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Autore: Tormenta    11/02/2016    9 recensioni
Di ritorno ad Hogwarts dopo la guerra, Draco Malfoy ha cicatrici troppo profonde per essere quello di sempre. A Harry Potter basta poco per accorgersi che non sa accettare la sua assenza nella propria routine. Dal testo:
«Malfoy» chiamò, con voce cristallina e appena tremolante. [...]
«Che c’è, Potter?»
Harry si lasciò sfuggire una microscopica smorfia soddisfatta: per la prima volta da quando erano tornati ad Hogwarts, Malfoy gli aveva parlato. Era un inizio – di cosa, non lo sapeva neanche lui.
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Fuori fuoco'
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17.
Vicolo non del tutto cieco
 
 
 
        Che si trattasse d’invidia – cosa che Harry ancora si ostinava a non voler prendere in considerazione –, o di follia, o di qualsiasi altra strana capriola mentale, ormai non aveva più alcuna importanza. Il tarlo continuava ad assalirlo, ed era capace solo d’urlare Draco Malfoy e ogni volta riportava a galla tutti gli annessi e connessi. Le occasioni in cui accadeva non s’erano fatte più frequenti nel tempo, fortunatamente; ma questa era solo una magra consolazione alla luce del fatto che il Grifondoro, a seguito degli episodi legati alla sua poco fortunata allusione sessuale, aveva ormai raggiunto il proprio limite di sopportazione. La convivenza con certe particolari idee, infatti, s’era fatta quasi ingestibile, e lui, insofferente, non tollerava più di non essere in grado né di scacciarle, né di esorcizzarle, né di razionalizzarle.

        Qualche volta, preso dalla frustrazione, desiderò persino di potersi prendere a pugni da solo.
        L’inevitabile passo successivo fu la paura. La paura densa e pienamente motivata che non si trattasse affatto solo d’una fase, come fino a quel momento gli aveva fatto comodo supporre; la paura, quindi, d’essere condannato a portarsi quel peso dentro ancora per molto, molto tempo.
        Perché? gli capitò di chiedersi, Cos’ho fatto di male?
        Avere un normale rapporto – uno qualsiasi – con Malfoy pareva essere impossibile. Da qualche parte, c’era sempre un inghippo. Decretò tra sé e sé che si trattava d’una cosa fottutamente ingiusta.
 
 

        Quella che assomigliava tanto all’ultima goccia cadde nel vaso che era la pazienza del povero ragazzo in un tardo pomeriggio.
        Insieme a Ron, stava marciando nei corridoi diretto in biblioteca, dove Hermione li aspettava per costringerli a studiare. Lungo la strada, gli capitò d’incrociare Malfoy, che era accompagnato da una parte della sua solita cricca – Parkinson, Bulstrode e Nott. Questi ultimi ignorarono bellamente i due Grifondoro; Draco, invece, con una chiara scintilla d’intraprendenza negli occhi, spostò lo sguardo su Potter.
        E lui se ne accorse. Si vide rivolgere una sottospecie di cenno provocatorio, e notò che il Serpeverde aveva appena dischiuso le labbra, come se si stesse preparando a dir qualcosa.
        Nel tempo d’un battito di ciglia, realizzò che probabilmente si sarebbero parlati, e che si sarebbe dovuto mettere sull’attenti per rispondere a tono. Ma proprio in quell’istante, alcune confuse parole di Ron – «Miseriaccia, non ho proprio voglia di studiare» – gli ricordarono dov’erano diretti, e nella sua mente esplose una piccola rivolta.
        Malfoy; la biblioteca. Era lì che per la prima volta aveva fatto strani pensieri su di lui, e da quelli era partita l’epopea che ancora lo affliggeva.
        Si chiese distrattamente se per caso Draco si fosse accorto del suo bizzarro comportamento, e non poté trattenersi dall’ipotizzare il peggio.
        Chissà che figuraccia, se proprio lui l’avesse smascherato. Si proibì di pensarci, mentre il solito tarlo scivolava in una posizione di comando.
        Quando tornò ad incrociare lo sguardo del Serpeverde dopo averlo fatto brevemente vagare, sul suo viso campeggiava – a sua insaputa – il velo: Malfoy lo riconobbe in un lampo. Malgrado ciò, decise di dargli lo stesso la battutina che, effettivamente, aveva in serbo; si spostò quindi un po’ lateralmente, così da potergli intralciare il cammino per spingerlo a fermarsi e a prestargli attenzione.
        Erano ormai vicini, ed era sul punto di aprir bocca; peccato che Harry, appesantito e tormentato, finì col sorprendere tutti quanti – se stesso incluso – aggirandolo per proseguire per la propria strada.
        Questo, perché non si sentiva affatto dell’umore per affrontarlo. Non con quei pensieri in testa, con la sopportazione quasi del tutto sfumata e con quel terribile fastidio a bruciargli nel petto – un fastidio imputabile al fatto che aveva sentito il bisogno di comportarsi proprio in quel modo. Aveva voluto evitare Malfoy, sebbene fosse il primo ad apprezzare quella mezza cosa che erano stati capaci di ricostruire tra loro. Odiò se stesso, ma comunque non poté che tirare dritto.
        Draco, bloccatosi nel bel mezzo del corridoio, si voltò per fulminarlo mentre s’allontanava. Un indescrivibile vuoto gli attanagliò lo stomaco, portandolo a stringere i pugni e a sbottare, a voce piuttosto alta: «Qual è il tuo problema, Potter?»
        I compagni di Casa lo osservarono stralunati. Harry, dal canto suo, pur senza neanche rallentare il passo, girò appena il capo per lanciargli una rapida occhiata priva di un qualunque accompagnamento verbale.
        «Mi domando quale sia il suo problema», borbottò Weasley. E dopo aver detto ciò, con la fronte aggrottata, scrutò velocemente l’amico. «Tutto okay, Harry? Sembri― strano». Forse non era l’aggettivo giusto, ma non gliene vennero in mente di migliori.
        «Sì, tutto a posto. Sto bene», replicò seccamente Potter, incapace di nascondere una nota di stizza nel proprio tono.
 
