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Autore: _Kurai_    21/01/2016    1 recensioni
La luna piena, un sakura ormai quasi del tutto sfiorito, e i passi leggeri di sandali di paglia sul tappeto di petali rosa e bianchi. Un fruscìo, poi un lieve sciabordìo d'acqua in una tinozza.
Anche stavolta, la missione di Arakita Yasutomo era conclusa. Alzò lo sguardo alla luna, mentre il suo corpo seminudo accoglieva la brezza notturna e le macchie di sangue sul kimono immerso nell'acqua andavano sbiadendo.
Imprecò piano, quando un rumore improvviso gli fece estrarre la spada.
Era solo un gatto.
Ripose la katana nel fodero, non senza aver accarezzato distrattamente l'incisione di un lupo alla base della lama, per poi abbassarsi a coccolare la piccola creatura nera come la notte.
Genere: Angst, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Team HakoGaku, Team Hiroshima Kureminami, Team Kyoto Fushimi, Team Souhoku
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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E così ho superato anche la soglia dei dieci capitoli, e ancora non riesco a crederci! Mi sto davvero affezionando a questa storia e spero di essere riuscita almeno un po' a coinvolgere chi è passato e passerà di qui a leggere... Siccome sono in vena di festeggiare questo traguardo approfitto di questo spazio per segnalare che ho aggiunto nel primo capitolo la preview dell'illustrazione stupendissima disegnata per me dall'amico disegnatore Sargas, dateci un'occhiata!! *fine pubblicità progresso*
Ora vi lascio al capitolo, buona lettura!!



Capitolo XI

Choices

La grande stanza del daimyo era illuminata da poche lanterne, che creavano un'atmosfera vagamente tetra. Il buio era calato da qualche ora e la riunione strategica avrebbe dovuto già essere iniziata, ma mancavano ancora quattro degli ufficiali di Hakone. Non che qualcuno si aspettasse davvero che Manami si sarebbe presentato, tanto più che Kuroda aveva già fatto rapporto a Fukutomi sulle sue condizioni, ma l'assenza degli altri tre lo preoccupava.

 

Arakita sedeva scomposto sul tatami, continuando a sbuffare. Il dolore alle ferite non lo aveva affatto abbandonato, ma voleva tenersi la mente occupata per non pensarci. Odiava quell'attesa, in un momento del genere stare fermi ad aspettare era anche peggio della morte. Il luogotenente giocherellava distrattamente con un laccio del suo kimono e osservava il daimyo con la coda dell'occhio, attento ad ogni variazione nella sua espressione impassibile. Abbassò lo sguardo sul braccio del suo signore, steccato e fasciato stretto, e sul suo petto lasciato parzialmente scoperto dal lato sinistro del kimono abbassato. Pensarci provocava ad Arakita un dolore sordo, che non aveva nulla a che vedere con quello delle ferite. Avrebbe preferito essere morto piuttosto che non essere stato in grado di impedire che Fukutomi rimanesse ferito in combattimento, anche se il daimyo avrebbe ancora potuto maneggiare la spada. Era una sua responsabilità.

 

Arakita, Fukutomi e Kinjou alzarono lo sguardo nello stesso istante, sentendo il fruscìo dello scorrimento dei pannelli del fusuma che si aprivano per lasciar entrare Shinkai e Izumida. I due salutarono e si sedettero di fronte ai daimyo; Shinkai si sforzava di ostentare la sua solita calma, ma il malessere continuava a tormentarlo. Nella sua vita aveva subìto ferite molto più gravi e aveva combattuto battaglie molto più lunghe e non riusciva a capire cosa gli stesse succedendo. Si voltò istintivamente verso Izumida, che stava cercando di attirare la sua attenzione con lo sguardo. Il comandante della quinta squadra aprì la mano sopra la sua, lasciandovi cadere un sottile filo d'erba. Abbassò gli occhi.

Per quanto fosse una piccola cosa, Hayato rivolse a Touichirou uno sguardo pieno di gratitudine. Quella piccola cosa solitamente riusciva a calmarlo e a distogliere la sua mente dalle preoccupazioni, e iniziò a rigirarsi distrattamente il filo d'erba tra le labbra.

 

Il silenzio nella stanza era quasi palpabile.

