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Autore: catto    28/02/2016    0 recensioni
La storia narra le vicende di una ragazza di nome misaki ayuzawa, una ragazza dai capelli bianchi, fredda e totalmente disinteressata all'amore a causa di una maledizione. Ma l'incontro con un ragazzo cambierà tutto a partire dalle emozioni che lei aveva soffocato per non far del male a chi amava.
È la mia prima storia all'inizio può sembrare noiosa ma migliora ve lo garantisco. Accetto critiche e consigli.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Salve a tutti. Il nuovo titolo della storia sarà 'Il demone' lo camierò alla pubblicazione del prossimo capiolo. spero che v piaccia anche questo, baci cat


~Usui continuava a sentirsi in imbarazzo. Non sapeva dove posare lo sguardo, lo spostava prima in punto poi passava ad un altro senza un attimo di tregua. Appena la bianca si era destata l’aveva portata nella vasca scoperta della loro camera. La teneva inchiodata lì, con le spalle al muro, come se avesse paura di una fuga. Lei continuava a guardarlo aspettando che iniziasse a spiegarle qualcosa ma non riusciva a concentrarsi. Continuava a fissarla, si trovava sotto di lui appoggiata al bordo della vasca. Ogni volta che iniziava a formulare un pensiero, lo sguardo gli ricadeva su quel corpo sinuoso. Dovette dominare il desiderio di saltarle addosso altrimenti non avrebbe concluso nulla. Inoltre potevano rimanere solo un altro giorno, quindi doveva iniziare a stringere i tempi, era l’ultima possibilità che aveva per avvicinarsi, molto di più di quanto non avesse già fatto, a lei. Puntò i suoi occhi in quelli di lei ed iniziò il suo racconto. –Mi limiterò a raccontarti, come tu hai fatto con me, la mia infanzia…- sospirò come se quello all’angolo fosse lui e non lei. –I miei genitori sono molto ricchi. Io sono il secondo figlio di un matrimonio felice. Io e mio fratello eravamo costantemente coccolati sia dai nostri genitori sia dalle persone più anziane della servitù, che servivano la nostra famiglia da generazioni. Eravamo una famiglia come tutte le altre, mangiavamo insieme, andavamo al cinema, al mare, al parco insomma facevamo quello che facevano di solito le famiglie. Un giorno però all’età di dieci anni mio fratello venne investito mentre correva a prendere la palla che avevamo fatto finire involontariamente in mezzo alla strada. La donna al volante non lo aveva visto sbucare e non era riuscita a frenare in tempo. Finì in come e ci rimase tre lunghi anni. La nostra famiglia fu completamente devastata da quella tempesta di dolore. Mia madre viveva ormai in ospedale, voleva vegliare su mio fratello. Mio padre continuava a lavorare per non far cadere la famiglia nel baratro e quando aveva del tempo libero andava subito da mia madre cercando di consolarla evitando di  sottomettersi al dolore davanti a lei. Però la notte , in quella villa immensa e silenziosa, lo sentivo piangere come un bambino.  I primi mesi furono i peggiori, nella nostra casa vi era un silenzio innaturale, la servitù non osava pronunciare parola se non per chiedere cosa al loro padrone servisse.ma dopo circa sei mesi tutto riprese il suo circolo vizioso.  L’insonnia prese il sopravvento su di me e nel buio della notte vedevo dei mostri che si avvicinavano. Mostri che avevano il volto delle persone che amavo senza occhi, con un sorriso stampato in faccia e corpi immersi nell’oscurità. Ogni volta che provavo a bassare le palpebre rivedevo mio fratello che inseguiva quella stramaledetta palla rossa, fissandola tanto intensamente da dimenticarsi di controllare  la strada prima di attraversare. Un anno dopo che mio fratello era entrato in quello stato comatoso, rientrai a casa, come facevo tutti i santi giorni, da scuola. Suonai