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Autore: fragolottina    18/03/2016    13 recensioni
«Ho messo il ragazzo dai capelli rossi nel mucchietto sbagliato», Helen sorrise. «Uccidere mio padre ha davvero riparato il mio errore?».
Questa volta lui fu costretto a rimanere zitto.
«Io. So. Tutto», ripeté lentamente. «Anche le conseguenze delle mie azioni».
Silenzio.
«E lei sa a cosa porteranno le sue azioni?».
Genere: Generale, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Synt'
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I Veglianti di Synt ciao...
è bello sapere che ci siete ancora, è stata una cosa molto dolce, l'ho apprezzato, voglio che lo sappiate.
ad ogni modo, alcune di voi mi avevano suggerito di mettere tutto in terza persona... è stata una buona dritta mi piace, viene meglio, grazie.
fatemi sapere se piace anche a  voi.


CAPITOLO 1


    Si fermò davanti al nastro trasportatore in attesa delle proprie valigie, studiava il proprio cellulare che, dopo circa un giorno di arresto forzato in aereo, non sembrava smettere di notificarle cose. Non prestava troppa attenzione, aveva un set di valigie verde menta, era piuttosto certa che le avrebbe riconosciute.
    Un bambino le passò davanti, incerto nei suoi primi passi, e lei allungò una mano per afferrarlo un secondo prima che un uomo lo travolgesse. A volte sentiva che il problema era semplicemente la poca attenzione che le persone davano alle cose importanti. Quindi si rimise il telefono nella tasca della giacca.
    I genitori la ringraziarono in giapponese, mentre due signori in un completo elegante, pantalone nero e giacca petrolio, le si avvicinarono.
    «Minorou Lynn?», la chiamarono.
    Lei alzò gli occhi e lanciò loro uno sguardo, avevano la stessa espressione tonta di Zach quando faceva qualcosa di stupido, ma il suo cervellino da maschio non voleva saperne di chiedere aiuto.
    «Eccomi», rispose lei, affatto sorpresa.
    «Vorremmo che ci seguisse, se non le spiace», le disse il primo afferrandole il braccio con poco garbo e rendendo abbastanza superfluo quel così cortese “se non le spiace”.
    «Per la sua sicurezza la LTP ritiene di doverla scortare fino a Synt», spiegò il secondo.
    «Ma le mie valigie!», si lamentò Lynn cercando di opporsi a quella specie di rapimento.
    «Sono già state ritirate e perquisite».
    Si fermò, i due uomini rallentarono guardinghi, uno dei due – quello più tonto – arrivò addirittura a portarsi la mano destra all’interno della giacca, probabilmente aveva una pistola.
    Lynn si strinse nelle spalle. «D’accordo, allora», si arrese e si lasciò trascinare via mentre rimpiangeva di non aver mandato un messaggio a Nate. C’erano delle priorità, lo sapeva, ma non voleva trascurarlo.
    In una delle sue valigie la LTP aveva trovato una katana, diverse armi bianche più piccole, qualche pistola ed un pacco di marshmallows al mandarino – impossibili da trovare in occidente. Le avevano chiesto perché viaggiasse così armata, aveva risposto che si trattava di regalini dall’oriente.
    Considerando che l’avevano portata dentro un’auto, infilata sul sedile del passeggero tra due omoni e – cosa di gran lunga peggiore di tutte – le avevano sequestrato il cellulare, sospettava che non l’avessero creduta.

