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Autore: DirceMichelaRivetti    16/01/2016    1 recensioni
Storia che vuole esplorare il passato di Jenkins, dalla sua gioventù fino al momento in cui la magia venne tolta dal mondo; i suoi rapporti con la Biblioteca e la sua relazione col padre.
Mi sono ispirata in parte al ciclo bretone, in parte a tutte le frasi (spesso lasciate in sospeso) pronunciate da Jenkins circa il proprio passato.
Genere: Avventura, Fantasy, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Dulaque, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Galahad e Melissa si erano lasciati alle spalle la foresta di Brocelandia, procedevano poco loquacemente, ancora turbati e confusi per ciò che Merlino aveva annunciato. Non potevano fare a meno di pensare alla caduta di Camelot: come sarebbe accaduto? Artù aveva resistito ad ogni colpo per oltre mezzo secolo, che cosa sarebbe stato capace di abbattere il suo regno? A cosa i cavalieri della Tavola Rotonda non sarebbero riusciti a far fronte?

Merlino aveva detto che Eris avrebbe posseduto le menti degli uomini … che cosa intendeva dire? Era una metafora, oppure no?

Il loro pensiero era fisso su quell’argomento ed entrambi pensavano spesso ai rispettivi padri che temevano di non rivedere mai più.

Tornarono a concentrarsi sulla realtà quando un pomeriggio trovarono sul proprio sentiero uno stormo di cigni, a terra, che occupava tutta la strada: erano centinaia e centinaia.

I due giovani si stupirono sia per la gran quantità di animali, sia per il luogo dove li avevano incontrati. Era impossibile avanzare.

I cigni, poi, si fecero aggressivi, iniziarono a starnazzare e a beccare le zampe dei cavalli e, alzandosi in volo, anche i due umani. I due amici provarono a fuggire, voltando i destrieri, ma gli uccelli li inseguirono, incalzandoli da una parte e dall’altra, in modo tale che prendessero la direzione voluta da loro. Sospinti così ferocemente dai cigni, i giovani giunsero ad un cimitero, dentro il quale furono costretti ad entrare. Gli uccelli circondarono il camposanto, ma senza entrarvi, come se volessero rimanere di guardia per assicurarsi che i due non uscissero.

Galahad e Melissa avevano ben capito che quelli non erano cigni comuni e che c’era qualcosa di sovrannaturale in quella faccenda, ma non fecero in tempo ad esprimere i propri dubbi, che scorsero due lapidi coi loro nomi incisi sopra. Si scambiarono un’occhiata e non ebbero bisogno di dirsi nulla per decidere unanimi di avvicinarsi ad esse per cercare di capire la situazione. Mossi un paio di passi, però, la terra davanti alle lapidi crollò, rivelando una scalinata che scendeva verso l’ignoto e le tenebre.

Il cavaliere sospirò e disse: “Se non fossero bastati i cigni a dirci di fare un viaggio nell’oltretomba, questo è un segnale ancor più eloquente. Che ne dici? È una morte, morte quella che ci aspetta, o una morte iniziatica? Guarda, lì c’è il simbolo del melograno, quindi forse c’è speranza di uscirne vivi.”

“Penso che la morte sarà morte, renderla iniziatica dipende da noi, la possibilità ci sarà offerta, speriamo di coglierla.”

“Allora, scendiamo? Dovremo lasciare i cavalli qua, ma non credo ci siano pericoli per loro.”

Legarono i destrieri vicino a un’altra lapide. L’uomo prese spada e scudo.

Melissa osservò: “Non credo che quelle servano.”

“Hai ragione.” annuì Galahad, riponendo le armi “Forza dell’abitudine.”

Si avvicinarono alla scale che scendeva verso l’abisso. Erano piuttosto emozionati: quella volta l’ignoto faceva più paura del solito. Rivolsero l’uno lo sguardo all’altra nel medesimo istante, si sorrisero nervosamente per farsi coraggio, poi si presero per mano e scesero il primo gradino, poi il secondo e così via.

Il buio li circondava, non potevano vedere nulla. L’aria si faceva pesante, rimaneva inodore, ma era sempre più densa e difficile da respirare. Più scendevano, più l’aria pareva trasformarsi in sabbia incandescente che bruciava il naso e i bronchi, oltre che a graffiarli come carta vetrata.

