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Autore: marta_bilinski24    20/01/2016    3 recensioni
Tratto dal primo capitolo: “Derek non sapeva come fosse potuto accadere. […] si ritrovava prigioniero del suo stesso corpo, senza la più pallida idea di come recuperare le sue normali funzioni umane. […] Derek era diventato un lupo completo e non sapeva più come tornare un uomo.”
Se non vi bastasse un wolf!Derek aggiungeteci un dogsitter!Stiles e state a vedere cosa succederà!
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cora Hale, Derek Hale, Stiles Stilinski
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Note iniziali: Ciao a tutti, siamo arrivati al terzo capitolo! Prima di lasciarvi alla lettura volevo aggiungere solo due cose. La prima è che questo capitolo è un lungo flashback su quando, dove e come Stiles e Derek si sono incontrati per la prima volta. La seconda è che vorrei ringraziare con tutto il cuore le persone che stanno leggendo la storia in silenzio, che l’hanno messa tra i preferiti, che la stanno seguendo e che l’hanno recensita. Non mi aspettavo una reazione così calorosa, sappiate che siete la mia gioia! Sapere che vi piace quanto è piaciuto a me scriverla è la sensazione più bella. Semplicemente grazie a tutti!

 

 

CAPITOLO 3: Non ti ho scordato

 

Era passato circa un anno da quella sera, ma Derek se la ricordava ancora bene, i ricordi e le sensazioni erano vivide nella sua memoria. Era stato scaricato per l’ennesima da una donna, ormai sembrava averci fatto il callo, cercava di farsi scalfire sempre meno da quelle persone che lo utilizzavano come “uomo oggetto”. O lo volevano mostrare alle amiche come il Ken di quella settimana e lo lasciavano il weekend successivo, oppure lo utilizzavano come anti stress da una notte e via. Il peggio era che Derek si lasciava fare e continuava ad accettare quella assurda e squallida situazione. La parte triste era che nessuna di quelle donne gli dava nulla, nemmeno nel poco tempo che passava con loro. Le nottate di sesso le trascorreva pensando ad altro e più di qualche volta gli era capitato di essere lasciato mezzo nudo, durante un rapporto, in un appartamento sconosciuto e senza idea di come tornare a casa. Si odiava per quello che stava facendo della sua dignità, ma non riusciva a smettere di accettare quella compagnia, si sentiva terribilmente solo. E si illudeva di provare meno solitudine circondandosi di persone interessate a tutto tranne che a lui.

 

Aveva avuto qualche cotta adolescenziale, nulla di serio, un po’ spinto dal fatto che tutti nella squadra di basket in cui giocava avevano una fidanzata. L’unica con cui fosse scappato un bacio era stata una certa Paige, talentuosissima violoncellista che dopo pochi mesi era partita per fare della musica la sua carriera. Derek non l’aveva più vista né sentita e, con sua grande sorpresa, l’aveva dimenticata velocemente. Sua madre era solita ripetergli che il primo amore non si scorda mai e Derek si era convinto di non aver ancora incontrato il suo primo amore, tutte quelle erano infatuazioni di un momento.

 

Ma quella sera, quella sera Derek non l’aveva più scordata, quel viso non l’aveva più scordato e ora quel ragazzo aveva di nuovo fatto irruzione nella sua vita, con la stessa faccia tosta di un anno prima. Derek era triste di non poter constatare se avesse fatto lo stesso effetto in Stiles, se anche lui non avesse scordato quel momento tutto loro. Nessuno dei due sapeva nulla dell’altro se non il volto. Come aveva potuto non incontrarlo più? Stiles aveva pure detto a Cora che conosceva il loro condominio perché fino a qualche mese prima passava spesso a trovare il suo migliore amico Scott, il figlio della signora McCall del piano di sopra, che ora era partito per il college. Eppure non si erano mai incrociati. Il destino aveva voluto farli rincontrare in una situazione così tragicomica che se non ne fosse stato coinvolto personalmente avrebbe fatto ridere Derek a crepapelle. E ora aveva davanti agli occhi “il ragazzino del bar”, come lo aveva soprannominato quella sera. Perché Derek aveva pensato a quel ragazzo dagli occhi color caramello ben più di qualche sera da un anno a quella parte.

