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Autore: Francesca_H_Martin    02/02/2016    6 recensioni
"Era come se attraverso un singolo sguardo, un breve momento che sembrava però eterno, il ragazzo fosse riuscito a percepire tutto il dolore che Lydia stava sentendo in quell’attimo.
La guardava con una dolcezza indescrivibile.
La mano fredda di Stiles si spostò velocemente dalla tasca già stracolma del suo cappotto e si posò delicatamente sulla guancia di Lydia, provocandole involontariamente un brivido che le percorse tutta la schiena fino ad arrivare a quelle cicatrici sul collo.
—Lydia non sei più sola. Ci sono io con te, non avere paura. —
Quelle dita affusolate continuavano ad accarezzarla come se fosse un petalo delicato pronto a lasciare il suo fiore."
Genere: Comico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kira Yukimura, Lydia Martin, Scott McCall, Stiles Stilinski, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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 Salve a tutti! Questa è una nuova fanfiction sui due pulcini, non ce la faccio a scrivere di qualcun altro, li amo troppo ahah! 
 E' una long futurfic ^^ 
Che altro dire...Spero vi piacerà e, se vi va, fatemi sapere cosa ne pensate! Ne sarei felicissima ** Grazie di tutto <3


 
L’odore di marcio, di vecchio e di muffa proveniente da quei sedili rilegati in pelle color rosso acceso, che faceva concorrenza al colore biondo fragola dei suoi perfetti e fluenti capelli e che non si intonava per niente con quella gonnellina viola orchidea-anzi più che viola orchidea, color wisteria sinensis, il quale corrisponderebbe al semplice color “glicine” se non amasse chiamare tutto con il proprio nome scientifico-che stava indossando proprio in quel momento, fece chiedere a Lydia se la decisione che aveva preso solo una settimana prima fosse davvero quella giusta.
In effetti, neanche quella gomma da masticare rosa spiaccicata sull’enorme finestrone di vetro appartenente a quel maledetto e sgangherato pullman aiutava molto.
Conati di vomito le si presentarono davanti quell’orripilante scena, quasi come se avesse visto la morte in faccia- alla morte ci era abituata, tutto quello era molto peggio.
-Meglio non scherzare su certe cose, meglio non pensarle neanche certe cose- pensò tra se e se, continuando a fissare quell’ambiente fetido.
I suoi occhi scrutavano attentamente quello spazio ristretto che la circondava, strizzandoli sempre di più per catturare ogni singolo dettaglio al meglio, come ogni leone degno del suo nome fa con la sua preda.
I suoi timori purtroppo si erano avverati.
Non c’era niente di bello da vedere, a parte un televisore minuscolo-che neanche un lupo mannaro, dotato di una super vista sarebbe riuscito a comprenderne le immagini tanto che erano piccole- e le poche teste assonnate dei suoi compagni che cercavano di dormire, alcuni nelle posizioni più strane possibili.
Malia addirittura si era addormentata sul pugno chiuso della sua mano, il quale ogni due secondi scivolava con il suo braccio da quel bracciolo, puntualmente svegliandola.
Apriva gli occhi ogni volta borbottando un qualcosa che la ragazza dai capelli biondo fragola non riusciva a capire perché lontana ma che cercava di interpretare guardando quei lenti movimenti delle sue labbra, ormai quasi per gioco, doveva pur perder tempo in qualche modo.
Era davvero buffa.
A Lydia in un certo momento parve che la sua bocca avesse pronunciato una parola simile a “nervo”, ma quella n sembrava più una c che altro.
“Cervo”. Magari stava sognando di sgranocchiarne uno-ed ecco spuntare un enorme sorriso sul suo viso, con quelle fossette agli angoli della bocca ancora più visibili del solito, ancora più ricalcate, come se si trovasse in un dipinto e il pittore avesse per sbaglio tenuto fermo un po’ troppo in quel punto quel pennello carico di colore.
 
 
L ipod che stringeva tra le mani si era bloccato su una canzone ormai da tempo ma non se n’era minimamente accorta; stava guardando fuori  quel finestrone macchiato e scheggiato come la sua anima, con uno sguardo vitreo, assente, come perso in chissà quale dimensione ultraterrena.
Stava pensando all’ultima volta che si era sentita davvero così, che si era sentita così spensierata e così…umana. Era davvero passato tanto tempo, troppo.
Deglutì silenziosamente, come se qualcuno potesse vederla da un momento all’altro e scorgere dai suoi occhi quel dolore lacerante che aveva nascosto con cura fino a quell’attimo, attimo che avrebbe potuto mandare in mille frantumi la milionesima corazza che si era creata per non sembrare debole, per non sembrare una piccola ragazzina spaventata.