Continuarono a scendere, nemmeno loro seppero per quanto, poi la scalinata finì davanti a un piccolo arco che introduceva a una sorta di piana sotterranea: il terreno era brullo, secco e attraversato da un’infinità di crepe e, a calpestarlo, si sollevava un sacco di polvere. Da lontano si scorgevano sagome di alberi ma, arrivati vicino ad essi, ci si accorgeva che erano solo tronchi secchi, piante morte poste a simulare una vita che non avevano. Allo stesso modo di tanto in tanto pareva di scorgere animali, ma in realtà erano solo pellicce su ossa. Di acqua non ce n’era da nessuna parte, mentre una luce solare (pur non potendo venire dal Sole) picchiava sul terreno; sopra le loro teste, invece, vi era solo oscurità.

“Il panorama non sembra cambiare: deserto a perdita d’occhio.” commentò Galahad, dopo alcune ore “Che cosa facciamo?”

“Non ne ho idea. Non so neppure in che oltretomba ci troviamo!”

“Perché, ce n’è più d’uno?”

“Con tutti i morti che ci sono, si fatica  metterli tutti in un unico luogo e farli amministrare soltanto da una persona o poco più. Ogni popolo ha un suo specchio negli inferi … o almeno questo è ciò che mi hanno insegnato nella famiglia di mia madre.”

“Personale che gestisce i morti, dici?”

“Sì, mica si autoamministrano gli spiriti dei defunti … anche se, in realtà, la questione è complicata. Gli spiriti comuni, o per meglio dire gli spiriti rimasti allo stadio evolutivo più comune negli uomini, quando il corpo muore e perdono dunque il loro veicolo, vengono attratti naturalmente negli Inferi, è come una forza magnetica che li attrae e trattiene qua. Gli abitanti veri e propri degli Inferi hanno dunque potere su di loro e quindi decidono come accoglierli, come trattarli, se punirli oppure no. Non ci sono regole universali e comuni, gli Inferi sono semplicemente mondi sotterranei, gestiti da creature come le altre. Quando uno muore, semplicemente scende nell’Infero più vicino.”

“Aspetta, fammi capire bene: ci sono ninfe varie per ogni tipologia di concentrazione d’acqua, Driadi per le piante, Oreadi per le montagne, tutte quelle di boschi, valli, prati etc; poi ci sono quelle aeree come Esperidi, Pleiadi, Silfidi e via dicendo. Salamandre per il fuoco e dovrei avere fatto esempi un po’ per tutte le tipologie che vivono sulla terra e nei cieli. Dunque, se abbiamo ninfe sulla Terra e in Terra, significa che ce ne sono anche sotto?”

“Sì. Avernali o Lampadi le chiamavano i miei parenti; suppongo che qui abbiano un altro nome.”

“Dobbiamo cercare chi comanda qui, secondo te?”

“Sì. Suppongo che non ci avrebbero invitati ad entrare, se non avessero voluto che noi li raggiungessimo e non ci stessero aspettando.”

“Perché non ci hanno anche dato un qualche indizio su dove andare? Mah, probabilmente ce li hanno dati e non ce ne siamo accorti. Proviamo un attimo a riflettere. Abbiamo trovato molte cose che sembravano vive, ma in realtà erano morte … questo dovrebbe essere il regno dei morti ma è in realtà governato da vivi, visto che Avernali o chi per loro sono in vita. Sembrerebbe, quindi, che le cose siano rovesciate, ogni cosa è l’opposto di come appare. Forse per sbloccare la situazione dovremmo fingerci morti.”

“Sembra sensato. Sei geniale!”

“Vediamo prima se funziona. Scaviamo due fosse e poi sdraiamoci dentro e vediamo che cosa accade.”

Scavare con le mani richiese molto tempo, fatica e sopportazione del dolore: le loro mani sanguinavano per il tanto lavorare, ma non se ne diedero pena. Preparate le due fosse, vi ci si collocarono e chiusero gli occhi, in attesa.

