. O qualcosa del genere. «Non studiare con lei», s’era quindi ritrovato a consigliare.
        «Ci provo! Ma a volte siamo in gruppo e c’è anche lei – di certo non posso dirle vai via, e non mi va di fare l’outsider studiando da sola».
        «Quindi, giustamente, sopporti e poi fai comunque l’outsider studiando da sola… di notte».
        Non intenzionata ad ammettere che, tutto sommato, per lei studiare di notte non era poi così terribile, Astoria aveva esitato e sbuffato, per poi aprirsi in un sorriso elegantemente impacciato e buttar lì: «Più o meno».
        «Geniale, davvero».
        Facendo spallucce con aria impettita, aveva arricciato le labbra. «Dimmi di te – come mai sei ancora sveglio? Se posso chiedere».
        Malfoy s’era incupito di colpo, colto di sorpresa da una risacca di pensieri su quell’incurabile idiota che era Harry Potter, e non aveva risposto.
        Perspicace, lei aveva capito l’antifona e non s’era azzardata ad insistere. «Va bene», aveva borbottato pacatamente, per poi aprire e sollevare il libro. «Ultimo paragrafo della giornata! Augurami buona fortuna».
        Quelle poche parole, leggere e appena mormorate, avevano avuto il potere di restituire a Draco una qualche serenità; era sempre piacevole quando le persone non s’intromettevano nei suoi affari. «Buona fortuna», aveva sussurrato alzando entrambe le sopracciglia; poi, dopo aver ascoltato brevemente il rinnovato silenzio tra loro, s’era alzato. «Io vado. Buona notte», aveva bisbigliato congedandosi con un cenno.
        «Buona notte». Astoria l’aveva osservato muovere i primi passi, con un accenno di sorriso sulle labbra. «Grazie per la compagnia».
        Per un istante, lui s’era sentito quasi in dovere di ribattere con un educato “A te”. Si era persino fermato per rivolgerle uno sguardo, praticamente pronto a parlare; alla fine, però, l’aveva fissata senza dir nulla, dedicandole solo un secondo cenno di saluto.
 
 

        Anche se forse non l’avrebbe ammesso, in quell’occasione parlare con Astoria Greengrass lo aiutò a ritrovare quel briciolo di calma e di pace interiore di cui aveva bisogno per dormire. Gli fu d’aiuto, ecco; ma non per questo sviluppò una maggiore simpatia per la ragazza. Di sicuro, però, s’appuntò che la sua presenza poteva essere ancor più piacevole di quanto ipotizzato.
 
 
* * *
 
 

        Per Harry Potter la fine del primo mese dell’anno fu fastidiosa.
        Per più e più giorni, si sentì come schiacciato da un peso del quale non ebbe modo di liberarsi – e, inutile negarlo, la cosa era correlata alla figura d’un certo Serpeverde biondo che gli stava dedicando il trattamento del silenzio.
        Provò a confrontarsi con lui in un paio di occasioni; niente di esagerato, davvero. La prima volta si limitò, dopo una lezione, a fargli capire con occhiate piuttosto eloquenti d’essere interessato a mettere in piedi una conversazione; la seconda, invece, incrociandolo lungo un corridoio, semplicemente rallentò il passo quando furono vicini, cercando d’intercettare un suo sguardo. Neanche a dirlo, non ottenne nulla. Beh, nulla meno i rimproveri velati di Hermione che, sempre attenta, si rese conto in ambedue i casi di ciò che lui stava cercando di combinare.
        Lui, comunque, non l’ascoltò. Cioè, l’ascoltò, ma non le diede retta, perché la resa non figurava nei suoi piani.
        Tra sé e sé, s’era detto che Malfoy poteva aver bisogno di altro tempo; qualche altro giorno per metabolizzare quello strappo che c’era stato tra loro. Con un po’ di fortuna, dopo le cose sarebbero andate meglio, perché anche se non potevano più essere per davvero quelli di prima, magari avevano la possibilità d’essere qualcosa di diverso. Questo, almeno, sperava ingenuamente.
 