Dopo qualche minuto la porta scorrevole si scostò di nuovo, ma non fu nessuno dei due capisquadra mancanti a entrare: si trattava di Imaizumi e Naruko, che del resto erano tra i più alti in grado dell'esercito di Sohoku presenti sul posto. Kinjou aveva insistito che fossero presenti anche loro, perchè fossero al corrente delle strategie da applicare per il giorno seguente. I due erano stranamente silenziosi, anche se il rosso non riusciva a stare fermo e vagava con lo sguardo da un punto all'altro della stanza. Imaizumi dopo un profondo inchino in direzione dei daimyo si sedette sui talloni senza una parola e rimase lì, in attesa.

Una delle lanterne era già sul punto di spegnersi quando entrarono nella stanza anche Toudou e Makishima, che si scusarono per il ritardo. Jinpachi scambiò una lunga occhiata col daimyo: il suo sguardo sembrava leggermente meno stanco e scoraggiato di poco prima, come se in fondo ai suoi occhi si fosse accesa una fioca fiammella di speranza.

Fukutomi inviò Kuroda a verificare le condizioni di Manami e decise di dare inizio alla riunione strategica. Non c'era più tempo da perdere, tanto più che non vi erano garanzie che il nemico non attaccasse nottetempo, anche se i due daimyo avevano schierato tutti gli arcieri sulle mura in difesa del castello.

 

"La situazione è questa: il veleno era presente sia nella nebbia che sulle lame dei soldati di Fushimi, Fukutomi-san" iniziò Toudou "e sta iniziando a mietere le prime vittime, ma forse grazie al contributo di Maki-ch... di Makishima-san siamo sulla strada giusta per ottenere l'antidoto, e spero davvero di riuscire a sintetizzarlo e a prepararne una discreta quantità entro l'alba. Comunque molti dei soldati sono già stati contagiati e sarà impossibile disporre di loro in combattimento, perchè in ogni caso ci sono tempi di ripresa anche dopo aver assunto l'antidoto. Per questo..."

"...la scelta migliore sarebbe restare in assetto di difesa dentro le mura" convenne il daimyo di Hakone, riconoscendo l'ovvietà di quella conclusione. Nessuno di loro era nelle condizioni ideali per portare avanti un'altra giornata di battaglia in campo aperto, e i rinforzi di Sohoku erano appena sufficienti a bilanciare il numero con quello dei superstiti di Fushimi: avrebbero difeso il castello fino alla morte, fino alla fine.

Che fosse un veleno, una spada o una freccia, erano tutti samurai. Le loro vite erano sempre state appese a un filo, erano sempre state effimere come i sakura che andavano ormai sbiadendo e si staccavano dai rami perdendosi nel vento.

 

 

Le nuvole scure coprivano completamente la luna e il vento formava piccoli turbini di petali rosa, giù a terra. Onoda Sakamichi stringeva in mano il suo arco e tremava leggermente, in piedi nella sua postazione sulle mura. Intravedeva oltre la foresta il bagliore confuso dei fuochi dell'accampamento di Fushimi e nel suo cuore sperava che aspettassero almeno le prime luci dell'alba per attaccare. In realtà avrebbe voluto assistere anche lui alla riunione degli ufficiali con Imaizumi e Naruko, ma essendo una recluta non gli sarebbe stato permesso. Avrebbe voluto andare a vedere come stava Manami-kun, ma quando era passato davanti all'infermeria la stanza era in preda al caos più totale, e la vista di un uomo che vomitava sangue a pochi metri da lui l'aveva definitivamente convinto a non entrare.

Alla fine aveva seguito gli ordini del daimyo ed era salito con gli altri arcieri sulle mura, al fine di approntare una squadra di difesa per scongiurare possibili attacchi notturni.

Era totalmente perso nei suoi pensieri, con lo sguardo fisso oltre le fronde degli alberi, quando sentì una mano picchiettare sulla sua spalla. Sobbalzò, facendo cadere la freccia che aveva in mano.

 

Dall'ombra emerse proprio Manami, barcollante e con la parte del viso sana contratta in un'espressione in parte sofferente e in parte pervasa da una strana smania, come se volesse stare lì, nel suo elemento, a tutti i costi, incurante delle sue condizioni.

