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Autore: mavima    22/02/2016    1 recensioni
Sergio è un medico anestesista, deluso dal fallimento del suo matrimonio. Vive un'esistenza di emozioni sopite. Una mattina in ospedale incontra Laura, una bella ragazza, malata di leucemia, che si rivelerà essere la professoressa di suo figlio.
"Sergio fermò lo sguardo sulla foto di classe dell’anno precedente del figlio
Sul lato sinistro c’era Laura, la riconobbe dallo sguardo. Era una persona completamente diversa: aveva lunghi capelli castano chiari, con qualche riflesso biondo; il viso era tondo; gli occhi erano sempre luminosi; era persino leggermente sovrappeso, la maglietta rivelava qualche rotolino e il seno era prosperoso; era vitale e bella con i jeans e con le scarpe da ginnastica.
Quando andò a dormire non riuscì a smettere di pensare a quell'immagine, rappresentava il tipo di donna che avrebbe voluto trovarsi a casa la sera. Se la immaginava insieme al profumo della caffettiera che saliva al mattino….un attimo di eternità".
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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CAPITOLO XIII- LA VITA NON È MAI SEMPLICE
 
 
 
Sergio era felice, ma aveva sempre il presentimento che quella vita serena non potesse durare per sempre.
Aveva troppa esperienza della sua vita e delle altrui vite…la felicità stabile non esiste. La malinconia , il rimpianto, il rancore la rabbia possono diventare cronici, ma la felicità no, è fugace… quando la afferri, la assapori, lei non c’è già più. E lui era già da tanto tempo che era consapevole di essere felice e anche se scacciava via questo pensiero, sapeva nella parte più profonda di sé, che quell’ esistenza ,perfetta nella sua quotidianità, lo avrebbe abbandonato.
Quando si svegliava al mattino e vedeva Laura addormentata e Gaia nella culla accanto che iniziava con i primi gorgheggi , aveva una stretta al cuore, perché sentiva che tutto ciò era troppo bello per essere per sempre. Poi prendeva in braccio la bambina e svegliava delicatamente Laura perché la allattasse e si auto consolava dicendo fra sé e sé, che era normale temere che la moglie  potesse riammalarsi, ma che no, questo non sarebbe mai accaduto.
Invece Marco lo vedeva forte della sua giovinezza, della sua spavalderia, del suo essere così fuori dal comune….
Marco ed Emma avevano superato brillantemente l’esame di maturità.  Anche Marco si era impegnato molto, spinto dal desiderio di realizzare i suoi progetti futuri con Emma. 
Si sarebbe abbandonato a quell’ozio meritato dopo tanto studio in quell’ estate che era già molto calda, anche se era ancora agli inizi, e poi via con l’università e la fabbrica di rubinetti. Voleva potersi creare una posizione tale da poter concretamente aiutare i ragazzi della casa- famiglia. Sognava  di potergli costruire una struttura adeguata , con tanti laboratori e chissà, magari anche con una piscina…
Il padre di Laura stravedeva sempre di più per lui e anche se non era mai stato incline al mondo del volontariato, aveva iniziato a fare cospicue elargizioni, grazie alle quali era stato potuto inaugurare un piccolo teatrino.  Quando il vespino di Marco, dopo tanti anni di onorato sevizio, aveva tirato le cuoia, gli regalò una bellissima moto, quella che il ragazzo aveva sempre sognato:
“Così verrai a Lugano più spesso, ma non correre troppo!”
E Marco non correva più, perché gli piaceva troppo quella vita e non voleva più scappare da nessuna parte.
Godeva della brezza che urtava il suo viso sorridendo, pensando sempre a ciò che avrebbe fatto un minuto dopo.
Una sera quel sorriso si dipinse sul suo viso per sempre.
Aveva appena accompagnato a casa Emma, dopo una serata con gli amici. Stranamente si era soffermato più del solito ad abbracciare la ragazza e poi con aria un po’ malinconica le aveva detto: “Vedrai , la nostra vita sarà bellissima, qualunque cosa accada…perché ormai la felicità la conosciamo, non ce la faremo più sfuggire”.
Marco morì mezz’ora dopo , travolto frontalmente da un auto guidata da uno che invece la felicità non l’aveva mai incontrata, ma aveva incontrato molti alcolici.
Morì sul colpo, con quel sorriso della brezza estiva sulla faccia scolpito per sempre.
Quando fu portato in ospedale, era di turno Luca, che non poté tentare neanche la rianimazione e ne  constatò  solo la morte. Con il cuore a pezzi  accarezzò le guance vicino a quel bel sorriso e poi chiuse per sempre le palpebre su quegli occhi vivaci , insaziabili di vita.
Quella sera anche se erano molte notti che la piccola si svegliava per i primi dentini, Gaia dormiva serena.
Anche Laura aveva ceduto alla stanchezza , invece Sergio non riusciva a prendere sonno. Neppure gli ultimi esami di Laura, perfetti, come aveva confermato anche Fabbri, lo avevano tranquillizzato.
Sentiva questo macigno che gli opprimeva il petto e non sapeva perché.
Poi arrivò quella telefonata e Sergio sentendo il cellulare squillare con il numero dell’ospedale che lampeggiava sul display, guardò la stanza vuota di Marco e capì subito che non lo chiamavano per un’urgenza, ma che Marco non sarebbe più tornato in quella cameretta.
I giorni che seguirono furono così terribili che nessuno riuscì a viverli .
Tutti erano usciti dalla propria esistenza e assistevano a questo brutto film da fuori, vedendo persone diventate contenitori vuoti che organizzavano il funerale e la sepoltura e rispondevano con frasi di circostanza alle frasi di circostanza dei visitatori.
Poi quando non ci fu più nulla da organizzare fu ancora peggio,  perché, loro malgrado, le loro esistenze sospese dovettero tornare ad abitare il vuoto della loro anima.
Nessuno poté più essere quello di prima.
Laura straziata da quel dolore perse il latte. Non riusciva in alcun modo ad essere vicina a Sergio, sprofondato nella solitudine e completamente chiuso in sé stesso .
Neanche più Gaia lo faceva sorridere.
Si sentiva ingiustamente colpevole di essere viva, pensava che forse se  il  suo destino non si fosse incrociato con quello di Sergio e Marco , lei sarebbe morta, ma Marco sarebbe stato ancora vivo.
Lo aveva urlato anche a Sergio una sera disperata, ma lui non era riuscito a risponderle niente, ormai lontano da tutti e incapace di amare e consolare.
Poterono sopravvivere grazie alla vicinanza di Emanuele e sua moglie, di Marta e Elvira.
Pur anche loro nel loro strazio, non li abbandonarono mai.  Con la scusa di portargli qualcosa da mangiare o di fare un regalo alla bambina,  gli rimasero sempre vicini, anche loro arrabbiati con l’ingiustizia della vita.
 
 
 
 
 
 
   
 
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