    Becky guardò Nate rigirarsi il termometro in bocca, chiudere il computer e lanciarle un’occhiata fugace, prima di recuperare il laptop ed allontanarsi dalla palestra. Dopo varie perlustrazioni notturne in punta di piedi, avevano scoperto un punto cieco nel sistema di controllo interno piazzato dai Veglianti di Wood.
Sapevano tutti che se fosse tornato avrebbe capito, ma finché in caserma c’erano solo i suoi Veglianti potevano dormire sonni tranquilli.
    Indietreggiò di un passo ed il Vegliante che si stava allenando con lei finì a terra ai suoi piedi. Becky si rannicchiò davanti a lui e si abbracciò le ginocchia con le braccia.
    «Sono un po’ stanca di vincere», osservò.
    Il Vegliante rise e rotolò sulla schiena osservandola con lo sguardo assottigliato. «Cavolo, non ti sei nemmeno spettinata!», sbottò, indicando con un cenno i capelli di Becky, ordinatamente intrecciati come quella mattina.
    I Veglianti di Wood non erano orribili, non tutti almeno. Era stata una lezione dura da imparare, ma alla fine Becky aveva convenuto che potesse succedere: Jean era stata una Vegliante di Wood ed era okay, Josh era stato un Vegliante di Wood ed era… beh, Josh.
    Il ragazzo con il quale si stava allenando in quel momento, per esempio, aveva la sua stessa età, erano stati scelti alla stessa Asta. Avevano passato ore a fare gli increduli e scambiarsi informazioni. Era un ragazzo simpatico, in gamba…
    Bugiardo, le suggerì la propria coscienza.
    Non esattamente, insomma, poteva semplicemente essere carino.
    Si erano conosciuti durante il programma di supporto al quale li aveva obbligati Wood. Li aveva riuniti ed aveva spiegato loro che troppe perdite avevano minato la loro coscienza, erano diventati aggressivi come un branco di lupi, troppo legati al nucleo strettissimo che avevano creato tra loro.
    Per un mese li avevano divisi.
    Becky era stata rinchiusa in una stanza per tutto il mese. Andavano a farle visita uno psicologo ed un medico; la incoraggiavano a parlare di tutto, le consigliavano di parlare di Zach. E lei aveva obbedito, che avrebbe potuto fare? Aveva raccontato della sua reclusione, di come Romeo l’aveva minacciata giorno e notte in cambio di informazioni; aveva pianto quando aveva ammesso di essersi fatta sfuggire qualcosa. La dottoressa l’aveva abbracciata, Wood stesso l’aveva consolata e rassicurata che nessuno avrebbe potuto pretendere più da una ragazza così giovane, ma così coraggiosa.
    Felice della sua collaborazione le avevano concesso delle visite, aveva chiesto di Matt, le avevano risposto che era tempo di fare nuove amicizie.
    Dean e Serena andavano e mangiavano con lei ogni giorno.
    Becky mangiava con loro, rideva, scherzava, faceva amicizia.
    Mai mele, non mangiava niente che avesse uno strano odore.
    «Come fai ad essere così più brava di me?», piagnucolò Dean ancora sdraiato sotto di lei.
    «Allenamenti da cheerleader», rispose divertita. «È un mondo spietato, che vuoi che sia in confronto il terrorismo di Romeo?», si era tirata indietro i capelli con un colpetto, come un gran dama, ma quando l’aveva guardato di sottecchi si era lasciata sfuggire un sorriso ed aveva lanciato un urletto quando aveva cercato di buttarla per terra.
    «È così che vi allenate voi due?», li rimproverò Serena con le mani ai fianchi.
    Becky la guardò ridendo. Dean e Serena erano fratelli gemelli ed erano entrambi molto belli, avevano i capelli neri, gli occhi blu e pelle pallida come porcellana; però non erano troppo vanitosi o arroganti, anzi, erano entrambi molto semplici. Sembrava che piacesse loro per davvero.
    «Non fare la bacchettona, Serena», si lamentò Dean.
    «Sei di ronda stasera?», le domandò Becky.
    Scosse la testa e si sedette vicino a loro a gambe incrociate. «Che dite se usciamo a mangiare qualcosa?», propose.
    Tutti e due guardarono Becky. «Perché no?», rispose lei raddrizzandosi.