Aveva dormito per un po', fluttuando tra il dolore e gli incubi, le voci conosciute e i lamenti degli altri feriti nella stanza. Poi, in un momento di dormiveglia, aveva sentito la voce di Toudou, che non aveva notato la sua presenza, e aveva visto confermato il peggiore dei suoi timori relativo alla nebbia e alle armi avvelenate. Sicuramente anche la kusarigama di Komari doveva essere stata intinta nel veleno, quindi le sue ore erano comunque contate. Non poteva stare fermo, anche se si sentiva dannatamente inutile. Non poteva sprecare così quelle che avrebbero potuto essere le sue ultime ore di vita. Sgattaiolò fuori dalla stanza, non visto.

Avrebbe potuto andare subito alla riunione, ma non era ancora pronto per quello. Dalle voci nel corridoio aveva capito che tutti gli arcieri erano stati radunati sulle mura, e decise di raggiungere i suoi uomini, come se si fosse ricordato solo in quel momento di essere un caposquadra. Fin dalla fuga solitaria del giorno precedente Sangaku aveva lasciato il comando al suo vice, Yuuto Shinkai, il fratello minore del comandante della quarta squadra, che ormai era abituato ai colpi di testa del suo superiore. Non l'aveva ancora individuato, ma aveva visto subito il giovane arciere di Sohoku che lo aveva salvato solo poche ore prima, e gli si era avvicinato per ringraziarlo.

"Sakamichi-kun?" l'aveva chiamato in un sussurro, sfiorandogli la spalla. Il ragazzo sembrava teso e agitato ed era stato preso di sorpresa dal suo arrivo, tanto da lasciar cadere la freccia che rigirava tra le mani, già pronta per essere incoccata in caso di attacchi imprevisti. Onoda rispose dapprima con un balbettìo indistinto, poi riprese l'uso della parola: "Ma...Manami-kun, come va la ferita?" chiese, lo sguardo fisso sulla benda sull'occhio dell'arciere di Hakone.

"Guarirà" mentì Manami con un mezzo sorriso, poi cambiò frettolosamente discorso: "per caso hai visto il mio vice? Si chiama Yuuto, è poco più alto di te e porta un kimono da donna sotto l'armatura, è inconfondibile. Dev'essere in giro da qualche parte a dare ordini, qui sulle mura"

"Vice? Vuol dire che sei un ufficiale?" rispose Onoda, stupito.

"Manami-san!" Yuuto apparve alle sue spalle, armato di tutto punto "Kuroda-san aveva detto che sei rimasto ferito e non avresti combattuto, ma ora non dovresti essere dal daimyo?".

Sangaku sospirò. Gli toccava anche farsi fare la morale dal suo vice adesso...

"Ci stavo andando, ma visto che sto meglio ho voluto prima venire a controllare lo stato delle truppe" glissò.

Sakamichi era sconvolto.

Il suo nuovo amico era addirittura il comandante degli arcieri di Hakone, di cui aveva sentito parlare più volte per la sua leggendaria abilità con arco e frecce. Aveva la sua stessa età ed era arrivato così in alto. E nonostante le sue eccezionali capacità era rimasto ferito in quel modo... Onoda iniziò a preoccuparsi seriamente: nelle file del nemico dovevano esserci dei guerrieri seriamente pericolosi.

"Sakamichi-kun? Ti andrebbe di accompagnarmi alla riunione?" gli chiese Manami dal nulla.

A Onoda cadde di nuovo la freccia per terra per lo stupore.

Sangaku si chinò a raccoglierla e gliela porse, ma nell'alzarsi ebbe una fitta alla testa e un capogiro e barcollò leggermente in avanti, con la mano premuta sull'occhio ferito, come se lo sentisse sul punto di staccarsi.

Ci mise qualche minuto per riprendersi, e quando sollevò lo sguardo i due arcieri lo fissavano con apprensione.

"Ti affido nuovamente il comando, Yuuto-kun. Fà del tuo meglio, io farò di tutto per tornare a combattere domani" si congedò, stringendo i denti. Sakamichi guardò entrambi per un lunghissimo istante e poi ad un cenno di Manami lo seguì, e insieme tornarono verso il palazzo centrale.

 

 

Toudou ascoltava attentamente le parole degli altri, intervenendo qualche volta con le proprie considerazioni. Riusciva a pensare più lucidamente da quando Makishima gli aveva mostrato il risultato dei suoi esperimenti con i ragni.