il campanello ma dato che nessuno mi venne ad aprire Presi un sasso in uno dei due vasi ai lati della porta, lo aprì e tirai fuori  la mia chiave di casa. Era un trucchetto ingegnoso, soprattutto per uno come me che si perdeva  tutto. Quando spalancai la porta, una voce nel mio cervello mi disse che c’era qualcosa che non quadrava. Innanzitutto c’era troppo silenzio, di solito a casa mia era piena di servitù che faceva le pulizie che sistemava i panni e  che cucinava. Ogni volta che rientravo dentro casa mi investiva un odore di lavanda. Era una casa luminosa ma quel giorno era totalmente buia, l’unico pezzo illuminato era l’inizio del corridoio principale e vi era un odore di chiuso. Un brivido mi corse lungo tutta la schiena. Dall’interno non proveniva nessun rumore. Era un silenzio ambiguo. Rimasi fuori dalla porta per qualche minuto prima di decidermi ad entrare, anche se la vocina nella mia mente continuava a urlarmi girare i tacchi ed andarmene. Controllai tutta la casa. Appena fui entrato mi diressi nel salotto ma non trovai nessuno. In seguito andai nella biblioteca a tre piani che occupava anche un pianoforte e diversi divani per leggere comodamente e anche lì non vi era traccia di nessuno. Così tornai al corridoio principale, presi le scale segrete dei servi e scesi prima in cucina, andai ancora più giù, dove si trovava la nostra stanza relax  poi risalì e mi diressi al secondo piano nei vari uffici nelle nostre stanze, per così dire, ‘segrete’ ma anche lì non trovai nessuno.  Mi sedetti e iniziai a pensare. Avevo controllato tutte le stanze tranne una: la soffitta, ma se non c’era nessun servitore nei vari piani della villa perché qualcuno doveva trovarsi lì? L’unica cosa era andare a controllare. Inizia a salire le scale e il cuore iniziò a balzarmi sempre più forte nel petto, come se volesse uscire dal suo nascondiglio e intanto quella voce continuava ad urlare: “scappa.”
Feci un gradino e… “scappa” … un altro … “scappa” … arrivai davanti alla porta della soffitta … “scappa, scappa, scappa” … presi il pomello e aprì la porta … “SCAPPA!”.  In un primo impatto vidi solo buio così mi addentrai di più nella stanza arrivando ad un cerchio illuminato dalla luce filtrata dalla finestra. Quella stessa luce lasciava intravedere dei pallini di polvere che di solito si celavano nell’oscurità e che solo alla luce si rivelavano. La voce fece un ultimo avvertimento e se ne andò così come era venuta. Superai un insieme di mobili incastonati uno sull’altro e notai una sedia posata a terra al centro della sala, metà nel cerchio di luce metà nell’ombra. Sopra di essa un corpo galleggiava nell’aria. Aveva gli occhi spalancati e il suo volto era divenuto di un colorito bluastro. In quella stanza aleggiava un odore sgradevole, peggiore dell’odore di una fogna. Sul pavimento, poco più avanti della sedia vi erano dei vermi che sguazzavano in una pozza di sangue. Si divincolavano gli uni attaccati agli altri, tentando di raggiungere quel corpo senza vita troppo in alto per loro. Prima o poi essi sarebbero nati dalla sua carne putrefatta e avrebbero iniziato a nutrirsi di essa. Alzai gli occhi verso quella figura. Gli occhi erano fissi su di me. Erano occhi vuoti, privi di anima, ma nonostante tutto sembrava che potessero leggermi dentro. Gli angoli del volto erano tirati verso l’alto e tra i denti serrati usciva una sorta di molliccia sostanza bagnata di sangue.  Osservai meglio il pavimento e mi accorsi che i vermi stavano nuotando in una pozza di sangue e in quella piscina galleggiava un pezzo di lingua. Rialzai la testa verso quel volto osservandolo spaventato e disgustato. In un secondo quegli occhi fissi si abbassarono su di me riprendendo vita insieme al resto del corpo  e il mio cuore fece un balzo verso l’alto. Le sue mani si alzarono allungandosi verso di me, cercando di afferrarmi per il collo e ci mancò poco che ci riuscisse. Le gambe iniziarono a scalpitare come se correre nell’aria avesse potuto aiutarla nel raggiungermi.  