    Becky raggiunse la sua stanza e trovò Courtney seduta sulla sedia davanti allo specchio, con le mani sul viso.
    «Ha di nuovo vinto lui?», le chiese.
    «Ah. Ah», sbottò lei. «Un peccato che io non sia dell’umore per godermi il tuo spiccato senso comico».
    Si sfilò le scarpe da ginnastica ed iniziò a togliersi la tuta.
    «Esci?», le chiese Courtney.
    Becky tirò fuori una paio di pantacollant al polpaccio ed una minigonna di jeans, poi una maglietta a maniche corte, sempre nera, ed un top rosa fluo. «Andiamo a mangiare a Synt interna, vuoi venire?». Sgomitò dentro ai capi fino ad uscirne nel modo giusto.
    «Con i tuoi nuovi amici?», continuò a domandare.
    Recuperò mascara, eye liner e lucidalabbra. «Ah-ah», rispose concentrata sulle sue palpebre e le sue ciglia.
    «Penso che passerò». Sospirò la sua compagna di stanza. Non ce n’erano abbastanza nella caserma di Synt, di stanze, la prima idea era stata mischiarli con gli altri, ma Courtney aveva fatto trovare la sua coinquilina legata alla rete del letto.
    Legata sotto la rete del letto.
    Il giorno dopo le era arrivata una scatola di cioccolatini tramite corriere.
    Jared aveva dato i numeri, le loro urla si erano sentite per tutta la caserma.
    Becky le lanciò un’occhiata. «Non dovresti essere così chiusa, è poco pratico in una situazione del genere, non credi?».
    Courtney era ogni giorno un po’ più bella. Ogni giorno i suoi movimenti erano più fluidi, i suoi sguardi più luminosi, più diretti, aveva un modo di parlare, modulare la voce ed atteggiare le labbra, che la rendevano spietatamente sexy. Era un modo di essere seducente che non le sarebbe mai appartenuto. Erano diverse in ogni fibra del loro essere, per questo non andavano molto d’accordo. Si rispettavano ed aiutavano, con molta probabilità si volevano anche bene, ma non andavano d’accordo.
    «I patti erano che ognuno avrebbe gestito al situazione come gli veniva meglio», le ricordò, con uno sguardo percorse tutta la sua figura, lasciando trapelare con gli occhi quanto fosse contrariata di come Becky stesse gestendo la situazione. Si alzò in piedi e sciolse i capelli, smuovendoli sulle spalle per cercare di eliminare i segni dell’elastico.
    «E poi oggi ho pranzato con Amanda, l’ho trovata piacevole».
    Becky infilò un braccio sotto il letto e tastò il pavimento polveroso fino a trovare gli scarponcini che aveva comprato quando lei e Serena erano andata a fare shopping. Davanti ad un frullato alla fragola le aveva confessato i suoi sospetti sul fatto che il fratello avesse una cotta per lei.
    Becky aveva abbassato lo sguardo sulla propria bibita sigillata, incerta; aveva risposto che trovava Dean molto carino, ma non sapeva ancora come si sarebbe comportata. Fraternamente, Serena aveva allungato una mano ed aveva stretto la sua, dichiarando che l’avrebbero scoperto insieme.
    «Non trovi strano che tu abbia deciso di legare con quella che vuole uccidermi?».
    Courtney si strinse nelle spalle, mentre si avvicinava alla sua scrivania e strappava un pezzo di carta da un quaderno. «In realtà mi è sembrata l’unica via praticabile», spiegò e stappò una penna. «Sai già dove andrete?».
    «Probabilmente in quella pizzeria davanti alla farmacia».
    «Perfetto». Si alzò appiccicò il foglietto allo specchio con uno sbaffo del lucidalabbra di Becky, poi spostò lo specchio davanti alla finestra.

B esce con quei due mostriciattoli.
Cenano a Synt interna da Jammy.
Datele un’occhiata.
Di ronda ci sono solo quelli di W.
Non fatevi prendere.
Grazie della cioccolata a quando un frozen yogurt?
C.


    Romeo lesse il biglietto e recuperò il proprio telefono.
    «Chi c’è per Becky?», chiese ad Ofelia.
    «Io e Stu», rispose lei.
    «Ci sono i gemelli», la avvisò.
    «L’ho visto», la sentì sospirare. «Non mi piace come quei due le stanno sempre intorno».
    «Quei due obbediscono».
    Rimise il telefono ed il binocolo in tasca, poi si appoggiò con i gomiti alla cornice della finestra e rimase a guardare la caserma. Da quando c’erano i Veglianti di Wood – in particolar modo Dean e Serena – cercavano di essere cauti. Non ne erano ancora sicuri, ci stavano arrivando, ma sospettava che quei due non fossero niente di buono, altrimenti di certo Wood non li avrebbe lasciati lì in sua vece.
    Aveva studiato a lungo la situazione, c’era un vice Responsabile fittizio, arrivato insieme a Wood, che, secondo quanto detto da lui, era l’uomo di cui si fidava e che li avrebbe aiutati a Synt. Poteva anche essere possibile, però aveva aspettato che arrivassero quei due gemelli prima di allontanarsi.
    Da quando sulla tavola c’erano così tante incognite impazzite era difficile tenere le fila di tutto. Gli venne un po’ da ridere a pensare che aveva dei problemi a manipolare tutti, si chiese come se la cavasse 
lei.
    Un vociare richiamò la sua attenzione, lentamente Romeo si ritirò nascondendosi nell’ombra, mentre i Veglianti di ronda passavano sotto il palazzo.
    Stava per andarsene, ma lanciò un’ultima occhiata alla finestra di Courtney.
    Sapeva che vedeva, sapeva che avrebbero comunque mandato qualcuno per Becky.
    Sorrise.
    Aspettò di essersi allontanato abbastanza dai Veglianti, prima di recuperare sigaretta ed accendino. Il suo cellulare vibrò nella tasca. C’era un messaggio da un numero che non aveva registrato.
    Portami un paio di scarpe.