Dopo qualche minuto avvertirono una leggera e piacevole brezza accarezzarli. Nello stesso istante decisero di sollevarsi e guardarsi attorno. Si trovavano in un ambiente tendenzialmente buio, ma illuminato da strane pietre brillanti o da alcune piccole e strane piante che non si erano mai viste sulla terra, erano per lo più rampicanti che crescevano su puntoni di roccia. Non lontano si sentiva scorrere un fiume. Era senza dubbio un paesaggio inusuale, ma ciò che colpì maggiormente i due amici, fu la presenza degli spiriti: erano forme eteree delle persone che erano state. Non avevano un atteggiamento comune, ma differivano le une dalle altre: alcune volavano da una parte e dall’altra, abbattendo ciò in cui si imbattevano, oppure scontrandosi con gli altri; c’era chi si guardava attorno nervosamente alla ricerca di cibo, chi scrutava chiunque con sospetto e paura, chi non la smetteva di infastidire gli altri, uomini che inseguivano donne, donne che inseguivano uomini, uomini e donne che stavano fin troppo volentieri assieme; alcuni erano sdraiati, ignorando tutto quel che accadeva attorno, altri erano irrequieti. Vi erano così tanti spiriti che è impossibile dire di ciascuno che cosa stese facendo.

I due viventi si incamminarono alla ricerca di qualcuno con cui dialogare o di un nuovo indizio. Intanto Galahad domandò: “Non mi aspettavo di trovare così tanta attività tra i morti. Le descrizioni di oltretomba che ho letto erano piuttosto concordi tra di loro e diverse da queste. I fantasmi erano sempre tristi, avviliti, colmi di rimpianto, accomunati dalla malinconia e dalla vaghezza; qui, invece, sembrano piuttosto coinvolti, anche se non capisco esattamente in cosa.”

“Tu ti stai riferendo all’aldilà descritto da Omero o Virgilio o, comunque, a quella tipologia dove i morti sono consapevoli della loro condizione e per ciò ne sono afflitti. Questa, invece, mi pare essere una di quelle versioni in cui non si rendono conto di cosa e dove sono, ma semplicemente sono in preda alle passioni e ai desideri che li hanno posseduti in vita. Questi mi pare non abbiano neppure ricordo della loro vita e hanno pure perduto il proprio ego.”

“Credo che anche questo cammino non ci porti da nessuna parte. Stando a quello che hai detto, in questa fase dobbiamo capire da cosa siamo controllati nella vita e riuscire a liberarcene. Può essere?”

“Sembra logico, ma non è facile. Credo che la cosa migliore da fare sia che ognuno faccia notare all’altro da cosa lo vede condizionato; forse ascoltare chi ci vede da fuori è più semplice che giudicarci da soli. Secondo te, qual è il mio punto debole? Facendo leva su cosa, agisco impulsivamente, anziché secondo ragione e giustizia?”

Galahad rifletté per qualche momento, poi disse: “Penso che tu abbia paura. Ti mostri sempre molto sicura di te, spesso puoi sembrare arrogante a chi non ti conosce, sei piuttosto chiusa e hai lasciato avvicinare poche persone. Non credo che ci sia qualcuno che abbia mai visto il tuo lato più sereno e dolce, a parte me, tuo padre e Merlino. È come se ti aspettassi sempre del male da parte degli altri, quindi poni delle immense distanze tra te e loro, come per proteggerti. Da un lato sembra che tu non ritenga la maggior parte della gente degna della tua attenzione e dall’altro sembra che tu abbia paura che essere più amichevole e aperta verso gli altri possa minare il tuo lavoro; non vuoi mostrarti per paura di perdere il rispetto degli altri, che le persone, considerandoti amica, ti prendano meno sul serio e si prendano più libertà, oltre a temere che, vedendo le tue debolezze, le sfruttino per farti del male.” poi tacque e la osservò per vederne la reazione.

Melissa pensò per un po’, poi annuì, rise amaramente e disse: “Sì. La paura mi condiziona alquanto.”

“Di me, cosa dici?”