Urlai più forte che potei e seguì il consiglio della vocina facendo quello che non avevo fatto prima: scappai. Mi nascosi vicino alla fontana, stringendomi le gambe al petto e lasciando uscire le lacrime. Gli urli di dolore, che cercavo di trattenere, scivolarono fuori dalla mia bocca echeggiando nell’aria. Rividi quelle braccia quelle mani che cercavano di catturarmi. Rividi quegli occhi quella lingua occupata dai vermi. Quando mio padre arrivò, mi strinse tra le braccia cullandomi e impedendomi di vedere il corpo di mia madre che veniva portato via dagli infermieri. Un medico volle parlare con mio padre in privato ma lui non mi volle lasciare. Comunque non ascoltai nulla di ciò che gli disse. Rimasi sotto shock per circa tre-quattro mesi. Non mangiavo, non dormivo, non studiavo. Non facevo nulla. Passavo le mie giornate a fissare il vuoto e ad ascoltare il ronzio del silenzio. Poi un giorno mio padre, stanco di vedermi in quella situazione, fece irruzione nella mia camera e mi portò fuori, come disse lui “a prendere aria”. Da lì in poi iniziò a darmi tutte le attenzioni che mi aveva negato e piano piano rientrai nella realtà. Ripresi a studiare ed entrai al liceo. Iniziai a notare che il clima era diverso rispetto a quello delle medie. Le ragazze più grandi mi guardavano sempre e così cambiai atteggiamento. Cadevano tutte ai miei piedi e i ragazzi mi rispettavano. Andai a letto con tutte quelle che mi capitavano a tiro … poi arrivò una certa ragazza che mi diede subito un due di picche senza neanche notarmi, lei mi fece arrabbiare preoccupare e infine innamorare- terminò di parlare e le rivolse un sorriso smagliante. La bianca allungò la mano e gli accarezzò il volto. Lui appoggiò la sua mano su quella di lei e la baciò. Il primo bacio uscì veloce mentre il secondo portò a galla la voracità di entrambi. Misaki gli passò la mano nei suoi lisci capelli biondi e lo guardò negli occhi. Non aveva mai visto occhi di un tale verde, un verde lucente bellissimo. Lui la baciò e le morse le labbra trasportato sempre più forte dalla corrente della passione. Se la portò in braccio. Finalmente era suo. Finalmente aveva qualcosa che gli sarebbe appartenuto. Finalmente aveva qualcosa per cui valeva la pena di vivere. Un brilluccichio comparve nei suoi occhi, lui la voleva nonostante la sua natura. Si persero tra i loro sguardi e tutto fu più magico. Le sue mani iniziarono a scivolargli sulla schiena, sulla sua pelle dilaniata. Prima c’era una pianura liscia poi  una collina ruvida poi di nuovo pianura, era tutta così la sua pelle. Quanto dolore le aveva procurato quello stronzo. Le sue mani le toccarono le cosce mentre lei riprendeva ad accarezzargli il volto. Era suo. I suoi occhi ritrovarono il loro colore argentato. Era suo. Iniziò a baciargli il collo. I capelli bagnati le ricadevano sulla schiena e il vento freddo la colpiva come se stesse brandendo una frusta. Lui si alzò continuando a tenerla in braccio e la portò nella camera adagiandola delicatamente sul letto. S’irrigidì, forse lei non lo voleva, ma il suo sguardo diceva tutt’altro. Quegli occhi che lo guardavano ardevano di desiderio. Ricominciarono a baciarsi togliendosi di dosso i vestiti divenuti ormai ingombranti. Usui risentì dentro di se un amore che non provava ormai da molto tempo e lei trovò qualcuno che la amasse per ciò che era veramente.  Successe tutto in un millesimo di secondo. Usui smise di baciarle il corpo, si sentì risucchiato, stanco come non era mai stato e si appoggiò su di lei addormentandosi.