 

        In quell’occasione, senza saperlo, Harry si lasciò alle spalle un Draco Malfoy dannatamente terrorizzato.
        Per la prima volta da quando aveva notato che al Grifondoro capitava d’adombrarsi e di scappare, infatti, il Serpeverde si azzardò ad ipotizzare che poteva essersi di nuovo inceppato un qualche meccanismo tra loro. In particolare, prese corpo tra i suoi pensieri l’idea che Potter si fosse stancato di lui, di quell’insensato botta e risposta a cui si dedicavano ogni tanto.
        Comprese che si trattava d’un concetto che aveva dell’assurdo, visto che era stato Potter stesso ad insistere perché quello sopravvivesse; ma agli occhi del suo lato istintivo, ciò risultò perfettamente trascurabile. Ergo, si lasciò pervadere dallo spavento.
        Fu un’esperienza tragica, per lui.
        Quell’idiota l’aveva manipolato, s’era divertito ed aveva risvegliato la sua malsana dipendenza da inutili frecciatine; e ora s’allontanava. Così, come niente fosse.
        Vecchi drammi non si risparmiarono di ricomparire, e di trascinarlo dritto nel cuore della burrasca di negatività che prese ad imperversargli in testa e nel petto.
        Non è abbastanza, si disse – quello che poteva dargli non era abbastanza. Magari Potter voleva di più; non s’accontentava di quella mezza rivalità rattoppata che lui poteva offrirgli. D’altro canto, quando mai lui era stato abbastanza per qualcuno? Ricordava le mille e mille volte in cui suo padre gli aveva ripetuto che poteva dare di più, che poteva – anzi, che doveva migliorare. In tutto. E, poi, quando era stato capace di combinare seriamente qualcosa? Qualcosa di non disastroso e distruttivo, s’intende; insomma, quando era stato in grado di costruire rapporti veri, di compiere gesti di cui andar fiero? Se anche l’aveva fatto, in quel momento non poté tenerlo in considerazione, perché fu sommerso dal ricordo dei propri innumerevoli sbagli e fallimenti.
        Vagando in quella fredda tempesta interiore, si strinse nelle spalle mentre nel sangue gli ribollivano rabbia, insoddisfazione e vergogna.
        Intanto, esternamente, non poté far altro che mantenere alta una maschera impassibile.
 
