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Autore: acchiappanuvole    19/04/2016    2 recensioni
Dalle gallerie asettiche percorse da gente a maree contrarie, il suono di una chitarra rimbalza sui muri scrostati, vortica nell'aria respirata mille e mille volte, si espande come un richiamo che Reira segue accompagnata sempre da quella infantile, folle, speranza che cancella le leggi divine, le riduce a incubi dai quali è possibile svegliarsi e ritrovare ciò che si credeva perduto.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nana Komatsui, Reira Serizawa, Satsuki Ichinose, Shinichi Okazaki, Takumi Ichinose
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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From: Sa-chan
“…domani alle 19.00, mamma è più
agitata di me! (>_<’)”
Un bacio :*


-Se vuoi posso parlare con lo sceneggiatore e chiedergli di smussare questa parte-
-Non è il caso, va bene così-
-Non mentirmi, Shin. So benissimo che così non va bene-
-Negli ultimi anni ho visto davvero un sacco di  cose, Mai, e dubito che la sceneggiatura di questo film possa  traumatizzarmi. Davvero stai tranquilla. Dopotutto è un bel passo per me, dagli AV alle soap opera ed ora addirittura a roba impegnata. Non ce l’avrei fatta senza di te-
-Certo che ce l’avresti fatta. Io sono solo una manager senza pretese-
-Uff, è sempre stata la tua pecca quella di annegarti nella  modestia-
- Ad ogni modo voglio che stanotte tu ci dorma sopra e rifletta su quel copione, lo sai che quando mi impunto posso far cambiare idea perfino al Papa-
-Ti adoro ragazza quando fai l’agguerrita, è molto sexy! Andiamo a cenare insieme?-
-Mi spiace ma devo supervisionare il girato di oggi e temo non potrò farti compagnia-
-E tipo la terza volta che mi tiri pacco nelle ultime due settimane-
- Prometto che la settimana prossima troverò il tempo. Intanto approfitta per riposare-
-Agli ordini boss!-
-Shin sono seria riguardo quanto detto-
-Lo so e lo sono anch’io. In realtà la vedo un’occasione e un modo sublimale di pensare ai miei genitori come se fossero personaggi inventati. Non preoccuparti per me, Mai-


Non ho mai parlato apertamente del mio passato, credo che certe cose vadano confinate in luoghi dove meno gente possibile possa andare a cercarle. E’ una protezione. Un modo per guardare avanti. Non dico sia giusto ma non dico nemmeno sia sbagliato. E’ solo un modo, un modo come un altro. La tematica che tratta il copione che ho in mano vuole un po’ mettermi a confronto con un’infanzia sbrindellata in striscioline di tempo che ora come ora non mi va di ricucire. L’immagine che ne emerge è quella di mia madre. Un’immagine sbiadita perché osservata attraverso l’opaco specchio del ricordo. “You’re not mine” sembra una canzone. La colonna sonora della mia vita, un dono lontano dato da una donna lontana.
Era diventata pallida e magra, nulla a che vedere con l’elegante e metallica abbronzatura da lampada con la quale Elin Larsoon Okazaki si preparava per qualche settimana, in un’altra vita, a dare il benvenuto all’estate isterica di Stoccolma. Mia madre non cessava di parlare con lo strano linguaggio di coloro che si sono perduti per sempre. Afflitta da quella che i romanzi dell’Ottocento romanticamente definivano “malattia dello spirito”.
Nei rari momenti di lucidità, prima di essere confinata in una casa di cura dove andavo a trovarla nel fine settimana, lei mi chiedeva di mio padre e mi ripeteva continuamente che “avevo avuto un’infanzia privilegiata”, senza rendersi conto che ero ancora un bambino. Poi mi mostrava i quadri astratti che dipingeva in giardino. Lei pensava che fossero figurativi, ma aveva dei dubbi sul fatto che quella macchia turchese –sosteneva si trattasse di mio fratello- le fosse venuta bene, che somigliasse al modello originale “l’elefante che ho dipinto vicino a tuo fratello, no,no,no…non è il dio indiano Ganesh: è Dumbo!” mi spiegava mia madre. Io annuivo senza ascoltarla troppo, la qualità del suo dolore era così magistrale che cercavo di pensare ad altro e guardavo fisso il cartello con l’infermiera che imponeva il silenzio con un indice sulle labbra. Un silenzio artificiale. Quel silenzio sottovuoto degli ospedali con cui si cerca di far dimenticare ai malati il salutare e rinvigorente rumore del mondo esterno.  Terminato il breve programma durante il quale la sua antenna sembrava in grado di emettere e captare segnali più o meno leggibili, per quanto difficilmente credibili, mia madre tornava alla consueta staticità. Tornava al rumore bianco di una follia dalla quale mi salutava con il più dolce dei sorrisi. D’accordo, una storia tragica, gran bel momento da rievocare quando si fosse trattato di sedurre, anni più tardi, senza averne troppa voglia, la figlia traviata di qualche magnate del petrolio; ma non potrei mai definire una cosa simile “un’infanzia privilegiata”, così come non potrei mai svendere mia madre per un paradiso di poche ore; eppure…
Una notte mia madre fuggì dalla sua elegante stanza della prestigiosa clinica e, senza che nessuno riuscisse a spiegarsi come avesse fatto, riuscì ad arrivare a piedi fino a casa e a gettarsi nella nostra piscina. Una sirena che desidera ad ogni costo annegare. Tutto questo accadde il giorno del mio decimo compleanno, un giorno come un altro, nel quale mio padre non aveva risparmiato di ribadire che le condizioni psicofisiche di mia madre erano peggiorate da quando mi aveva messo al mondo.  Ricordo che in televisione davano il primo lancio spaziale con un viaggiatore commerciale a bordo, il giornalista Toyohiro Akiyama* ; la domestica che all’epoca si prendeva cura di me si dichiarò “troppo spaventata per guardare…qualcosa andrà storto e la luna ci cadrà addosso” si affacciò alla finestra e vide che l’acqua della piscina si agitava come se bollisse. Una piscina piena fino all’orlo, una piscina imbalsamata d’acqua, improvvisamente viva.
Lei ed io tirammo fuori mia madre e la stendemmo sull’erba e la guardammo morire come una medusa mentre sentivamo il canto dei grilli e la sirena dell’ambulanza, sempre più vicina, sempre più inutile, e la domestica continuava a ripetere “l’avevo detto, l’avevo detto”.
In quel momento pensai che non sarebbe stato poi così male se tutto fosse finito quella notte: se davvero si fosse alterato il ritmo delle maree per colpa dell’invasione degli uomini lassù; se la sinfonia di un cataclisma universale avesse fatto da contrappunto alla mia tragedia da camera. Mia madre diceva qualcosa a voce molto bassa e io avvicinai l’orecchio alla sua bocca e allora me lo disse e lo sentii. Mia madre ripeteva “You’re not mine…You’re not mine” con voce fredda e senza passione. Poi, devo pensare che fu a causa dello spasmo primo e ultimo della morte e non il prorompere di un odio segreto, mi morse la guancia. Svenni nell’attimo estremo in cui mia madre esalava l’ultimo respiro. Persi i sensi e trovai il sogno di un mondo dove io non esistevo. Un mondo migliore. Un mondo normale come quello di qualsiasi bambino normale.
E’ stato molto più semplice scappare da tutto questo piuttosto che farci i conti. O meglio è stato necessario scappare. Diventare adulto prima di esserlo per davvero, cercare calore in donne che dicevano di amarmi ma delle quali non mi sono mai innamorato.  A parte te Reira, certo.  E tuttavia, tutta questa storia, è solo mia e mia rimane. Qui la confido per la prima ed ultima volta.