La mattina seguente si svegliò senza maglietta accanto a lei con un mal di testa atroce. Si costrinse a richiudere gli occhi circondandola con le braccia. La bianca rabbrividì. Non aveva chiuso occhio, aveva passato tutta la notte a guardarlo domandandosi se veramente poteva meritarsi quell’amore. Ogni volta che lui si muoveva, si agitava come una bambina piccola. Ogni volta che la toccava sussultava, sentendo il punto in cui era stata toccata bruciare. Ad un certo punto della notte lo aveva tirato giù da sopra di se e dopo non aveva potuto fare a meno di abbracciarlo permettendo ad alcune lacrime di scenderle silenziose sul volto. Se avesse fatto solo un passo falso sarebbe morto qualcuno. La bianca continuava a pensare su come poter continuare ad amarlo tenendolo in vita. Quando finalmente il biondo si svegliò lei si tirò su rimettendosi in piedi. Le immagini di ciò che era successo la sera prima sfrecciarono nella mente di Usui che fece una faccia stravolta. Non lo avevano fatto? Com’era possibile? L’atmosfera c’era, la ragazza era consenziente. Allora cos’era accaduto? La bianca sentì i suoi ragionamenti e scocciata si girò. –Non è così grave. Ti sei semplicemente addormentato ricapiterà l’occasione- ci fu una pausa di silenzio –abbiamo detto che siamo una specie di coppia, no?- Usui sbiancò. Gli aveva appena letto nel pensiero o sbagliava? La guardò un po’ e lei arrossì leggermente. –Ho qualcosa sulla faccia?- lui trattenne una risata. –No no niente del genere.- doveva aver parlato ad alta voce, era l’unica spiegazione.  Misaki andò al bagno per mettersi il costume mentre lui ordinava la colazione. Quando la vide entrare nella vasca dandogli le spalle, la raggiunse a passo felpato, e dopo essersi accovacciato dietro di lei le stampò un bacio sulla spalla. Lei si girò fulminea e quando lo vide piegarsi nuovamente su di lei sorrise. Dopo pochi secondi eccolo che entrava in acqua per farle compagnia mentre aspettavano la colazione.
 
Shizuko correva con tutte le energie . il professore di educazione fisica le aveva messo un misero 6 sulla pagella perché si giustificava sempre ed ora era entrato in fissa di volerle alzare il voto. Lei non era una ragazza sportiva le piaceva di più leggere e stare seduta sul divano. Continuava a non comprendere come ad alcune potesse piacere sudare e faticare in quel modo. Affaticata e con la milza e il fegato che pulsavano continuava a correre con il professore che la tampinava peggio di uno stalker. Inoltre continuava a dirle di andare più forte ma lei si rifiutava di ascoltarlo troppo concentrata a cercare di non vomitare dalla fatica. Sakura stava giocando poco più in là a pallavolo con delle compagne di classe. Di tanto in tanto si girava verso di lei per vedere come se la stava cavando e per farle qualche gesto per spronarla. Shizuko era arrabbiata con lei, credeva che fossero amiche, ma allora perché non le aveva raccontato del rapimento da parte di kuga, lo aveva scoperto da una ragazza che aveva assistito alla scena. Ma si sarebbe vendicata e la possibilità gli si presentò subito.  Sakura continuava a pensare a kuga e a quello che era successo. Si incantò e un po’ di bava le scese lungo il labbro. La riportò alla realtà una pallonata colpita da shintani che la colpì in pieno viso. Cadde a terra con un tonfo e si svegliò qualche minuto più tardi con shizuko che la prendeva a schiaffi. Ma non per svegliarla .-Che vuol dire che Kuga si è presentato fuori scuola e ti ha caricata in macchina? Quando pensavi di raccontarmelo, eh?! Pensavo fossimo amiche sai anche che mi piace yuji..- le disse arrabbiata. Sakura si riprese completamente al sesto schiaffo. –Shizuko calmati! Te lo avrei raccontato oggi a pranzo. Non te l’ho detto prima perché non abbiamo avuto modo di vederci. Ah e tranquilla gli ho chiesto quando vogliamo uscire tutti insieme.- si giustificò la roscia. L’altra non proferì parola e rivolse a Sakura un grosso sorriso per poi stringerla in un abbraccio sudato ma affettuoso. –Grazie sakura.- quando uscirono da scuola andarono insieme a fare shopping per decidere cosa mettersi al futuro appuntamento. Sakura comprò un vestitino tutto colorato con dei fiorellini mentre shizuko optò per una camicia nera e verde e un pantaloncino di pelle nero. Pronte per l’appuntamento si erano incontrate a casa della roscia per darsi gli ultimi ritocchi. Ad una certa ora uscirono per andare al luogo dell’incontro ma proprio mentre uscivano di casa Kuga inviò un messaggio a sakura dicendogli che yuji stava male e che avrebbero rimandato l’uscita al week-end seguente. Shizuko iniziò a strangolare Sakura per  scaricare la rabbia. Fu cosi che per quella settimana terminarono le avventure delle due amiche.

