Storie originali > Commedia
Segui la storia  |       
Autore: suni    20/03/2009    7 recensioni
Giuseppina, per gli amici Giù, Pi per gli affezionati. Diciotto anni di goffaggine, sfortuna e individualismo. Quando suo malgrado cambia città e arriva nella nuova scuola non si aspetta altro che una nuova scarica di sfighe, e invece la ruota sembra girare. Perché Eva è una vicina di banco strepitosa, Francesco l’amico ideale, Greg, Lalla, Patty e Jack la compagnia perfetta. Ma Giù è Giù e la vocina nella sua testa le ricorda che non può essere su.
E difatti c’è un un ma. Un ma alto e biondo, con tanto di occhi azzurri, adorabili fossette e giacca arancione.
Tra serate alcoliche adolescenziali, improbabili sessioni cinematografiche, confidenze tra i banchi e risate miste alle lacrime, Giù scoprirà che anche affrontare i cambiamenti non è un’impresa impossibile. E che ad essere se stessi, alla fine, c’è soltanto da guadagnare. Anche quando si è, appunto, insostenibilmente Giù e tassativamente…sfortunati?
Genere: Generale, Comico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ahm.

Lo so. Sono ripugnante, ho accumulato un ritardo vergognoso. E per giunta non è nemmeno dovuto a un calo d’ispirazione, sono solo…pigra.

Ma rasserenatevi (o spaventatevi, semmai): Giù, Eva, Stef e gli altri non vi lasceranno molto presto.

suni

 

 

VII. IL PROIETTILE DI FUOCO

 

 

 

Il lunedì mattina era storicamente il momento più faticoso della settimana di Giù. Apriva gli occhi, realizzava che la attendevano sei giorni di scuola e un peso insostenibile le comprimeva i polmoni, impedendole per qualche minuto anche i movimenti più semplici.

Quel particolare lunedì mattina non fu diverso, salvo che per festeggiare la ritrovata armonia Marco la estirpò personalmente dal piumone caldo portandola in spalle come un sacco fino al tavolo da pranzo, per poi precipitarsi in ufficio uscendo dalla porta di casa con una scarpa ancora in mano: la puntualità ineccepibile non era un punto di forza di nessuno dei membri del nucleo familiare Corioli.

Giù trafficò con la sua tazza di cereali fino a tramutarli in una pappetta ripugnante che ingurgitò direttamente dalla tazza, sbrodolandosi il pigiama. Completamente intronata si diresse in bagno, si lavò la faccia, mise dei vestiti a caso e barcollò giù dalle scale gemendo un saluto alla madre. Rischiò di addormentarsi contro il portone e solo un immenso sforzo di volontà le permise di spalancarlo e avventurarsi nel gelido dicembre esterno; non faceva freddo come a Trento, ma comunque.

Zampettò per qualche passo verso la fermata, finché tre colpi di clacson in rapida successione non la fecero sussultare tanto che rischiò di capottarsi. Si voltò indietro intontita e fu così che vide quel che doveva vedere e le parole di Eva le furono perfettamente chiare.

Era verde, per cominciare. Una Clio scassata color verde pisello coi parafango stortignaccoli e uno specchietto sbilenco che sembrava ammiccare. Al di là del parabrezza Stef sorrideva sventolando una mano. Non aveva accostato e dietro di lui si stava formando una discreta coda ma lui non badò né a quello né al coro di clacson che seguì, sicché Giù pensò di doversi gettare sul sedile accanto a lui prima che il grosso conducente del fuoristrada due macchine dietro scendesse e facesse polpette stefaniche.

“Ciao!” l’accolse Stef non appena la vide aprire la portiera – non senza un certo sforzo, ché era difettosa. “Monta, soldato.”

“Ciao,” squittì Giù sedendosi di schianto. Dimenticò di avere lo zaino in spalle e poco ci mancò che rimbalzasse di naso contro il cruscotto.

