Anime & Manga > Le bizzarre avventure di Jojo
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Autore: Recchan8    14/03/2016    1 recensioni
[SEGUITO DI "Deep Memories", CROSSOVER E VICENDA PREQUEL DI "Dangerous Heritage", SPOILER DI "Deep Memories" IN DESCRIZIONE]
Fine agosto 2014.
Giappone, Morioh: una ragazza dai capelli color miele e gli occhi ambrati si presenta presso i coniugi Higashikata pretendendo di venir ospitata per un periodo di tempo indeterminato.
Italia, Napoli: un ragazzo moro dagli occhi di smeraldo è ricercato dall'organizzazione mafiosa di cui faceva parte con l'accusa di tradimento.
Cosa lega questi due personaggi così lontani ma allo stesso tempo così vicini? Un passato nascosto nelle memorie più profonde dovrà essere destato.
Il destino, a volte, sa essere davvero comico.
Genere: Azione, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Josuke Higashikata, Nuovo personaggio, Okuyasu Nijimura, Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Deep Memories'
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Hasegawa, appoggiato alla portiera del suo taxi con una sigaretta stretta tra le labbra, osservò la fiumana di persone riversarsi fuori dall'aeroporto della Città di S. Notò che di stranieri ce n'erano pochi. Ovviamente... Cosa si aspettava? Chi era così stupido da voler passare l'ultima settimana di agosto nella prefettura della Città di S? Sorrise tra sé e sé, pensando a quanta cattiveria avesse appena messo nel suo ultimo pensiero. E pensare che lui campava proprio grazie ai turisti...
Presa un'ultima boccata di fumo, gettò la sigaretta a terra e la spense con la punta della scarpa. Quando rialzò lo sguardo vide una giovane staccarsi dalla massa e corricchiare verso di lui.
-”Salve, il suo taxi è libero?”- gli domandò con uno splendido sorriso sulle labbra tinte di rosa scuro.
Hasegawa rimase incantato dalla bellezza della giovane e balbettò un confuso “Certo”. Corse ad aprire il bagagliaio della vettura e vi mise dentro il trolley azzurro della ragazza; andò poi ad aprirle la portiera e a richiuderla, proprio come un cavaliere degno di questo nome farebbe. Montò in macchina e prima di voltarsi verso il passeggero si schiarì la voce.
-”Buon pomeriggio, il mio nome è Hasegawa. Dove la porto, signorina?”-.
La ragazza gli consegnò un fogliettino piegato in quattro.
-”Mi dispiace, ma non sono ancora molto brava a leggere il giapponese”- si scusò, un poco imbarazzata.
Hasegawa sorrise, dicendole di non preoccuparsi e complimentandosi invece per la pronuncia.
-”Se non fosse stato per il suo aspetto avrei giurato che lei fosse proprio giapponese!”- esclamò aprendo il bigliettino. Hasegawa impallidì un poco quando lesse l'indirizzo scritto sul foglietto di carta. Dopo aver lanciato un'occhiata alla ragazza attraverso lo specchietto retrovisore del taxi, tornò a leggere i caratteri scritti. Sbagliava o quello era l'indirizzo della casa di quel famoso dottore di Morioh?
-”C'è qualche problema?”- domandò la giovane preoccupata.
Hasegawa, colto alla sprovvista dalla dolce voce del passeggero, sobbalzò.
-”N-n-no, va tutto bene!”- rispose frettolosamente. -”Allora partiamo!”-. Mise in moto il taxi e uscì dal parcheggio riservato per immettersi in strada.
Il viaggio dall'aeroporto della Città di S a Morioh durava in media una mezz'oretta. Durante il tragitto Hasegawa non riuscì a fare a meno di lanciare continue occhiate curiose alla ragazza.
Dio benedica gli specchietti retrovisori!”.
La giovane aveva dei lunghi capelli biondi portati legati in un dolce e morbido chignon sulla parte alta della testa e una frangetta obliqua dal taglio sfilacciato che le copriva la fronte. Il suo abito, un leggero vestitino bianco dalla scollatura a cuore, ondeggiava mosso dall'aria che entrava dal finestrino che la giovane aveva aperto. Gli occhi ambrati dal taglio allungato erano puntati sul panorama che sfrecciava attorno al taxi.
-”Posso farle una domanda... personale?”- disse a un tratto un Hasegawa imbarazzato.
La giovane parve destarsi dai suoi pensieri. Lo guardò tramite lo specchietto retrovisore e sorrise amabilmente, dandogli il permesso di porre la sua domanda.
-”Ecco... Lei da dove viene?”-.
-”Italia”-.
Pizza, mafia e mandolino”, pensò Hasegawa con una punta di scherno.
-”E cosa è venuta a fare in una cittadina provinciale come Morioh?”-.
La giovane bionda si strinse nelle spalle e tornò a guardare fuori dal finestrino. Hasegawa attese ma non ricevette alcuna risposta. Prese a tamburellare le dita sul volante, nervoso e imbarazzato al tempo stesso. Forse le aveva fatto una domanda troppo invadente...
Il resto del viaggio passò nel silenzio più assoluto. Hasegawa non sopportava quelle situazioni, era solito chiacchierare amabilmente coi passeggeri, ma quella turista italiana lo aveva messo in soggezione; si sentiva un inetto solo a guardarla, era come se brillasse di luce propria. La giovane, dopo la domanda inopportuna del tassista, non aveva più aperto bocca. La sua attenzione era stata completamente assorbita dal paesaggio in costante mutamento.
-”Siamo arrivati”- disse Hasegawa una volta giunti a destinazione. Cos'era quella traccia di sollievo nella sua voce? Persino Hasegawa stesso ne rimase perplesso. Mentre la ragazza scendeva dal taxi, l'uomo andò a recuperarle il bagaglio. La giovane italiana pagò il conto e attese che la macchina sparisse dietro la curva della strada prima di voltarsi verso l'enorme villa alle sue spalle.
Ci siamo”, pensò un poco agitata.