    Erano già stati a mangiare da Jammy.
    Prima che arrivassero in città i Veglianti di Wood, Becky non aveva esplorato molto Synt; erano stati tutti così preoccupati di metterla in guardia sui pericoli, sui rischi, sullo stare in guardia, da farle quasi dimenticare che, la zona interna almeno, era piuttosto pacifica.
    Il coprifuoco lì era posticipato di un’ora e, seduti al locale a mangiare pizza, senza giacche verdi, erano esattamente come tutte le altre persone.
    Dean e Serena le avevano raccontato che Wood li obbligava a comportarsi da ragazzi normali una volta alla settima: in quel giorno non avevano ordini, non avevano missioni, non erano obbligati a mangiare in caserma, non dovevano render conto a nessuno.
    Becky sorrise e pensò a sua madre: non cercò di spiegare loro che anche rendere conto a qualcuno significava normalità.
    «Potresti farti trasferire», buttò lì Serena.
    Becky sgranò gli occhi senza parlare, intenta com’era ad inseguire un filo di mozzarella sulla sua pizza. Masticò e deglutì più in fretta di quanto avrebbe voluto.
    «Come?», chiese stupita.
    «Ma certo!», rimarcò. «Così quando noi torneremo a Los Angeles tu verresti con noi».
    Becky arricciò il naso non esattamente convinta. «Ma si può fare?».
    Dean si strinse nelle spalle. «I Responsabili si scambiano i Veglianti di continuo e poi hai detto che Wood era interessato a te, no?».
    «Sì, ma… era più interessato a me come un manichino».
    «Okay, ma non sei mica la stessa ragazza ingenua che era all’Asta», la rimproverò Serena. «Hai dimostrato a tutti di avere talento, Wood è intelligente, sono sicura che ha rimpianto quella decisione».
    «Potremo lasciare a Synt quella rompipalle di Amanda ed il suo boy-Kingley-inutile e prenderci te e…». Dean si interruppe pensandoci su. «Mm… mi sa che quello più utile sarebbe Matt».
    Becky si morse il labbro e lanciò un’occhiata a Serena, che sbuffò sconsolata.
    «Oh, Becky!», la rimproverò. «Stiamo parlando di un ragazzo piuttosto leggero, non credi?», sbottò indovinando i suoi pensieri.
    «Non è proprio così che definirei Zach», rifletté.
    «No?», rimarcò incredula lei. «È venuto qui e si è messo con Lindsey. Poi è arrivata Courtney e lui ha annusato da un’altra parte, poi sei arrivata tu ed ha scodinzolato fin lì», riassunse. «Cosa possiamo dedurre da questo».
    «Che gli piacciono le ragazze con i nomi che finiscono con “y”?».
    Serena sbatté le palpebre osservandola. «Anche. Ma soprattutto che gli piacciono tutte le ragazze che gli passano abbastanza vicino».
    «Poco lusinghiero», commentò semplicemente Dean, Becky apprezzò che avesse deciso di rimanere in disparte da quel discorso.
    Becky sospirò. «Non ho detto che è perfetto, né che aspetto il suo ritorno con trepidante attesa, né che credo sia innamorato di me», si fermò con una smorfia. «Non so più nemmeno io cosa provo per lui». Non volendo lanciò un’occhiata a Dean che la fissava serio. «Ma sono sicura che se non torna e non ci parlo, una volta per tutte, non lo saprò mai e resterò con questo dubbio», concluse.
    «D’accordo», concesse Serena. «Ma tu sei proprio sicura che lui si faccia i tuoi stessi problemi?».