“Come stai? Spero che i tuoi non fossero incazzati,” attaccò Stef partendo con una sgommata. “E che cazzo di fretta hai, cazzone del cazzo,” aggiunse senza alcuna aggressività gettando lo sguardo indietro, verso l’automobilista che oltre a sommergerli di colpi di clacson stava anche smadonnando alla grande. “Questa testa di cazzo…allora, i tuoi?”

E sorrideva pacifico.

“Non erano incazzati. Cazzo, no,” rispose lei con enfasi, giusto per non cambiare registro linguistico. “Sono in punizione sabato prossimo, ma tanto papà non tiene,” aggiunse più precisamente. Pensò di concludere con un ultimo cazzo, ma forse era meglio non strafare.

Stef svoltò a destra con andatura da crociera, tamburellando le dita sul volante.

“Ehi, guarda,” esclamò d’improvviso, svagato. “Sul sedile dietro, vedi?”

Giù voltò la testa incuriosita. Tra il marasma di cd, bottiglie vuote, felpe, varie ed eventuali troneggiava lo zaino nero di Stef. Giù lo scrutò perplessa, prima di individuare a cosa il ragazzo si riferisse: il montgomery blu scuro arrotolato accanto ad esso.

“Ho messo il mio stronzo giaccone a lavare,” ridacchiò Stef, improvvisamente sornione.

Lei avvampò, purpurea.

“Gesù,” abbaiò imbarazzata.

“Sì, beh, tu puoi chiamarmi Stef,” rispose lui magnanimo. “E poi te l’ho detto, Pi, non fa niente: basta che risparmi la macchina.”

Giù ricordò l’avvertimento di Eva ed esitò, cauta.

“E’ molto speciale?” chiese con prudenza.

“Cazzo, sì!” rispose Stef di slancio, ingranando la marcia come se fosse stato alla guida di un autosnodato da otto tonnellate. “Questo fottuto gioiello è nella mia famiglia da tempo immemore. Io l’ho ereditato da mio fratello maggiore. A lui non serviva più, sai,” aggiunse distrattamente, fissando la strada.

“Si è fatto la macchina nuova?” chiese lei, ciarliera.

Stef le gettò un’occhiata sbilenca, remotamente sorpresa. Storse le labbra nel primo sorriso men che abbagliante che lei gli avesse visto fare e scrollò la testa.

“Credevo che Eva te l’avesse detto,” commentò noncurante.

“Detto cosa?” lo incalzò lei sorpresa.

Lo sguardo di Stef s’illuminò di nuovo all’improvviso, voltato verso il lato del palazzo.

“Ehi, quella è la miglior panetteria della città!” esclamò, mettendo repentinamente la freccia. “Devi assolutamente provarla, merda. Adesso per festeggiare il nostro primo viaggio insieme ci compriamo due stronze brioches.”

Giù fissò il vuoto stordita.

Il nostro primo viaggio insieme.

La sua mente partì da sola, e del tutto contro la sua volontà, visualizzando una lunga carrellata di immagini on the road, con zaini in spalla, accampamenti di fortuna, romantici tramonti sul mare e aeroporti affollati in cui si addentravano mano nella mano. Nemmeno si accorse del parcheggio estemporaneo, in obliquo tra due cassoni della spazzatura, e soltanto quando Stef le picchiettò un dito sulla spalla ritornò malvolentieri alla realtà.

“Scendi?”

Annuì con estrema fatica, abbandonando senza entusiasmo il sedile.

Finirono per ingoiare tre brioches a testa, Giù rigorosamente al cioccolato perché erano le sue preferite e Stefano sbizzarrendosi tra una ripiena alla crema, una con mele e cannella e un gigantesco bombolone colmo di marmellata di mirtilli. Le brioches, spiegò con un grosso baffo violetto sulla guancia, erano in assoluto il suo alimento preferito.