“Scarsa autostima. Sei estremamente insicuro, nonostante tu non abbia ragione di esserlo. Vuoi sempre avere l’approvazione degli altri o, almeno, di chi ti è caro, dunque agisci sempre come loro si aspettano. Per fortuna hai ottimi modelli e le persone che non vuoi deludere, tuo padre, Artù, si aspettano un comportamento virtuoso e giusto. Credo, però, che ormai sia il momento, per te, di perseguire la Giustizia e il Bene semplicemente perché è quello che vuoi, perché li conosci e vuoi realizzarli, senza aspettarti che le tue azioni ti portino l’approvazione e la stima di altri. Un giorno, forse molto presto stando a quello che ha detto Merlino, non avrai più il Re o Lancillotto a cui guardare e del cui benestare essere contento. Come sarai, allora? Liberati dal bisogno del loro consenso, del consenso di chiunque altro, anche del mio se ha mai avuto peso. Agisci per il bene perché è giusto così e non per soddisfare altri.”

Galahad non poté fare altro che sorridere, con un po’ di vergogna, ed annuire. Poi chiese: “Come facciamo a liberarci di queste dipendenze?”

“Penso che dovremo lavorarci piano, piano, una volta usciti da qui. Per il momento penso basti averle riconosciute ed ammesse; ora cerchiamo il fiume che sentivamo gorgogliare poco fa e immergiamoci lì.”

Panta rei. Acqua che scorre via, purificando: ottima intuizione.”

Andarono al fiume e vi si immersero. La corrente era forte, li trascinò sott’acqua e poi li fece riemergere in una fontana, al cospetto del signore di quegli inferi.

“Benvenuti!” li accolse l’umanoide, con la pelle verdognola “Mi chiamo Lactos e governo su questi luoghi. Avete fatto un ottimo lavoro, finora. Avete dimostrato che la vostra volontà è forte e ben consolidata. Il vostro spirito è superiore a quello degli uomini comuni e, se non lo svilirete nel resto delle vostre vite, non verrà attratto dagli Inferi, ma si volgerà verso altre vette. Meritate di uscire da qui e riprendere il vostro cammino, tuttavia c’è un problema. Chi viene qui, non esce. Vi è un solo sentiero che collega questo posto, con la Terra di sopra. I vostri occhi non sono adatti alle tenebre di tale strada e quindi non potete vedere le centinaia di orme che procedono tutte in un’unica direzione: dall’esterno verso l’interno. Ora, se io vi lasciassi uscire, gli spiriti noterebbero che qualcuno da qui è tornato sulla Terra e quindi mi tormenterebbero, chiedendo di andarsene e tutto ciò causerebbe non poco danno. Come fare, quindi, per evitare una rivolta tra i morti?”

Galahad rispose senza esitare: “Cammineremo all’indietro, in questo modo le nostre orme saranno appariranno come quelle di chi sta entrando e non uscendo.”

Melissa annuì, pensando a come tale soluzione fosse usata spesso e volentieri nella mitologia.

“Mi pare giusto.” commentò Lactos “Potete andare, ma a una condizione: non potrete tenervi per mano, né parlare tra di voi finché non sarete fuori. Chi non obbedirà a ciò, verrà di nuovo trascinato qui e non vi potrà più uscire.”

I due giovani accettarono e si misero in cammino. Lo stesso tragitto che avevano percorso all’andata, questa volta lo batterono camminando all’indietro, sempre avvolti dalle tenebre, non potendo parlarsi o toccarsi, dunque senza avere la certezza che anche l’altro stesse davvero uscendo da quegli Inferi. Mentre camminavano in silenzio, udivano l’uno la voce dell’altro: parole disperate, chiedevano aiuto, supplicavano e, non ricevendo risposta, insultavano e maledicevano.

Sia Galahad che Melissa erano consapevoli che quelle voci erano solamente un inganno, una prova per tentarli, per indurli in errore e ritrascinarli tra i morti. Era l’ultima prova che testava la loro forza di volontà.

Dopo un lungo cammino uscirono finalmente all’aria aperta, sotto il Sole, sulla comune Terra. Rivedendosi si abbracciarono per dimostrare il sollievo di aver superato quell’avventura che, in un qualche modo, li aveva trasmutati.

Quando si voltarono per cercare di capire dove si trovassero, ebbero un’incredibile sorpresa: una grossa nave volteggiava a un paio di metri dal suolo. Appena si avvicinarono per osservarla meglio, una scala di corde si srotolò da sola per permettere loro di salire. Si issò prima il cavaliere, volendo essere certo che non ci fossero pericoli, poi lo seguì la maga. Sul ponte della nave c’erano i loro cavalli e tutto il loro equipaggiamento.

