Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Robynn    06/04/2016    2 recensioni
Non sono mai stata in grado di accettare la fine di questo bellissimo cartone. Bellissimo perché mi ha fatto provare una fragilità che non sapevo avere. Cartone per il semplice fatto che guardavo Lady Oscar in televisione, e a quei tempi non ero consapevole dell'esistenza degli anime o dei manga.
Il mio racconto vuole trasmettere emozioni che credo siano state negate per validi motivi alla nostra amata Oscar. Ed ho voluto immedesimarmi nella sua mente, -ma non solo nella sua- per cambiare alcune parti della storia originale, osando con un 'cosa sarebbe accaduto se...'
Dal primo episodio all'ultimo proverò a valutare le scelte di Oscar, da quando era ragazza e sino alla sua muta nel diventare donna.
Genere: Sentimentale, Storico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: André Grandier, Oscar François de Jarjayes, Un po' tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II

Funesto presagio


Bussò alla porta, ma esitò a varcare la soglia persino quando le venne impartito l'ordine perentorio di entrare.
«Padre, volevo parlarvi» disse, trattenendo il fiato. Era molto nervosa perché quando si doveva trattare con suo padre, - nientemeno che Generale delle Guardie Francesi - scoppiava il delirio. Preferiva attraversare l'inferno.
Inoltre se osava il suo amato Oscar scavalcare i suoi principi era la fine, ma era pur sempre una formalità nel volerle bene.
Il Generale la fissava con aria distinta, nell'attesa che si esibisse, però sua figlia gli stava muta e ritta dinanzi, mentre iniziava ad alterarsi.
«Ti ascolto...» l'aveva in qualche modo incoraggiata, sebbene era patetica come spinta.
Tentò di mantenere i nervi saldi, inspirando a fondo prima di procedere. Sapeva le sarebbe costata cara la decisione che stava per esporre, ma in fondo si trattava della propria vita.
«Ecco... si tratta di una cosa importante. Ci ho riflettuto molto» balbettò mesta. Ci girava intorno con la scusa del tempo per farlo allungare, ma il guizzo che seguì in un lampo negli occhi del Generale era tale da farle fare un passo indietro.
Prima che Oscar giungesse alla conclusione, Reynier decise di fare una mossa astuta, degna di un capo istruttore delle truppe militari: fare la prima movenza.
Aveva capito che qualcosa non andava nel comportamento di sua figlia; sebbene l'avesse istruita lui stesso fin da bambina, rimaneva il suo stato d'animo ribelle al quale non poteva - nemmeno se voleva - ostruirlo. Amava quel suo lato libertino, che nessuno era in grado di domare. Lo specchio dei suoi ideali era la capacità di seguire il cuore, ma anche ragionare mentalmente seguendo un metodo coerente. La ammirava molto, però, non voleva darlo a vedere, poiché doveva ammettere d'essere debole, e questo oltrepassava i suoi limiti ferrei.
Giunse le mani sotto il mento, riflettendo. La fissava negli occhi, cercando di suscitare un timore affettivo, una paura generata per uno scopo buono.
«Oscar, voglio che tu sappia di quanta stima io abbia nei tuoi confronti. Sei l'unico figlio del quale possa dire di essere fiero, perciò, ogni tua decisione l'ascolterò, ma bada alla conclusione... spesso i grandi uomini s'accorgono di aver fatto il passo falso soltanto dopo la loro sconfitta, perché se non è gloria, non può uscire null'altro che peripezia». 
Rifletté un'attimo sulle parole di suo padre, che suonavano come una lezione da tenere a mente. Capì, nondimeno, che doveva fare il suo stesso gioco se voleva saltarne fuori. Era intelligente, e aveva compreso che stava cercando di conquistare la sua lode per poi trafiggerla non appena sarebbe caduta nella diffidente trappola. Nonostante la sua giovane età era sicura di sé e decisa. Non aveva intenzione di tornare indietro.
Sorrise beffarda, cosa che fece stupire suo padre, lasciandolo incerto e vacuo su quello che aveva intenzione di fare. Forse aveva sbagliato a sottovalutarla.
«Concordo sul fatto che un uomo debba ragionare prima di ascoltare il cuore ma, spesso le avversità finiscono col procedere in modo del tutto diverso da come si è previsto. Per esempio la religione... è stata diffusa al solo scopo di espandere il bene, però gli uomini non fanno altro che male. Ciò che mi chiedete, padre, è di essere tollerante con i miei principi, ma prima di tutto bisogna capire chi li ha fondati» avrebbe continuato se non fosse stata interrotta dal gesto impulsivo del Generale, che si era alzato in piedi, sbattendo i palmi contro la scrivania.