 

 

Erano trascorsi due anni da quando Celeste aveva scoperto di essere una dhampir portatrice di Stand.
Dopo aver modificato le memorie di tutte le persone che erano entrate in contatto con lei o che semplicemente erano a conoscenza della sua esistenza, Celeste, risparmiata solo la famiglia e la ristretta cerchia di amici in Toscana, era tornata a casa ben conscia di aver lasciato a Napoli una parte di sé. Lo shock subito l'aveva costretta ad abbandonare l'università. Seguendo i consigli di Deeper Deeper, aveva deciso di intraprendere un viaggio alla ricerca delle sue origini e della sua identità. Si era così recata a New York per conoscere l'ultranovantenne nipote Joseph e per fare visita alla tomba di Erina Pendleton, la prima vedova Joestar. Senza farsi tanti problemi aveva rivelato la sua identità al vecchio Joseph; tanto si sarebbe dimenticato tutto nel giro di un paio d'ore.
-”Perché non vai a trovare mio figlio?”- le aveva proposto l'americano in uno dei suoi rari momenti di lucidità. -”E' un dottore abbastanza famoso, sai? Abita a Morioh, in Giappone...”-.
Così Celeste era partita alla volta del Paese del Sol Levante per incontrare il figlio del suo nipote, ovvero il suo pronipote.
Ciò di cui Celeste non era a conoscenza, però, era la difficile situazione familiare del dottor Higashikata.

