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Autore: Eris_tan    14/02/2016    3 recensioni
[Captain Swan ~ Canon Divergence]
Che cosa sarebbe successo se la Maledizione Oscura di Regina non fosse mai stata lanciata?

Sono passati ben ventun anni di pace e prosperità nel regno di Misthaven da quando la Regina Cattiva ha minacciato di distruggere la felicità di Biancaneve e il suo Principe, minacce vuote e prive di concretezza.
Tutto cambia quando il palazzo viene attaccato dall'antica nemesi della famiglia reale, pronta a riscuotere la sua vendetta.
L'unica possibilità che ha la principessa Emma di salvare i suoi genitori è stringere un patto con l'Oscuro, ma non ha idea di quanto questa sua scelta la porterà su un sentiero completamente diverso.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emma Swan
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 3

 

-“NO!”-Emma si svegliò con un grido. Era solo un sogno, pensò tra sé e sé mentre ansava in preda al terrore, aggrappandosi alla coperta ruvida come se fosse l’unica cosa che le restava al mondo. Era stato tutto così reale. 

Riusciva ancora a sentire le fiamme che invadevano la sua pelle, il dolore bruciante e forte abbastanza da portarla a urlare, e Regina che sorrideva soddisfatta, una palla di fuoco in mano, pronta a lanciarne ancora in sua direzione.

Alla sua destra giacevano immobili i corpi  dei suoi genitori, sotto di essi delle pozze di sangue che parevano espandersi e scivolare fino a raggiungerla. 

Killian aveva osservato la scena completamente indifferente, senza intervenire, nonostante le preghiere e le suppliche che la ragazza gli aveva rivolto, aveva continuato a guardare davanti a sé, passandole attraverso come se non ci fosse nemmeno, come fosse trasparente. 

Alla fine era arrivato l’ultimo colpo, come sempre, e una luce bianca e bollente le aveva invaso la vista, il calore insopportabile si era insinuato atrocemente nelle sue vene e aveva corso veloce, così veloce.

Ormai era diventato il suo incubo ricorrente, solo recentemente la figura dell’Oscuro era stata aggiunta al resto.

Da quando aveva tentato di confrontarlo sul suo passato e lui l’aveva congedata in malo modo aveva preso a farsi più freddo ed evitava anche di rivolgerle la parola se non per darle ordini e affidarle mansioni, era come vivere con un fantasma.

Il trattamento del silenzio al quale stava venendo sottoposta giorno dopo giorno continuava a tormentarla anche dopo che le luci si spegnevano, forse anche di più, sola come era al buio, con i suoi pensieri come unici compagni. 

Anche se non le costava poco doveva ammettere che una parte di lei si era affezionata poco a poco a quell’uomo così schivo e riservato nella sua giocosità, che quando voleva poteva divertirsi a stuzzicarla. Le piaceva tenergli testa e sfidarlo a sua volta.

Era come un gioco infinito, o almeno, lo era prima.

Sospirò e si mise a sedere sul materasso lasciato senza cura sul pavimento umidiccio e freddo della sua stanza. Avrebbe tranquillamente potuto chiamarla una cella, ma la differenza principale tra le due cose era che la sua porta non era mai chiusa a chiave.

Normalmente non usciva mai prima dell’alba, tornando, o perlomeno cercando di tornare, a dormire il più delle volte, ma quella notte sapeva che sarebbe stato inutile.

Con un gesto stizzoso si liberò delle coperte e si alzò camminando fino alla panca dove durante le ore notturne lasciava inutilizzati corsetto e stivali. Indossò prima uno e poi gli altri velocemente e, prendendo un respiro profondo, si appropinquò ad uscire dalla stanza. Spinse la porta con una mano cercando di rendere il più inaudibile possibile il cigolio rumoroso che echeggiava per i corridoi.
Chiuse la porta leggermente e guardandosi intorno con fare circospetto prese a camminare piano. Non mancava poi molto al sorgere del sole, forse un’ora, per cui i passaggi del castello erano bui e difficili da distinguere, ma con un piccolo sforzo si riuscivano a vedere le sagome degli arazzi appesi alle pareti e le colonne maestose, i corridoi che si alternavano e i portoni.

