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Autore: nuvole_e_popcorn    01/02/2016    0 recensioni
“Ti amo” e cosi’ lei spiro’ tra le sue braccia, il suo corpo inerme, ancora caldo, i suoi occhi castano-verdi improvvisamente cechi al mondo. Abbasso’ lo sguardo stringendola al petto mentre dondolava avanti, indietro, calde lacrime gli scorrevano lungo le guance mentre stringeva di nuovo il corpo inerme della donna che amava. Non era riuscito a salvarla, neanche questa volta. Ma lei sarebbe tornata. Tornava sempre. E lui sarebbe stato li’, ad aspettarla.
//oo//
Brucio’ il suo corpo su una pira. Sembrava serena nella morte. Cosi’ come non lo era sembrata la prima volta, mentre il fuoco lambiva le sue carni permettendo alla sua anima un po’ di riposo prima che dovesse calcare le terre di questo mondo.
Rimase fermo ad osservare il fuoco cibarsi delle sue spoglie mortali, avido e ingordo, ultimo amante di quella bellezza divina che graziava la terra della sua presenza e della sua bonta’ mentre stringeva in un ultimo caldo abbraccio il corpo della donna cui aveva donato il suo cuore.
Cosi’ come la prima volta che il suo corpo era bruciato su una pira un pezzo del suo cuore venne spazzato via come cenere al vento.
Era morta. Sarebbe tornata.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico, Sovrannaturale
Capitoli:
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Capitolo primo

“Tesoro, sai mica dov’e’ tua nipote?” domando’ Helga Marshall al marito, quando alle 8.15 la loro nipote piu’ giovane, Juliet, non era in camera sua e neanche a scuola. Jonatan Marshall soppresse una risata:
“Perche’ tutte le volte che combina qualcosa e’ mia nipote?” domando’ cercando di rimanere il piu’ serio possibile.
“Perche’ il suo talento naturale per ficcarsi nei pasticci lo ha ereditato da te, mio caro” gli ricordo’ la donna, incrociando le braccia al petto e fissandolo con i suoi occhi verde-castani uguali a quelli della nipote.
“Disse la donna che la notte usciva di nascosto di casa per imbucarsi a feste in piscina cui non era stata invitata, finendo a prendere a pugni qualcuno ed essere arrestata dagli ufficiali accorsi per schiamazzi” borbotto’ lui, continuando a leggere il proprio giornale.
“Scusa caro, hai detto qualcosa per caso?” domando’ Helga, fissando il marito con aria minacciosa, Jonatan chiuse il quotidiano scuotendo la testa.
“No tesoro, niente”
“Ah eccola” cambio’ discorso, vedendo detta nipote saltare in groppa al suo cavallo, Nymeres, la staccionata del ranch, sorridendo come una bambina a natale. Jonatan non pote’ fare a meno di sorridere alla nipote scavezzacollo, beccandosi un’occhiataccia dalla dolcissima moglie quando fece cenno con la mano alla nipote che trottando verso la stalla aveva fatto loro l’occhiolino.
“Buongiorno Nonno!” esclamo’ Juliet Marshall salendo le scalinate d’ingresso alla casa e scoccando un bacio sulla guancia dell’anziano signore. Sua nonna aveva incrociato le braccia al petto e la guardava con aria di sfida, quasi a sfidarla a sfidarla, la ragazza non si fece spaventare, prese una mela rossa dal tavolo vicino alla cassapanca e le sorrise addentandola.
“Buongiorno anche a te, Nonna” la saluto’, entrando in casa e scoccandole un bacio sulla guancia.
“Sei in ritardo per la scuola!” le urlo’ dietro sua nonna mentre lei saliva le scale due a due con la mela in mano mentre correva a prepararsi. Non ottenne risposta, cosi’ Helga usci’ di nuovo sotto il porticato scuotendo la testa, ma senza poter evitare il sorriso divertito.
“Oh io do’ la colpa ai tuoi geni, signor Marshall”
“Credo che siano i tuoi geni a creare piu’ pasticci, Signora Marshall – rispose il marito, mentre la moglie lo abbracciava da dietro e gli scoccava un bacio sulla guancia – ma non ti preoccupare, ti amo lo stesso”
“Questo lo so” rispose lei, ridendo. 
Juliet si era preparata in tempo record, non che le interessasse molto essere in orario, era una ritardataria cronica, lancio’ il torsolo della mela nella spazzatura e poi usci’ sotto il porticato chiavi della sua jeep rosso ferrari in mano, e scocco’ un bacio a entrambi i suoi nonni prima di correre verso la sua vettura.
“Non correre troppo!” si raccomando’ sua nonna.