Non vi era nessun altro a bordo. C’era una sala da pranzo, ma non una cucina né una dispensa, una stanza con dei libri e giochi da tavola e infine due camere da letto.

La nave si sollevò in volo e iniziò a dirigersi chissà dove. I due giovani, stupiti e preoccupati si precipitarono verso il timone, sperando di poter trovare qualcosa, ma esso era inamovibile; tuttavia notarono una scritta in ebraico che diceva: Salomone mi fece.

Venne la sera e trovarono la tavola imbandita. Così trascorsero settimane: in viaggio sulla nave volante, senza che mai toccasse terra, ma con ogni cibo a disposizione quando si aveva fame, sia per loro che per i cavalli e anche la sala dello svago si rinnovava spesso con nuovi libri e altri giochi. Fu un’esperienza del tutto nuova per i due amici: mai avevano trascorso così tanto tempo assieme, senza dover affrontare pericoli e avventure. Di solito, nei periodi di pace che avevano trascorso a Camelot, non erano mai stati così a lungo in compagnia l’uno dell’altra; anzi, generalmente a corte si vedevano di rado al di fuori dei ritrovi comuni, poiché Galahad trascorreva il tempo col padre, il Re e i cavalieri, mentre Melissa riceveva insegnamenti da Merlino e si concentrava sul potenziare le proprie capacità e approfondire gli studi.

Quelle settimane di pace e tranquillità sulla nave furono quindi qualcosa di mai sperimentato prima. Si trovarono bene, tuttavia, non ci furono screzi tra loro, trascorrevano alcune ore assieme, mentre in altre erano separati, rispettando tempi e spazi l’uno dell’altro, senza mai problemi.

Un giorno la nave atterrò sopra a un monte. Scesero e trovarono l’ingresso di una grotta, che era stato scolpito in modo tale da assomigliare ad un portale. Su di esso campeggiava una scritta che avvertiva che l’ingresso era consentito solamente a colui che aveva ottenuto tale impresa nel proprio destino. Fu quindi evidente che l’unico ad entrare doveva essere Galahad che partì immediatamente, mentre Melissa lo aspettò fuori.

La maga si era sdraiata sull’erba: era da tantissimo tempo che non aveva più un contatto con l’energia della terra e sentiva il bisogno di ricaricarsi di nuova energia pura e rilasciare quella ormai contaminata. Un po’ come la respirazione di ossigeno ed espulsione dell’anidride carbonica, allo stesso modo funzionava quella traspirazione energetica.

Era lì, con gli occhi chiusi, che si godeva i raggi del Sole, quando avvertì un influsso magico: non era un incantesimo aggressivo, quindi non ritenne di doversi difendere, però qualcosa accadde. Sentì di non trovarsi più nel proprio corpo e, anche se non aveva aperto gli occhi, vide qualcosa attorno a sé: acqua, acqua ovunque e una donna bellissima e altera, con lunghi capelli biondi e occhi grigi. Anche se non l’aveva mai vista prima, Melissa la riconobbe immediatamente: Viviana, la Dama del Lago.

Dopo ciò che le aveva detto Merlino ed essere stata messa in guardia anche da Morgana, Melissa temette di essere in pericolo, eppure non avvertiva ostilità. Si limitò a guardare un poco torvamente l’altra donna e aspettò in silenzio.

Viviana aveva un’espressione comunque conciliante, un sorriso gentile ma non del tutto spontaneo; esordì: “Salve, Melissa, finalmente riusciamo a parlarci.”

“Finalmente?” replicò, perplessa, la giovane.

“Sì. Ho sentito raccontare molte cose su di te, speravo capitasse l’occasione di vederci di persona, ma visto che ho aspettato tanto, senza che ti venissi mai a trovare dalle mie parti, ho deciso di contattarti. Conosci questo tipo di magia?”

“No.” ammise Melissa “Deve essere molto potente per trasportare la coscienza di una persona in un luogo extradimensionale, senza il suo consenso … io non mi sono mai spinta oltre la telepatia.”