 

        Emerse – o, meglio, riaffiorò una seconda – ma non per importanza – causa di grane: il pensiero del professor Holmwood nella Foresta Proibita. E con quello, l’idea di parlarne con Hagrid, come avevano stabilito.
        Si trattava d’una faccenda piuttosto gravosa, per Harry, Ron e Hermione. Spesero una buona parte delle lezioni di Difesa a tener d’occhio l’insegnante, cercando con poco successo di leggergli dentro; più volte, poi, ne parlarono amaramente tra loro.
        Sembrava proprio un professore a posto, Holmwood. Non il massimo in quanto a spiegazioni, a detta di Hermione, e secondo Ron fin troppo serio, ma comunque a posto. Faceva male e anche un po’ paura, quindi, pensare che potesse nascondere qualche cupo segreto, perché la guerra era finalmente finita ed era profondamente ingiusto che dovessero ancora preoccuparsi di certe cose.
        Animati da quello spirito, lasciarono passare i giorni senza fare alcuna mossa. E qualcuno avrebbe potuto dire che se la stavano prendendo comoda e che stavano sbagliando, perché, cavolo, poteva essere una questione seria; loro, comunque, non si sentivano in torto. Forse perché s’erano messi in testa che con buona probabilità era tutto un malinteso, e che non c’era nulla da temere.
        In ogni caso, alla fine decisero di procedere e di parlare al Guardiacaccia: marciarono verso la sua capanna durante il pomeriggio d’un giorno nuvoloso.
        Il mezzogigante li accolse calorosamente e li invitò ad entrare, scusandosi mestamente per il caos e addossandone la colpa ad una qualche bestiola che, a suo dire, l’aveva fatto diventare matto a forza di saltare da una parte all’altra. «Sulle pareti, sul soffitto; sul serio, non smetteva più di rimbalzare!» commentò ridendo.
        «Siete venuti a fare due chiacchiere?» chiese ai ragazzi dopo che questi si furono accomodati.
        «Sì e no», rispose con tono piatto Hermione, facendosi avanti per compensare il tentennamento degli amici.
        «Cioè?»
        «Abbiamo una cosa da chiederti. Si tratta del professor Holmwood», asserì Harry, prima di umettarsi nervosamente le labbra. «L’altra notte io― io l’ho visto mentre entrava nella Foresta Proibita».
        Tra lo stupore e la perplessità di Hagrid e l’atteggiamento un po’ ritroso dei tre Grifondoro, finirono col perdere un paio di minuti in silenzi densi intervallati da battute atte a confermare che , Potter era uscito di notte infrangendo il coprifuoco, ma che no, non era un problema perché aveva già scontato la propria punizione. 
        Poi, finalmente, tornarono ad occuparsi di ciò che era importante.
        «Avevamo pensato che potessi saperne qualcosa», soffiò Hermione, le braccia incrociate al petto.
        Scuotendo scompostamente il capo e strabuzzando appena gli occhi, l’omaccione negò. «Non so niente di professori nella foresta».
        Ron, mogio, sospirò. «Era troppo semplice perché potesse essere vero».
        «Sicuro che fosse proprio lui?» domandò il Guardiacaccia rivolgendosi a Potter, preoccupato e un po’ titubante.
        Harry annuì. «Sì, l’ho visto bene».
        «Allora― forse devo parlarne con gli altri insegnanti. Con la preside», si corresse Hagrid, incerto. «Ma, però―» e sbuffò, lasciando la frase in sospeso.
        «Cosa?» intervenne concitato il ragazzo.
        «Mi fido di quello che dici, Harry, ma― è strano, ecco». Alzò le larghe spalle, abbassando lo sguardo su un gingillo che aveva appena distrattamente estratto da una tasca, e che posò poi sul tavolo senza particolare cura. «Non ci ho parlato molto, visto che non è proprio un chiacchierone. Però è un professore rispettato. E non m’è sembrato una persona cattiva o pericolosa».
        I tre capirono alla perfezione dove volesse andare a parare: anche loro, infatti, non erano del tutto convinti che fosse il caso di creare un gran polverone attorno alla faccenda; in fondo, rischiavano di complicare inutilmente le cose e di mettere in dubbio la buonafede d’un uomo innocente. C’era da dire, però, che in passato insegnanti apparentemente per bene s’erano rivelati nemici.
        Erano combattuti, quindi, e, con lo sguardo rivolto a Hagrid, s’affidarono a lui perché li alleggerisse della responsabilità di prendere una decisione.
        Il mezzogigante s’accorse che stavano aspettando un responso da parte sua. Mugugnò sommessamente a testa bassa, riflettendo, poi fece: «Posso tenerlo d’occhio, per sicurezza. Se scopro qualcosa, ne parlerò immediatamente con la preside McGranitt. Voi― voi statene fuori».
        I Grifondoro si scambiarono alcune veloci occhiate cercando conferme e sicurezze l’uno nell’altro. Poi Hermione prese parola: «Forse è la cosa migliore».
 