 

        In biblioteca, Hermione accolse Harry e Ron con l’espressione di chi è all’inseguimento d’un pensiero di cui si sono intravisti i contorni, ma a cui ancora non si riesce a dare veramente una forma.
        «Siete un po’ in ritardo», fece sottovoce, radunando le proprie pergamene di appunti per mettere un po’ d’ordine sul tavolo a cui s’era accomodata.
        «Dieci minuti; cosa vuoi che sia?» borbottò Weasley prendendo posto su una sedia; Potter fece lo stesso, ma non aprì bocca.
        «Stavo pensando ancora alla faccenda di Holmwood» soffiò la ragazza, che chiaramente necessitava di sfogarsi un pochino.
        «Come mai? Scoperto qualcosa di nuovo?» l’interrogò Ron.
        «Non ne ho idea. Può essere». Recuperò una pergamena tra quelle che aveva davanti, ritrovando subito con gli occhi l’appunto che la stava tormentando. «Pensavo alle date».
        «Quali date?»
        «Quelle dei giorni in cui Holmwood è uscito per andare nella foresta». Si portò delle ciocche ribelli dietro alle orecchie, come se questo potesse aiutarla a far più chiarezza. «Harry l’ha visto a fine Gennaio. Il venticinque, per la precisione; perché poi il ventisei era in punizione. Hagrid, invece, l’ha incontrato durante l’ultima settimana di Febbraio».
        Weasley corrugò la fronte, cercando di analizzare i dati fornitigli. «E
        «In entrambi i casi, è successo a fine mese. Quindi, magari si tratta di una cosa che fa mensilmente». Si morse una guancia, concentrata. «Non so. Potrebbe anche trattarsi semplicemente di una coincidenza; senza contare che, per quanto ne sappiamo, potrebbero essere stati due casi isolati». Sbuffò, frustrata. «Sento che c’è qualcosa che mi sfugge. Voi cosa ne pensate?»
        Ron mugugnò tra sé e sé, sforzandosi di riflettere; Harry, invece, tenendo lo sguardo basso, parve quasi ignorare la domanda dell’amica.
        Hermione storse il naso, colta da un lampo di preoccupazione. «Ehi, Harry» chiamò per riscuoterlo; «c’è qualcosa che non va?»
        Lui scosse appena il capo. «Uhm― no, no. Tutto okay».
        «Sicuro? Sembri un po’ distratto».
        «Sto bene, davvero; ho solo un po’ di pensieri per la testa. Non saprei cosa dire su Holmwood». Anche se di sfuggita, l’aveva ascoltata. E se aveva scelto di non intervenire nel discorso, era per il semplice e forse un po’ egoistico motivo che in quel momento il professore di Difesa era l’ultimo dei suoi problemi. Questo perché, tanto per cambiare, la sua mente era sintonizzata su Draco Malfoy.
        Si sentiva in colpa: aveva evitato il Serpeverde, e così facendo gli era parso quasi di fargli un torto. Era poi ancora profondamente arrabbiato con sé stesso, e non trovava pace.
        Sapeva che gli amici avevano capito che mentiva, quando diceva che andava tutto bene; e, onestamente, la loro moderata insistenza lo sorprendeva. Forse attendevano semplicemente che si confidasse senza pressioni esterne.
        In quanto a confessioni – ormai Harry era giunto a domandarsi se si sarebbe mai effettivamente sentito in grado di farne una. Questo, perché temeva davvero il giudizio degli altri. Insomma, già al sesto anno era stato accusato d’essere ossessionato da Malfoy; e in quel caso aveva dedicato tanto tempo al Serpeverde per un più che valido motivo. In quei giorni, invece, le sue ragioni erano talmente indefinite che lui stesso faticava a comprenderle.
        A tutto ciò, però, si opponeva il sempre più pressante bisogno di un aiuto, di qualche parola di conforto e d’incoraggiamento. Che nessuno fosse ancora riuscito a leggere in lui e a capire le sue ovvie necessità, era un fatto che aveva dell’incredibile. Comunque, per fortuna, le cose erano destinate a cambiare.
 