Sospirò pesantemente e cercò di concentrarsi sul ritmo regolare dei suoi passi sul pavimento. 

Uscire dalla cella è stata un’idea stupida, pensò tra sé e sé, continuando a guardarsi intorno come se qualcosa o qualcuno dovesse sbucare da un momento all’altro dalle ombre marcate che la circondavano. Francamente non sapeva nemmeno perché aveva deciso di farlo, doveva aveva intenzione di andare comunque? 

-“Non è un po’ tardi per mettersi a curiosare in giro?”-chiese la voce, sapeva quale, alle sue spalle tutt’un tratto, facendola sobbalzare. 

Girandosi spaventata trovò Killian a guardarla con un sopracciglio alzato, ma nessuna traccia della giocosità dei mesi prima, solo una freddezza ben cementata.

-“Uh, io…”-si schiarì la voce, ma non trovò modo di far uscire le parole. Oh, sai, passeggiavo al buio perché non ne posso più di vederti in sogno e mi sembrava una buona idea, davvero un’ottima spiegazione -“Io…avevo voglia di camminare”-.

Per tutta risposta l’altro annuì lentamente, avvicinandosi appena con fare tentennante. Emma nemmeno realizzò di stare trattenendo il fiato.

-“Certo, capisco”-mormorò tra sé e sé l’uomo, che ormai non era più tanto lontano da lei. Perché diavolo si stava comportando in quel modo? Non capiva. Prima la ignorava per due mesi buoni e poi dal nulla, trovandola a girovagare in piena notte, decideva di ricordarsi che esisteva? Perché doveva avvicinarsi così tanto, poi? Cosa gli era preso?

Aveva un bisogno bruciante di andarsene da lì.
Trovandolo ad aprire bocca per parlare e dire qualcosa lei lo interruppe freddamente. Qualunque cosa fosse non ne voleva sapere-“E’ tardi, forse è meglio che io torni a dormire. Buonanotte”-con un cenno del capo di girò e prese a camminare lentamente, a passi moderati, verso la sua stanza, quasi aspettandosi che la fermasse.

Non lo fece.

 

 

Era passata ormai una settimana dal fugace incontro con Emma nel corridoio dell’ala est del castello e da quando era successo la ragazza sembrava più distante nei suoi confronti di quanto non lo fosse stata nelle sue prime settimane lì. O forse era solo lui a sentirsi così. 

Killian sapeva di aver avuto un atteggiamento scorretto nei suoi confronti, si era chiuso in sé stesso, evitandola il più possibile e ignorando i suoi tentativi di conversare  con freddezza. 

Parte di lui non sopportava quella situazione e voleva tornare alla complicità giocosa dei mesi prima, ma qualcosa, voci insistenti nella sua testa, cercava disperatamente di allontanarlo da lei.

Era come se l’Oscurità lo stesse ammonendo dicendogli di non avvicinarsi alla principessa, nonostante lui non ne capisse il perché. Non avrebbe mai smesso di essere l’Oscuro, per quanto lo desiderasse e ne avesse bisogno più dell’aria che respirava. L’unico modo per cessare di esserlo sarebbe stato farsi trafiggere col pugnale e lasciare che il suo omicida prendesse i poteri per sé e per quanto in cuor suo sentisse di meritarsi la morte di certo non avrebbe permesso a lei di rovinarsi in quel modo, seppure non le sembrasse attratta da potere immenso e immortalità. Anche se fosse stato, comunque, l’Oscurità avrebbe semplicemente cambiato ospite, non sarebbe stata minimamente sfiorata, sarebbe stato come spostarsi da un’abitazione all’altra e sarebbe rimasta intatta, quindi che interesse aveva quel demone nel tenerli separati? 

Non che ultimamente ce ne fosse molto bisogno, Emma lo evitava come la peste ed era tutta colpa sua.

Sospirò passandosi una mano tra i capelli indomati finendo con spettinarli ulteriormente. Voleva farsi perdonare, ma non sapeva come fare, non era nemmeno certo di come mai gli importasse tanto. O meglio, in cuor suo sapeva perché, ma non osava ammettere nulla né dare un nome alla morsa che sembrava schiacciargli il petto e gli toglieva il fiato ogni volta che erano vicini, era molto più semplice fare finta di niente e aspettare pazientemente che quella sensazione soffocante se ne andasse.
(Non lo faceva). 