A quel punto dovettero schizzare come matti in mezzo al traffico – Stef era bravissimo a sorpassare in corsia unica, ma anche a non imbroccare nemmeno per sbaglio i sensi unici nella giusta direzione – per non arrivare a scuola con troppo ritardo. Si separarono a tutta birra appena oltrepassata la soglia dell’istituto, perché la quinta A era a piano terra, ma Giù per un soffio non inciampò immediatamente nel primo gradino, nel sentire la mano di Stef sfiorare i suoi capelli in una carezza dispettosa prima che l’interezza di lui sparisse nel corridoio.

Fortunatamente la prima ora del lunedì, come quella del mercoledì, era tenuta dal professor Ventura, che la accolse con uno sguardo placido e vagamente ironico sventolando bonariamente nella sua direzione il gessetto con cui stava schematizzando alla lavagna la cronologia di vita di Filippo Brunelleschi.

Corioli, sono contentissimo che tu abbia deciso di passare a salutarmi,” osservò indifferente.

Giù si fece nuovamente purpurea, esitando nel raggiungere il banco.

M-mi scusi, professore, ho…c’era traffico e…posso restare, vero?” pigolò incerta.

ci mancava solo che la buttasse fuori perché non aveva la giustificazione per il ritardo. Come lo spiegava a Serafina che dopo averla ricondotta in casa ubriaca e vomitante Stefano l’aveva fatta arrivare a scuola venti minuti dopo l’orario prestabilito?

“Naturalmente, Corioli,” confermò il docente, dando un’occhiata al libro di testo per riprendere il filo. “Come non credere, del resto, ad una scusa così ben congegnata?” proseguì riprendendo a scrivere. Eva scoppiò rumorosamente a ridere e numerose altre risatine trattenute risuonarono alle loro spalle. “Che sia la prima e ultima volta, Corioli,” l’ammonì ancora il professore, ma sul suo volto c’era un vago sorriso che si aprì immediatamente anche su quello di Giù, mentre prendeva posto.

“Grazie, professore,” mormorò riconoscente, lui annuì sbrigativo e riprese a spiegare.

Giù nell’intervallo spiegò ad Eva delle brioches e lei si lasciò andare ad entusiastici commenti sull’effettiva prelibatezza di tutti i prodotti dolciari de Il Piccolo Forno di Manuela, la panetteria in cui l’aveva portata Stef.

“Che non succeda sempre, però, o diventerò gelosa,” rise scherzosa, beatamente ignara.

Fu nel cambio d’ora di mezzogiorno meno cinque che Francesco si avvicinò con fare losco, mentre Eva ciarlava con Lalla. Il ragazzo si guardò intorno circospetto e si chinò accanto a lei, poggiando i gomiti sul suo banco.

“Pi?” borbottò piano, col vocione cupo.

“Dimmi, Fra’,” replicò distrattamente lei, copiando la parte di schema che aveva mancato all’inizio dell’ora di storia dell’arte.

Francesco storse il naso, impacciato, e si passò una manona tra i capelli ad istrice.

“Sono dalle tue parti, nel pomeriggio,” attaccò, con tono che tratteneva malamente un qualche genere di urgenza. “Sarei libero, diciamo, intorno alle quattro e mezza. Ti va se passo da te, oppure di scendere a bere un caffè?” propose, fissandola intensamente.

Giù sbatté le palpebre, voltandosi finalmente a guardarlo con vago terrore. Cercò sul viso dell’amico qualche traccia di malizia o di intenti lontanamente romantici, e non trovandone si rilassò.

“Ma certo!” trillò contenta. “Vieni pure a casa mia, i miei non vedono l’ora di conoscere chiunque mi rivolga la parola in questa città,” puntualizzò, sospirando rassegnata.

Francesco sembrò improvvisamente rasserenarsi, sorridendo contento. Giù scribacchiò il suo indirizzo esatto su una pagina bianca di quaderno che strappò via con inconsulta ferocia, porgendogliela lieve.