 

 

Okuyasu aveva appena finito di sgomberare la lavastoviglie quando sentì il campanello della porta suonare. Si asciugò le mani al grembiule rosa confetto e si sistemò gli occhiali sul naso, lanciando un'occhiata all'orologio appeso sopra al tavolo della cucina. Erano le cinque del pomeriggio. Possibile che Josuke avesse già finito il turno a lavoro? Be', anche se fosse stato, perché aveva suonato il campanello e non aveva usato le chiavi? Okuyasu, non riuscendo a trovare una risposta soddisfacente al proprio interrogativo, si strinse nelle grosse spalle e si diresse a grandi passi verso l'ingresso. Come suo solito si dimenticò di guardare nello spioncino e spalancò la porta accompagnando il gesto con un profondo “Chi è?”.
Celeste, in piedi dall'altra parte della porta, sobbalzò dallo spavento e si resse con una mano l'orlo della gonna del vestitino. L'omone aveva spalancato la porta talmente forte da creare una potente ventata d'aria. Celeste si spolverò l'abito bianco e si mise una ciocca di capelli dietro l'orecchio. Okuyasu guardò sbalordito quella bellezza occidentale che era magicamente apparsa alla porta di casa sua. Certo che era davvero alta rispetto allo standard delle donne giapponesi!
-”Salve...”- iniziò Celeste esitante. -”Questa è casa Higashikata, vero?”-.
Okuyasu annuì con una faccia imbambolata. Celeste strinse le labbra e annuì, osservando il bizzarro abbigliamento dell'uomo: bermuda beige, cannottiera bianca, infradito rosse e grembiule rosa.
-”Lei è il signor Higashikata?”-.
-”Be', sì”-.
Il sopracciglio ben disegnato di Celeste scattò verso l'alto. Quell'uomo non somigliava per niente a un Joestar: portava i capelli sale e pepe legati in una coda bassa, aveva il viso attraversato da una cicatrice a X e gli occhi costantemente sgranati dalle pupille puntiformi. Celeste ritenne il signor Higashikata una persona poco sveglia.
Ma le apparenze spesso ingannano”, tentò di convincersi.
-”Lei è...?”- domandò Okuyasu chinandosi un poco in avanti.
-”Celeste Giosta”- rispose subito Celeste tendendo una mano. Okuyasu la strinse con esitazione, iniziando a chiedersi perché il cognome della ragazza gli sembrasse così tremendamente familiare. Gli occhi gli scivolarono sul trolley azzurro di Celeste e gli venne spontaneo domandarle quale fosse il motivo della sua visita.
-”Che ne dice di parlarne in casa, magari davanti a qualcosa di fresco da bere? Sa, vengo dall'Italia e il viaggio è stato piuttosto lungo e faticoso...”- propose Celeste sventolandosi il viso con una mano.
-”Oh, be', sì, certo”- accettò Okuyasu confuso. Si fece da parte e permise a Celeste di entrare nella villa, chiudendo poi la porta alle sue spalle e facendo accomodare la giovane italiana in salotto. La pregò di aspettare qualche minuto mentre lui avrebbe provveduto a portarle qualcosa. Okuyasu corse in cucina e aprì il frigorifero, iniziando a ispezionarlo con gli occhi. Era curiosissimo di sapere da dove fosse spuntata fuori quella bella ragazza e per quale motivo stesse cercando proprio lui. Il suo viso aveva un che di familiare, ma Okuyasu non vi diede molto peso. Tirò fuori una bottiglia di thè verde e la appoggiò sul ripiano di marmo del tavolo, spostandosi poi verso la credenza. Quella Celeste doveva essere alta più o meno un metro e settanta. Accidenti, poteva trattarsi di una modella!
-”Papà”- sussurrò una voce sotto di lui.
Okuyasu, preso alla sprovvista, cacciò un urlo e fece cadere uno dei due bicchieri che aveva appena preso in mano.
-”Signor Higashikata, va tutto bene?”- domandò Celeste dal salotto.
Okuyasu guardò spaesato i frammenti di vetro per terra e si guardò attorno in cerca della figlia.
