Ahm.
Lo
so. Sono ripugnante, ho accumulato un ritardo vergognoso. E per giunta non
è nemmeno dovuto a un calo d’ispirazione, sono solo…pigra.
Ma
rasserenatevi (o spaventatevi, semmai): Giù, Eva, Stef
e gli altri non vi lasceranno molto presto.
suni
VII. IL PROIETTILE DI FUOCO
Il
lunedì mattina era storicamente il momento più faticoso della
settimana di Giù. Apriva gli occhi, realizzava che la attendevano sei
giorni di scuola e un peso insostenibile le comprimeva i polmoni, impedendole
per qualche minuto anche i movimenti più semplici.
Quel
particolare lunedì mattina non fu diverso, salvo che per festeggiare la
ritrovata armonia Marco la estirpò personalmente dal piumone caldo portandola
in spalle come un sacco fino al tavolo da pranzo, per poi precipitarsi in
ufficio uscendo dalla porta di casa con una scarpa ancora in mano: la
puntualità ineccepibile non era un punto di forza di nessuno dei membri
del nucleo familiare Corioli.
Giù
trafficò con la sua tazza di cereali fino a tramutarli in una pappetta ripugnante che ingurgitò direttamente dalla
tazza, sbrodolandosi il pigiama. Completamente intronata si diresse in bagno,
si lavò la faccia, mise dei vestiti a caso e barcollò giù
dalle scale gemendo un saluto alla madre. Rischiò di addormentarsi
contro il portone e solo un immenso sforzo di volontà le permise di
spalancarlo e avventurarsi nel gelido dicembre esterno; non faceva freddo come
a Trento, ma comunque.
Zampettò
per qualche passo verso la fermata, finché tre colpi di clacson in
rapida successione non la fecero sussultare tanto che rischiò di
capottarsi. Si voltò indietro intontita e fu così che vide quel
che doveva vedere e le parole di Eva le furono perfettamente chiare.
Era
verde, per cominciare. Una Clio scassata color verde
pisello coi parafango stortignaccoli e uno
specchietto sbilenco che sembrava ammiccare. Al di là del parabrezza Stef sorrideva sventolando una mano. Non aveva accostato e
dietro di lui si stava formando una discreta coda ma lui non badò
né a quello né al coro di clacson che seguì, sicché
Giù pensò di doversi gettare sul sedile accanto a lui prima che
il grosso conducente del fuoristrada due macchine dietro scendesse e facesse
polpette stefaniche.
“Ciao!”
l’accolse Stef non appena la vide aprire la
portiera – non senza un certo sforzo, ché era difettosa.
“Monta, soldato.”
“Ciao,”
squittì Giù sedendosi di schianto. Dimenticò di avere lo
zaino in spalle e poco ci mancò che rimbalzasse di naso contro il cruscotto.
“Come
stai? Spero che i tuoi non fossero incazzati,” attaccò Stef partendo con una sgommata. “E che cazzo di
fretta hai, cazzone del cazzo,” aggiunse senza
alcuna aggressività gettando lo sguardo indietro, verso
l’automobilista che oltre a sommergerli di colpi di clacson stava anche smadonnando alla grande. “Questa testa di
cazzo…allora, i tuoi?”
E
sorrideva pacifico.
“Non
erano incazzati. Cazzo, no,” rispose lei con enfasi, giusto per non
cambiare registro linguistico. “Sono in punizione sabato prossimo, ma
tanto papà non tiene,” aggiunse più precisamente.
Pensò di concludere con un ultimo cazzo,
ma forse era meglio non strafare.
Stef
svoltò a destra con andatura da crociera, tamburellando le dita sul
volante.
“Ehi,
guarda,” esclamò d’improvviso, svagato. “Sul sedile
dietro, vedi?”
Giù
voltò la testa incuriosita. Tra il marasma di cd, bottiglie vuote,
felpe, varie ed eventuali troneggiava lo zaino nero di Stef.
Giù lo scrutò perplessa, prima di individuare a cosa il ragazzo
si riferisse: il montgomery blu scuro arrotolato accanto ad esso.
“Ho
messo il mio stronzo giaccone a lavare,” ridacchiò Stef, improvvisamente sornione.
Lei
avvampò, purpurea.
“Gesù,”
abbaiò imbarazzata.
“Sì,
beh, tu puoi chiamarmi Stef,” rispose lui
magnanimo. “E poi te l’ho detto, Pi, non fa niente: basta che
risparmi la macchina.”
Giù
ricordò l’avvertimento di Eva ed esitò, cauta.
“E’
molto speciale?” chiese con prudenza.
“Cazzo,
sì!” rispose Stef di slancio, ingranando
la marcia come se fosse stato alla guida di un autosnodato da otto tonnellate.