Alla campanella di fine scuola si riversarono all’esterno con la solita grazia di bufali in carica. Raggiunsero la postazione all’angolo della piazza con Francesco in testa che apriva la strada a suon di leggiadre spallate, mentre Greg dietro di lui rollava la cannetta del buon pomeriggio senza nemmeno guardare dove stesse mettendo i piedi. Sembrava quasi che il suo corpo fosse geneticamente predisposto a quell’atto, ne concluse Giù guardandolo di sottecchi mentre scavalcava istintivamente uno zaino mollato in terra.

Fosse stava lei, si sarebbe ribaltata dopo il primo metro.

“Peccato che non siate venuti sabato sera,” stava blaterando Patty alla coppia di amici. “E’ stato molto divertente.”

“Sicuro. Dovevate vedere la nostra Pi com’era sbronza,” confermò Fra’ tutto serio, accendendosi una sigaretta.

Eva scoppiò a ridere, scuotendo le lunghe chiome.

“Purtroppo mi sono persa l’ultimo round, accidenti a mia madre,” commentò con rammarico.

“Noi eravamo a cena con Sonia e Luca,” spiegò Lalla senza troppo entusiasmo.

“Due palle come due…” borbottò Greg pacifico.

“Non è vero,” lo interruppe la ragazza con finta severità, prima di voltarsi verso gli altri. “E’ che hanno litigato tutta la sera,” aggiunse sbuffando.

“Appunto,” concluse Greg, sbuffando fuori una prima sostanziosa boccata di fumo.

“Chi è che ha litigato? Sei stata tu vero, Pi?”

Nell’udire quella voce solare e intimamente serena le dita dei piedi di Giù si arricciarono di scatto, mentre si voltava giusto in tempo per vedere Stef che chinava la testa per dare un bacio ad Eva.

“Hai fatto arrivare Pi in ritardo a lezione!” lo ammonì poi lei, dandogli un colpetto sulla spalla.

“Hanno fatto problemi?” s’informò lui, allacciandole il braccio intorno alla vita.

Naaa, c’era Ventura,” rispose Eva poggiando la testa contro la sua spalla. Giù distolse lo sguardo, interiormente affranta. Erano così maledettamente innamorati da far venire il voltastomaco.

“Altrimenti che avresti fatto, saresti andato dal prof a dirgli che sei Stefano Landolfi e mi hai accidentalmente ingozzata di brioches dopo il tuo concerto?” affermò istintivamente, più secca e tagliente di quanto avrebbe voluto – sempre posto che avesse avuto realmente l’intenzione di parlare, cosa non del tutto esatta.

Stef sgranò per un istante gli occhioni azzurri, prima di scoppiare in una celestiale risata scrosciante e un po’ roca.

“I tuoi mi odiano, vero?” chiese attento, subito dopo.

“No,” bofonchiò Giù senza guardarlo. “Ti trovano carino.”

Stef sorrise ancora, gongolante.

“Tutti mi trovano carino,” commentò, con tale candida innocenza che Giù pensò di liquefarsi sull’asfalto in un’estasi di tenerezza.

“Tutti chi?” fece Fra’, sarcastico.

“Io ti trovo carino,” sussurrò Eva suadente, avvolgendo le braccia intorno alla vita di Stef.

“Ah sì?” mormorò lui. Lei ridacchiò e il ragazzo la sollevò leggermente da terra, riprendendo a baciarla. Giù si voltò verso Fra’ domandandosi se fosse il caso di chiedergli di colpirla sulla testa col casco abbastanza forte da spaccare il suo cranio in due perfette metà e risparmiarle quell’angoscia.

“Cos’è questa storia di Landolfi e del concerto?” s’informò Greg pacato, passando il tizzo a Fra’. Questi esitò per un paio di secondi, coscienzioso, prima di prenderlo con una scrollata di spalle e portarselo alle labbra, allungandogli in cambio la sigaretta.