In quel momento credette che le sarebbe saltato addosso, imprimendole uno schiaffo da farla cadere a terra, se non altro che era andato a fissare il giardino fuori dal terrazzo. Stava architettando una punizione esemplare per farle abiurare tutto ciò che gli aveva detto.
Ma Oscar era pronta a sopportare l'ira funesta, poiché il coraggio che la reggeva in piedi era la sua forza di volontà accompagnata dal suo sangue freddo.
«Che cosa devo fare con te» sospirò amaramente, intanto portava la mano a coprire il viso; ignara che in quel momento asciugava una lacrima insipida.
Per quanto desiderava prenderla a schiaffi, magari buttarla giù dalle scale, oppure scuotere fino a farle perdere la ragione, non sarebbe servito a niente. Tanto avrebbe voluto un figlio maschio... se Dio ne fosse a conoscenza, allora lo avrebbe ascoltato. 
Si voltò lasciando intuire la sua rassegna. Aveva alzato bandiera bianca non appena percepì che gli ideali di Oscar erano nati molto tempo prima di poterli coprire. Smisuratamente bramava un futuro degno per onorare la sua famiglia, ma pareva gli fosse impossibile realizzare ciò.
«Non indosserò quell'uniforme» fu il commento che accese la scintilla. D'impulso il Generale strinse i pugni. Sembrava avesse assunto una dose di stress. 
A falcate attraversò lo spazio che li separava, e la spinse via per poi abbattere la porta, provocando un boato che fece eco nelle stanze vicine.
Era rimasta sola, stordita dal lampo di paura che aveva appena sfiorato. Stava giocato con l'ira divina, andando in contro a morte certa; ma se Dio esisteva, da qualche parte la osservava. Indugiò per qualche minuto immobile a fissare l'angolo della tenda danzare di fronte alla fresca serale. Immaginava da ora in poi come si sarebbe svolta la sua esistenza... ma sempre più si sforzava, sempre più il vuoto l'avvolgeva. Era rimasta senza alcun obbiettivo in vita.

La liscia lama, simile ad uno specchio, rifletteva la sua inusuale immagine.
Osservava ogni particolare dell'elsa, dal pomolo alla guardia. Raffinata come la seta e forte come una roccia: era questo l'insieme che definiva chiamare spada. Oscar la teneva in mano, accarezzando dolcemente il filo centrale, mentre pensava che aveva avuto giorni migliori.
Il fioretto che ora stringeva tra le dita, - tanto da farle male - era lo stessa che l'aveva accompagnata ovunque fin da quando era un pargolo.
Una goccia di sangue piombò a terra, macchiando il tappeto. Un suono sordo, che nemmeno udì.
Raccolse il fodero per infilare la spada, infine la poggiò al muro.
Solo quando strinse la maniglia della porta s'accorse di sanguinare. La sua ferita era insensibile, non le bruciava o doleva. Come se nulla fosse prese un fazzoletto ricamato da un cassonetto e pulì l'ottone dorato.
Adesso era in punta di piedi su una sedia e si sforzava di prendere il disinfettante per medicarsi, quando d'improvviso entrò sua nonna.
«Oscar, che stai facendo?».
Si voltò di scatto, presa alla sprovvista. Durante il brusco movimento si sbilanciò e finì sul pavimento freddo.
«Santo cielo!» imprecò la nonna, coprendosi il volto angosciato. Subito accorse in aiuto nel sollevarla da terra. «Ahi, che male!» strinse i denti, deglutendo il dolore e subito porse attenzione sulla caviglia. Aveva fatto un tonfo dall'altezza di uno sgabello, eppure s'era fatta male! Malediva tra sé chi avesse messo le medicine così in alto.
Si mise seduta su una sedia appoggiandosi alla spalla di sua nonna, mentre la guardava con aria preoccupata. 
«Aspettami qui, vado a prenderti un panno bagnato» disse Nanny prima di congedarsi. Era sempre premurosa e attenta come una madre.
La porta sul retro scricchiolò momentaneamente, ma Oscar sembrò non accorgersene.
«Che hai fatto?» disse André frettoloso, vedendola con un piede nudo e una mano insanguinata.
«Niente» lo liquidò svelta, sospirando con nervosismo.
«Come niente ?» le face il verso, irritandola ulteriormente.