Negli anni dell'addestramento Yuusuke si era guadagnato il soprannome di "Tsuchigumo" proprio per quella sua strana passione verso i ragni, specialmente quelli velenosi. Tutti i suoi veleni erano ricavati dalle tossine degli aracnidi più rari, che allevava personalmente come preziose creature da compagnia. Il suo capolavoro era proprio l'esemplare che aveva mostrato a Toudou, che portava sempre con sè. Per quanto Jinpachi non si fosse mai abituato agli amichetti ottozamputi del suo compagno di studi e fosse rimasto vagamente scioccato nello scoprire che Maki-chan trasportava quella creatura ripugnante nella manica del kimono, era rimasto decisamente stupito dall'eccezionale capacità del ragno: se messo direttamente a contatto con un veleno, esso era in grado di secernere una sostanza in grado di annullarne gli effetti, come una sorta di antidoto. Chiaramente vi erano diversi effetti collaterali possibili, ma Toudou aveva deciso di fare violenza alla sua natura e non guardare il pelo nell'uovo in una situazione simile, accettando l'aiuto che Makishima gli stava dando.

Proprio in quel momento la soluzione a una buona parte dei suoi problemi risiedeva nelle ghiandole di un ripugnante animale a otto zampe, e anche se significava accettare la propria sconfitta Jinpachi riusciva di nuovo a intravedere un barlume di speranza.

Forse sarebbero riusciti a vedere l'alba del quarto giorno.

Fortunatamente sembrava che Izumida e Arakita, che erano stati feriti direttamente dal nemico, non presentassero sintomi allarmanti: non sapeva se il motivo fosse la loro nota resistenza fisica (nel primo caso legata ad un allenamento durissimo, nel secondo semplicemente a pura ostinazione della peggior specie: se Arakita Yasutomo decideva che avrebbe combattuto fino alla fine, allora si sarebbe spinto fino a che anche l'ultimo brandello di vita non gli fosse strappato via, fino a che non fosse stato certo della sopravvivenza del daimyo. Era semplicemente la sua ragione di vita, e non avrebbe permesso al suo corpo di cedere prima della sua anima. Mai.) o qualche altra strana caratteristica del veleno modificato, ma sembravano entrambi relativamente in salute nonostante le ferite. Forse la situazione era meno terribile di quanto pensasse, forse la sua preoccupazione si era ingigantita dopo tutto quel tempo passato da solo e con poche informazioni.

Poi abbassò lo sguardo, notando le punte delle dita di Hayato.

Doveva parlargli al più presto. Rispose ad una domanda del daimyo sui sintomi dell'avvelenamento e mentre parlava vide la sua stessa preoccupazione accendersi anche negli occhi di Touichirou, che sedeva di fianco a Shinkai. Probabilmente il comandante della quarta squadra aveva subìto una ferita ma non aveva fatto rapporto in merito a Fukutomi, e solo Izumida ne era a conoscenza.

In quello stesso momento il fusuma si aprì per l'ultima volta e l'ingresso di Manami e Onoda destò in tutti gli astanti un malcelato stupore, anche se per motivi diversi.

Jinpachi si chiese se il mondo non stesse seriamente per finire. La presenza di Manami Sangaku ad una riunione strategica era un evento rarissimo, l'ultimo avvistamento risaliva al giorno in cui Fukutomi gli aveva affidato il comando della sesta squadra (ma una volta finita la cerimonia solenne il giovane arciere si era addormentato).

Oltre che dall'arrivo inatteso Toudou rimase stupito anche del fatto che Manami era davvero stato ferito: da quando lo conosceva non aveva mai subito ferite serie in combattimento, nonostante continuasse sistematicamente a cacciarsi nelle situazioni peggiori e più rischiose. Inoltre era una ferita che probabilmente gli avrebbe precluso il tiro con l'arco per un po', o forse per sempre. La sua sofferenza era evidente, e il suo occhio sano mostrava uno sguardo che non gli aveva mai visto.

