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Autore: EdemaRuh    21/01/2016    2 recensioni
Una soffitta, una videocassetta e noi, che non sapevamo farci gli affari nostri. Così è iniziata.
Un manicomio di notte, il cliché perfetto. Così è finita.
Genere: Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Decido di addentrarmi di nuovo nei meandri polverosi della soffitta la mattina dopo. Andarci di notte da sola dopo quanto ho visto sarebbe stato davvero troppo cliché per poterlo sopportare, avrei meritato di ritrovarmi davanti un mostro di qualche tipo. E lo ammetto, avevo leggermente paura. Chi va in giro da solo di notte a fare cose inquietanti cerca guai, è risaputo.
L’atmosfera che mi accoglie stavolta è molto più pesante e minacciosa, ma forse è tutto nella mia testa, visto quello che ho scoperto ieri sera. In fondo mi aspetto ancora la chiamata che mi annuncia che morirò tra una settimana, che ovviamente non arriverà.
Mi ritrovo davanti una soffitta leggermente diversa da quella che ricordavo. Probabilmente si tratta di dettagli che non ho notato la prima volta che sono venuta qui. Sto per avere l’inquietante impressione di non essere sola, che ci sia qualcuno proprio qui con me che mi sta osservando, magari dietro la macchina da cucire o dietro l’armadio e già maledico i dannati cliché, quando mi ricordo che probabilmente siamo stati proprio noi qualche giorno prima a cambiare quel poco che ora mi sembra fuori posto. Non può esserci nessun mostro visto che non è notte. Nonostante questo, rimane qualcosa che mi turba, c’è qualcosa di strano.
In verità, tutte le soffitte, per definizione, hanno qualcosa di strano. Sono luoghi abbandonati esattamente come i vecchi manicomi o le vecchie ville signorili dove ormai non abita più nessuno. Sono posti che non servono più a nessuno, ricordi che non appartengono più a nessuno, che si vendicano così su chi per caso ha la sfortuna di averci a che fare. Saranno i ragni che mi guardano in realtà, non di certo i fantasmi di secoli fa che stanno ancora cercando la pace e che di certo non potranno mai trovarla tra queste mura. O almeno spero.
 
