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Autore: Fiamma Winchler    07/02/2016    1 recensioni
Mi teneva ben salda anche se sapeva benissimo che non me ne sarei andata.
Eravamo a massimo due centimetri di distanza quando le sue labbra si aprirono in un sorriso di denti perfetti. Spostò la mano, mi lasciò andare il polso e mi afferrò la vita per tenermi ancora più ferma.
Avevo il respiro corto nonostante cercassi di controllarlo e sentivo il mio corpo tremare. Nel mio stomaco qualcosa si agitava. Farfalle? Ma se non ci avevo mai creduto! Eppure erano lì, che svolazzavano dentro di me dando sfogo alla gioia che io non volevo e non dovevo mostrare.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
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Ero lì. E lui davanti a me. Ci allenavamo tutti e due. Si era tolto la maglia e l’aveva fatta cadere su una panchina a bordo campo. Correva. Le linee del suo corpo mi provocavano i brividi anche a quella distanza. Un ragazzo da dietro gli si lanciò contro per prendergli la palla e per un attimo provai invidia.
«Ashley! Pianeta terra chiama Ashley! È ora di pranzo! Ashley!»
Finalmente mi ripresi e mi tornò la voce; più o meno.
«Eh? Ah, sì. Giusto. Aspetta Jam!»
Scesi i gradoni degli spalti, raggiunsi Jamie e ci avviammo insieme negli spogliatoi proprio mentre anche i giocatori lasciavano il campo. Il corridoio interno era stretto e i ragazzi che giocano a rugby non sono esattamente mingherlini.
Jamie continuava a ridere. Era più grande di me e si divertiva da matti quando mi vedeva in quello stato.
«Ti è presa proprio male, eh?! Via, dai Ashley che sei una figa. Dato che abbiamo un po’ di tempo andiamo al ristorante del cinema a mangiare, okay?»
La guardai senza troppa attenzione perché ero impegnata a respirare.
«E... se io restassi a mangiare qua? Tanto ho un panino, e comunque non ho molta fame; e nemmeno soldi»
«Questo è esattamente quello che dovevi rispondere. Datti una mossa, gigliotta
Non stavo guardando i giocatori che mi passavano vicino spintonandomi per raggiungere lo spogliatoio; ma capii che era passato quando sentii un di nuovo un brivido partirmi dal braccio e percorrermi tutta la schiena. Mi voltai. Anche lui stava guardando me. Almeno credo.
Entrammo nel nostro spogliatoio.
Indossavo ancora la vecchia divisa e alla partita avrei dovuto usare quella nuova.
«Lucy, ma quando mi devo cambiare?»
«Dopo, topina. Anche perché se resti qui a pranzo e fai due passi ci sta che te la sporchi, quindi tieni quella vecchia»
Le ragazze si avviarono tutte all’uscita; le accompagnai.
Salutai tutte e le guardai partire a bordo delle loro macchine. Jamie si era girata prima di chiudere la portiera, aveva sgranato gli occhi e, non appena partirono mi mandò un messaggio con una faccina con l’occhiolino. Avevo quasi paura a voltarmi. E facevo bene.
Certo non potevo restare lì inchiodata.
Uno, due, tre, voltati”. Così feci, e per poco non caddi a terra.
Indossava la maglia della sua divisa e i pantaloncini corti. Si era fatto la doccia e il fango che aveva addosso era sparito.
Stava per parlare, ma non volevo sempre fare la figura della stupida che perde le parole alla sua vista, anche se ero una di quelle ragazze. Ciao era diventata la parola più complicata del mondo, ma mi ero già trovata in quella situazione e sapevo che sbloccata la prima parola le altre venivano a catena.
«Ciao, bell’allenamento. In bocca al lupo per la partita»
«Crepi. Perché non sei andata con le tue amiche?»
«Avevo voglia di starmene un po’ tranquilla prima della partita, e tu? Perché non sei con la tua squadra?»
«Ho bisogno di fare due passi. Ripassare un po’ delle azioni che devo fare in campo: qualche placcaggio»
Il suo volto si illuminò, e un sorriso strafottente gli si aprì sulle labbra.
Alla parola placcaggio un altro brivido mi aveva percosso la schiena. Mi stavo sentendo male. Sul serio. Dovevo tornare nello spogliatoio e rinfrescarmi prima che il mio corpo prendesse fuoco.
«Beh, buona passeggiata.»
Non avevo seguito il consiglio di Jamie, ma avevo bisogno di andarmene.
Avevo appena percorso qualche metro quando mi raggiunse e mi fece fermare.