 
* * *
 
 

        Era già Febbraio quando, nell’aula di Pozioni, Draco Malfoy si sentì chiamare da una voce sin troppo familiare prima che la lezione iniziasse.
        «Uhm, Malfoy».
        Fu praticamente un sussurro.
        In principio quasi non reagì: si limitò a strizzare gli occhi e a mordersi una guancia. Poi, spinto da una malsana e forse controproducente curiosità, voltò il capo per lanciare un’occhiata all’imbecille che l’aveva interpellato – Harry Potter, chiaramente.
        Lo fissò per una manciata di secondi, sentendosi addosso non solo gli sguardi dei componenti del Trio dei Miracoli, ma anche quelli d’un paio di Serpeverde che l’affiancavano. Sbuffò tra sé e sé, tacendo – perché, davvero, cosa avrebbe dovuto dire?
        Era da un po’ che non dava attenzione a Potter, e che gli stava il più possibile alla larga; o, meglio, che ci provava. Questo, perché il suo spirito razionale s’era convinto che fosse la cosa migliore da fare per guarire; cioè, per dimenticare l’orrida sensazione che l’aveva travolto la notte in cui s’erano incontrati. E c’era da dire che tutto sommato quel piano stava funzionando: con ormai una settimana di notti più o meno tranquille alle spalle, poteva dire d’essersi quasi ripreso. Un risultato, quello, raggiunto non certo grazie all’aiuto di Potter. Anzi, il Grifondoro praticamente l’aveva osteggiato, considerato che non aveva mai smesso di scrutarlo e di stargli addosso.
        All’inizio s’era a stento trattenuto dal mangiargli la faccia, covando il pressante desiderio di ripetergli che doveva lasciarlo in pace. Poi, come solitamente accade quando ci si concede del tempo, la repulsione era via via scemata e s’era ritrovato per le mani nulla più d’un blando senso di fastidio. Ed era a quel punto che il tutto si era fatto un po’ strano, perché – e detestava doverlo anche solo riconoscere a se stesso – s’era riscoperto quasi rincuorato dalla perseveranza di Potter.
        Come se― come se fosse pronto a ricominciare da capo. Ad odiarlo di nuovo, a riprendere a lanciargli frecciatine. Assurdo, davvero: tornare ad averci a che fare gli sembrava una prospettiva così semplice e normale, sebbene fosse cosciente del fatto che sarebbe stata l’ennesima mossa rischiosa.
        Aver l’istinto di fare qualcosa di apparentemente insensato e pericoloso lo preoccupava non poco. Neanche avesse una natura autodistruttiva.
        Ecco, forse era quello che Potter gli faceva: lo trasformava in un folle con manie autodistruttive, e per farlo gli bastava dondolare sotto al suo naso la promessa d’attenzioni, di battute antipatiche e d’un pizzico di sollievo.
        Per quella che forse era la milionesima volta, si disse che era semplicemente inaccettabile che quel maledetto Grifondoro avesse un tale ascendente su di lui – la sola idea lo scocciava non poco. E ad aggravare il tutto c’era la consapevolezza che, da ingenuo e disattento idiota qual era, Potter con tutta probabilità neanche si rendeva conto del potere che poteva esercitare.
        Lui era ignaro. Fottutamente ignaro. E se ne sbucava fuori con quel suo “Uhm, Malfoy” così, con quella faccia innocente, come se non si trattasse di niente di speciale; come se non ne andasse affatto dell’atteggiamento del suddetto Malfoy, dei suoi livelli di frustrazione, e in parte anche della sua sanità mentale.
        Per carità, Draco non voleva che sapesse come stavano le cose; il suo a stento rattoppato orgoglio non avrebbe retto il colpo. Ma Salazar – quel modo di porsi fu per lui dannatamente irritante. Così tanto, che non poté trattenersi dal lanciargli un’occhiataccia accompagnata da un ghigno scocciato. E se non fosse stato il ragazzo pseudo-maturo che era, forse avrebbe ceduto anche all’impulso di fargli le boccacce scimmiottando quel suo patetico “Uhm, Malfoy”.
        «Hm», mugolò Harry, non sapendo bene come affrontare il silenzio del Serpeverde; intanto, Hermione lo teneva d’occhio chiaramente disapprovando il suo tentativo di dialogo. Era quasi certo che lei gli avrebbe fatto presente la propria opinione più tardi; chiedendo anche spiegazioni, s’intende.