“Ti voglio bene anch’io!” le chiamo’ dietro saltando su e mettendo in moto. Doveva ancora passare a prendere Sophie. 
//oo//
Sophie la stava aspettando seduta sulla scalinata di casa sua, gia’ pronta chissa’ da quando. 
“La sua carrozza e’ arrivata, Signorina!” richiamo’ la sua attenzione, facendole alzare lo sguardo dal suo Ipod di ultima generazione, la sua amica si tolse le cuffie dalle orecchie e corse verso la jeep.
“Buongiorno, Speedy! – la apostrofo’ – siamo meno in ritardo del solito questa mattina”
“Smetterai mai di chiamarmi Speedy?” domando’ retorica Juliet, ripartendo a tutta velocita’ verso la scuola mentre Sophie sghignazzava e si legava i capelli biondi in una coda di cavallo alta.
“Quando smetterai di essere in ritardo e correre per arrivare dappertutto”
“Sembra molto tempo” commento’ Juliet alzando gli occhi al cielo e svoltando l’ultima curva pprima del parcheggio del loro liceo.
“Allora niente sogni strani, sta notte?” le domando’ Sophie mentre si dirigevano verso l’istituto il cui giardino era gia’ vuoto sennon per pochi ritardatari come loro, Juliet alzo’ gli occhi al cielo nuovamente stringendosi le braccia al petto.
“No. Sempre il solito sogno”
“Quello con il bel figo palestrato di cui non riesci mai a vedere la faccia?” domando’ ridendo Sophie mentre Juliet scuoteva la testa.
“Guarda che sono sicura che quando trovero’ l’Uomo misterioso dei miei sogni la smetterai di prendermi in giro!” le disse facendole la linguaccia mentre si separavano per seguire i diversi corsi che avevano quella mattina, Sophie alzo’ gli occhi al cielo.
“Beh fammi sapere come procede la tua ricerca, Speedy!” la prese in giro.
Juliet ancora troppo occupata a guardare l’amica andarsene non si rese conto che andava a sbattere contro qualcuno, qualcuno di molto massiccio. L’impatto l’avrebbe fatta rovinare a terra se l’altra persona non l’avesse afferrata per un braccio. Juliet alzo’ gli occhi sul suo viso e per poco il respiro non le si blocco’ in gola. Lo sconosciuto sorrise. Aveva gli occhi piu’ azzurri che Juliet avesse mai visto e tutti sapevano che Juliet aveva un debole per gli occhi azzurri. Sembrava uscito da uno di quei magazine di moda e Juliet senti’ le proprie guance infiammarsi.
“scusa” disse con la sua voce profonda “sono nuovo e non riesco ancora bene ad orientarmi. Non ti ho vista prima che fosse troppo tardi. Juliet, giusto?” le domando’ aiutandola a riprendere l’equilibrio, ma senza allentare la presa dal suo avambraccio. Juliet sposto’ lo sguardo sulla sua mano ancorata al suo braccio e lo sconosciuto rilascio’ la sua presa.
“Scusa” Juliet sorrise e scosse la testa.
“Non c’e’ nulla di cui scusarsi – disse – anzi, dovrei ringraziarti, altrimenti la giornata sarebbe inziata con una bella caduta sul sedere.” Lo sconosciuto rise, una risata profonda, quasi controllata e Juliet sorrise, porgendogli la mano.
“Mi chiamo Juliet”
“Stephen” si presento’ stringendola.
“Io… dovrei proprio andare. Ho chimica la prima ora” disse a mo’ di spiegazione.
“Oh certo – esclamo’ lui, facendosi da parte – ci vediamo in giro Juliet” la saluto’ allontanandosi. Juliet fece per fare la stessa cosa poi ci ripenso’ e si volto’.
“Ehi, Stephen – lo richiamo’, il ragazzo si volto’ e Juliet cerco’ di raccimolare tutto il proprio coraggio – magari puoi stare con me… con noi a pranzo se non hai altri piani” Stephen sorrise e fece qualche passo verso di lei, prendendo la sua mano nelle sue e baciandone il dorso.
“Volentieri.”
“Bene… allora ci vediamo in mensa”
“Si”
“Ok…” 
//oo//
Ovviamente, arrivo’ in ritardo alla lezione di chimica. Non che le importasse, il Professor Gordon era un vecchio simpatico che la adorava, non le avrebbe fatto storie. Busso’ alla porta dell’aula, sperando di non essersi cacciata nei guai sin dal primo giorno.