Mi faccio coraggio suggerendomi che prima trovo quello che cerco prima posso andarmene di qua e mi lascio la porta alle spalle desiderando ardentemente di avere occhi anche sulla schiena. Così, per sicurezza.
Basta una qualsiasi cosa, qualsiasi altra cosa che riguarda la videocassetta paranormale, poi potrò finalmente tornare nel mio bellissimo appartamento al secondo piano a bere the caldo mentre spreco ore preziose della mia vita guardando serie tv che il resto dell’umanità nemmeno ha mai sentito nominare.  Ma per trovare qualsiasi altra cosa, che io lo voglia o no, devo lasciarmi alle spalle il rifugio sicuro che è la porta ed entrare in territorio nemico, spiata da chissà quanti ragnetti pronti ad infilarsi tra i miei capelli. Probabilmente è questo che mi terrorizza.
La cosa più vicina a me è un vecchio armadio quindi mi dirigo verso di esso, osservando le due ante di legno scuro lavorato. Davanti ad esso ci sono diverse impronte di piedi che sicuramente abbiamo lasciato noi. Per sdrammatizzare penso che magari è la volta buona che finisco a Narnia e comincio a fantasticare su quanto mi piacerebbe conoscere Aslan. Ok, ora lo apro, giuro lo apro. Aslan. Ce la faccio. Non ho paura.
Scosto leggermente una delle due ante e faccio un passo indietro, per dare ad eventuali mostri la possibilità di uscire allo scoperto così che io possa rintanarmi dietro la porta e non tornare mai più indietro. Ovviamente non succede nulla perché come scopro subito dopo l’armadio è praticamente vuoto, se non fosse per alcuni cappotti di pessimo gusto appesi. Non ho nessuna difficoltà a capire per quale motivo siano finiti qui.
Prima tappa della ricerca: infruttuosa.
Mi sposto verso la macchina da cucire che sicuramente ha poco da offrirmi. Ad ogni modo ha un’aura straordinariamente inquietante. Sul tavolo di legno che la sostiene ci sono alcune impronte, come avevo già notato, ma ormai nella mia testa sto cercando di convincermi che è opera di qualcuno dei miei amici quindi non mi spaventano più così tanto. Anche se sinceramente non ricordo che qualcuno si sia avvicinato ad essa. Pulisco un po’ di polvere dalla macchina vera e propria che si rivela essere nera con una scritta dorata. Doveva essere veramente stupenda ai tempi d’oro, che purtroppo sono passati da un bel po’. Mi lascio un appunto mentale per ricordarmi che la polvere stavolta l’ho tolta io, nel malaugurato caso in cui io sia costretta a tornare qui e senza esitazioni apro il piccolo cassettino sotto al tavolo. Sicuramente non può contenere quello che cerco ma tanto vale provare a vedere se c’è qualcosa.
Non resto delusa, perché al suo interno trovo una una matassa di filo rosso conciata piuttosto male, alcuni pezzi di quest’ultimo tagliuzzati e sparsi nel cassetto, un paio di vecchie forbici arrugginite e..capelli? Non voglio assolutamente sapere se lo sono veramente o come diavolo sono finiti qui ma hanno tutta l’aria di essere capelli castani. Con dei bellissimi boccoli, questo devo ammetterlo, ma è pur sempre una scoperta non troppo piacevole.
Seconda tappa: infruttuosa.
Richiudo il cassetto disgustata e passo alla tv, dandomi della stupida per non aver controllato prima il mobiletto. Al suo interno ci sono un paio di film, che decido di portare a Luca comunque e un’altra videocassetta anonima. Forse è quello che sto cercando, forse è solo l’ennesimo video di un matrimonio o di un compleanno della mia famiglia. Abbiamo la bruttissima abitudine di filmare qualsiasi momento. O meglio, qualcuno la aveva perché qualsiasi ritrovo familiare pare essere stato accuratamente registrato.
Terza tappa: forse buona.
Supero il passeggino poiché è evidentemente solo un misero passeggino che non ha niente a che vedere con tutta questa storia misteriosissima e decido di dedicare qualche minuto ad una cassettiera poco lontana. Stesso legno che è stato usato per l’armadio, il che mi fa supporre che si trovassero nella stessa stanza, una volta. Mi riprometto di cercare altri eventuali mobili simili e comincio ad aprire i cassetti uno ad uno, dall’alto verso il basso. Con mio grandissimo disappunto constato che sono tutti vuoti.
Quarta tappa: buco nell’acqua, esattamente quello in cui speravo.
Curiosando in giro mi accorgo che sono presenti anche oggetti di cui ignoravo l’esistenza fino ad oggi, per esempio un letto ad una piazza con una testiera in ferro lavorato che è davvero adorabile e non sembra affatto messo male come la maggior parte delle cose in questa soffitta. Davanti ad esso ci sono parecchie impronte, come se diverse persone si fossero fermate davanti ad esso recentemente. Ora sono terrorizzata perché sono sicura che nessuno di noi è arrivato fin qui. Chi diavolo è salito in soffitta? Come se non bastasse, sembra che qualcuno si sia inginocchiato davanti ad esso per vedere cosa c’è sotto il materasso. Cosa che io non farò assolutamente, mi rifiuto. Anzi, me ne vado proprio.
Manca soltanto una cosa ormai, ovvero la peggiore. Tre immensi scatoloni di cartone tutti da esplorare. Per farlo dovrò tagliare lo scotch di carta che li tiene chiusi, motivo per cui ne ho portato dell’altro così da non destare sospetti in caso qualcuno dei piani bassi li trovasse aperti.
Nel primo trovo soltanto album di famiglia che ritraggono i più disparati eventi: tre matrimoni, due battesimi di cui uno mio (avevo un faccino così tenero da piccola?), addirittura quattro pranzi di Natale tutti assieme (rubo la foto di mia madre bambina che tutta felice scarta i regali sotto l’albero) e numerose gite in montagna. Negli altri due ci sono oggetti inutili o vestiti che ormai nessuno metterà più. Niente di quello che stavo cercando.
Prendo comunque con me qualche album, vinta dalla curiosità, poi richiudo le scatole e finalmente abbandono a se stesso quel posto abbandonato da tutti. Tiro un sospiro di sollievo quando la porta si chiude alle mie spalle lasciandomi nell’oscurità delle scale. E quasi muoio d’infarto quando dall’altra parte, a occhio e croce vicino al letto, qualcosa cade e comincia a rotolare.
 