-Noi siamo una coppia. Non voglio che tu abbia dubbi.- Disse incuriosito Usui. Misaki si immerse ancora di più nella vasca rilassandosi. –Che ne so, tu non hai detto nulla.- usui la fissò facendo finta di essere offeso. –Guarda che io non vado a letto con tutte.- farfugliò. –Non è proprio così da ciò che mi hai raccontato e da ciò che dicono le voci nella nostra scuola.- Usui grugnì. -Comunque non proprio tutte. La qui presente non è ancora venuta a letto con te.- disse la bianca guardandolo con il suo solito sorrisetto sadico. –Tranquilla prima o poi accadrà. E quando succederà…- prima che potesse terminare la minaccia si sentì bussare alla porta. Usui imprecò a bassa voce e uscì dalla vasca. Aprì la porta al maggiordomo con il carrello della colazione. Quello non disse una parola, si limitò a posare il vassoio sul tavolo, chiedere se il signorino desiderava altro e dopo aver chinato il capo a Usui se ne andò. Usui a sua volta prese il vassoio e lo portò nella vasca scoperta appoggiandolo sul bordo. Si immerse nuovamente nell’acqua e si sporse per avvicinarlo ancora di più. A quel punto anche Misaki si girò e iniziarono a mangiare. Quando la bianca vide il vassoio pieno di cibo si rese conto di quanto avesse fame. Latte, cacao, caffè, ciambelle, cornetti una colazione per un esercito. Misaki lo contemplò per qualche istante poi afferrò una ciambella e l’addentò, nel mentre iniziò a versarsi un po’ di latte e cacao nella tazza. Mangiò e bevve con gusto. -Mamma mia stavo morendo di fame.- esclamò, e sazia si immerse nuovamente nella vasca chiudendo gli occhi. In effetti, ora che ci pensava, non aveva dato importanza a quel sonno prolungato. E adesso non poteva fare a meno di chiedersi per quale motivo avesse dormito così tanto. Si era sentita stanchissima e ne aveva avuto un tremendo bisogno. Il pensiero inevitabilmente ricadde sull’insetto. –Quella ragazza?- domandò tutto d’un tratto. –Sta in ospedale, a quanto pare le hai rotto qualche osso.- rispose sorridendo. –Non sei arrabbiato?.- chiese ancora. –Perché dovrei essere arrabbiato?-  lei lo squadrò. –Beh è ovvio, è una tua cara amica e io l’ho quasi uccisa. Non dovresti far finta che non ti interessi.- rimase imbambolato. Sua amica? Emily? Ma da quando? Non l’aveva mai considerata come tale e non lo era mai stata! Non stava facendo finta di niente. Certo per un secondo aveva avuto paura di lei ma solo per quel secondo. Inoltre in quel momento era stato preoccupato solo per lei, Emily non l’aveva proprio … capì. –A che cosa hai pensato quando l’hai vista?- chiese dandogli un leggero buffetto sulla testa. –Lei non è mai stata mia amica. Lavora qui da molto tempo e mi vede spesso. A quanto pare l’altra sera aveva deciso di attaccarmi direttamente.- continuò con disinvoltura. –Beh mi sembra normale che tu ti faccia stuprare da tutte le ragazze che provano a farlo.- disse misaki sarcastica. –Beh mi ha colto alla sprovvista e… scusa.- lei gli rivolse un sorriso caloroso e lo abbracciò, poggiando la sua testa sul suo petto. – Usui …- iniziò e un colore rosa le tinse le guance. –Usui io ti proteggerò da qualunque cosa.- lui la guardò intensamente e quando provò a baciarla di nuovo lei si scansò. Dio cosa le stava facendo quella demone, pensava solo a saltarle addosso. -.. Ma, quando arriverà il momento in cui ti dirò di andartene dovrai farlo, qualunque sia la situazione, senza obiezioni. Promettimelo.- la bianca lo guardò dritto negli occhi e lui ricambiò lo sguardo. –Te lo prometto.-

   
 
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