 
* * *
 
 

        Alla squadra di Quidditch di Grifondoro capitò d’allenarsi in un pomeriggio assolato di Marzo inoltrato. Il tepore del sole sulla pelle preannunciava l’imminente arrivo della primavera.
        Harry pensò bene di misurarsi col boccino: lo liberò e l’inseguì quanto più velocemente poté. Fu un’azione quasi catartica: mentre si trovava lì, a sfrecciare a mezz’aria a cavallo d’un manico di scopa, si sentì bene. Ma purtroppo l’idillio durò poco: bastò infatti che acciuffasse la sferetta dorata e che rallentasse per concedersi di assaporare il raggiungimento del proprio obiettivo, che, nel giro di pochi secondi, la pesantezza tipica di quel periodo l’ebbe assalito di nuovo.
        Sbuffò e lanciò una rapida occhiata ai compagni di squadra: erano tutti impegnati; chi a comunicare per mettere a punto qualche tattica, chi a destreggiarsi in allenamenti pratici. Nessuno lo stava osservando, né sembrava aver bisogno di aiuto, perciò decise di prendersi una breve pausa.
        Planò verso gli spalti e saltò giù dalla scopa, poi si sedette stancamente. Per tenersi impegnato, prese a rigirarsi tra le dita il boccino appena catturato, scrutandolo attentamente come se lo vedesse per la prima volta. La sua mente, però, era focalizzata su tutt’altro – cioè su Draco Malfoy, e sul fatto che lo stava ancora più o meno evitando.
        Si trattava sempre di Draco Malfoy. Realizzarlo lo spinse a serrare la mascella fin quasi a farsi male e ad imprecare col pensiero; perché per Merlino! probabilmente neanche una tredicenne disperata e in balìa degli ormoni sarebbe stata capace di fissarsi sino a quei livelli su qualcuno.
        «Harry», si sentì chiamare, e subito si riscosse ed alzò testa. Poco distante, Ginny Weasley lo fissava con aria interrogativa. La vide fare un cenno e poi avvicinarsi.
        Pochi istanti dopo, la ragazza fu sugli spalti, la scopa stretta in una mano. Gli si sedette accanto, dedicandogli un’occhiata perplessa. «Come mai qui? Sei già stanco?» chiese, sorridendo.
        Lui si sforzò di sorridere a sua volta, purtroppo con deludenti risultati. «Faccio una piccola pausa», buttò lì, riportando pigramente lo sguardo sul boccino.
        «Stai bene?» domandò ancora lei, facendosi seria – aveva infatti notato la nota di amarezza nella sua voce.
        «Hm-hm. Sì».
        Con un gesto veloce, Ginny gli rubò il boccino dalle dita; riconquistò così l’attenzione del ragazzo, e gli rivolse un secondo sorriso, più mesto e rassicurante del primo. «Sai che se c’è qualcosa che non va puoi parlarmene, vero? Insomma― capisco se non ti va, ma se vuoi―» e alzò appena le spalle, non aggiungendo altro.
        «Sì, uhm, grazie. Non è niente di che, davvero; ho solo un po’ di pensieri per la testa. Mi passerà». Non era nulla più di ciò che aveva detto anche alle altre persone che gli avevano fatto domande, e non s’aspettava certo che Ginny reagisse in maniera sorprendente.
        Invece, lei lo fece: al contrario degli altri, non cercò di fargli sputare il rospo per avere più dettagli, né prese semplicemente atto della sua condizione congedandolo con un paio di paroline gentili. Gli diede piuttosto un lieve colpo su una spalla, poi mise su una faccia un po’ buffa, dicendo: «Devono essere pensieri davvero tosti, per ridurre così Harry Potter!»
        Lui inarcò appena le labbra all’insù, e soffiò: «Lo sono».
        «Vedi di combatterli, allora. Vogliamo un cercatore in forma per le ultime partite dell’anno!» Che non fosse quella l’unica ragione del suo interessamento, e che stesse scherzando, risultò evidente dal tono con cui s’espresse, e soprattutto dalla mezza risata che si concesse dopo aver parlato.
        «Ci sto provando, a combatterli. Non è così semplice», ammise Harry, sentendosi un po’ più leggero di poco prima.
        «Sono certa che tu possa farcela», lo rassicurò Ginny. «Ne abbiamo passate tante; è fuori discussione che dei miseri pensieri ti buttino giù». Se si fosse fermata lì ed avesse quindi dato a Potter il tempo di intervenire, lui le avrebbe fatto presente che non sapeva di quali pensieri stesse parlando, e che dunque non poteva giudicare. Ma lei non tacque: «Ti va una sfida?» propose infatti, mostrandogli eloquentemente il boccino.
        Harry si morse un labbro, poi, con decisione crescente, cominciò ad annuire. «Sì, perché no. Ti dimostrerò che come cercatore sono perfettamente in forma».
        «Bene, perché sono in forma anch’io, e non ci sarei comunque andata piano con te». Sorrise sorniona, per poi lasciare libero il boccino; e mentre quello schizzava via perdendosi nell’aria, lei scattò in piedi e saltò sulla scopa.
        Lui la imitò, dopodiché fece: «Pronta?»
        «Quando vuoi».
 