 
Ci vogliono quattro giorni prima che possiamo nuovamente trovarci per aggiornarci, stavolta a casa mia. Non ho detto a nessuno del rumore in soffitta ma Erika ha dormito da me tutte le notti dopo quella mattina. Sono scappata terrorizzata, talmente terrorizzata che sono uscita di casa dopo cinque minuti per andare a portare la videocassetta nuova a Luca e sono tornata soltanto la sera, portando con me compagnia.
Siamo tutti curiosi di sapere ma purtroppo il video che ho trovato si è rivelato essere soltanto l’ennesimo filmato idiota, quindi niente Tizio che urla in manicomio stavolta.
Nemmeno Alessio o Erika sono riusciti a trovare qualcosa, ma questo lo sapevo già visto che con loro parlo circa 25 ore al giorno. 
Sembrano tutti abbastanza delusi quindi credo sia il momento di raccontare la mia incredibile avventura.
«Facciamola breve.» esordisco. Alle persone piace quando la gente non ci mette troppi giri di parole per spiegare qualcosa. «Sono andata in soffitta venerdì mattina. C’erano impronte a terra ma ho dato per scontato che fossero le nostre. Quindi se qualcuno di voi le ha lasciate e ora osa negarlo solo per rendere le cose inquietanti sappiate che non è divertente. Ad ogni modo, nell’armadio non c’era niente e nemmeno nella cassettiera. Ho trovato anche un letto fantastico, non capisco perché lo abbiano messo lì. Nel cassetto del tavolo su cui è appoggiata la macchina da cucire ho trovato dei capelli ma non voglio sapere di chi siano. Nel mobile della tv invece c’era la cassetta che però non era quello che speravamo. Per finire negli scatoloni ho trovato solo cianfrusaglie e vecchi album di famiglia.»
Pausa d’effetto mentre penso a come introdurre la mia unica scoperta degna di nota. Nel frattempo si fa avanti Riccardo, interrompendo il mio discorso che sembra ormai concluso.
«Io ho fatto qualche ricerca su CR, la sigla all’inizio del video. Casualmente ho trovato un archivio online e credo di aver scoperto che in realtà sta per Casa delle Rose. È stato uno degli ultimi manicomi a chiudere in Italia, non è troppo lontano da qui. Se ve la sentite possiamo andarci una sera.».
No. Ovvio che no. Non siamo così stupidi da seguire i cliché e andare in un posto come quello di notte perché no, non sono salita di notte nella soffitta di casa mia, figuriamoci che me ne vado in giro per posti in rovina che non ho mai visto prima. Se va bene ci vivono i senzatetto adesso, se va male..non oso immaginare. Per me è chiaramente no.
Grazie al cielo anche gli altri mi danno ragione quindi decidiamo di farci un salto un giorno ma se possibile non di notte. Ci aggiorneremo più avanti, magari per un week end quando tutti avremo un giorno libero. Nessuno di noi sembra particolarmente morire dalla voglia di andare a vedere cosa c’è in quel manicomio, a parte Riccardo. D’altra parte lo conosciamo abbastanza bene per sapere che gli piace il macabro, motivo per cui lo accontenteremo.
Dal momento che sta scendendo un silenzio imbarazzante nella stanza, mi faccio avanti.
«C’è un’altra cosa che dovreste sapere.» sussurro con tono misterioso. Pausa. Suspense. Curiosità negli occhi dei miei amici, esattamente quello che volevo.
«Stavo sfogliando gli album che ho trovato in soffitta, ne ho presi alcuni per curiosità. E in uno, parecchio vecchio, ho trovato questa.».
Mostro a tutti una fotografia in bianco e nero che ritrae quelli che suppongo siano i nonni paterni di mio cugino, seduti sul divano con quello che è suo padre, all’epoca ancora bambino. La mamma è giovane, con i capelli scuri e i lineamenti delicati ma ciò che  ha attirato la mia attenzione e che sta attirando quella degli altri è il padre: la versione giovane e sana di mente del paziente 507.



E' giovedì e io sto riuscendo a pubblicare senza contrattempi, mi sembra quasi incredibile, ho controllato tre volte che fosse davvero giovedì prima di dirlo.
Voglio ringraziare la mamma, il papà e l'assistente della Mediaword per questo miracolo della tecnologia.

Ad ogni modo, siccome stiamo entrando nel vivo della faccenda , mi farebbe piacere ricevere vostri commenti; se c'è qualcosa di sbagliato fatemelo notare insomma oppure semplicemente ditemi che come storia fa schifo e che devo andare a zappare la terra, insomma, ditemi come sta andando.
A giovedì prossimo,
EdemaRuh.
   
 
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