“Questo fottuto gioiello è nella mia famiglia da tempo immemore.
Io l’ho ereditato da mio fratello maggiore. A lui non serviva più,
sai,” aggiunse distrattamente, fissando la strada.
“Si
è fatto la macchina nuova?” chiese lei, ciarliera.
Stef
le gettò un’occhiata sbilenca, remotamente sorpresa. Storse le
labbra nel primo sorriso men che abbagliante che lei
gli avesse visto fare e scrollò la testa.
“Credevo
che Eva te l’avesse detto,” commentò noncurante.
“Detto
cosa?” lo incalzò lei sorpresa.
Lo
sguardo di Stef s’illuminò di nuovo
all’improvviso, voltato verso il lato del palazzo.
“Ehi,
quella è la miglior panetteria della città!”
esclamò, mettendo repentinamente la freccia. “Devi assolutamente
provarla, merda. Adesso per festeggiare il nostro primo viaggio insieme ci
compriamo due stronze brioches.”
Giù
fissò il vuoto stordita.
Il nostro primo viaggio insieme.
La
sua mente partì da sola, e del tutto contro la sua volontà,
visualizzando una lunga carrellata di immagini on the road, con zaini in spalla, accampamenti di fortuna,
romantici tramonti sul mare e aeroporti affollati in cui si addentravano mano
nella mano. Nemmeno si accorse del parcheggio estemporaneo, in obliquo tra due
cassoni della spazzatura, e soltanto quando Stef le
picchiettò un dito sulla spalla ritornò malvolentieri alla
realtà.
“Scendi?”
Annuì
con estrema fatica, abbandonando senza entusiasmo il sedile.
Finirono
per ingoiare tre brioches a testa, Giù
rigorosamente al cioccolato perché erano le sue preferite e Stefano
sbizzarrendosi tra una ripiena alla crema, una con mele e cannella e un
gigantesco bombolone colmo di marmellata di mirtilli. Le brioches,
spiegò con un grosso baffo violetto sulla guancia, erano in assoluto il
suo alimento preferito.
A
quel punto dovettero schizzare come matti in mezzo al traffico – Stef era bravissimo a sorpassare in corsia unica, ma anche
a non imbroccare nemmeno per sbaglio i sensi unici nella giusta direzione
– per non arrivare a scuola con troppo ritardo. Si separarono a tutta
birra appena oltrepassata la soglia dell’istituto, perché la
quinta A era a piano terra, ma Giù per un soffio non inciampò
immediatamente nel primo gradino, nel sentire la mano di Stef
sfiorare i suoi capelli in una carezza dispettosa prima che l’interezza
di lui sparisse nel corridoio.
Fortunatamente
la prima ora del lunedì, come quella del mercoledì, era tenuta
dal professor Ventura, che la accolse con uno sguardo placido e vagamente
ironico sventolando bonariamente nella sua direzione il gessetto con cui stava
schematizzando alla lavagna la cronologia di vita di Filippo Brunelleschi.
“Corioli, sono contentissimo che tu abbia deciso di passare
a salutarmi,” osservò indifferente.
Giù
si fece nuovamente purpurea, esitando nel raggiungere il banco.
“M-mi scusi, professore, ho…c’era traffico
e…posso restare, vero?” pigolò incerta.
ci
mancava solo che la buttasse fuori perché non aveva la giustificazione
per il ritardo. Come lo spiegava a Serafina che dopo
averla ricondotta in casa ubriaca e vomitante Stefano l’aveva fatta
arrivare a scuola venti minuti dopo l’orario prestabilito?
“Naturalmente,
Corioli,” confermò il docente, dando
un’occhiata al libro di testo per riprendere il filo. “Come non
credere, del resto, ad una scusa così ben congegnata?”
proseguì riprendendo a scrivere. Eva scoppiò rumorosamente a
ridere e numerose altre risatine trattenute risuonarono alle loro spalle.
“Che sia la prima e ultima volta, Corioli,”
l’ammonì ancora il professore, ma sul suo volto c’era un
vago sorriso che si aprì immediatamente anche su quello di Giù,
mentre prendeva posto.
“Grazie,
professore,” mormorò riconoscente, lui annuì sbrigativo e
riprese a spiegare.
Giù
nell’intervallo spiegò ad Eva delle brioches
e lei si lasciò andare ad entusiastici commenti sull’effettiva
prelibatezza di tutti i prodotti dolciari de Il Piccolo Forno di Manuela, la panetteria in cui l’aveva
portata Stef.
“Che
non succeda sempre, però, o diventerò gelosa,” rise
scherzosa, beatamente ignara.
Fu
nel cambio d’ora di mezzogiorno meno cinque che Francesco si avvicinò
con fare losco, mentre Eva ciarlava con Lalla. Il ragazzo si guardò
intorno circospetto e si chinò accanto a lei, poggiando i gomiti sul suo
banco.