-”S-sì!”- rispose alzando la voce. -”Mi scusi, arrivo subito!”-.
-”Papà”- ripeté seccata Shizuka, la figlia adottiva dei coniugi Higashikata, la bambina invisibile trovata casualmente da Josuke e Joseph quindici anni prima. -”Chi è quella ragazza?”-.
Okuyasu si chinò a raccogliere frettolosamente ciò che rimaneva del bicchiere di vetro e andò a buttare i resti nel cestino della spazzatura. Si guardò alle spalle ma Shizuka era ancora invisibile, non aveva disattivato i poteri del suo Stand.
-”Non lo so, tesoro”- ammise andando a prendere un altro bicchiere. -”Ma lo scoprirò presto”- concluse con un sorrisone sulle labbra.
Shizuka guardò il padre precipitarsi in salotto con un vassoio con sopra una bottiglia di thè verde e due bicchieri; lo vide servire da bere alla giovane bionda e intavolare con lei un'amabile conversazione. Shizuka ridusse gli occhi a due fessure. Quella situazione non le piaceva per niente. Quando mai far entrare dei completi sconosciuti in casa si era rivelata una buona idea? Quella ragazza poi, così graziosa e affascinante all'apparenza, sembrava avere un abisso pericoloso dentro di sé. Purtroppo suo padre Okuyasu era troppo stupido per accorgersi di queste piccole sottigliezze.
Shizuka guardò l'orologio della cucina. Anche se erano solo le cinque e un quarto del pomeriggio doveva assolutamente chiamarlo e avvertirlo della situazione. Restando invisibile, Shizuka si appropriò del cordless lasciato sul tavolino all'ingresso della villa e si affrettò a comporre il numero dell'ospedale. Una voce femminile le rispose svogliata.
-”Sono Higashikata Shizuka, vorrei parlare col dottor Higashikata”- disse rapidamente e a bassa voce.
-”Scusi, potrebbe ripetere?”-.
Shizuka alzò gli occhi al cielo e si spostò in una stanza un po' più lontana dal salotto. Ripeté la richiesta, questa volta a voce un po' più alta; l'infermiera assegnata alla portineria la mise in attesa e qualche secondo dopo la chiamata venne reindirizzata nello studio del traumatologo.
-”Dottor Higashikata”- alzò la cornetta una profonda voce maschile.
-”Papà, c'è un problema”- disse Shizuka premendo il telefono contro l'orecchio. -”Pa' ha fatto entrare un estraneo in casa”-.
Dall'altro capo del telefono, Josuke Higashikata si passò pesantemente una mano sul volto e sospirò rumorosamente, scuotendo poi la testa. Quante volte aveva detto a suo marito di non aprire agli sconosciuti? D'accordo, Okuyasu era un uomo grande, vaccinato e portatore di Stand, ma, come era solito ripetere un frigido biologo marino, il pericolo era sempre in agguato.
-”Come ti sembra? E' pericoloso?”- chiese Josuke fidandosi dell'opinione della figlia.
-”E' una ragazza, pa' “-.
Per qualche secondo la linea telefonica venne occupata da un pesantissimo silenzio; Shizuka finì per credere che la linea fosse caduta, ma dovette ricredersi quando sentì il padre fare un breve colpetto di tosse.
Una ragazza”. Benché fossero sposati da sette anni, a volte capitava che gli occhi di Okuyasu si soffermassero qualche secondo di troppo su una bella ragazza. Nei suoi sguardi non c'era il desiderio di tradire il marito, assolutamente; in realtà nemmeno Okuyasu stesso sapeva perché lo facesse, ma a volte sentiva il bisogno di farlo, come una specie di antico e irresistibile richiamo. Josuke era ben conscio di ciò, e, anche a causa del suo passato, aveva sviluppato un'insana gelosia possessiva nei confronti del marito. Non poteva tollerare che gli occhi di Okuyasu guardassero qualcuno o qualcuna che non fosse lui.
-”E' carina?”- domandò Josuke con una punta di rabbia repressa nella voce.