Oscar non rispose. Stava per ribattere André al posto suo, ma intervenne sua nonna. «Oh, André, meno male ti trovo qui» disse mesta, dandogli una brocca orla d'acqua fredda e uno straccio. «E'caduta dalla sedia... per favore, aiutala a curarsi la caviglia» lo supplicò con le mani giunte in segno di preghiera.
«Dalla sedia?» fece eco. La fissò guardingo, ma lei voltò indifferente la testa da un'altra parte. 
«D'accodo, ci penso io» la tranquillizzò in fretta.
«Ti ringrazio, André. Tua madre sarebbe fiera di te... che il cielo la perdoni» sussurrò.
Rimasero nella cucina in penombra, dove la luce del sole faticava ad arrivare negli angoli più nascosti delle credenze.
Non appena restarono soli, Oscar non perse occasione per dire come a suo solito di medicarsi facendo da sé.
«Non credo sia saggio» ribatté André, notando il fazzoletto vestito di rosso. «Lascia che per una volta ti dia una mano». Il suo tono comprensivo sembrava calmare l'animo di Oscar, che irrequieto tentava di ribellarsi.
«Oh» commentò sarcastica «hai già fatto troppo...» lasciò che l'ironia delle parole pronunciate con disprezzo arrivasse fitta e gelida come la pioggia in autunno verso il cuore di André. Non lo stava guardando in faccia, ma teneva il mento appoggiato sulla mano sana, a sua volta posata sul tavolo e osservava il paesaggio celeste fuori dalla finestra.
Non si distrasse nemmeno quando le mise il panno sulla caviglia, facendole venire un brivido per il freddo e un dolore acuto che la riscosse. Quel sadismo che osava definire nel gesto di André non le piaceva affatto, per questo stava provando d'essere indifferente, perché è l'arma migliore contro di lui in certe situazioni di trambusto.
André premeva sulla caviglia che nel frattempo si era gonfiata, mentre Oscar soffriva in silenzio senza battere ciglio.
«Mi fa male» disse con tono perentorio, ma una certa pietà trapelava nel suo sguardo.
«Però non hai pensato che con le tue parole ferissi me» obiettò André pronto e sicuro di sé. Una sicurezza che raramente svelava, anche se Oscar la conosceva bene. Era consapevole della sua lealtà, però in quel momento era l'ultimo ad essere fedele nei suoi confronti. Stavolta aveva azzardato fin troppo.
Non rispose subito. Stava pensando se fosse adeguato fargli il gioco, oppure starsene zitta come farebbe una persona saggia. Ma lei non era di certo il tipo da starsene buono come un cavallo addestrato, tutt'altro... se c'era qualcuno che doveva fare il passo indietro di sicuro era lui.
«Allora dovresti ripensare sulle azioni che hai commesso». Suonò come una nota stonata.
«A cosa ti riferisci?» aveva chiesto con aria indifesa, come se non sapesse di cosa stesse parlando.
A questo punto Oscar si alzò in piedi, più furiosa che mai. Senza ombra di dubbio l'aveva sfidata. Non capiva quando André avesse iniziato ad andarle contro, anziché confortala. Su quale base aveva assunto tale sicurezza?
Con quel gesto voleva pesare tutta la sua autorità. Era necessario avere un comportamento superiore se voleva batterlo.
André la imitò e in una attimo la raggiunse, poi la superò. Era evidente che fosse più alto di lei, ma questo non la turbò. Come una bambina capricciosa si mise lo sgabello sotto ai piedi e ci salì sopra, sollevandosi e superandolo di nuovo. Era una specie di tiro alla fune, solo che stavolta il traguardo era l'altezza anziché la forza.
Adesso André si mise in punta di piedi, nascondendo un sorriso che per poco non gli sfuggiva. Cercava di rimanere quanto più serio possibile, mentre Oscar prendeva la questione molto seriamente. 
Ne aveva abbastanza. Cominciava a scocciarsi. Alzò anche lei i talloni, ma una fitta proveniente dalla caviglia impedì ad Oscar di diventare più alta di André.
Scoppiò a ridere, non riuscendo più a trattenersi. «Basta, hai vinto» si arrese, pur sapendo di dire il contrario.
Nel frattempo lei mise il broncio e incrociò le braccia con fare infantile.
«André! Si può sapere perché non stai curando Madamigella Oscar?» si aggregò anche Nanny, che svelta prese il mattarello - non risparmiando le misure necessarie - da un cassetto per tirarlo in testa a suo nipote.
Ma André fu veloce e mancò il colpo di sua nonna. Conseguì una rincorsa tipica del gatto e il topo.