“Pi?”
borbottò piano, col vocione cupo.
“Dimmi,
Fra’,” replicò distrattamente lei, copiando la parte di
schema che aveva mancato all’inizio dell’ora di storia
dell’arte.
Francesco
storse il naso, impacciato, e si passò una manona
tra i capelli ad istrice.
“Sono
dalle tue parti, nel pomeriggio,” attaccò, con tono che tratteneva
malamente un qualche genere di urgenza. “Sarei libero, diciamo, intorno
alle quattro e mezza. Ti va se passo da te, oppure di scendere a bere un
caffè?” propose, fissandola intensamente.
Giù
sbatté le palpebre, voltandosi finalmente a guardarlo con vago terrore.
Cercò sul viso dell’amico qualche traccia di malizia o di intenti
lontanamente romantici, e non trovandone si rilassò.
“Ma
certo!” trillò contenta. “Vieni pure a casa mia, i miei non
vedono l’ora di conoscere chiunque mi rivolga la parola in questa
città,” puntualizzò, sospirando rassegnata.
Francesco
sembrò improvvisamente rasserenarsi, sorridendo contento. Giù
scribacchiò il suo indirizzo esatto su una pagina bianca di quaderno che
strappò via con inconsulta ferocia, porgendogliela lieve.
Alla
campanella di fine scuola si riversarono all’esterno con la solita grazia
di bufali in carica. Raggiunsero la postazione all’angolo della piazza
con Francesco in testa che apriva la strada a suon di leggiadre spallate,
mentre Greg dietro di lui rollava la cannetta del buon pomeriggio senza nemmeno
guardare dove stesse mettendo i piedi. Sembrava quasi che il suo corpo fosse
geneticamente predisposto a quell’atto, ne concluse Giù
guardandolo di sottecchi mentre scavalcava istintivamente uno zaino mollato in
terra.
Fosse
stava lei, si sarebbe ribaltata dopo il primo metro.
“Peccato
che non siate venuti sabato sera,” stava blaterando Patty alla coppia di
amici. “E’ stato molto divertente.”
“Sicuro.
Dovevate vedere la nostra Pi com’era sbronza,” confermò
Fra’ tutto serio, accendendosi una sigaretta.
Eva
scoppiò a ridere, scuotendo le lunghe chiome.
“Purtroppo
mi sono persa l’ultimo round, accidenti a mia madre,”
commentò con rammarico.
“Noi
eravamo a cena con Sonia e Luca,” spiegò Lalla senza troppo
entusiasmo.
“Due
palle come due…” borbottò Greg pacifico.
“Non
è vero,” lo interruppe la ragazza con finta severità, prima
di voltarsi verso gli altri. “E’ che hanno litigato tutta la
sera,” aggiunse sbuffando.
“Appunto,”
concluse Greg, sbuffando fuori una prima sostanziosa boccata di fumo.
“Chi
è che ha litigato? Sei stata tu vero, Pi?”
Nell’udire
quella voce solare e intimamente serena le dita dei piedi di Giù si
arricciarono di scatto, mentre si voltava giusto in tempo per vedere Stef che chinava la testa per dare un bacio ad Eva.
“Hai
fatto arrivare Pi in ritardo a lezione!” lo ammonì poi lei,
dandogli un colpetto sulla spalla.
“Hanno
fatto problemi?” s’informò lui, allacciandole il braccio
intorno alla vita.
“Naaa, c’era Ventura,” rispose Eva poggiando la
testa contro la sua spalla. Giù distolse lo sguardo, interiormente
affranta. Erano così maledettamente innamorati da far venire il
voltastomaco.
“Altrimenti
che avresti fatto, saresti andato dal prof a dirgli che sei Stefano Landolfi e
mi hai accidentalmente ingozzata di brioches dopo il
tuo concerto?” affermò istintivamente, più secca e
tagliente di quanto avrebbe voluto – sempre posto che avesse avuto
realmente l’intenzione di parlare, cosa non del tutto esatta.
Stef
sgranò per un istante gli occhioni azzurri,
prima di scoppiare in una celestiale risata scrosciante e un po’ roca.
“I
tuoi mi odiano, vero?” chiese attento, subito dopo.
“No,”
bofonchiò Giù senza guardarlo. “Ti trovano carino.”
Stef
sorrise ancora, gongolante.
“Tutti
mi trovano carino,” commentò, con tale candida innocenza che
Giù pensò di liquefarsi sull’asfalto in un’estasi di
tenerezza.
“Tutti
chi?” fece Fra’, sarcastico.
“Io
ti trovo carino,” sussurrò Eva suadente, avvolgendo le braccia
intorno alla vita di Stef.