“Immaginavo. Merlino ha rivelato solamente a me i segreti più profondi della magia.”

“Lo so. Vi ha dato un potere straordinario, ma non i mezzi per non esserne succube.”

“Oh, è questa la favoletta che raccontano? È Morgana a raccontare queste menzogne? Lei è sempre stata invidiosa di me. Non mi odia quanto odia Ginevra, ma più o meno siamo lì. D'altronde, la gelosia e l’invidia regnano a Camelot. La verità è che Merlino si infuriò terribilmente quando si accorse di quanto fossi diventata potente, di quanto avessi imparato e conoscessi la magia e i suoi meccanismi. Sai che cosa si ottiene quando si ha il potere? La libertà. Non avevo più bisogno di un maestro e delle sue petulanti regole o subdole richieste. Ero indipendente e questo Merlino non poteva sopportarlo. A lui piaceva comandare, avere tutto e tutti sotto il proprio controllo. Diciamo la verità: Artù portava la corona, ma a governare era Merlino. Non gli piaceva quando altri prendevano un’iniziativa, voleva avere seguaci e non amici. per questo ha considerato sbagliato l’insegnamento impartito a me e, da allora, è stato molto più avaro coi propri discepoli. Non ha mai rivelato a nessun altro la verità sulla magia e ha sempre tenuto tutti i suoi discepoli molto al di sotto di lui, in modo tale che continuassero sempre a venerarlo come il grande mentore indispensabile e dunque fossero sempre pronti a venerarlo.”

“Merlino non è affatto così.”

“Due errori in cinque parole. Merlino era così, io l’ho conosciuto meglio di qualsiasi altro. Punto secondo, devi abituarti a parlare di lui al passato, ormai.”

Melissa ricordò che il Mago aveva annunciato la sua vicina scomparsa: era già avvenuta? Volle  chiedere conferma: “Perché? Gli hai fatto qualcosa?”

“Mi ha costretta. Stavo elaborando un grande progetto e lui, invidioso, lo ha sabotato. Ho dovuto rinchiuderlo in una prigione d’aria, ma ormai aveva distrutto gran parte del mio lavoro. Sono riuscita a portare a compimento solo la prima parte del mio piano … il che è un peccato, perché non ci potrà essere il rinnovamento che avevo ideato … e dire che mi ero data tanto da fare per raccogliere l’energia necessaria!”

“Uccidendo i maghi allievi di Merlino?”

“Mi hanno incolpata anche di questo?”

Lo stupore di Viviana non pareva sincero. Continuò: “Tu ti fidavi ciecamente di Merlino? Pensi che abbia sempre fatto il tuo bene?”

“Non ne ho mai dubitato.”

“Questo è un grave errore! Dubita sempre di chi ti offre la verità senza sacrifici, una soluzione perfetta, senza prezzo da pagare. Mi risulta ti abbia scelta come erede, è così?”

“Sì.”

“Eppure non ti ha trasmesso tutto il suo sapere. Non ti ha mai mostrato la magia applicata al tempo o alle altre dimensioni, vero? Non ti fa dubitare delle sue intenzioni?”

“Presumo non ne abbia avuto il tempo e che confidasse potessi arrivare da sola a quelle conoscenze, in futuro.”

“Se ti fa piacere crederlo …” lasciò sottintendere il resto.

Melissa si era un poco innervosita, ma si impose la calma e domandò: “Avete detto che volevate parlarmi, è solo per screditare il mio maestro? Inoltre, come mai sapevate di me?”

“Credi che solo Galahad sia diventato famoso, grazie alle imprese che avete condotto assieme? Le persone che avete aiutato, i nemici che avete abbattuto ma non ucciso ricordano ed elogiano sia il cavaliere che la maga. Come ben sai, Galahad è mio nipote, quindi mi interesso a ciò che fa ed è stato inevitabile sentire parlare anche di te. So che sono quasi dieci anni, ormai, che siete inseparabili per questo speravo che, prima o poi, lui decidesse di passare dal Lago e presentarti anche a me.”

Melissa rimase confusa, non capiva bene se quelle parole contenessero secondi fini od altro.