Magari Emma nemmeno voleva perdonarlo, anzi, magari era felice di avere una scusa per ignorarlo. Probabilmente si era solo illuso ininterrottamente, come poteva essere altrimenti? Era assurdo anche solo pensare che lei si sentisse allo stesso modo, le aveva rovinato la vita e l’aveva strappata al suo regno, alla sua famiglia. Probabilmente lo odiava, ed era giusto così. 

Scosse il capo quasi rimproverandosi da solo, era stupido e controproducente rimuginare su certe cose così lontane.

Con la coda dell’occhio colse il veloce passaggio di un turbinio di capelli biondi, un fruscio di gonne e un passo determinato, e si ritrovò per l’ennesima volta negli ultimi mesi a reprimere la sua voglia di seguirla, fermarla e chiederle scusa. 

Era meglio così per entrambi, si diceva.
Lo divorava da dentro, ma era giusto così.

 

Non le parlava da tanto tempo ormai, ed Emma stava iniziando seriamente a stancarsi. 

Qualche volta alzando il capo dal suo lavoro riusciva a notare che la osservava, una nota di malinconia negli occhi, e quando si accorgeva di essere stato colto in flagrante distoglieva lo sguardo in fretta, concentrandosi su uno dei tanti volumi sugli scaffali nelle stanze o chissà che altro, e la principessa voleva odiarlo con tutta sé stessa, ma non ne era capace. 

Non capiva quello che sentiva, non capiva il calore che la assaliva quando sapeva che la stava guardando, era come se stesse bruciando dall’interno e non lo sopportava, odiava il disagio e l’esitazione che sembravano dominarla e distaccarla da ogni ragione.

Lei non era così, lei affrontava le sue preoccupazioni, non restava in silenzio. Che diavolo le stava succedendo? 

Si sentiva una conosciuta per sé stessa, la sensazione terribilmente fastidiosa e onnipresente troppo conforme ai mille racconti di sua madre su come si sarebbe sentita quando avrebbe trovato qualcuno, dettagli su dettagli. Non poteva essere.

Tutto quello che le restava era ricambiargli il favore ed evitarlo a sua volta, cercando di non prestare troppa attenzione alla voglia che aveva semplicemente di parlargli, davvero, come facevano prima. Riusciva nel suo intento ogni volta, ma era davvero difficile.

Il punto di rottura, però, arrivo in un giorno qualunque.

Come al solito, mentre eseguiva le sue mansioni, gli era passata davanti qualche volta spostandosi da un mobile all’altro con rapidità. 

Quel giorno, ciò che le fece davvero perdere le staffe fu l’indifferenza nei suoi confronti, l’insistenza con qui Killian evitava anche solo di guardarla.

In un attimo il legno impolverato era stato dimenticato, il panno lasciato da qualche parte, non le importava davvero dove, la principessa prese a camminare stizzosa verso di lui, le braccia lungo i fianchi e i pugni stretti tanto forte da farle sbiancare le nocche. Quella storia doveva finire.

-“Dobbiamo parlare”-.

L’Oscuro si alzò quindi con lentezza dalla sua sedia e fece un paio di passi in avanti, verso Emma, e sospirò con tono annoiato:

-“Quando una donna dice questo mi aspetta raramente una conversazione piacevole. Di cosa vorresti parlare?”-.

-“Sai di cosa”-.

-“Scusa, vuoi ripetere?”-domandò ostentando una freddezza fin troppo calcolata, irreale, era facile da capire soprattutto per qualcuno che come lei aveva sempre avuto un certo talento nell’intuire quando qualcuno non stava agendo in modo troppo sincero, esattamente come lui, cosa che non fece altro che farla arrabbiare di più.

-“Killian”-sbottò lanciandogli un’occhiataccia furiosa, notando a malapena lo sguardo confuso e il sussulto appena trattenuto dell’uomo al suono del suo nome-“Vuoi smetterla di fare finta di niente?”-

-“Non sto facendo assolutamente nulla, tesoro”-

-“Invece sì, lo stai facendo. Perché mi stai spingendo via? Ti comporti come se nemmeno ci fossi!”-.