     Zach entrò nella sua stanza.
    Aveva affittato una camera in un motel, la pagava facendo le pulizie in una palestra poco distante.
    Faceva ogni volta il tragitto di corsa perché non aveva più un tapis roulant, però Courtney aveva appoggiato sopra un secchio dell’immondizia un sacchetto di plastica con dentro il suo lettore mp3.
    Come tutti i giorni sul tavolo c’era la cena, era Jamie a portargliela.
    Sapeva che stava nel suo stesso motel e sapeva anche quale, delle macchine parcheggiate fuori, era la sua.
    Però non lo importunava, lo controllava da lontano senza interferire.
    Si sedette a tavola e scoperchiò la scatola del proprio hamburger.
    Doveva tornare a Synt.
    Diede un morso.
    Voleva tornare a Synt?
    Si alzò per prendere una bottiglia d’acqua.
    No, non voleva tornare a Synt.
    Non voleva stare in un posto per cui suo padre l’aveva plasmato.
    La prima volta che aveva parlato con Romeo non aveva capito. Per un mese intero era rimasto a Synt aspettando che gli altri uscissero dall’isolamento. Stare fermo in attesa l’aveva fatto pensare, l’aveva costretto a farlo. Aveva metaforicamente messo mano ai propri ricordi ed aveva iniziato a fare ordine.
    Per la prima volta ogni cosa aveva trovato il suo posto: ora sapeva il perché di tante situazioni spiacevoli, di alcune più piacevoli e si era sentito molto più equilibrato.
    Inizialmente.
    Poi quella frase gli era entrata nel cervello e non l’aveva più lasciato in pace: Non è un bambino vero.
    L’aveva detto suo padre a Sean, che gli era sembrato confuso. Zach li aveva sentiti perché stava origliando, aveva sempre pensato che si riferisse al fatto che non era come tutti, che era strano, cagionevole, goffo. Goffo.
    Ma no, era stato un concetto molto più semplice.
    Non era un bambino vero: perché l’avevano fatto. A tavolino. Un pezzetto per volta.
    Non era un bambino vero perché con ogni probabilità sarebbe dovuto essere completamente diverso. Magari a lasciar perdere la manciatina di cellule che doveva essere stato, sarebbe diventato uno studioso, un letterato, un campione degli scacchi.
    Non era niente di quello che sarebbe potuto essere, l’avevano cambiato troppo.
    Non era più un bambino vero.
    Punto.