 

Derek sorseggiava il suo drink seduto al bancone. Era al secondo giro e questo non premetteva nulla di buono, nonostante non potesse ubriacarsi in quanto licantropo. Il bar che aveva scelto era abbastanza affollato e non gli piaceva molto ma era il più vicino alla casa della donna con cui era stato quella sera e che lo aveva già lasciato: il tacito accordo era stato mantenuto, quella sera insieme e poi sarebbero ritornati ad essere due estranei. Derek si sentiva particolarmente vuoto in quel periodo, quello stile di vita si stava portando via la parte più vitale di lui. Per svuotare la mente, Derek era solito scrutare la clientela del bar e immaginare cosa avesse portato le persone in quel locale. Un uomo, che poteva aver superato la quarantina ma abbigliato come un trentenne, teneva sensualmente la cannuccia del suo drink tra le labbra, lanciando occhiate languide nei confronti di un gruppo di ragazze sedute ad un tavolo poco distante. “Disgustoso” pensò tra sé e sé Derek, mentre ruotava sullo sgabello per osservare meglio l’altra metà della sala. Un ragazzo e una ragazza, sui venti o al massimo venticinque anni, chiacchieravano e ridacchiavano sgranocchiando delle patatine, seduti ad un tavolino rotondo. Sembravano spensierati e i loro occhi brillavano: erano di sicuro molto innamorati. “Zuccheroso” pensò a mezza voce Derek, ma in fondo in fondo invidiava le persone che sapevano trarre la loro felicità dall’altro, era un gesto di fiducia che per lui in quel momento sembrava impossibile. Infine rivolse lo sguardo ad un gruppo di ragazzi che potevano essere al massimo maggiorenni e che sembravano essere lì per festeggiare il compleanno di uno di loro. Lo individuò presto, abbastanza alto e magro, con una muscolatura appena accennata ma proporzionata per quel corpo filiforme. Rideva senza riuscire a trattenersi, i suoi amici gli dovevano aver appena detto qualcosa di esilarante e le sue mani continuavano a scorrere sullo stomaco, mentre il corpo veniva scosso e si piegava sotto i singhiozzi. Derek lo poteva vedere solo di schiena ma quell’esile figura catturò comunque la sua attenzione, tanto da fargliene studiare meglio i dettagli, mentre mordeva nervosamente la cannuccia del suo drink. Due particolari gli saltarono subito agli occhi: il primo erano i capelli setosi, lucidi e scompigliati sulla nuca, Derek poteva giurare che erano anche morbidi; ma il secondo era il culo piccolo, rotondo e sodo, Derek poteva mettere la mano sul fuoco anche su quel dettaglio. Se solo avesse potuto avere una conferma di quelle supposizioni…

 

A Derek sembrò di svegliarsi da un lungo sonno: da quando faceva fantasie sui capelli e sul sedere di sconosciuti visti in un bar? In realtà non le aveva mai fatte se non su una persona, quel ragazzo di cui non conosceva nulla, nemmeno il volto. Che diavolo! Non sapeva nemmeno se fosse maggiorenne! Ma non riusciva a spegnere il cervello, immaginava come potesse essere in volto quel ragazzino, i tratti del suo viso, il colore degli occhi. Non aveva mai provato un’attrazione simile, nemmeno per una donna. Era rapito dai piccoli movimenti, rapidi e concitati, che scuotevano quel corpo perfetto. Cosa gli stava prendendo? Lui era etero, o così aveva creduto fino a quel momento. Ma le sue certezze stavano per essere sgretolate, mentre la sua parte razionale sprofondava sotto emozioni capaci di far risvegliare una passione mai provata.