“Avanti” strano, non sembrava la voce del Signor Gordon. Comunque Juliet entro’. Tutti i suoi compagni erano seduti ai propri posti, divisi in coppie, e la fissarono con scarso interesse, abituati ai suoi ritardi; Juliet porto’ la sua attenzione sul professore e per poco non le venne un infarto. Non si trattava del Signor Gordon, ma di un uomo decisamente piu’ giovane. Poteva essere poco piu’ grande di loro, magari aveva anche appena terminato il college, sicuramente non aveva piu’ di venticinque, ventisei anni a occhio e croce. Indossava degli occhiali rettangolari neri e quando la vide se li tolse e per un momento Juliet si ritrovo’ come persa nel tempo. 
L’uomo aveva corti capelli castano dorati, sembravano cosi’ morbidi, il suo viso era dai lineamenti gentili eppure segnati allo stesso tempo, la mascella era forte e lui sembrava serrarla come per cercare di calmare la rabbia, anche se i suoi occhi era tutta un’altra storia. Erano l’azzurro piu’ scuro che avesse mai visto, sembravano appartenere agli abissi degli oceani. Si era alzato dalla sua sedia e la stava guardando con quei suoi occhi e sembro’ avere molto piu’ che venticinque/ventisei anni, quel suo sguardo sembrava cosi’ pieno di sentimenti, sentimenti sepolti da lungo tempo che Juliet non riusci’ a decifrare.
“Io… - comincio’ imbarazzata – scusi il ritardo, signore. Sono stata trattenuta” l’uomo sembro’ uscire dal suo stato di trance e annui’ lentamente.
“Certo – disse, con voce vellutata e calcolata – il suo nome, signorina…?”
“Juliet… - qualcuno sghignazzo’ dal fondo della classe Juliet abbasso’ lo sguardo, per poi rivolgerlo verso il fondo della classe con scherno – Marshall, Juliet Marshall, signore”
Il professore, che fissava anche lui il fondo della classe recupero’ un foglio dalla cattedra e lo lesse con attenzione poi annui’:
“si’ certo, Signorina Marshall, spero che questa non sia un’abitudine. – Juliet scosse la testa – questi sono i suoi libri, si sieda dove trova posto. Per oggi andra’ bene cosi”
Juliet annui’ e presi i libri che il professore le porgeva  e si costrinse a non correre al proprio banco, si sedette di fianco a Nadja una ragazza timida e sempre da sola, che le rivolse un sorriso sincero e poi torno’ a prestare attenzione alla spiegazione del professore.
“Non ti devi preoccupare – le sussurro’ dopo un po’ – il Professor Levitt fa un po’ quest’effetto a tutte. Non sei la prima” Juliet si volto’ e le sorrise.
“Come mai ci fa lui chimica?” Nadja si scosse nelle spalle, indicando che non lo sapeva.
“Cosa trovate di cosi’ interessante, di cui parlare, durante la mia lezione?” non si erano accorte che il professore aveva smesso di spiegare e che si era messo davanti al loro banco, fissandole con qualcosa di simile al divertimento negli occhi. Juliet alzo’ lo sguardo verso il suo e noto’ che lui tratteneva a stento un sorriso, anche se aveva le braccia incrociate al petto.
“Beh… - comincio’ – forse il modo buffo in cui cerca di spiegare perche’ gli elettroni non sono altro che ‘probabilmente’ rintracciabili e non perfettamente situabili” qualcuno alle sue spalle trattenne il respiro e il professore sorrise, con un misto di orgoglio e ammirazione poi le fece cenno con una mano di alzarsi.
“Allora perche’ non lo spiega lei ai suoi compagni signorina?”
“Oh no… - fece Juliet appoggiandosi allo schienale della sedia e incrociando le braccia al petto, poteva sentire lo sguardo di Lucas, un suo caro amico, perforarle la nuca – non sono brava nel cabaret” senti’ i suoni oltraggiati di alcune sue compagne di scuola, ma li ignoro’.
“A si’? – domando’ il professore Levitt appoggiandosi con le mani al suo banco e sporgendosi verso di lei – e come se la cava con l’ordine, signorina Marshall”
“Ordine sparso? Sono una pro”
“Oh beh allora potra’ aiutarmi a mettere in ordine tutti i composti, che ne dice? Detenzione, signorina Marshall. Ci vediamo alla fine delle lezioni” disse, voltandosi e avvicinandosi alla lavagna.
“Scoprira’ che sarebbe stato meglio non farmi mettere mano ai composti chimici, professore”
“Oh, credo che correro’ il rischio” rispose lui. Ponendo fine alla discussione.
Juliet si scosse nelle spalle e aspetto’ che terminasse la lezione. Quando finalmente fu terminata usci’ dall’aula insieme a Nadja e seguita a ruota da Lucas che la prese per un braccio costringendola ad ascoltarlo.