Lydia Martin però non era più quella ragazza, lo sapeva bene.
Lydia Martin non aveva più paura di mostrare le sue debolezze.
Lydia Martin non era più quella ragazzina “superficiale” e “saputella” che era stata un tempo e che- a dirla tutta- a volte le mancava.
Quella ragazzina almeno era apparentemente spensierata.
No. Quella ragazzina era solo distrutta.
Distrutta da un’infanzia non tanto facile, distrutta da un padre assente.
Distrutta da un’autostima inesistente, da una vita basata esclusivamente su un’ effimera bugia.
Lydia Martin ormai era cresciuta, nonostante l’avesse fatto troppo in fretta.
Lydia Martin non aveva più bisogno di un ragazzo per sentirsi completa. Per sentirsi al sicuro. Per sentirsi amata.
Lydia Martin finalmente si amava.
Il suo respiro irregolare appannava ancora di più quel materiale trasparente-più di quanto il freddo non lo stesse facendo già di suo-mentre cercava disperatamente di disegnare un qualcosa di indefinito  sulla parte ormai bianca-grigiastra della superficie.
I suoi occhi verdi ormai sembravano due smeraldi. Era come se avessero risucchiato tutta la luce dei raggi emanati da quel sole primaverile di prima mattina.
Si stropicciò gli occhi guardando la sua immagine riflessa come in uno specchio d’acqua e nonostante sapesse che quella persona su cui aveva posato lo sguardo fosse proprio lei, le ci volle più di un attimo per riconoscersi.
Si vedeva diversa. Si sentiva diversa.
Quelle cicatrici che le adornavano il collo e il viso le davano un aspetto più duro nonostante i lineamenti delicati e quelle lentiggini quasi impercettibili, la rendevano ancora più bella del solito.
Quelle cicatrici però non la spaventavano. Quelle cicatrici non sarebbero state più nascoste da quantità industriali di trucco.
Quelle cicatrici oramai facevano parte di lei, così come quei dolorosi ricordi.
Oramai erano acqua passata. Lydia Martin ce l’aveva fatta.
Era inutile rimuginare sul latte versato, ritornare in quel circolo di avvenimenti macabri che al sol pensiero le si mozzava il fiato.
Ormai era tutto passato, ma…Com’era possibile? Come poteva una ragazza come lei essere riuscita a superare un qualcosa di molto più grande e difficile di tutto ciò che aveva mai affrontato?
La ragazza dai capelli biondo fragola se l’era chiesto molte volte ed ogni volta che lo faceva, solo una risposta le veniva in mente senza sapere neanche il perché:
“Sei Lydia Martin. Lydia Martin può tutto”.
Stiles Stilinski glielo diceva spesso; glielo ripeteva fino alla nausea e anche se lei ogni volta-o il più delle volte- roteava gli occhi e faceva qualche smorfia solo per il gusto di farlo arrabbiare, in realtà amava sentirsi dire quelle parole.
Amava il suono di quelle lettere pronunciate dalla sua voce, amava vedere come qualcuno credesse così tanto in lei anche quando chiaramente lei era la prima persona a non farlo.
Stiles Stilinski-non importava cosa Lydia Martin dicesse o facesse- avrebbe sempre creduto in lei.
Sempre.
Perché quel ragazzino dalle fragili ossa e dalla pelle chiara, con il sarcasmo come unica arma, era stato forse l’unico individuo-oltre Allison- a leggere quel significato nascosto tra le righe, quello che si scopre solo se si presta davvero attenzione, quello che si celava sempre dietro quello sguardo imperscrutabile color mare in tempesta , ma in realtà solo pieno di paura e delusioni.
Quello che si celava dietro finti sorrisi e parole prive di senso, come se recitasse un ruolo che le calzava stretto come un vecchio pantalone di due o tre taglie più piccole.
Quel significato. Il significato Lydia Martin, il più difficile da comprendere, quello composto da miliardi di sfumature che solo a provarci ti ci perdi.
Nonostante questo però Stiles ce l’aveva fatta, era riuscito a tornare a casa sano e salvo-magari  perché aveva il navigatore.
Un suono simile a un risolino strozzato uscì dalla sua bocca pensando a quella specie di battuta squallida che la sua mente aveva appena elaborato, seguito poi da uno sguardo afflitto per la consapevolezza che, si, Stiles l’aveva contagiata fin troppo.
Perché?­- Perché quella, si proprio quella, era davvero una battuta alla Stiles. Sicuramente sarebbe stato l’unico a ridere se l’avesse detta ad alta voce e se fosse stato lì.
A tal proposito, che fine aveva fatto?