“Ah
sì?” mormorò lui. Lei ridacchiò e il ragazzo la
sollevò leggermente da terra, riprendendo a baciarla. Giù si
voltò verso Fra’ domandandosi se fosse il caso di chiedergli di
colpirla sulla testa col casco abbastanza forte da spaccare il suo cranio in
due perfette metà e risparmiarle quell’angoscia.
“Cos’è
questa storia di Landolfi e del concerto?” s’informò Greg
pacato, passando il tizzo a Fra’. Questi esitò per un paio di
secondi, coscienzioso, prima di prenderlo con una scrollata di spalle e
portarselo alle labbra, allungandogli in cambio la sigaretta.
Giù
prese un lungo respiro, iniziando a raccontare stentatamente del concerto, del
viaggio in macchina – scoppiarono tutti a ridere come iene, al momento
del vomito sulla giacca, e persino Stef si
staccò per qualche secondo dalla bocca di Eva per commentare che
quell’arancione non sarebbe mai più stato lo stesso – e
dell’improvvisata con i suoi genitori.
“Tuo
padre dev’essere andato fuori di testa,”
osservò Lalla impressionata. “Il mio mi ucciderebbe.”
Giù
ci pensò su per qualche secondo, scettica. Il commento più
negativo di Marco era stato che non voleva un genero con le fossette, ma
sospettava non fosse il caso di parlarne.
“Lui
è piuttosto permissivo,” borbottò vaga.
“Oh,
piantatela,” tuonò Fra’ d’improvviso, esasperato.
“Siete rivoltanti, colombelle,” sentenziò, facendo sì
che le labbra di Stef e quelle di Eva si staccassero
definitivamente.
“Tranquillo,
Franz, te la restituisco intera,” assicurò il ragazzo con fare
responsabile.
“Non
sono un pacco!” protestò Eva con finta indignazione.
Stef
e Fra’ si scambiarono una virile e scherzosa occhiata d’intesa e
quest’ultimo distolse lo sguardo, trattenendo le risa. Stef gli piaceva, decise Giù all’istante; gli
piaceva, ma non voleva ammetterlo perché era il miglior amico di Mattia Galleani.
Poteva
capirlo: se avesse conosciuto prima Galleani e poi Stef lo avrebbe immediatamente detestato. E forse la sua
vita sarebbe stata molto migliore, ponderò tristemente.
“Turco,”
intervenne improvvisamente Patty, sogghignando. Giù notò in quel
momento il casco che teneva in mano, e che al momento sventolava con una
smorfia vittoriosa piuttosto inquietante.
“Maledizione,”
ruminò il ragazzo funereo. “Ancora non ci credo che ti sei
veramente procurata un casco.”
Patty
ridacchiò trionfalmente, improvvisando una camminata da vamp.
“Lo
sai cosa sei? Una persecuzione,” continuò Fra’, caricando
meglio lo zaino in spalle. “Ne parlerò a Norimberga.”
“Vaffanculo, Turco!” protestò Patty, colpendolo
senza tanti complimenti. Lui scosse pazientemente la testa e si mise in marcia,
sventolando la mano. Nemmeno era finito il successivo coro di saluti che Stef le picchiettò la spalla, costringendo
Giù a voltarsi con un sussulto.
“Andiamo,
Pi?”
E certo, che domanda.
____________________________________________
kry333:
Eccoti Stef in tutta la sua grazia linguistica. Spero
di averti accontentata… Beh, grazie per l’apprezzamento anche a
Marco e Serafina, e spero la storia continui a
piacerti. Alla prossima!
Levsky: Oh, grazie! Ti ringrazio, e anche Marco ti ringrazia. Hihihi…occhio però, che Serafina
è una moglie molto gelosa (e come non esserlo, fortunella).
Quanto a Giù e Mattia, tutto quel che posso dire è che sì,
li si vedrà ancora interagire. Suoi come e i perché, lasciamo il
mistero. ^__^ A presto.
VavvyMalfoy91: ahm…la sintesi è l’Arte Suprema…? Hihi. Beh, presto capitoli più linghi.
Buona lettura!
liz-85:
gioia, luce e faro della mia vita, involtina
primavera mia…non somigliano ai miei genitori! Sono giovani e
sghignazzanti e…va bene, mia madre sghignazza, ma Runnerman
mica tanto…^__^ E smettila di sputtanarmi! Comunque tu non avresti potuto
scrivere il capitolo: non sai usare le virgole. :P Baci, mia rilucente cometa.
lilyjuve: Ma no! Ce ne sono tante e tali di ben migliori… Ma ti
ringrazio lo stesso, sono toccata. Spero davvero che quanto seguirà sia
all’altezza e continui ad appassionarti. E non ti preoccupare per il
blocco, non è nei miei piani. Alla prossima.