 

Sopraffatto completamente in quella marea di sensazioni, perse di vista il ragazzo: i suoi amici erano sempre allo stesso tavolo e sembravano ridacchiare e confabulare, ma lui era sparito. Fino a che Derek non si sentì battere sulla spalla. Trasalì, sapeva che poteva essere solo una persona; si girò cercando di ostentare una calma che non gli apparteneva, non in quel momento. «Sì…?» chiese, vantando sicurezza e mostrandosi un po’ scocciato, alzando visibilmente un sopracciglio. «I miei amici si chiedevano se il mio culo fosse diventato l’ottava meraviglia del mondo, visto come te lo mangiavi con gli occhi» disse sfacciato il ragazzo ma Derek aveva capito metà di quello che aveva detto. Nessuna delle sue precedenti fantasie sul viso di quel ragazzo era nemmeno lontanamente vicine alla bellezza di quella pelle diafana, costellata di piccoli e irregolari nei, della curva del labbro superiore che formava un adorabile cuoricino, del naso leggermente all’insù, piccolo e stretto. La cosa che tuttavia lo catturò più di tutto furono gli occhi: il colore era indescrivibile, virava dall’oro al caramello, le iridi sembravano chiamare Derek, avvolgerlo in un abbraccio caldo e intrigante. Non poteva più staccare gli occhi di dosso da quel ragazzo e sperava di tenerlo vicino per più tempo possibile, il suo profumo era inebriante e distruggeva qualsiasi suo tentativo di essere razionale. Derek stava crollando di fronte a una persona sconosciuta che gli aveva saputo dare più di tutte quelle che avesse mai incontrato. Era terrorizzato ed eccitato e ringraziava di essere l’unica creatura soprannaturale che potesse sentire il battito del suo cuore impazzito. Deglutì a vuoto, più volte, tentando di darsi un contegno. «Scusa e tu chi saresti?» replicò Derek, provando a darsi l’aria del ragazzaccio arrogante. Intanto così avrebbe potuto avere più informazioni su quel ragazzo che lo stava fissando in modo così buffo. In realtà era buffo perché si stava mettendo nuovamente a ridere. Ora che poteva vedere come il viso di quel ragazzo potesse ridere, Derek si sentì mancare l’aria nei polmoni: non solo gli occhi si illuminavano e sembravano sciogliersi nel color ambrato, le labbra di arricciavano in un’ondata di allegria, le sopracciglia si allontanavano dispiegando la fronte e mettendo in evidenza i piccoli nei, gli zigomi si alzavano tanto da arrivare a spingere verso l’alto la pelle sotto gli occhi. Avrebbe passato tutta la vita a sfiorare quel viso, avrebbe pagato qualsiasi cifra per riuscire ad essere il motivo di quella risata cristallina.

 

«Scusa, i-io in realtà» cominciò improvvisamente impacciato il ragazzo «era qualche minuto che mi preparavo questa frase e ora non so che altro dirti. Perché sei pure più sexy di quello che già eri visto da lontano…non so nemmeno se tu sia legale!» confessò senza filtri il giovane. «Questa te l’eri preparata!» lo accusò sorridendo Derek. «No, lo giuro! Questa invece» disse tirando fuori un pacchetto di Oreo dalla tasca dei pantaloni «me l’ero preparata!». Derek lo guardò con aria sconcertata, cercando di dare un senso a quel gesto. «Un Oreo per un bacio, non è ovvio?» decretò il ragazzo. Derek alzò le sopracciglia a tal punto che credette riuscissero a toccare l’attaccatura dei capelli. Amava gli Oreo e probabilmente anche quel ragazzo ma non sapeva nulla di lui, né un nome né l’età e accettare avrebbe voluto dire cedere ai suoi istinti e approfittare della situazione. No, non era decisamente giusto e non era il suo stile; nonostante fosse molto difficile rifiutare, Derek si alzò di scatto dallo sgabello. «Ho detto qualcosa di sbagliato o che ti ha offeso?» l’espressione del ragazzo mutò improvvisamente, tutta la luce che aveva illuminato quel viso scomparve e Derek si sentì morire all’idea di esserne stato la causa. «No, i-io devo andare…mi dispiace…» farfugliò Derek infilando la mano in tasca per depositare due banconote sul bancone per i suoi drink. Non aspettò nemmeno di ricevere il resto e si avviò verso l’uscita, senza guardare più in faccia il ragazzo. Se l’avesse fatto avrebbe finito per baciarlo, ormai l’aveva capito, non poteva resistere a quegli occhi.