Giù prese un lungo respiro, iniziando a raccontare stentatamente del concerto, del viaggio in macchina – scoppiarono tutti a ridere come iene, al momento del vomito sulla giacca, e persino Stef si staccò per qualche secondo dalla bocca di Eva per commentare che quell’arancione non sarebbe mai più stato lo stesso – e dell’improvvisata con i suoi genitori.

“Tuo padre dev’essere andato fuori di testa,” osservò Lalla impressionata. “Il mio mi ucciderebbe.”

Giù ci pensò su per qualche secondo, scettica. Il commento più negativo di Marco era stato che non voleva un genero con le fossette, ma sospettava non fosse il caso di parlarne.

“Lui è piuttosto permissivo,” borbottò vaga.

“Oh, piantatela,” tuonò Fra’ d’improvviso, esasperato. “Siete rivoltanti, colombelle,” sentenziò, facendo sì che le labbra di Stef e quelle di Eva si staccassero definitivamente.

“Tranquillo, Franz, te la restituisco intera,” assicurò il ragazzo con fare responsabile.

“Non sono un pacco!” protestò Eva con finta indignazione.

Stef e Fra’ si scambiarono una virile e scherzosa occhiata d’intesa e quest’ultimo distolse lo sguardo, trattenendo le risa. Stef gli piaceva, decise Giù all’istante; gli piaceva, ma non voleva ammetterlo perché era il miglior amico di Mattia Galleani.

Poteva capirlo: se avesse conosciuto prima Galleani e poi Stef lo avrebbe immediatamente detestato. E forse la sua vita sarebbe stata molto migliore, ponderò tristemente.

“Turco,” intervenne improvvisamente Patty, sogghignando. Giù notò in quel momento il casco che teneva in mano, e che al momento sventolava con una smorfia vittoriosa piuttosto inquietante.

“Maledizione,” ruminò il ragazzo funereo. “Ancora non ci credo che ti sei veramente procurata un casco.”

Patty ridacchiò trionfalmente, improvvisando una camminata da vamp.

“Lo sai cosa sei? Una persecuzione,” continuò Fra’, caricando meglio lo zaino in spalle. “Ne parlerò a Norimberga.”

Vaffanculo, Turco!” protestò Patty, colpendolo senza tanti complimenti. Lui scosse pazientemente la testa e si mise in marcia, sventolando la mano. Nemmeno era finito il successivo coro di saluti che Stef le picchiettò la spalla, costringendo Giù a voltarsi con un sussulto.

“Andiamo, Pi?”

E certo, che domanda.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

____________________________________________

 

 

 

 

kry333: Eccoti Stef in tutta la sua grazia linguistica. Spero di averti accontentata… Beh, grazie per l’apprezzamento anche a Marco e Serafina, e spero la storia continui a piacerti. Alla prossima!

Levsky: Oh, grazie! Ti ringrazio, e anche Marco ti ringrazia. Hihihi…occhio però, che Serafina è una moglie molto gelosa (e come non esserlo, fortunella). Quanto a Giù e Mattia, tutto quel che posso dire è che sì, li si vedrà ancora interagire. Suoi come e i perché, lasciamo il mistero. ^__^ A presto.

VavvyMalfoy91: ahm…la sintesi è l’Arte Suprema…? Hihi. Beh, presto capitoli più linghi. Buona lettura!

liz-85: gioia, luce e faro della mia vita, involtina primavera mia…non somigliano ai miei genitori! Sono giovani e sghignazzanti e…va bene, mia madre sghignazza, ma Runnerman mica tanto…^__^ E smettila di sputtanarmi! Comunque tu non avresti potuto scrivere il capitolo: non sai usare le virgole. :P Baci, mia rilucente cometa.

lilyjuve: Ma no! Ce ne sono tante e tali di ben migliori… Ma ti ringrazio lo stesso, sono toccata. Spero davvero che quanto seguirà sia all’altezza e continui ad appassionarti. E non ti preoccupare per il blocco, non è nei miei piani. Alla prossima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
Leggi le 7 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Commedia / Vai alla pagina dell'autore: suni