“Ehi, cos’era quello?” le domando’, fissandola con i suoi occhi scuri e freddi, sinceramente preoccupato per l’amica.
“Niente”
“Niente? Mi vuoi prendere in giro?!” indico’ con la testa l’interno dell’aula “Non e’ una buona idea”
“Non so di cosa tu stia parlando” rispose Juliet, scuotendo il braccio e liberandosi dalla sua presa, voltandosi per andarsene.
“Puoi prendere in giro te stessa, Li – le chiamo’ dietro – ma io ti conosco e non puoi mentirmi”
“Senti – fece lei voltandosi e muovendo una mano tra di loro – non ho idea di che cosa tu stia parlando. Quindi se sei qui solo per farmi la predica puoi anche risparmiartela, Lucas. Non ho intenzione di ascoltarti”
“Sono solo preoccupato per te”
“Lo so” rispose lei abbasando lo sguardo “Ma non ce ne e’ bisogno. So badare a me stessa. E comunque non e’ successo niente.”  
“Mi preoccupa quello che potrebbe succedere. Infatti” rispose lui, andandosene e dandole una spallata che per quanto gentile lascio’ il suo segno, soprattutto all’umore di Juliet.
“Ecco cosa succede ad avere amici maschi – disse a Nadja cercando di risollevare l’atmosfera – diventano fratelli iperprotettivi. Cerca di evitarli come la peste.” Nadja sorrise e si diressero insieme agli armadietti.
//oo//
“Ehi!” per poco non salto’ sul posto voltandosi verso la fonte della voce. 
“Porca miseria!” esclamo’ mentre si voltava. Stephen sorrise ancora di piu’ abbassando lo sguardo.
“Scusa” era evidente che stava trattenendo una risata. 
“Non e’ divertente” disse con tono minaccioso. Stephen provo’ a riprendere un minimo di contegno fallendo miseramente.
“Lo so”
“Allora smettila di ridere!” lui riusci’ finalmente a fare come ordinato e poi scoppio’ a ridere di nuovo, questa volta pero’ Juliet si uni’ a lui.
“Okay – ammise – fa abbastanza ridere.” 
“Decisamente – lui si mise le mani in tasca – allora, pranzo?”
Lei sembro’ essersene appena ricordata, ma annui’ vigorosamente “Certo! Dai vieni. Non avevamo detto che ci saremo visti in mensa?”
Lui si scosse nelle spalle “Ero di passaggio, ti ho vista e ho pensato di farti prendere un coccolone”
“Stronzo”
“Vivo solo per servire!” rispose lui ridendo ed aprendole la porta della mensa.

“Sei un essere disgusto!” disse, aumentando il passo mentre si teneva la gonna saldamente in una mano per evitare altre figuracce, e mentre, cercava, invano di seminarlo. Ma appena arrivarono alle porte lignee del templio lui ghignando come un bambino la supero’ e le apri’ le porte facendole cenno di passare prima.
“Vivo solo per servire” disse ridendo. Gli pesto’ un piede mentre entrava nella sala. Lui non poteva entrare e lei lo sapeva. 
“Donna violenta!” le chiamo’ dietro, lei si volto’ e sorrise dolcemente 
“Vivo solo per servire” 


“Juliet…? Ehi?” la voce di Stephen la riporto’ con i piedi a terra e la testa nella propria scuola, si volto’ ad osservarlo con uno sguardo stupito.
“Tutto bene?”
“Ehm… si certo, scusa. Ero solo sovrapensiero – guardandosi intorno intercetto’ sibito lo sguardo di Sophie che le fece segno col pollice in su’ per la scelta del suo accompagnatore – ecco laggiu’ ci sono i miei amici. Ehi, Ragazzi!” 
Seduti attorno al tavolo c’erano Lucas – che ancora le teneva il broncio – Sophie – che  la sapeva piu’ lunga di quanto non dava a vedere – Emily – una ragazza dolce dai capelli rossi e il sorriso gentile – Jeffrey – un secchione che aveva una cotta impossibile per Sophie, ovviamente ignara – e Susan la capocheerleader e sua cugina.
Dopo che li ebbe presentati si rivolse a Stephen “Io vado a prendere qualcosa, tu?” lui le mostro’ un panino incartato e si scosse nelle spalle, mentre si sedeva e iniziava a parlare con Lucas delle selzioni per la squadra.
“Vengo io con te, Speedy” disse Sophie con una voce che non prometteva nulla di buono.
“Ok”
Il silenzio non era mai un buon segno. E dopo un po’ Juliet sapeva che avrebbe ceduto. Sophie era peggio di sua nonna, sapeva benissimo come farla crollare.