 

Senza più volgersi indietro raggiunse a grandi passi la sua Camaro parcheggiata poco lontano. Si fermò davanti al cofano e si piegò appoggiandovi una mano sopra. Che gli prendeva? Aveva il fiatone, il cuore gli stava esplodendo nel petto e la bocca gli si era seccata. Forse cominciava a capire perché non era mai stato veramente interessato alle donne, perché non aveva mai saputo farsi coinvolgere da una relazione. Quel ragazzo sconosciuto gli aveva aperto gli occhi su tutto e lui non l’avrebbe più visto: a Derek si aprì una voragine al centro del petto, sentì l’aria mancargli e le gambe cedergli. Fino a che una mano non gli si appoggiò sulla spalla, per farlo voltare. Il ragazzino del bar era di fronte a lui col sorriso più bello che Derek avesse mai visto, era lì per lui e stringeva ancora in mano quel pacchetto con gli Oreo. Derek non sapeva che dire, ma come prima il ragazzo fu più veloce di lui e riempì il silenzio col suo fiume di parole. «Bastava dirlo che non ti piacevano gli Oreo, non si va via così quando si sta parlando con qualcuno, è da maleducati» lo rimproverò giocoso. «Io adoro gli Oreo» puntualizzò a quel punto Derek e gli strappò di mano il pacchetto, aprendolo davanti al suo naso. «Quasi nessuno sa come si mangiano davvero questi biscotti» cominciò rigirandone uno tra le dita, come se stesse per cominciare una lunga spiegazione. Ma prima ancora che potesse riaprire bocca, il ragazzo davanti a lui avvicinò di scatto il viso a Derek e ingoiò completamente il biscotto, arrivando a mordere la punta delle dita del licantropo. Derek fu così sconvolto da quel gesto che lasciò di colpo l’Oreo, mentre il ragazzo di fronte a lui indietreggiava piano, allentando la presa dei denti sulle dita e leccandole in modo molto lascivo, per poi staccarsene e cominciare a masticare. A conclusione di quel gesto, lo guardò con aria di sfida e strofinò la lingua da un angolo all’altro del labbro superiore: quel ragazzo era la provocazione fatta a persona. A quel punto Derek non seppe più resistere, lasciò che gli istinti agissero al posto suo. Appoggiò entrambe le mani sul viso del ragazzo, premendogli i pollici sugli zigomi e strofinandoli verso fuori, come a cancellare qualsiasi pensiero da quel viso: in quel momento c’erano loro due e nient’altro al mondo. Le loro labbra si unirono come se non ci fosse nulla di più giusto e bello, mentre Derek poteva confermare i suoi sospetti su quanto quelle labbra fossero soffici, morbide e calde, anche se non avrebbe mai potuto immaginare quanto sapessero di buono, con quel retrogusto di Oreo. Il ragazzo era stato preso alla sprovvista ma aveva reagito in maniera naturale e rapida, dimostrando di apprezzare il modo in cui Derek lo baciava. Si spinse più in avanti, facendo indietreggiare il più grande fino a farlo sedere sul cofano della Camaro. Intanto gli faceva scorrere una mano dalla spalla al fianco, mentre l’altra premeva la sua nuca contro la propria. Avevano silenziato il mondo intorno, non erano più Derek e il ragazzo del bar, erano due pezzi dello stesso puzzle, due facce della stessa medaglia, due lati dello stesso Oreo. E quel bacio era la loro crema, quello che li univa indissolubilmente, in modo bellissimo e perfetto e che impediva loro di staccarsi. O peggio di staccarsi senza rompersi. E fu così che si ruppero.

 