 

Pochi secondi dopo Kuroda rientrò nella stanza e con tono allarmato iniziò "Manami-kun (si rifiutava di accordargli il -san, era più giovane di lui anche se superiore di grado, e non si era meritato quella promozione se continuava a prendere iniziative in quel modo e rifuggire i suoi doveri) non è in infermeria, probabilmente è... oh." si interruppe, vedendo il più giovane dei caposquadra seduto tra gli altri rivorgergli un mezzo sorriso che aveva in sè qualcosa di vagamente inquietante.

Il daimyo e i due ufficiali di Sohoku erano stupiti per la presenza del giovane Sakamichi, che inizialmente era rimasto immobile sulla soglia, pietrificato dall'atmosfera tesa e pesante nella stanza. Si era girato per andarsene: in fondo doveva solo accompagnare Manami, non restare ad assistere, ma il daimyo di Sohoku fece un cenno nella sua direzione e lo invitò a sedersi accanto a Naruko. Onoda si sedette, tremante e più a disagio che mai.

 

Manami era decisamente al centro dell'attenzione: tutti si aspettavano che dicesse qualcosa e che facesse rapporto su ciò che era accaduto da quando si era allontanato dal campo di battaglia, e lui stesso sapeva che non avrebbe potuto evitare di confrontarsi col daimyo ancora a lungo.

Il silenzio attorno a lui gli appariva come un abisso di delusione e aspettative tradite, condito da una discreta dose di compassione: tuttavia non poteva scoraggiarsi, non poteva tirarsi indietro. Strinse i pugni sulle ginocchia fino a farsi male e alzò lentamente il suo mezzo sguardo verso Fukutomi, che aspettava il suo rapporto.

"Ho capito subito che quel Komari rappresenta una minaccia, dalla velocità con cui ha schivato la mia freccia il primo giorno" iniziò "e non posso negare che la cosa mi abbia spinto a cercare il rischio... riconosco di essere andato oltre questa volta e di non aver seguito gli ordini, prendendomi la libertà di cercare deliberatamente un confronto diretto con il nemico per una sfida personale. Tuttavia credo che la mia mossa avventata non sia stata del tutto negativa, perchè anche se ci ho rimesso molto – Sangaku tacque per un istante, abbassando lo sguardo – ho avuto la possibilità di studiare le mosse e le abilità di Kishigami Komari, raccogliendo notizie per poterlo contrastare. Sono stato costretto al combattimento ravvicinato e il nemico poteva contare su dei ninja nascosti tra gli alberi-"

"Per questo ti ho sempre detto di non allontanarti da solo per cercare il confronto diretto, razza di incosciente" bofonchiò Arakita scuotendo la testa, anche se lui stesso non era il miglior esempio di prudenza in battaglia.

Manami riprese a parlare, incassando senza dire una parola il commento di Yasutomo: "Mi rendo conto di essere stato incosciente, Arakita-san. Sono riuscito a infliggergli alcune ferite superficiali e l'ho ferito a una mano, ero in vantaggio finchè un ninja nascosto non mi ha colpito alle spalle con uno shuriken intinto in una sostanza paralizzante, il che ha rallentato i miei movimenti e ha permesso al nemico di attaccarmi liberamente... avrei dovuto prevederlo" aggiunse, dopo uno sguardo eloquente di Toudou seguito da un lungo sospiro rassegnato. "Se Sakamichi-kun non mi avesse trovato ora sicuramente sarei morto, senza dubbio".

Onoda abbassò gli occhi e arrossì fino alle orecchie, sentendosi improvvisamente al centro degli sguardi di tutti gli ufficiali nella stanza.

"Fukutomi-sama, riconosco di non essere stato all'altezza delle aspettative" riprese Manami, la voce leggermente tremante "e di non meritare il ruolo di responsabilità che mi è stato affidato. Visto che ho permesso che il mio onore di samurai venisse macchiato in questo modo e credo che in ogni caso ormai le mie ore siano contate... mi rimetto alla decisione del daimyo, sono pronto anche ad aprirmi il ventre se lo riterrà una giusta punizione".

La reazione generale fu un silenzio attonito, tra cui si distinse il giovane "intruso" di Sohoku che si lasciò scappare un'esclamazione sconvolta, prontamente messa a tacere: "Onoda-kun, è una questione interna al feudo, non puoi fare nulla" gli sussurrò Imaizumi, nel tentativo di evitare che la situazione degenerasse più di così.

L'espressione del daimyo di Hakone era indecifrabile.

 

 

 

   
 
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