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Autore: Robynn    07/04/2016    1 recensioni
Nella breve parabola della nostra umana esistenza, l'adolescenza è una fase delicata, spesso critica. Per un ragazzo non è facile affrontare le sfide che ogni giorno la vita gli mette davanti, fare quelle piccole e gradi scelte che lo plasmeranno nell'adulto che sarà domani.
Ci vuole coraggio per superare gli ostacoli e ritrovarsi ogni volta un po' più grandi, ma non sempre quando si è molto giovani si è anche coraggiosi. A volte anche un bravo ragazzo prende la strada sbagliata, soprattutto se si sente solo. La solitudine inaridisce il cuore e toglie linfa vitale, a chiunque.
Genere: Generale, Malinconico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo III
I tre moschettieri


Nonno Piero chiamava Marco, Luca e Paolo i tre moschettieri, perché erano inseparabili. Non poteva essere diversamente: frequentavano la stessa classe, abitavano nello stesso quartiere e andavano a giocare nello stesso parco.
Marco conosceva Luca dai tempi dell'asilo. Tra loro era stata simpatia fin dal primo giorno. Marco, timido e a volte imbranato, era estremamente sensibile e si commuoveva per un nonnulla, aveva il pianto facile e per questo gli altri bambini si divertivano a prenderlo in giro, chiamandolo ''femminuccia''.
Luca, al contrario, sapeva mantenere la calma in ogni situazione e cercava di risolvere le piccole contrarietà parlando, senza venire alle mani. Marco lo considerava un ''piccolo adulto'' - lo chiamava sempre con questo nomignolo quando voleva scherzare con lui - e lo guardava estasiato quando sistemava i piccoli prepotenti che ogni giorno tormentavano lui, la femminuccia, con dispetti e provocazioni, ma Luca trovava sempre le parole giuste per quegli antipatici. E non solo le parole.
Mentre va al parco, Marco sorride pensando a quel giorno all'asilo, quando aveva visto per la prima volta Luca picchiare un altro bambino.
Tutto era cominciato quando lui era andato in bagno, mentre Luca lo aspettava nella sala grande per giocare. Si stava lavando le mani quando vide entrare quei tre: Matteo, Lazzaro e Antonio. Erano i bulletti dell'asilo e quelli che lo prendevano in giro sistematicamente.
«Guarda chi c'è qui. Sei solo, femminuccia?» disse Matteo, mentre gli altri controllavano se i bagni fossero vuoti.
Lui si asciugò in fretta le mani. Era terrorizzato, perché doveva passare tra di loro per uscire. Le gambe sembravano diventare di gelatina e il sangue gli pulsava violentemente contro le tempie.
«Lasciatemi passare, io non vi ho fatto niente».
«Fifone, dove credi di andare». Matteo era il più prepotente dei tre e si vantava di essere il capo. Con una manata lo fece cadere per terra. Sentì un gran dolore al ginocchio e la tensione fece il resto: cominciò a piangere senza ritegno.
«Femminuccia, femminuccia. Guardati: fai pena. Devi startene lì sul pavimento, quello lì è il tuo posto».
Cominciarono a colpirlo con calci sulle gambe e sulle braccia. Istintivamente lui si protesse la faccia con le mani.
«Cosa pensi di fare, femminuccia. Sei solo qui, non hai nessuno che ti difenda».
«Non ne sarei così sicuro». Luca era entrato all'improvviso. Non diede tempo ai tre di reagire. Sferrò un gran pugno sul naso a Matteo, che era il più vicino. Questo cacciò un urlo e si tenne stretto con le mani il naso che sanguinava, mentre correva fuori dal bagno come se fosse inseguito da mille diavoli.
Lazzaro e Antonio andarono contro Luca e chissà come sarebbe andata a finire se non fosse arrivata la cavalleria!
«Si può sapere cosa succede qui? Misericordia!» disse suor Agata, guardandolo steso per terra, tutto pesto. Suor Agata era alta e grassa e sembrava un generale dell'esercito. Quando la vide lì, davanti alla porta con le gambe divaricate e le mani sui fianchi, Marco sorrise: erano salvi!
Passarono tutti e cinque il resto del pomeriggio in castigo, ma lui e Luca si divertirono tutto il tempo a raccontarsi l'accaduto almeno un centinaio di volte. Era stata la prima volta che lui aveva visto Luca picchiare qualcuno. E l'aveva fatto per difenderlo!
Con il tempo anche lui aveva imparato a essere meno fifone. Finché rimasero all'asilo non ebbe, però, occasione di dover venire alle mani con qualcuno, perché da quel giorno i bulletti lo lasciarono in pace. Quell'episodio rese la loro amicizia così salda che diventarono inseparabili e Marco poteva godersi beato il suo amico.
Luca gli diceva spesso che loro erano come le due metà di una mela: opposte, ma che si completavano a vicenda. Anche fisicamente erano diversi. Ora Luca è alto, magro, biondo e con gli occhi castano chiaro. Lui, invece, è di statura normale, robusto, con i capelli castano scuro e gli occhi blu.
Avevano conosciuto Paolo in prima elementare. Si era trasferito da un piccolo paesino di montagna, perché suo padre aveva trovato lavoro in fabbrica. Paolo aveva una testa di capelli ricci e fulvi, un viso pieno di lentiggini e due occhi neri sempre pronti a lanciare un messaggio di sfida, del tipo: «Non provocarmi, altrimenti vedi». Era alto e grosso, molto più della media dei suoi coetanei e sembrava divertirsi all'idea di prendere a pugni il mondo intero. Fu proprio così che si conobbero un pomeriggio di agosto lì al parco: con una bella scazzottata.
Lui e Luca stavano giocando a fare i tiri in porta, mentre Paolo - ancora non lo conoscevano, ma era questione di minuti - se ne stava seduto su una panchina lì vicino. Era tutto intento a divorare un enorme panino e li osservava giocare.
Luca fece un tiro troppo forte, sbagliò la direzione e il pallone, neanche fosse telecomandato, andò a colpire Paolo sulla faccia. Il panino volò via e lui schizzò dalla panchina!
«Siete morti!» disse infuriato.
Marco, quando se lo vide davanti più alto di lui almeno di due spanne, pensò che avesse ragione. Ma quando vide quello prendersela con Luca, non ci pensò sopra un secondo: si lanciò sopra quel prepotente, che aveva già steso a terra con un pugno il suo amico e ora gli stava sopra. Lui lo prese da dietro per il collo e iniziò una zuffa in piena regola: volavano calci e pugni. Nessuno dei tre si risparmiò.
Alla fine, dopo dieci lunghi minuti, si ritrovarono distesi pancia in su sull'erba con le braccia e le gambe allargate. Ansimavano ed erano tutti sudati, pieni di polvere e pesti.
Quando finalmente si guardarono, scoppiarono a ridere. Fu l'inizio della loro amicizia. Conoscendolo meglio, loro due scoprirono che Paolo non era quell'orso burbero che voleva sembrare. I suoi modi, spesso troppo sbrigativi e aggressivi, nascondevano un cuore d'oro. Era generoso e si sarebbe fatto in quattro per un amico.
Così erano diventati inseparabili: facevano tutto assieme e ognuno sapeva di potere sempre contare sugli altri due. Per di più li univa la stessa passione: il pallone.
Marco guarda l'orologio. «Per la miseria, sono già in ritardo!». Comincia a correre come una volpe inseguita da una muta di cani imbestialiti ed arriva tutto trafelato al parco. Li trova già lì, seduti su una panchina.
   
 
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