Viviana continuò: “So che ora non siete a Camelot, anzi, siete molto distanti da Logres. Ascoltate il mio consiglio: non tornate in quelle terre! Il fatto di non essere riuscita a completare il mio progetto ha gettato il regno di Artù nel caos. È inutile che vi rechiate là, adesso. Venite da me. Vi aspetto al Lago. Galahad sa dove trovarmi. Vi ospiterò volentieri: sono tanti anni che non vedo mio nipote e desidero passare del tempo con lui; sarò anche felice di conoscerti e di completare la tua conoscenza della magia, se lo vorrai.”

Melissa non ebbe il tempo di replicare; si ritrovò sbalzata via da quello strano luogo e sentì di essere nuovamente nel suo corpo, sul fraticello, sotto i raggi del Sole.

Si mise a sedere e si guardò attorno: non doveva essere trascorso molto tempo.

Dopo non molto, vide Galahad uscire dalla grotta e dietro di lui levitavano una lancia e un calice: sicuramente il Graal e la Lancia di Longino.

La donna sorrise e gli andò incontro, domandando: “Allora, è stato difficile?”

“No, per nulla. Credo che le difficoltà fossero nell’arrivare a questo punto. Tu, piuttosto, mi sembri turbata, o sbaglio?”

“È successa una cosa strana. Prima saliamo sulla nave e poi ne parliamo?”

Il cavaliere acconsentì, quindi si imbarcarono e ripartirono. Seduti sul ponte della nave, godendosi la brezza tra le nuvole, la ragazza riferì la conversazione con Viviana.

Galahad sembrava sospettoso e disse: “Non credo che mia nonna senta semplicemente la mia nostalgia. Non sappiamo che cosa sia successo a Logres e lei vorrebbe che non lo sapessimo, per questo ti ha detto di andare direttamente da lei. Nel migliore dei casi, ha detto la verità e teme che a Camelot si parli tremendamente male di lei e non vuole che fossimo influenzati dalle dicerie. Nel peggiore dei casi, invece, la colpa è sua e vorrebbe farci credere il contrario.”

“Perché ha parlato con me e non direttamente con te?”

“Questo l’ha detto chiaramente: voleva conoscerti. Il che significa che voleva testarti in un qualche modo o, almeno, farsi un’opinione su di te. Inoltre, probabilmente ritiene che, convincendo te, riuscirà ad avere anche me.”

“Non avrebbe più senso il contrario?”

“Mia nonna sa che diffido di lei. Mi ha insegnato moltissime cose, senza dubbio, ma la sua mentalità non mi è mai piaciuta troppo. Portare te dalla sua parte, significherebbe impossessarsi della scuola di Merlino; a questo sicuramente ci ha pensato, ma ha pensato anche al fatto che tu potessi influenzare me.”

“Quindi non andremo al Lago.”

“Non lo so, ma di certo non sarà la prima tappa. Innanzitutto devo consegnare il Graal e la Lancia a Pelleas e alla sua Biblioteca.”

“Credevo non ti stessero troppo simpatici nemmeno loro.”

“Confido comunque più in loro che in Viviana. Inoltre questa missione è come se me l’avesse affidata Pelleas, quindi  è giusto così. In base a quel che constateremo a Logres, decideremo se passare poi dal Lago, oppure no.”

Galahad, poi, si alzò e si ritirò sottocoperta. Vi rimase in solitudine alcune ore, saltando anche la cena, infine tornò sul ponte che la notte era già calata; aveva con sé il Graal e lo appoggiò per terra, mettendosi a sedere di nuovo accanto all’amica. Non era tranquillo. La sua era quella preoccupazione che agita chi è risoluto a fare una cosa ma, allo stesso tempo, è turbato dalla consapevolezza di quanto tale strada cambierà per sempre e irrevocabilmente la sua vita, una volta intrapresa.

Melissa lo notò, ma rimase in silenzio, con un semplice sguardo incoraggiante, poiché sapeva che domandare avrebbe messo l’amico ancor meno a proprio agio. Lui aveva bisogno dei propri tempi e quindi glieli lasciò.

Dopo un poco di silenzio, Galahad si decise: “Ricordi ch’io chiesi a Merlino come sarebbe stato possibile per noi influenzare un futuro tanto lontano e lui ci disse che lo avremmo capito dopo questa missione?”