Shizuka non rispose subito. Pensò di mentire al padre per non farlo preoccupare, ma sapeva che sarebbe stato tutto inutile; tanto sarebbe accorso lo stesso.
-”Abbastanza”-.
Josuke batté un pugno sulla sua scrivania e si alzò in piedi di scatto, facendo rovesciare la sedia all'indietro.
-”Sto arrivando”- disse a denti stretti. Attaccò la cornetta del telefono con un moto di rabbia, si tolse il camicie e lo gettò per terra appallottolandolo. La t-shirt bianca a pois fucsia in bella vista, Josuke radunò in fretta e furia le sue cose e uscì di corsa dal proprio studio, percorrendo i corridoi dell'ospedale quasi di corsa. Un'infermiera appena passatogli accanto provò a fermarlo, ma Josuke, senza degnarla di uno sguardo, alzò un dito come a dire “Non una sola parola”. Passò davanti alla portineria come una furia, venendo richiamato dall'infermiera di turno.
-”Dottor Higashikata, il suo turno non è ancora finito!”-.
Josuke si voltò di scatto, fulminando l'infermiera con un'occhiata truce. La donna sussultò e alzò le mani in segno di resa. Distolse gli occhi dal volto bellicoso del traumatologo e si apprestò a comunicare alle corsie l'assenza del dottore. Josuke sbuffò dal naso, alzò il mento e, impettito, si diresse verso la sua Lamborghini bianca parcheggiata lì fuori. Balzò in macchina gettando le sue cose nei sedili posteriori e partì a tutta velocità alla volta della propria casa.
Io li ammazzo, li ammazzo tutti...”, pensava mentre premeva il piede sull'acceleratore.
Dopo aver parcheggiato la macchina nel garage posteriore, Josuke, con quelle grandi falcate che il suo metro e novantacinque di altezza gli permetteva di fare, raggiunse la porta di casa, infilò le chiavi nella serratura e fece un rumoroso ingresso.
-”Sono a casa!”- sbraitò. -”Tesoro, dove sei?!”-.
Celeste e Okuyasu, ancora seduti in salotto a parlare amabilmente, sobbalzarono. Shizuka, che in attesa dell'arrivo del padre si era rinchiusa in camera, attivò il potere del proprio Stand e scese al piano terra per assistere alla scena.
Josuke si appoggiò allo stipite della porta del salotto e, un sorriso tirato stampato sul volto, si presentò a Celeste. Shizuka aveva ragione: era proprio una bella ragazza. Chissà se avrebbe mantenuto quel suo charme anche dopo aver ricevuto un bel pugno da Crazy Diamond...
-”Salve, sono il dottor Higashikata, Higashikata Josuke, il marito dell'uomo con cui ha parlato fin'ora”-.
Celeste, lievemente confusa, guardò prima Okuyasu e poi Josuke. Soffermò lo sguardo sulla figura imponente appena comparsa e ridacchiò sommessamente. Come aveva potuto essere così stupida? Il figlio di Joseph non era Okuyasu, bensì Josuke.
-”Oh, mi perdoni, avevo scambiato suo marito per lei”- disse Celeste alzandosi in piedi e chinando il capo a mo' di scusa. -”In effetti, signor Higashikata, lei ha gli stessi occhi di Joseph”-.
Le parole della ragazza bionda caddero nel silenzio. Josuke, sorpreso nell'aver appena sentito nominare quella persona, cercò con lo sguardo il marito, spaesato quanto lui. Shizuka, seduta in corridoio, si portò le ginocchia al petto. Aveva sentito bene? Joseph? Intendeva proprio Joseph Joestar?
-”Chi sei?”- domandò Josuke burbero, andando sulla difensiva. Con un cenno del capo ordinò a Okuyasu di allontanarsi dalla giovane. Okuyasu obbedì subito.
Celeste si spostò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e abbassò per un momento gli occhi ambrati sul pavimento. Sotto gli occhi vigili di Josuke si voltò di spalle e indicò la voglia a forma di stella che aveva alla base del collo, sulla sinistra. Josuke non poté credere ai propri occhi. Istintivamente afferrò la ragazza per un polso e la trascinò per tutto il salotto, fino a condurla davanti alla porta di casa. Okuyasu fece per corrergli dietro ma la mano invisibile di Shizuka si aggrappò alla sua cannottiera.