«Vieni qui! Se ti prendo...» avvertì Nanny mentre si mangiava le unghie per la rabbia.
Intanto Oscar se la rideva sotto i baffi, stando seduta sull'angolo del tavolo ed osservando lo spettacolo divertita.

Era distesa supina sul letto a baldacchino. Stringeva la mano fasciata tra le finiture delle bende che sua nonna aveva avvolto con diligenza. Pensava di essere felice in quel momento. Tuttavia c'era qualche cosa che le impediva di esserlo per davvero, e le pesava sul cuore. Non riusciva ad immaginare ciò che sarebbe accaduto da ora in poi, ma forse era meglio così. Il futuro le avrebbe sicuramente guardato le spalle.
Sentì bussare alla porta, e subito dopo la voce di Nanny irrompere grezza nel silenzio della stanza. Suo padre l'attendeva nelle proprie stanze. Questo non la fece impensierire ulteriormente, poiché ne aveva già parlato a proposito di quello che la preoccupava. Eppure c'era qualcosa che le sfuggiva...
Chiuse la porta dietro di sé e stette per un momento ad osservare il Generale: chino sullo scrittoio mentre scriveva qualche cosa di importante... una lettera pareva.
Quando il generale s'accorse che sua figlia aveva fatto capolino gli si illuminò il volto, ma era una luce diversa da quella naturale.
«Prego, accomodati» le fece segno di sedersi sulla sedia di fronte alla scrivania.
Prese dal cassetto dello scrittoio una busta e la fece aprire a nome di sua figlia.
«Che cos'è?» aveva chiesto curiosa. Ma il generale non rispose, annuì soltanto. E Oscar obbedì.

Quando lesse tale e quali parole riportate dalla lettera che le aveva allungato suo padre pensava si trattasse di un burbero e scandaloso scherzo. Dopodiché lo fissò negli occhi e, considerando la sua disinvoltura, credette di trovarsi in un incubo oppressivo. Il peggiore degli incubi. E se era cosciente in sogno valeva la pena tentare di tornare alla realtà nel modo più semplice in assoluto: dandosi un pizzicotto.
Allentò il bottone che chiudeva la manica della camicia e, senza farsi vedere da suo padre che continuava ad osservarla, si pizzicò sul polso con le unghie, lì dove captava il punto più sensibile.
- Dio, - pensò Oscar spalancando gli occhi incredula - è tutto vero -. 
Posò bruscamente il foglio sul ripiano di legno, di fronte allo sdegno di suo padre; finalmente era tornata nella realtà dal mondo dei sogni.
«Che significa?». Il tono autoritario alterava di non poco il temperamento del generale, che si apprestò nel divenire serio per il mancato rispetto.
Si alzò in piedi come se volesse essere onnipotente su tutto e su tutti. «Lo hai voluto tu, Oscar» la incolpò sagacemente. Aveva il fiuto di una volpe.
Oscar la prese come una sfida. Ma prima che potesse ribattere le rubò quell'attimo che poteva impiegare urlandole contro, ma risparmiò la predica.
Concise le mani dietro la schiena - usuale abitudine - e si diresse ad osservare il paesaggio alla finestra.
Del tutto diverso era il tempo al di fuori di quella stanza, tanto che si poteva delineare una retta immaginaria: all'interno tuoni e fulmini, mentre all'esterno cinguettii e cielo sereno.
Oscar si elevò sulle gambe, provando ad appigliarsi alle sue forze con estrema noncuranza per il futuro vicino, simile ad un naufrago che tentava vano di raggiungere la riva.
«Padre» esordì fermamente, ma Reynier non aveva intenzione di tornare in dietro. Se ne stava rigido di fronte ad un mondo del tutto disuguale dal quale si trovava, - per non dire irreale - e le dava le spalle ostinatamente.
«Non devo dirti nulla, Oscar» la ammonì «la scelta è stata tua e come tale va rispettata». La sua serietà non ammetteva obbiezioni.
«Ma...» tentò vanamente un'altra una volta, intanto che fremeva di scoppiare da un momento all'altro. I suoi occhi non seguivano più la figura di suo padre, adesso erano su di un ritratto, mentre ora sul tappeto, e ancora sull'inchiostro della scrivania. Lo stato confusionario in cui si trovava riusciva a farla stordire tanto da offuscarle le idee ed il motivo per il quale era arrivata sino alla disperazione.