“Sì.”

“Ecco … guarda dentro il Graal … no, non toccarlo, osserva e basta … vedi che c’è il sangue, il sangue di Gesù?”

“Ebbene?”

Il cavaliere sospirò per farsi forza e continuò: “Nella grotta mi è stato detto che, bevendolo, è possibile ottenere l’immortalità … ovviamente se la si merita, altrimenti si morirà all’istante. Nella grotta mi è stato fatto capire che devo bere da questo calice, anche se mi spaventano l’immortalità e le responsabilità che essa comporta nei confronti del mondo, per via delle mie scelte di vita. Proteggere i deboli, servire la Giustizia, compiere il Bene per l’eternità è una prospettiva allettante, ma anche gravosa … gli oneri … le sopportazioni … Alla fine mi sono detto che questo è quello che voglio fare, voglio accollarmi questa missione, ma ad una condizione: voglio condividerla con te. Da solo ho paura di crollare nei momenti in cui la speranza sembrerà sparire o … non credo che sopporterei l’immortalità senza di te … Per cui berrò dal Graal solo se lo farai anche tu … ma allo stesso tempo ho paura: non sei potuta entrare nella grotta e là non mi hanno parlato di te … So che Merlino ha parlato di entrambi e la prova nell’oltretomba è stata per tutti e due … tuttavia vorrei avere la certezza di non perderti, nel tentativo di averti con me per sempre.”

Melissa si commosse per quelle parole che suonavano come una dichiarazione. Senza dare una risposta, senza lasciare il tempo a lui di reagire, afferrò il Graal e bevve un sorso.

Galahad si era stupito e spaventato, poi vedendo che la ragazza continuava a vivere, lo afferrò a propria volta e bevve.

Si guardarono negli occhi, spaesati.

Melissa domandò: “Siamo diventati immortali?”

“Teoricamente sì. Io non mi sento diverso.”

“Nemmeno io. Abbiamo solo l’immortalità o anche la giovinezza eterna?”

“Spero entrambe, non mi va di fare la fine di Titone. Perché hai bevuto senza esitare, senza timore?”

“Ho bevuto senza esitare per impedire al timore si protestare. Mi fido di Merlino e, comunque, il passare l’eternità con te era un buon motivo di rischiare la vita.”

“Sei sempre sicura di amarmi? Perché?”

“Perché non dovrei?”

“Non ho da offrirti che una vita erratica a sfidare i pericoli.”

“Finora non mi sono mai lamentata, mi pare.”

“Che ho fatto per meritare il tuo amore?”

“L’amore non si merita, è assolutamente gratuito. Potrei elencarti i tuoi pregi, il tuo valore, la tua bontà … ma non servirebbero a spiegare perché ti amo. Non c’è una ragione, non ce ne sono mille, è un legame che nasce da un’affinità e da una armonia che non so spiegare, ma senza la quale la mia vita sarebbe vuota.”

“Io … grazie.”

“Non ho fatto nulla.”

“Hai avuto pazienza e non ti sei arrabbiata. Mi avevi offerto il tuo amore, ma l’ho respinto, pur ricambiandolo, e tu non ti sei indignata o infuriata come molte donne avrebbero fatto.”

“Tu hai rifiutato il mio corpo, non il mio amore. Il mio amore lo hai sempre accettato, permettendomi di starti accanto, fidandoti di me, confidandoti e condividendo … e lo hai sempre ricambiato.”

“Voglio che tu sappia che quella volta ti respinsi a causa del Graal. Dovevo mantenermi puro, vergine, per poterlo prendere. Non sapendo esattamente che cosa si intendesse con tale definizione, non ho voluto correre rischi. Adesso, però, possiamo essere realmente una coppia, completamente. Abbiamo bevuto il sangue di Cristo per poter stare per sempre l’uno con l’altra … penso che come consacrazione del nostro amore davanti a Dio, possa essere più che valido. Cosa ne dici?”

“Dalle parti di mia madre, per suggellare momenti come questi, si usa dire: ubi te Caius, ego Caia.”

Galahad sorrise, poi avvicinò il proprio volto a quello della donna e, per la prima volta, la baciò.

   
 
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