 

        Forse la cosa aveva dell’assurdo, ma le parole di Ginny gli furono sorprendentemente d’aiuto. Lo spronarono, infatti, a convincersi d’essere effettivamente in grado di affrontare i propri tormenti. Iniziò a sentirsi un po’ meglio, e pian piano l’idea di avere a che fare col Serpeverde riacquistò l’appeal di un tempo, fin quando arrivò persino a credere d’esser pronto a rimettersi in gioco con lui.
        Ingenuamente, si rallegrò per quel tanto atteso miglioramento.
 
 

        Un’occasione per mettersi alla prova gli venne offerta dal caso di lì a poco, nel momento in cui, durante un alquanto noioso pomeriggio in biblioteca, mentre cercava disperatamente sulle scaffalature un libro consigliatogli da Hermione, Draco Malfoy comparve nei paraggi. Era a propria volta alla ricerca di un tomo, e nello scorgere il Grifondoro roteò gli occhi e sbuffò con fare scocciato.
        Al contrario di Potter, che era riuscito a far progressi in quanto ad umore, lui continuava ad essere afflitto. In particolare, a roderlo dall’interno era ancora l’idea che l’altro potesse essersi stancato di ciò che avevano perché non era abbastanza.
        «Mi tampini ancora mentre studio, Potter?» sbottò tanto per dir qualcosa.
        Harry, colto alla sprovvista, aggrottò la fronte. «No. Non ci crederai, ma non sei il centro del mio universo», borbottò. Una peculiare scelta di parole, la sua – effettuata inconsciamente col mascherato intento di dissociarsi dai pensieri che tanto l’avevano assillato.
        Draco affondò i denti in una guancia, facendo scorrere lo sguardo sui titoli dei libri sugli scaffali e nascondendo quella che qualcuno avrebbe definito delusione.
        «Poi, non è che sono venuto a cercarti», proseguì il Grifondoro, sottolineando l’ovvio.
        «Sì. Bravo», fu la casuale ed irritata replica che ottenne.
        «Simpatico come al solito, Malfoy».
        «Almeno io sono coerente».
        Harry inarcò un sopracciglio, non riuscendo ad intuire dove l’altro volesse andare a parare. Si voltò finalmente verso di lui, perdendo interesse nei libri, e chiese: «Cosa c’entra ora la coerenza?»
        A dir poco stupito, Draco emise un versetto allucinato. «Oh, ma per favore».
        Potter scosse tra sé e sé il capo, confuso, poi ammise con un filo di voce: «Io proprio non ti capisco».
        «Routine, insomma – tu che non capisci. Ogni tanto mi domando cos’hai in testa e, sai, la risposta non è mai “un cervello funzionante”».
        Harry lo guardò male; perché Malfoy bacia la gente! – ecco cosa aveva in testa. «Sai, non mi va proprio di ascoltare i tuoi deliranti insulti», sentenziò poi, stizzito, prima di fare un mezzo passo indietro. Forse, per lui affrontare il Serpeverde non era ancora così semplice.
        «Deliranti? Dire che tu non capisci è tutto meno che delirante», appuntò Malfoy.
        «Certo. Magari ne parliamo un’altra volta». Girando i tacchi, fece per allontanarsi.
        «Scappa pure. Ti riesce così bene, ultimamente», lo attaccò Draco.
        Potter si bloccò immediatamente, sussultando appena e contraendo i muscoli. Una vaga ombra d’agitazione lo travolse. «Come?» soffiò, tornando a rivolgergli lo sguardo.
        «Hai capito perfettamente», lo apostrofò Malfoy mentre individuava sulla scaffalatura il tomo che gli serviva. Lo recuperò, dopodiché scoccò al Grifondoro un’occhiataccia carica di disprezzo e rabbia, ed iniziò ad avanzare nella sua direzione con passo cadenzato. «Scappi. Credevi davvero che fossi tanto stupido da non rendermene conto?»
        Harry deglutì, lasciandosi distrarre da un dettaglio banale come il particolare modo in cui l’altro aveva assottigliato gli occhi. E in sua difesa: li aveva assottigliati davvero tanto, sino a ridurli quasi a fessure, ed era un po’ inquietante.
        «Non so che diamine tu voglia fare; ma mi stai prendendo per il culo, e non mi piace».