Appena Lydia aprì gli occhi fu inondata da un bagliore così forte che le fece impiegare un po’ di tempo per rendersi conto che Stiles stava cercando disperatamente, con veloci movimenti delle mani, di farsi notare da quel vetro appannato. Le muoveva attorcigliandole come un verme fa su se stesso, gesticolando come se da quello dipendesse la sua vita.
Non l’aveva neanche sfiorata. Forse pensava che stesse dormendo e che così rovinasse di conseguenza un bel sogno o, forse, semplicemente era lei che stava vagando un po’ troppo con la fantasia.
Fatto stava che era troppo ridicolo.
La ragazza dalla pelle pallida e dagli occhi color smeraldo sorrise ancora di più guardando quelle labbra che sembravano saette schizzate via a velocità supersonica, ancora più veloci delle sue mani; cercò di fare lo stesso gioco che poco prima aveva fatto con Malia ma era impossibile anche solo decifrarne una sillaba. Stiles oltre a biascicare parole, parlava davvero troppo.
Lydia risorrise facendo finta di niente, quando-finalmente- il ragazzo allungò il suo braccio ossuto e le sfilò l’auricolare dall’ orecchio, facendo cadere l’ipod per terra.
—Pronto? Bansheelandia chiama Lydia! —disse intonando questa frase con il suo solito tono sarcastico. Lydia si voltò verso di lui con l’espressione “what the hell?”(occhi spalancati, bocca dischiusa, sopracciglio inarcato), espressione che assumeva molto spesso con Stiles anche se, in realtà, stava trattenendo disperatamente una risata lunga quanto il Nilo giusto per non dargli soddisfazioni e-perché no-per istigarlo.
Si divertiva troppo a contraddirlo o a farlo innervosire, d’altronde il loro rapporto era anche così. Loro erano anche così.
—Stiles, se volevi un’uscita alla “ET TELEFONO CASA”, non ci sei riuscito per niente. — ribattè con tanto di tono sarcastico, tipico anche della sua persona.
—AH. AH. Avevo quasi dimenticato che in quel corpicino è racchiuso il 50% di cattiveria, forse il 60! —Finalmente si sedette accanto a lei, gettandosi a capofitto senza curarsi di niente, a parte non schiacciarla o ferirle la mano poggiata delicatamente sul bracciolo con il suo gomito spigoloso.
—Errore Stiles. Mai, e dico mai, dimenticarlo. — La ragazza alzò leggermente gli angoli della bocca mentre fissava la sua immagine, come in uno specchio, in quegli occhi color del miele.
 —A proposito, come mai tutto questo ritardo? Conoscendoti, ti sarai svegliato cinque minuti prima; stavo per chiamare il 911 denunciando la tua scomparsa. — Di nuovo un suono strozzato in gola.
Il discorso fu interrotto per un breve momento dal rumore scoppiettante della marmitta di quell’autobus sgangherato che spaventò a morte Stiles, -vista la sua espressione di terrore e da ebete intontito-poi ripresero subito.
Spiritosa. Questa volta però non sono stato io il colpevole. —
Certo, chi voleva darla a bere.
—Vuoi dire che non ti sei svegliato cinque minuti prima? —Lydia guardò il ragazzo con aria per dire “ammettilo, tanto lo so che è così”.
—No. —
—Stiles…—
—No, perché non erano cinque ma quindici minuti prima! Scott è il colpevole, anche se lo capisco, era una questione da lupi. Non comprenderesti. —
Lydia lo guardò aggrottando la fronte e inarcò un sopracciglio in attesa di una vera risposta.
—Ok, va bene! Ci siamo fermati per strada perché…be’…la natura mi stava chiamando. Insistentemente direi. —
“La natura mi stava chiamando?”…Seriously? Neanche sua madre usava più quella frase per dire che doveva andare in bagno.
Sua madre. La donna che l’aveva rinchiusa all’Eichen house per il suo bene.
Per il suo bene.
Ecco cosa si ripeteva Lydia giorno e notte per non rompersi di nuovo in mille pezzettini e per non ricomporli tutti da capo, come se la prima volta che l’ aveva fatto non fosse già stato così difficile.
I suoi occhi improvvisamente persero tutta quella luce che avevano rubato ai raggi del sole, rientrando in quella penombra dalla quale tutto sembrava più offuscato, confuso, così come il colore degli occhi di Stiles che a loro volta guardavano i suoi con un accenno di tristezza velato da quello scintillio dovuto alla luce che rifletteva sul vetro.
Era come se attraverso un singolo sguardo, un breve momento che sembrava però eterno, il ragazzo fosse riuscito a percepire tutto il dolore che Lydia stava sentendo in quell’attimo.
La guardava con una dolcezza indescrivibile.