La parte razionale di Derek, quella che pensava, pensava tanto, pensava troppo, si destò all’improvviso, mentre le più belle sensazioni della sua vita gli attraversavano il petto come dolci frecce infuocate. Il cervello si rimise in moto con un rombo, provocando quasi un dolore fisico a Derek. Era felice e non accadeva da così tanto tempo che il ragazzo capì di aver superato quel limite e quella distanza che si era ripromesso di mantenere dalle cose belle, per evitare di soffrire. Si ritrovò piegato all’indietro, con un gomito sul cofano della Camaro con un ragazzo di cui non sapeva nulla che lo baciava con foga e capì due cose: che non desiderava altro e che non c’era nulla di più bello e sbagliato. Invece che continuare ad accarezzargli i capelli come stava facendo gli spinse piano indietro una spalla, invece che continuare a prendergli tra i denti le labbra lucide e calde si allontanò da esse. Abbassò lo sguardo, colpevole, incapace di formulare una vera scusa per abbandonare il suo angolo di paradiso. Si stava forzando, si stava facendo del male ma cercava a tutti i costi di convincersi che quel dolore era infinitamente più piccolo di quello che avrebbe provato se si fosse concesso quella felicità. La felicità non faceva per Derek Hale, si era chiuso da tanti, troppi anni nel suo dolore e non sapeva uscirne. Non sapeva cogliere le occasioni, si lasciava sfuggire il meglio della sua giovinezza e conviveva con un opprimente senso di colpa. E non aveva intenzione di trascinare con sé un ragazzo così giovane (non sapeva nemmeno quanto fosse giovane) solo per un capriccio. Doveva soffrire solo lui per entrambi e staccarsi dal magnetismo di quel viso era l’unica soluzione a cui riusciva a pensare. Il ragazzo di fronte a lui doveva aver assunto un’espressione che avrebbe spezzato il cuore a Derek, se solo avesse avuto il coraggio di guardarlo. Ma anche se non lo guardava Derek poteva sentire l’odore della tristezza, un misto di malinconia e senso di colpa che faceva bruciare gli occhi del licantropo. Non aveva mai vissuto un addio così doloroso. Come poteva quel ragazzo essergli entrato dentro in un attimo, come poteva scorrergli già nelle vene come linfa vitale? Derek era spaventato e l’unica cosa che seppe fare fu fuggire dai suoi demoni. «Non posso» disse asciutto e quasi glaciale, per togliersi di dosso il senso di colpa che gli toglieva il respiro. Aveva deluso così tanto quel ragazzo che era riuscito a togliergli il sorriso e ogni parola dalle labbra, lasciandolo in piedi davanti a lui senza sapere cosa controbattere. Derek prese di fretta le chiavi della Camaro dalla tasca, salì al posto di guida e fece manovra per andarsene via, via da tutto quello che gli stava dilaniando il petto. Coi fari illuminò una figura, al centro del parcheggio, con le spalle curve, lo sguardo basso, la testa reclinata: proprio mentre Derek stava per allontanarsi e non vederlo più il giovane alzò gli occhi. L’ultimo ricordo che Derek aveva del “ragazzino del bar” erano i suoi occhi caramello carichi di lacrime. Derek sentì gli occhi bruciare prima di svoltare e ripiombare nel buio dei suoi incubi.

 

Tirò su forte col naso un’altra volta, mentre parcheggiava la Camaro di fronte a casa, e si passò una mano rapida sugli occhi. Non aveva pianto, era rimasto solo nel silenzio della macchina, per l’intero viaggio. Derek non aveva pianto mai, nemmeno quando erano mancata la sua famiglia; nel suo cervello ora regnava solo la confusione. L’unica cosa certa era che doveva darsi un contegno prima di entrare in casa da Cora, non aveva voglia di raccontarle quello che era accaduto, non quella sera. Infilò piano le chiavi nella toppa, erano ormai quasi le due di notte, e richiuse la porta più piano che poté. Trovò Cora addormentata sul divano, la coperta le era scivolata su un fianco e stava per cadere per terra. Derek la tirò su piano, riadagiandola sulle spalle della ragazza che in quel momento mugugnò un lamento e si girò sull’altro fianco. Le aveva detto un sacco di volte di non aspettarlo alzata, ma lei si ostinava a lottare col sonno per vedere rientrare il fratello. Non approvava per nulla quel suo stile di vita, ma non poteva fare a meno di preoccuparsi per lui. Spesso gli faceva trovare un biglietto con una parola dolce o un avanzo del dolce che aveva preparato per cena. Derek non si sarebbe mai abituato a quella dolcezza, lo lasciava sempre basito come Cora riuscisse sempre a trovare il tempo per prendersi cura di tutti. Capendo che era completamente immersa nei suoi sogni e non rischiava di svegliarla, le face scivolare un braccio sotto le spalle e uno sotto le ginocchia e delicatamente la riportò in camera, adagiandola sul letto. Prima di uscire la fissò a lungo, perso nei suoi pensieri malinconici, lasciandole infine un lieve bacio sulla tempia. Socchiuse la porta, entrò in camera sua e si gettò sul letto senza forze. Non si spogliò e non fece alcun rumore, rimase disteso a pancia in giù a fissare il vuoto, l’immagine di quegli occhi pieni di lacrime non voleva lasciare la sua testa.