«Se non hai altro da dire puoi andare» fu il commento laconico. Suo padre quando voleva sapeva essere letale. Tanto che provò un odio mai provato - fino ad ora - nei suoi confronti, che le fece vuotare il sacco.
«Certo che ho da ridire! Non mi sposerò a quattordici anni e non con una persona che non ho mai incontrato!» tirò fuori dimenticando la vergogna e con chi aveva a che fare, senza farsi troppi pensieri se stava parlando con Suo padre o meno.
I pugni stretti tremavano appena dalla forza che tratteneva con impegno per via della superficiale timidezza. E il suo sguardo, puntato negli occhi turbolenti dell'Alto ufficiale, che nel frattempo si era voltato non appena aveva udito l'impertinenza di sua figlia. In verità rispecchiava l'animo per troppo tempo rinchiuso segretamente.
«Ah» fece suo padre mascherando un sorriso beffardo. «quindi vorrai sposarti un giorno» sembrò una domanda, no, un'accusa, ma il suo tono incolpava una verità nascosta. Una attendibile realtà che doleva e pesava sul cuore.
Oscar bloccò il respiro per l'inappropriata e considerevole richiesta. Non si era mai riposta dentro una situazione del genere, e ora, al cospetto di suo padre non sapeva cosa ribadire per la banale ragione che mai avrebbe creduto saltasse fuori in una discussione simile. Sebbene ci avesse riflettuto parecchie volte per conto delle sue sorelle, date in giovane età come spose a totali sconosciuti, non sapeva dove cercare riparo.
Non poteva prenderla in girò in questo modo. Non se dopo quattordici anni l'aveva allevata come un maschio, e adesso rigirare tutto per un assurdo capriccio. Che senso aveva la sua vita or dunque?
Le pizzicavano gli occhi dalla rabbia repressa e dall'inaspettata richiesta di matrimonio. Come poteva pretendere di obbligarla a scegliere il suo futuro su due piedi? Le stava decisamente chiedendo di reggere il mondo. Ma suo padre era tanto cieco da non accorgersi dei suoi sentimenti, o almeno così credeva.
Vedendola starsene zitta provò ad attaccarla di nuovo, non lasciandole un attimo di tregua. Dopotutto è così che si vince una battaglia: mai indietreggiare e attendere il momento debole per attaccare.
«Ho ragione, vero? Ammettilo, Oscar!» schernì con veemenza. Sembrava la stesse rimproverando. Come quando era bambina e rompeva qualche vaso, oppure lasciava il gatto entrare nelle cucine. Ma stavolta era diverso... lei non aveva fatto nulla di male. Semmai, colui che doveva confessarsi era proprio l'uomo che le stava di fronte in attesa di udire le mancate discolpe di sua figlia.
«No che non è vero! E' solo che...» 
Una lacrima le sfuggì, stozzandole il fiato e svelta si insinuò tra le labbra semi aperte. Tale lacrima per Oscar fu una grazia, perché così facendo aveva accostato - seppur brevemente - l'ira di suo padre, che s'accorse troppo tardi del disastro causato.
Si stava comportando come una tempesta in balia del rancore e della rabbia, scatenando l'iniqua onnipotenza su una città perduta. Quella città era pur sempre sua figlia, che poteva benissimo essere spaesata o decisa. Nulla l'avrebbe cambiata o sradicata.
Ci fu un breve attimo di oblio, che ella colse per uscire dalla stanza e scappare lontano dal salotto che sembrava una foresta distrutta dal temporale. C'erano solo rimasugli e piante abbattute. C'erano alberi maltrattati dal forte vento e gocce fredde che si insinuavano prepotenti tra le fitte foglie cadenti. Più nulla era rimasto in quella stanza, tranne che la pace assoluta.
E si sentiva solo più che Reynier, in mezzo a quella foresta abbandonata. Si sentiva fradicio da capo a piedi, ricoperto di un risentimento simile alla vergogna per aver causato un tale disastro.
Era come se l'avesse cacciata, e in conseguenza si sentiva in colpa. Ma non lo avrebbe ammesso e né mai avrebbe chiesto il suo perdono.
Corse per le scale. Per il pian terreno, trovando la maniglia della porta nonostante le lacrime le offuscavano la vista. Corse nelle scuderie. Ed ora non correva più, ma il suo cavallo lo faceva al posto suo. Cavalcava per le distese praterie come se non vi fosse un domani, mentre pronunciava una patetica imprecazione, accostata da un banale Perché.

Nel momento in cui perdiamo il nostro punto di riferimento ci sentiamo spaesati.
   
 
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