-”Quella voglia...”- iniziò Josuke, il viso chino su quello di Celeste.
-”Signor Higashikata, è una lunga storia che vorrei raccontarle. Che ne dice se tornassimo in salotto e parlassimo come due persone civili?”-.
-”Mi stai dando dell'incivile?”- saltò su il dottore.
Nonostante l'imponente stazza e l'aura minacciosa che gravavano su Celeste, la ragazza sorrise amabilmente.
-”Oh, abbastanza”- rispose sfacciata.
Josuke rimase spiazzato dalla risposta della giovane. La guardò sgusciare via dalla sua presa e tornare a passi eleganti nel salotto. La rincorse, un moto di rabbia che gli pervadeva il corpo. Okuyasu intravide la figura di Crazy Diamond alle spalle del marito e, preoccupato, si precipitò ad affiancare Celeste, in un silenzioso gesto di protezione nei confronti dell'ospite inatteso.
-”Oku, allontanati da lei”- ringhiò Josuke, gli occhi in fiamme.
-”Lo faccio, ma tu non farle del male...”- rispose Okuyasu sistemandosi nervosamente gli occhiali sul naso.
Mentre la coppia si scambiava dei feroci sguardi in cagnesco, Celeste si sedette sul divano e accavallò le lunghe gambe, intrecciando le mani sul grembo. Joseph non le aveva accennato nulla riguardo la bizzarra situazione familiare del figlio. Si guardò attorno, chiedendosi dove fosse il membro mancante.
-”Posso sapere dov'è la piccola Shizuka?”- domandò a un tratto.
Josuke e Okuyasu interruppero la loro silenziosa diatriba e si voltarono verso Celeste. Josuke perse le staffe ed evocò Crazy Diamond. Il marito non fece in tempo a fermarlo.
-”Non osare provare a sfiorare mia figlia!”- gridò caricando un colpo.
-”E lei, messere, non osi sfiorare la mia di figlia”- proclamò una voce alla sua destra. Deeper Deeper, appena venuto in soccorso di Celeste, stava puntando la lama dell'alabarda alla gola di Josuke.
-”Papà!”- si lasciò sfuggire l'invisibile Shizuka.
-”Sei una portatrice di Stand...”- sibilò Josuke.
Celeste strinse le labbra e fece spallucce.
-”La situazione è più complicata di quanto possa immaginare, dottor Higashikata. Definire questo essere “Stand” è giusto e sbagliato al tempo stesso”-.
Okuyasu si avvicinò al marito e gli posò esitante una mano sulla spalla.
-”Va tutto bene, Shizu”- disse Josuke a denti stretti. Fece dei respiri profondi e tentò di mantenere il controllo di sé. Alzò le mani e fece sparire Crazy Diamond. Perché si era agitato tanto? Quella ragazza bionda aveva solamente fatto una semplice e innocua domanda. Se conosceva Joseph perché non doveva essere a conoscenza dell'esistenza di Shizuka? Deeper Deeper, come Crazy Diamond prima di lui, sparì nel nulla. -”Piccola, vieni qui. Credo che questa ragazza abbia molto da raccontarci”- si arrese alla fine.

 

 



NOTE DELL'AUTRICE
Ripeto: è fortemente consigliata la lettura di alcuni capitoli di "Dangerous Heritage", altrimenti vi risulterà difficile comprendere la complicata situazione familiare della famiglia Higashikata.
Il titolo della mia fanfiction, "Mighty Long Fall", è il titolo di un'omonima canzone del gruppo ONE OK ROCK. I titoli dei capitoli sono dei versi di varie loro canzoni :> 
Capitolo 1: "What's the problem? Not gonna make it right?" ---> Cry Out
Capitolo 2: "We'll fight fight 'till there's nothing left to say" ---> Fight the Night
Si vede che è la mia band preferita, vero? ;)
Alla prossima! ^^

 

   
 
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