        In tutta onestà, Potter non sarebbe stato capace di spiegare perché, dopo quei giorni di calma piatta, si fosse deciso a chiamare Malfoy proprio in quel momento. Magari aveva solo colto un’occasione qualunque perché s’era stancato d’aspettare. In ogni caso, era lì.
        Cavolo, se era lì. Ci sarebbe sempre fottutamente stato, fino a quando avrebbe potuto. E Draco lo sapeva – così come sapeva anche che scacciarlo non avrebbe sortito alcun effetto rilevante. Dannata cocciutaggine, pensò osservando il Grifondoro, incapace d’evitare di apprezzare la sua costanza, e di desiderare che non sparisse mai.
        Gli aveva senza ombra di dubbio instillato – o, meglio, aveva fatto riemergere in lui quello stesso bisogno di giocare a “Potter e Malfoy” che aveva dichiarato d’avere. Ripensandoci, sentì crescere la rabbia nelle vene e, sbuffando con aria mezza disperata e mezza rassegnata, decise di risparmiare all’altro il compito di trovare qualcosa da dire.
        «Non smetterai mai di farlo, vero? Di darmi fastidio». S’espresse con tono duro e acido, ma nella sua voce vibrò anche una nota di preoccupazione – perché una parte di lui voleva solo tastare il terreno prima di rimettersi stupidamente in ballo, così da accertarsi di poter riporre fiducia in una rivalità svuotata di senso e nell’imbecille che già due volte l’aveva fregato.
        Harry intercettò una significativa occhiata di Hermione. Non fece una piega, e sbottò: «Probabilmente no».
        Draco fece schioccare la lingua, poi esalò un sospiro – forse di sollievo, perché incredibilmente Potter aveva appena borbottato ciò che lui voleva sentirsi dire, e un nonsoché di profondo subito gli aveva attanagliato le viscere trasmettendogli una forte sensazione. Positiva o negativa, non avrebbe saputo dirlo. Non stette a pensarci su, comunque, abbandonandosi ad un a lungo trattenuto sprazzo di animosità.
        «Non hai mai preso in considerazione l’idea di trovare qualcun altro da scocciare? Un’altra Weasley, magari. È già passato un po’ da quando l’ultima ti ha piantato».
        Punto sul vivo, il Grifondoro aggrottò la fronte e fece per ribattere, ma Ron, al suo fianco, lo precedette: «Non mettere in mezzo mia sorella!»
        Malfoy, col battito appena accelerato a causa della gran soddisfazione che gli era montata in petto, alzò le spalle e roteò gli occhi.
        Non ebbero modo di portare avanti la conversazione, perché il professor Lumacorno diede inizio alla lezione. Tuttavia, prima di dedicarsi all’intruglio della giornata, il Serpeverde s’assicurò di lanciare un ultimo sguardo affilato a Potter.
        Un dettaglio, quello, che restò forse insensatamente impresso nella mente di Harry, insieme al ricordo delle poche battute che s’erano scambiati.
 
 
» …



 
Angolo di Tormenta

Insomma, Astoria Greengrass. Siate sinceri, vi ho sorpresi? :P A parte gli scherzi - come immaginate questa ragazza? Io vedo una (futura) donna di società in lei, di quelle che sanno sempre come prendere tutti. Qui, data l’età, è ancora un po’ acerba. Oh, e per me è bionda con gli occhi chiari, perciò nel testo la descriverò in questo modo. Non che sia poi troppo importante; generalmente, infatti, resterà nel background. c:
Questa settimana vi risparmio le mie insicurezze sul professore di turno (Hagrid, argh), passando a confermare che Potter e Malfoy sono pronti per un piccolo "cambiamento". Nel prossimo capitolo ci sarà una specie di... curva a gomito (?) tra loro - e non aggiungo altro per scaramanzia. 

Ringrazio tantissimo tutti coloro che leggono, seguono, preferiscono, commentano. c: Love you all! ♥
Kiss kiss e a presto,
T. ♪
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Dona l’8‰ del tuo tempo alla causa pro recensioni.
Farai felici milioni di scrittori.

(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
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