«Aspetta! Non lo sai che quattro passi sono perfetti per la tranquillità che cerchi?»
«Pensavo che volessi stare solo...»
«Non ho mai detto questo. Ho detto che avrei voluto fare quattro passi senza la squadra, non senza di te...»
Aveva detto l’ultima frase troppo veloce e si rese conto che mi aveva spiazzata. Alzò la testa al cielo e si premette l’indice e il pollice sulle palpebre.
«Cioè, insomma... La tua compagnia mi farebbe piacere.»
Mi limitai a sorridere. Andammo verso il campo. Tre passi dopo la partenza Adam mise un braccio intorno alle mie spalle con estrema naturalezza. Il che mi provocò un altro brivido. Mentre passavamo davanti allo spogliatoio una voce si fece spazio nella confusione:
«Che fine ha fatto la regola del non si fraternizza con i giocatori? Per Weed non la fai valere, eh bionda?»
Adam si voltò e fulminò il suo compagno con lo sguardo.
Quando arrivammo sul campo un bleah fu tutto ciò che uscì dalla mia bocca alla vista della piscina di mota che ci aspettava.
«In realtà, non è male come sembra... è piuttosto divertente».
Mostrò un sorriso sghembo, si tolse le scarpe e iniziò a correre verso il centro del campo.
In quel momento sentii rumori di altre macchine e vidi la squadra di Adam uscire dal cancello.
Era organizzato? Come Jamie lo aveva detto a me, magari lo avevano organizzato anche i ragazzi per lasciarci soli e farmi morire. O forse era solo una coincidenza e io mi stavo facendo un sacco di giochi mentali inutili. Si, probabilmente era così. Mi voltai di nuovo verso il campo.
Lui era lì in piedi, al centro. Non mi stava guardando. Fissava il campo sotto i suoi piedi.
Mi tolsi le scarpe e i calzini e feci un passo in avanti. La sensazione che mi accolse era meno terribile di quel che pensavo.
Camminai verso di lui. Poi iniziai a correre quando capii quanto si era allontanato.
«Divertente eh? Fammi vedere come ci si diverte!»
Lo spinsi da dietro pensando che non sarei riuscita a smuoverlo di un centimetro; ma forse non era molto stabile sul terreno scivoloso. Cadde in terra sporcandosi tutta la maglia.
Bella figura di schifo, complimenti”. Pensavo che si sarebbe arrabbiato, invece stava ridendo. Si tirò via la maglia. E allungò un braccio verso di me afferrandomi il polso.
«Vieni, vieni! Ora tocca a me sporcarti la divisa!»
Mi trascinò per terra. Iniziai a ridere. Era tutto così strano.
Poi, ad un tratto le nostre risate si spensero. Mi tirò vicino a sé e avvicinò il suo viso al mio. Sempre di più, sempre di più. Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Continuava a tenermi il polso. Il suo bicipite era gonfio. Mi teneva ben salda anche se sapeva benissimo che non me ne sarei andata.
Eravamo a massimo due centimetri di distanza quando le sue labbra si aprirono in un sorriso di denti perfetti. Spostò la mano, mi lasciò andare il polso e mi afferrò la vita per tenermi ancora più ferma.
Avevo il respiro corto nonostante cercassi di controllarlo e sentivo il mio corpo tremare. Nel mio stomaco qualcosa si agitava. Farfalle? Ma se non ci avevo mai creduto! Eppure erano lì, che svolazzavano dentro di me dando sfogo alla gioia che io non volevo e non dovevo mostrare.
Alzò la mano libera e prima che me ne accorgessi il mio viso era cosparso di mota.
Chiusi un secondo gli occhi e quando gli riaprii stava ridendo. Sempre a pochissimo centimetri da me.
«Non avrai davvero pensato che ti avrei baciata adesso, vero?»
Si, cavolo! O almeno ci speravo tantissimo!”
«No, certo che no. Sarebbe stato troppo prevedibile»
«Esatto»
Si alzò e mi porse la mano aiutandomi.
Mi fissava.
Pensa, pensa, pensa!”
«Allora? Si fanno questi due passi?»
Tirò su la maglietta da terra e se la posò su una spalla.
«Certo».
La passeggiata durò un bel po’. Facemmo quattro volte il giro del campo dicendoci solo qualche frase. Durante questi ci furono due o tre soste in cui ci si fermava e ci guardavamo. Lui si avvicinava e dopo un po’ sorrideva.
«Troppo prevedibile?» chiedevo io.
«Esatto» mi rispondeva. Mi riprendeva la mano e iniziavamo di nuovo a camminare.
   
 
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