 

Stiles si sarebbe aspettato di tutto dal suo diciottesimo compleanno, tranne quello che in realtà era successo. Aveva deciso di festeggiare coi suoi amici in un bar poco fuori dal centro di Beacon Hills, qualche drink e magari qualche bella vista. Si definiva bisessuale perché la sua prima cotta era stata Lydia Martin, irraggiungibile ed eterea creatura che mai lo aveva degnato di uno sguardo…finché era passato dall’invisibilità alla friendzone. E da quel momento in poi aveva capito che l’universo femminile non gli competeva: preferiva toccare degli addominali piuttosto che un paio di tette, come diceva scherzosamente a tutti. Fino a quando non se n’era uscito con questa frase con suo padre e lo aveva fatto quasi svenire; dopo il primo momento però lo sceriffo aveva preferito concentrarsi sulla felicità del figlio e conviveva bene con questa realtà. Dunque Stiles aveva evitato di finire in un bar gay per festeggiare la sua maggiore età, ma aveva comunque scelto un posto che, a detta dei ben informati, attirava molta clientela attratta dallo stesso sesso. Avevano ordinato un giro di drink per tutti e poi un bis per Stiles, inneggiando più volte al festeggiato. L’atmosfera era serena, le risate e le battute si susseguivano, aumentando di oscenità ad ogni giro di bevute. Fino a che il suo amico Jackson, senza peli sulla lingua, gli disse «Il tipo laggiù fa finta di niente ma vorrebbe sapere che sapore ha il tuo bel culetto» e scoppiò in una risata sguaiata. Stiles fece finta di cadere dal mondo delle nuvole, quando invece lo aveva puntato dal momento in cui erano entrati nel locale, tenendolo d’occhio senza mai voltarsi del tutto. Sentì il suo sguardo addosso per tutta la serata, ma evitò accuratamente di girarsi, sentiva che in quel modo lo stava attraendo ancora di più e la cosa lo eccitava parecchio, doveva ammetterlo.

 

Stiles aveva una tradizione il giorno del suo compleanno: qualsiasi cosa facesse o ovunque fosse, l’unica torta che aveva sempre voluto era stata quella con gli Oreo. Una volta gliela faceva sua madre, ma da quando era mancata, ormai dieci anni prima, Stiles era solito ricordare questa tradizione mangiando un pacchetto dei famosi biscotti. Nemmeno il fatto che compisse diciotto anni lo aveva trattenuto dal mantener fede alla tradizione: i suoi amici non si stupirono quando tirò fuori dalla tasca dei pantaloni gli Oreo impacchettati. Con sguardo commosso e un po’ disinibito dall’alcool guardò ad uno ad uno i ragazzi che lo stavano accompagnando nella transizione dall’infanzia alla maggiore età e cominciò «Ragazzi, mi avete seguito nella crescita, nei momenti belli e brutti…» e fece il gesto di tirare su col naso, fingendo di commuoversi. «Vado in bagno a vomitare, Stilinski. Fai un discorso serio. Dì che il prossimo anno ci porterai in un bar dove le ragazze sono più fighe, per esempio. Oppure vai a pomiciare con quel tipo del bar perché la vostra irrisolta tensione sessuale mi sta facendo irritare parecchio» sentenziò Jackson, che non si lasciava sfuggire una sola occasione per dire a chiunque come lui avrebbe fatto le cose. Se fosse stata una sera normale, Stiles avrebbe fatto entrare quelle parole da un orecchio e le avrebbe fatte uscire dall’altro; ma quella era la sua sera e se un figo da paura aveva così interesse per lui, perché non sfruttare quell’allentamento dei freni inibitori che percepiva nel suo corpo? Probabilmente da sobrio non avrebbe fatto mai nulla del genere, probabilmente avrebbe parlato tutta la serata ai suoi amici di quel ragazzo stupendo, di quel fisico da dio greco, di quel sorriso lucente, di quegli occhi color bosco. Ma lo avrebbe guardato da lontano, al massimo gli avrebbe lanciato qualche sguardo di sottecchi; se avesse visto che puntava lo sguardo nella sua direzione, avrebbe chinato la testa, diventando paonazzo e non avrebbe mai creduto che un tipo simile potesse interessarsi a lui. Quella sera non sarebbe andata così, Stiles decise che aveva aspettato troppo tempo per lasciarsi andare e se avesse fatto una brutta figura…beh, quello sarebbe diventato l’aneddoto da raccontare ai nipotini di lì a sessant’anni. E ci avrebbe riso sopra come la prima sera. Ma quello che successe dopo non fu nulla di quello che Stiles si sarebbe aspettato.