    «Posso parlarti?», le chiese Dean mentre si dirigevano nella propria camera.
    Becky sentì un leggero panico montarle all’interno, paura, agitazione.
    Serena li salutò entrambi e si affrettò a raggiungere la propria camera per lasciarli soli, Becky si fermò con lui. Sapeva di dover rispondere di sì.
    «Certo».
    Dean si guardò intorno e, insoddisfatto delle persone che sentiva chiacchierare in lontananza, la prese delicatamente per mano tirandola piano verso la mensa. Sembrava deserta, ma in fondo, lontano dall’entrata c’erano due ragazzi un po’ ammucchiati. Becky finse di non vederli, anche se si sentiva a disagio ad essere nel posto in cui i Veglianti di Wood andavano a pomiciare, soprattutto stando in compagnia di un Vegliante di Wood.
    Dean si arrampicò fino a sedersi sul tavolo, i piedi appoggiati alla panca; Becky rimase in piedi di fronte a lui, incrociò le braccia sul petto osservandolo.
    «Quel discorso in pizzeria era per me?», le domandò.
    Becky trattenne il fiato, il suo cervello alla precipitosa ricerca del modo giusto per portare avanti quella conversazione. Rimase zitta.
    «Non voglio che ti senta in dover di farlo», sorrise. «Mi piace quello che abbiamo, mi piace passare il tempo con te e ridere, non voglio smettere».
    Allungò una mano fino ad afferrare la sua, che usò per avvicinarla, Becky lo lasciò fare.
    «Riporteremo qui Zach Douquette», le disse stringendole entrambe le mani, come in una promessa solenne. «Quando sarà qui ed avrai modo di chiarire la vostra situazione, parleremo della nostra».
    Becky deglutì e lo fissò, scavalcò la panca che li divideva spontaneamente, con calma. Dean fu tanto rispettoso da tirarsi un po’ indietro per darle tutto lo spazio che voleva. Scosse la testa con un mezzo sorriso. «Quello che ha detto Serena è vero», ammise. «Mi sentivo sempre tanto partecipe quando lui mi prestava attenzione, perché quelli come lui non danno mai retta a quelle come me».
    «Che dici? Quelle come te sono adorabili», la interruppe.
    Lei sorrise ed aspettò che la lasciasse continuare.
    «Okay, vai, sto zitto».
    «Non era giusto», deglutì. «Non era giusto che mi sentissi in quel modo. Siete dovuti arrivare voi perché per la prima volta pensassi di valere qualcosa come Vegliante».
    Dean rimase in silenzio, nei suoi occhi c’era comprensione, tanta partecipazione per la sua esperienza in una squadra che non aveva avuto il coraggio di guardare le sue capacità, oltre gli evidenti limiti fisici.
    Bugiardo, le ripeté la stessa voce nella sua coscienza.
    «Vieni a Los Angeles con noi», ripeté fissandola, stavolta più che una proposta divertente, sembrava una preghiera.
    «Forse dovrei», rifletté abbassando lo sguardo.
    Dean lo rincorse fino a guardarla di nuovo negli occhi. «Vieni a Los Angeles con me, non riesco a pensare di lasciarti qui».
    Per un attimo Becky rimase attonita, in apnea; era tutto così perfetto, così adorabilmente normale, così desiderabile. Un romanzo. La giovane ragazza incontra un giovane uomo dagli occhi blu, intenzionato a portarla via da quella città piena di rancori e smog.
    Si trovò a guardare la bocca di Dean prima ancora di realizzare di starsi avvicinando. Si incontrarono a metà, per un attimo le loro labbra rimasero immobili, le une contro le altre; si dischiusero lentamente, non c’era fretta in quel bacio, né frenesia: non era un bacio arrabbiato, o un bacio da fine del mondo, o… Becky si staccò, per un attimo vide Zach, un battito di ciglia. Abbastanza da fargli venire la nostalgia.
    Dean la abbracciò, senza dire niente.
    Bugiarda.
    Quando tornò nella propria camera, Courtney la aspettava sveglia, la osservò tutta mentre entrava, chiudeva lentamente e si appoggiava con la schiena alla porta, poi tornò a sfogliare la propria rivista.
    «Hai esagerato», le disse.
    Becky sospirò. «Non se mi racconta qualcosa».
    «A Zach non piacerà».
    «Zach se ne è andato», sbottò. «Non credo che sia giusto che abbia voce in capitolo su cosa posso o non posso fare», la fissò. «Magari Dean mi piace davvero, potrei andare a Los Angeles e costruirmi tutta un’altra vita».
    «Ah-ah», convenne annoiata. «Buon viaggio, telefona ogni tanto», la salutò sarcastica.
    Becky scosse la testa ed iniziò a prepararsi per mettersi a letto. «Non so davvero perché dovrei rimanere», borbottò.
    Courtney rimase in silenzio, Becky le lanciò un’occhiata da sopra la spalla, capì al volo che la sua compagna di stanza si era posta quella domanda un milione di volte; forse per lei era molto più doloroso e frustrante rimanere in quella caserma.
    Spostò lo sguardo su di lei e sorrise, convinta e sicura. «Per Nate», disse. «Rimaniamo per Nate».

    Romeo si accese una sigaretta, seduto alla guida di una monovolume nera, dischiuse il finestrino per non far impregnare la tappezzeria di fumo. Quella macchina era di Iago, non voleva che ci si fumasse dentro.
    Lynn lo raggiunse zoppicando ed aprì la portiera come una furia. «Le mie», iniziò, sfilandosi una scarpa con il tacco spezzato e lanciandola lontana in mezzo alla strada. «Scarpe», proseguì, facendo fare la stessa fine anche all’altra. «Preferite», terminò sbattendo lo sportello nel chiudere.
    Romeo si allungò all’indietro e le porse una scatola con un fiocco rosso. «Spero siano del numero giusto».
    Lynn sbuffò e gli lanciò un’occhiata. «Sono le stesse, non è vero?».
    Lui rise ingranando la marcia. «Beh, erano le tue preferite».
    «Ho comunque voglia di ucciderti per quello che hai lasciato fare a Nate».
    «Sta tranquilla», cercò di rassicurarla recuperando il telefono. «Lo risolveremo», promise prima di denunciare alle autorità competenti un’auto finita oltre il guardrail.

non so davvero cosa penserete di questo capitolo, è tutto molto diverso.
però io volevo che fosse diverso, volevo che fosse così.
baci
Fragolottina

   
 
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