“Okay. Sputa il rospo, Soph. – disse, mentre aspettavano il proprio turno – fammi anche tu la tua predica”
“Non voglio farti la predica, tanto servira’ solo a farti incapunire solo di piu’ – rispose Sophie con finta indifferenza – voglio solo che tu sappia che se devi parlare di qualcosa per te ci sono”
“Oh… oh no. Non vuoi davvero provare la psicologia inversa, vero?” le domando’, ma Sophie si scosse meramente nelle spalle, spostandosi indietro un ciuffo di capelli che era scappato dalla morsa dell’elastico, senza rispondere.
“Ti odio” la avviso’ Juliet, indicandola con un dito “Lo sai, vero?” Sophie sorrise dolcemente, mentre la Signora Maddy riempiva loro i vassoi. 
“No sul serio, Soph. Lucas ha esagerato”
“E’ solo preoccupato per te. Lo sai che siamo come una grande famiglia.”
“Lo so. Lo so. Se vi fa stare piu’ tranquilli sono sicura che tutto questo sia solo un gigantesco malinteso e che Lucas ha capito male”
“Sai bene che Lucas raramente sbaglia mira quando si tratta di ragazzi che sono interessati a te. Ricordi con Jackson?”
“Oh andiamo! State esagerando!” rispose Juliet mentre si dirigeva verso il tavolo.
“Ehi spostatevi da li!!” sentirono urlare da qualcuno, Juliet si volto’ giusto in tempo per vedere un ragazzino su uno skate che correva a troppa velocita’ terrorizzato che incontrava nella sua traiettoria lei. Juliet diede uno spintone indietro a Sophie facendola indietreggiare di qualche passo, ma non fu abbastanza svelta per togliersi lei dall’impaccio.
Il ragazzo la colpi’ in pieno e il suo vassoio volo’ in aria mentre lei cadeva a terra. Era la seconda volta oggi. Juliet fece a malapena in tempo ad alzare lo sguardo e vedere il vassoio che stava per caderle in testa, chiuse gli occhi preparandosi all’impatto quando udi’ il rumore del vassoio cadere a terra e lo senti’ pericolosamente vicino alle sue gambe ma non l’aveva neanche sfiorata. Apri’ gli occhi e si ritrovo’ faccia a faccia col professor Levitt che aveva un braccio alzato e sporco di sugo. Aveva impedito al vassoio di caderle in testa.
“Tutto bene?” domando’.
“Io… si” lui le porse una mano aiutandola ad alzarsi, Sophie le corse di fianco.
“Juliet! Idiota!” le urlo’ contro. Ma Juliet in quel momento non la sentiva neanche.  
“Lei sta bene, signore?” domando’ piuttosto, ignorando l’amica, lui si guardo’ il braccio e si scosse nelle spalle. 
“Ho passato di peggio. L’importante e che tu non ti sia fatta male, chi diavolo permette di usare gli skate all’interno della mensa?” rispose voltandosi verso il colpevole di tutta la situazione. Juliet agi’ di istinto senza pensare e gli afferro’ un braccio, quando lui si volto’ sconvolto si rese conto di quello che aveva fatto e che tutta la scuola la stava fissando.
“Grazie” borbotto’, prendendo poi per mano Sophie e dirigendosi fuori dalla mensa. 
“Speedy…” provo’ Sophie, ma Juliet non sembrava rispondere.
“Io… - disse d’un tratto – ho bisogno di un momento.” Detto questo si diresse verso l’uscita e Sophie rimase li’ ferma come uno stocafisso. 
“Ehi… Sophie, giusto? – era Stephen il ragazzo che aveva portato Juliet, Sophie annui’ – dov’e’ Juliet?” domando’.
“Lei… aveva bisogno di un attimo. – disse – stara’ bene. Ha solo bisogno di un po’ di aria fresca” Stephen annui’ in quel momento Sophie senti’ la porta alle sue spalle aprirsi e si volto’, poco distante appena fuori dalla porta della mensa stava il professor Levitt, aveva uno sguardo sconvolto, la guardo’ un attimo e poi se ne ando’ nella direzione opposta. 
Juliet non si fermo’ finche’ non fu seduta nella sua jeep. Prese un lungo respiro. Tremava. Era assurdo. Essere cosi’ sconvolti per una cavolta del genere: aveva rischiato di piu’ quando a nove anni si era intestardita a cavalcare il cavallo di suo nonno, troppo grande per lei e per poco non l’aveva disarcionata, ma non era mai stata cosi’ terrorizzata in tutta la sua vita. 
  
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