 

Tutto era successo molto in fretta, Stiles l’aveva abbordato con quella stupida battuta di Jackson sul suo culo. E dalla faccia del ragazzo doveva aver pure fatto centro! Stiles non poteva crederci, davvero un tipo figo come quello poteva avere un qualche interesse per lui? Quel pensiero gli diede il colpo di grazia al cervello, già un po’ confuso dai drink, e cominciò a parlare come un fiume in piena, mentre il cuore velocizzava i suoi battiti. E alla fine se ne uscì con quella storia sugli Oreo e sui baci. Doveva essere il suo cavallo di battaglia e invece era stato troppo avventato tanto da far fuggire il ragazzo dal locale. Stiles rimase qualche minuto al bancone del bar, sconvolto da come la sua più grande conquista fosse appena fuggita via da lui. Il fatto era che quel ragazzo non era una mera conquista, Stiles aveva provato qualcosa di diverso al solo parlargli: si era sentito nuovo e fresco, nessuno gli aveva mai fatto provare simili sensazioni. Capì che non poteva lasciar perdere, non quella volta; uscì così di fretta da far sbattere violentemente la porta del bar contro il muro. Uscire all’improvviso dal locale illuminato aveva portato i suoi occhi a non avere il tempo sufficiente per abituarsi al buio del parcheggio. Girò la testa un paio di volte, stropicciandosi forte le palpebre, finché vide una figura piegata sul cofano di una macchina. Non una macchina qualsiasi, una Camaro, e Stiles pensò che non poteva esserci auto più azzeccata per quel tipo, veloce e scattante, bella e dannata. Il solo fatto di rivederlo inondò Stiles di gioia e decise subito di raggiungerlo di corsa; doveva essere davvero sovrappensiero per non averlo sentito arrivare e così lo fece voltare posandogli una mano sulla spalla. Era abbastanza buio ma Stiles poté vedere gli occhi verdi del ragazzo brillare quando si rese conto che lo aveva seguito fino a fuori. Ma allora perché era scappato? Di nuovo lo travolse col suo fiume di parole, ma questa volta il ragazzo lo stupì, facendo ritornare l’attenzione sui biscotti, pur senza sapere quanto significavano per Stiles. Quando ne prese uno in mano per cominciare una spiegazione che solo dal preambolo si annunciava noiosa, Stiles decise che sarebbe stato meglio toglierglielo di mano…ma lo fece a modo suo.

 

Mordere le dita di Derek fu molto più sensuale di quanto avesse pensato e allontanarsi leccandogliele fu la ciliegina sulla torta. Aveva fatto centro, lo leggeva negli occhi del ragazzo di fronte a lui, limpidi, che riflettevano i suoi come se non esistesse nessun altro al mondo. A quel punto Stiles, che si era ripromesso uscendo di scoprire almeno il nome di quel ragazzo così bello e misterioso, perse completamente ogni capacità di parlare. Quegli occhi lo chiamarono come se non avessero mai visto nulla del genere in vita loro, si illuminarono su quel viso come se avessero vagato in un luogo oscuro fino a quella sera. Fu allora che il ragazzo di fronte a lui posò le sue mani calde sul suo viso, strofinando i pollici ruvidi sui suoi zigomi: Stiles trasalì a quel gesto, non se l’aspettava, era così intimo e sensuale che avrebbe potuto crogiolarsi l’intera notte in quel tocco. Le labbra si unirono senza preavviso, una spinta invisibile fece gettare Stiles su quel ragazzo perché era quello che volevano entrambi. Nella foga Stiles lo fece addirittura indietreggiare sul cofano della Camaro, costringendolo a sorreggersi su un gomito mentre le loro bocche danzavano alla luce della luna. Stiles era euforico, era sempre stato il suo sogno baciare a tradimento un figo sul cofano di una macchina sportiva…se poi era una Camaro, Stiles non connetteva più. Ma nessuna delle sue fantasie poteva uguagliare la realtà di quello che stava vivendo. Non c’era nulla di più naturale di quel gesto, niente che avesse a che fare con oscene fantasie sessuali, c’erano solo due pezzi dello stesso Oreo che avevano trovato la loro crema.