        «In che modo ti starei prendendo per il culo?» bofonchiò Potter, piccato, radunando tutta la propria buona volontà per sbaragliare la resistenza a cui lui stesso aveva dato vita.
        Draco arrestò la propria avanzata ad un passo da lui; era abbastanza vicino da poter sussurrare per comunicare. E lo fece – con aria minacciosa, anche. «Lo sai».
        Harry non stette a questionare quell’ultima, sibilata affermazione, poiché ingaggiò con decisione quella che, aveva deciso, sarebbe stata la battaglia finale col tarlo.
        «Tu mi hai chiesto di fare questo; di odiarti. Io stavo bene anche senza!» sputò il Serpeverde, pronto a riversargli addosso tutto il proprio rancore.
        E intanto, senza tanti preamboli, Potter affrontava il nocciolo del proprio problema: magari era invidioso di Malfoy, e finalmente l’ammise a se stesso. Ma non si fermò lì – affatto; proseguì e trovò il modo di reagire.
        «Mi hai praticamente implorato di non smettere; e ora scappi», continuò a borbottare nel frattempo l’altro. «Mi ignori! Ma chi cazzo ti credi essere? Tu mi hai― mi hai―» reso dipendente da te, avrebbe voluto dire, e poi pretendi di sparire. Ma non pronunciò nulla di tutto ciò, comprimendo tutta la propria ira in un seccato mugolio.
        In quel momento, Harry si chiese come diavolo aveva potuto lasciare che il pensiero che Malfoy potesse avere una vita privata – o che potesse averne una migliore della sua, per quel che importava – lo turbasse tanto. Era stato stupido, infantile e cieco. Insomma, si trattava pur sempre di Malfoy – quel ragazzo troppo alto, col naso troppo dritto, gli occhi troppo assottigliabili, le labbra troppo piccole, e il carattere più insopportabile del pianeta. Questo, citando solo le prime voci dell’infinita lista dei suoi difetti.
        «Sai cosa? Vaffanculo», ricominciò a dire Draco, rabbioso, per poi concedersi di spintonarlo.
        Incassato il colpo, il Grifondoro corrucciò la fronte con aria spaesata, fissando gli occhi sul viso dell’altro con rinnovata consapevolezza. Sarebbe ricorso anche lui ad una moderata violenza, forse, se solo una domanda non gli fosse comparsa in testa, chiaro segno d’una ricerca di espiazione e simbolo della tanto attesa vittoria sul suo mostro interiore: Sul serio, chi mai vorrebbe baciare Draco Malfoy?
        «Dico davvero; fottiti», rincarò la dose quello, sfogandosi.
        Già, chi? riecheggiò l’interrogativo nella mente di Harry, subito prima che avanzasse d’un mezzo passo e si sporgesse col busto verso l’altro.
        Chissà cos’avrebbe fatto, se il Serpeverde non avesse avuto buoni riflessi e non fosse riuscito a scansarsi indietreggiando.
        In realtà non ebbero bisogno di domandarselo, né di viaggiare troppo con la fantasia; entrambi, infatti, scambiandosi una lunga occhiata stralunata e sconvolta, parvero capire benissimo ciò che era appena quasi avvenuto.
        Draco esalò un sospiro tremolante, allontanandosi di più – fece un passo indietro, due, cinque. Cercò con scarsissimi risultati di dir qualcosa, poi si girò e filò via, chiaramente esterrefatto.
        Harry lo guardò sparire dietro agli scaffali con gli occhi sgranati, mentre deglutiva e si rendeva conto d’avere il battito accelerato. Una volta che fu solo, poi, piombò in uno scombussolato e confuso stato di panico.
 
 
» …



 
Angolo di Tormenta

Le cose iniziano a farsi concrete tra questi due! ...Troppo improvviso? Affrettato? O abbastanza giustificato? Vi aspettavate qualcosa di più, di meno? Insomma, sono ancora una volta un po' insicura: mi rimetto al vostro giudizio. :)
Mille e mille grazie a tutti quanti per aver letto sin qui - love you all! ♥ Mi auguro che il capitolo vi sia piaciuto!
A risentirci la settimana prossima! Baci,
T. ♪
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(Chiunque voglia aderire al messaggio, può copia-incollarlo dove meglio crede)
   
 
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