La mano fredda di Stiles si spostò velocemente dalla tasca già stracolma del suo cappotto e si posò delicatamente sulla guancia di Lydia, provocandole involontariamente un brivido che le percorse tutta la schiena fino ad arrivare a quelle cicatrici sul collo.
—Lydia non sei più sola. Ci sono io con te, non avere paura. —
Quelle dita affusolate continuavano ad accarezzarla come se fosse un petalo delicato pronto a lasciare il suo fiore.
Lydia lo riguardò con un sorriso appena pronunciato, meravigliandosi di come quelle semplici e allo stesso tempo complicate parole pronunciate da lui avessero un effetto così calmante, proprio come se avesse bevuto due o tre camomille di troppo.
La ragazza dalla pelle pallida non rispose ma i suoi occhi lo fecero per lei urlando tanto forte che a Stiles venne la pelle d’oca, il battito cardiaco che gli aumentava sempre di più.
Che diamine gli stava succedendo? Perché quegli occhi e quel sorriso riuscivano ancora a destabilizzarlo in quel modo?
Non pensarci Stiles! —Senza neanche accorgersene subito, lo aveva pronunciato a voce tanto alta quanto bastava affinchè Lydia sentisse.
—A cosa non devi pensare? —
Stiles arricciò e si mordicchiò le labbra prima di dare una risposta.
—Al perché siamo isolati dal mondo e dai nostri amici, qui dietro, il posto dove non batte mai il sole!
Per non mostrare i segni dell’imbarazzo che gli pervasero il viso, Stiles finalmente si chinò per alzare l’ipod che era ancora situato a terra.
—Stiles se vuoi, vai. Io…Io resto qui. —Il suo sguardo ora era calmo e sereno.
—Qual è la parte di “non sei più sola, ci sono io con te”  non hai capito? Io resto qui con te. — Spontaneamente poggiò la sua mano su quella di Lydia che, stranamente, rimase immobile; era così calda e così piccola tanto da non essere visibile sotto quella del ragazzo.
Lydia cedette di un battito mentre cercava qualsiasi scusa, qualsiasi cosa da dirgli per non sentirsi così in imbarazzo.
Che poi, perché si sentiva così in imbarazzo?
Bè…Ora raccontami qualcosa. —disse la ragazza dai capelli biondo fragola.
—Cosa dovrei raccontarti? Aspetta, ce l’ho! —Gli occhi del ragazzo brillarono improvvisamente.—Una ragazzina prima di salire mi ha detto che somiglio ad Ashton Kitchen.—
—Ashton Kutcher, Stiles. — Lydia trovava la cosa alquanto buffa, tanto buffa che incominciò a ridere.
Stiles non  ci trovava niente da ridere ma nonostante questo era contento lo stesso, era contento che fosse riuscito a farla sorridere in quel modo. Come smise di farlo un lieve sbadiglio uscì dalla bocca di Lydia mentre Stiles la stava guardando.
—Tua madre…Tua madre mi ha detto che non riesci più a dormire, che non chiudi occhio la notte.—Perché glielo aveva detto? Perché farlo preoccupare inutilmente?
—E non prendertela con tua madre, sono stato io ad insistere per saperlo. — Lydia si meravigliò di quella frase, era proprio come se le avesse letto nel pensiero.
—Dormi Lydia. Ti prometto che quando riaprirai gli occhi io sarò qui. —Lydia lo guardò con una certa luce negli occhi, una luce che splendeva forte come  quella delle stelle nella notte di San Lorenzo.
—Stiles…Grazie. — Appena queste parole furono pronunciate dalla sua bocca, Lydia si appoggiò su quella spalla ossuta e chiuse gli occhi.
Stiles la stava guardando. Si chiese se avesse visto mai cosa più bella; si chiese se un quadro o un film o un libro-i più belli che potessero esistere- potessero essere mai paragonabili al viso di Lydia mentre dormiva o al viso di Lydia in generale.
No.
La risposta era sempre un misero e secco no.
Lydia Martin era al di sopra di tutto, era unica nel suo genere.
Stiles sentiva il respiro regolare della ragazza sulla sua spalla, quel petto che si alzava e si abbassava; in quel momento la sua voglia di dirgli un qualcosa era più forte di qualsiasi cosa.
—Lydia sei ancora sveglia? —
Un mugolio impercettibile, un si quasi inesistente ricoperto dalla sua voce arrivò all’orecchio del ragazzo.
—Posso farti una domanda? —
—Dimmi. —
Era ora di parlare, finalmente era arrivato il momento adatto per…
—Sono più affascinante di Ashton Kutcher vero? — niente.
Lydia sorrise così silenziosamente che Stiles si domandò se fosse stato solo un piccolo singhiozzo.
—Dormi Stiles, dormi. —
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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