 

Fu così traumatico sentirsi allontanare, fu come perdere un battito del cuore: il sangue non arrivò alle vene, il cervello andò in corto circuito, la vita uscì dal corpo di Stiles. Il ragazzo voleva quello che voleva lui, su questo non poteva avere dubbi. Eppure in un attimo le mani di quel ragazzo erano passate dai suoi capelli al volante e prima che Stiles potesse aprire bocca l’aveva lasciato in un buio parcheggio, con uno stupido “non posso” come regalo d’addio. Alzò un’ultima volta lo sguardo offuscato da un’ondata di lacrime verso i fari gialli, abbaglianti, che facevano male alla vista e che si allontanavano nel buio. Ma nulla poteva anche minimamente competere col dolore sordo e opprimente al centro del suo petto. L’aveva perso, non sapeva perché, non sapeva come si chiamava, non sapeva come rintracciarlo: non sapeva nulla e al dolore si sommava sempre più dolore.

 

Derek aveva pensato al ragazzo con gli Oreo sempre in quell’anno, quando non riusciva a prendere sonno durante le notti di luna piena, quando ripensava al colore di quegli occhi e al sapore di quelle labbra, quando si sentiva triste e quando si sentiva meno triste. Non lo sfiorava nemmeno l’idea che avrebbe potuto sentirsi felice come quella sera, mai più in vita gli sarebbe successo. Alle volte lo pensava così intensamente che poteva risentire la sua pelle morbida sotto le dita, il suo delicato tocco su un fianco. Cercava di ricordarsi il suono della sua voce, quella voce che stava diventando quella di un uomo, il tono sprezzante con cui l’aveva avvicinato quella sera. Per quanto lo desiderasse, non l’aveva mai sognato, non aveva mai potuto rivivere qualche momento insieme a lui, seppur nella finzione onirica. Ogni felicità gli era preclusa.

 

Stiles aveva pensato al ragazzo con la Camaro sempre in quell’anno, quando non riusciva a prendere sonno e si metteva a fissare la luna, quando ripensava all’intensità del verde di quegli occhi e alla morbidezza di quelle labbra gonfie, quando si sentiva solo e tradito dal mondo. Non lo sfiorava nemmeno l’idea che un giorno avrebbe potuto rincontrarlo, mai più in vita avrebbe incontrato un ragazzo così. Alle volte lo pensava così intensamente che poteva risentire il sapore dolce della sue labbra, le mani di lui che si intrecciavano nei suoi capelli. Cercava di ricordarsi il suono della sua voce, quella voce da uomo, roca e profonda, il tono saccente con cui voleva fare il saputello sugli Oreo. Per quanto l’avesse sperato ogni notte con più ardore, per rivederlo almeno una volta, non lo aveva mai sognato. Ogni serenità gli era preclusa.

 

«Io non ti ho scordato» disse Derek fissando dalla sua finestra la luna alta nel cielo, come se potesse essere la messaggera silenziosa di quella frase mormorata a mezza voce.

 

«Io non ti ho scordato» disse Stiles dall’altra parte della città, ammirando la luna e la sua capacità di farci sentire così vicini e così distanti da una persona. Perché ovunque fosse quel ragazzo, stavano guardando lo stesso corpo celeste splendere su di loro.

 

 

Note finali: Allora che ne dite? Per adesso vi lascio, spero di aver soddisfatto le vostre aspettative. Un’ultima cosa: mi sembra una buona tempistica aggiornare ogni 5 giorni come ho fatto finora, per cui se tutto va bene sarà questo il ritmo delle pubblicazioni. A presto!

   
 
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