Killian esitò, un ombra si fece strada fugace nei suoi occhi, ma velocemente come era arrivata aveva fatto presto ad andarsene-“Perché ti importa?”-il tono di voce che doveva risultare giocoso e canzonatorio non servì davvero al suo scopo, una nota rassegnata nella domanda posta forse più seriamente di quanto fosse in origine.

-“Cosa? Io non…”-la voce le morì in gola e si bloccò perché, ironicamente, le importava e anche parecchio. 

Aveva la sensazione che fosse lo stesso per lui, doveva essere così, non poteva davvero essersi illusa per tutti quei mesi. 

Non poteva essersi immaginata tutto. 

E fu per questo che, sorprendendo anche sé stessa, fece una cosa che non si sarebbe mai aspettata di fare davvero: con un gesto repentino afferrò il colletto della sua camicia e lo attirò a se, annullando la distanza tra di loro.

 

Killian ebbe appena un attimo per registrare quello che stava succedendo.
Il momento prima Emma lo stava osservando furibonda, come se fosse la personificazione di tutte le scocciature della sua vita, quello dopo lo stava baciando aggrappandosi a lui come se fosse l’unico punto fermo nel bel mezzo di una tempesta. 

In poco tempo stava ricambiando a sua volta, la sua mano buona sepolta nella catasta disordinata di capelli color grano, l’altro braccio attorno ai fianchi della principessa, sentendo il bisogno di averla vicina. 

La amava, le parole si fecero strada nei suoi pensieri senza problemi, era privo di qualunque tipo di barriera e avvertimento che le tenesse a bada prima.

Sembrava che quel bacio stesse curando lentamente la sua anima, risanando tutte le ferite nel suo cuore con un balsamo lenitivo, strappando via il peso sulle sue spalle che sembrava non averlo lasciato prima di quel momento.

Eventualmente furono costretti a staccarsi per riprendere fiato, le fronti appoggiate una contro l’altra mentre respiravano pesantemente. 

-“Killian…”-Emma parlò con fare esitante dopo un po’, non sapeva quanto, e lui si ritrovò ad aprire gli occhi per osservarla, una domanda inespressa nello sguardo-“Guarda…”-continuò lei, alludendo a lui con un gesto della mano, gli occhi verdi sbarrati e confusi. 

Abbassò lo sguardo con fare perplesso e fu allora che lo vide. La pelle sulla sua mano stava perdendo il suo colorito dorato, tornando al suo stato originario.

Come era possibile? La Maledizione se ne stava andando? Possibile che…

Se era così, aveva due possibilità. Riprendere il bacio, smettere di essere il mostro che aveva preso possesso di lui, dimenticare potere e immortalità, oppure respingerla e restare solo con il demone che gli abitava in testa.

Non c’era mai stata una decisione più semplice per lui. 

-“Va tutto—”-Emma non ebbe nemmeno il tempo di terminare la frase perché Killian aveva ripreso a baciarla con fervore, la mano sulla sua nuca e la distanza tra di loro, figuratamente e non, completamente dissolta. 

Aveva una seconda possibilità, poteva ricominciare.
Certo, non sarebbe stato facile, sarebbe stato pieno di problemi e alti e bassi, ma Killian Jones aveva sempre adorato le sfide.

 

Angolo dell’autrice:

TA-DAAA! Dopo sangue, lacrime, sudore e ancora un po’ di lacrime ho finalmente finito questa mini-long che ha seriamente messo a rischio la mia sanità mentale durante la stesura.
Come al solito ringrazio la mia beta e confidente MiakaHongo che si è sorbita ognuna delle mie paturnie (che sono davvero tante, fatela santa) e mi ha sostenuto in questo progettino.

Sto già pianificando una nuova fic per i Captain Swan dato che mi sono trovata molto bene a scrivere di loro, nel caso qualcuno sia interessato.
Come al solito, una recensione sarebbe bene accetta! c:
Bacioni,

Hayls

Ps: Chi ha colto i riferimenti alle battute presenti in OUAT si beccherà un biscotto e un esemplare di Colin O’Donoghue in omaggio.

  
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