Il treno è stramente affollato per quell’ora di sera, pare ci sia una famosa band straniera che si esibirà al Tokyo Dome e nell’aria si respira una certa frenesia.  Misato è schiacciata tra alcuni passeggeri, quando finalmente raggiunge la sua fermata deve farsi largo non poco per riuscire a scendere prima che la porta automatica si richiuda. L’aria di maggio è piacevole, tiepida sulla pelle, il periodo dell’anno che Misato preferisce. Prende del sushi da sporto in uno dei chioschi lungo la via di casa, una porzione soltanto poiché è certa che Shin cenerà fuori e molto probabilmente passerà da qualche altra parte l’intera nottata. L’idea di avere l’appartamento solo per sé la rassicura. L’appartamento è il 205 , terzo piano di una graziosa palazzina di recente costruzione; Misato evita l’ascensore, non sopporta quella scatola claustrofobica, sale velocemente le scale. Non guarda la posta, sa già che per lei non ci sarà nulla. L’appartamento è spazioso, Shin può permettersi l’affitto e lei contribuisce il più possibile, la cucina è angusta ma, nonostante figlia di un ristoratore, Misato non ha alcuna passione per la cucina e lo stesso vale per il suo coinquilino. Il cibo è per di più da sporto o surgelato. Il salotto invece è spazioso, Shin ha voluto un grande divano scuro in netto contrasto con le misure piuttosto modeste del televisore. Misato vi si abbandona sopra, la scatola di sushi sulle ginocchia, accende il televisore e spegne la luce della stanza, il volume completamente azzerato. A Misato non interessano le immagini, le piace solo quel bagliore azzurrognolo che assume la stanza, le ricorda la luce degli acquari, le piacciono molto ma non sa dirsi il motivo, forse perché il resto del mondo può rimanere al di fuori, separato da vetro e acqua, silenzio e tempo. Mangia appena due bocconi di sushi prima di metterlo da parte, l’appetito negli ultimi giorni è nettamente diminuito;  distrattamente gli occhi incontrano lo schermo, Misato trattiene il respiro. Un vecchio video dei Trapnest. Recorded butterflies. Pur non sentendo la canzone e non alzando il volume, Misato riconosce benissimo le immagini. Ren toglie gli occhiali scuri, la guarda,  impugna la Gibson…Misato cambia canale; si riscopre le guance umide e si da della sciocca, quello non dovrebbe essere il suo dolore, quello è il dolore di Nana, un dolore che sua sorella porta con sé probabilmente ogni giorno come un anello nuziale al dito, e Misato si chiede in quale modo si può sopravvivere al dolore, all’assenza di chi si è amato sapendo che non esiste condizione che possa riparare un vuoto simile. La serratura scatta, l’oscurità azzurra della stanza viene annullata dalla forte luce della lampada, Shin è in piedi sulla porta che l’osserva –Che fai al buio?- dice ponendo un grosso borsone sul pavimento.
Misato si asciuga gli occhi rapidamente – Guardavo la tv- dice senza rivolgergli reale attenzione.
-Senza volume?-
-Provo ad immaginare i dialoghi-
E Shin comprende che sottolineare la stranezza della cosa sarebbe del tutto inutile.
-Lo fai anche quando ci sono in onda io?-
-No-
-Ah meno male-
-Non ti guardo proprio- Misato ride e Shin sfodera una maschera di non curanza per non darle compiacimento.
-Sushi?- chiede indicando la scatola abbandonata al fianco della ragazza.
-Così pare-
-Non lo finisci?-
-No-
E senza aspettare altro Shin le siede accanto recuperando la scatola per mangiarne il contenuto.
-Serviti pure mi raccomando!-
-Hai detto  che non lo finisci-
-Piuttosto perché sei già di ritorno?-
-Le riprese sono finite prima e Mai mi ha rispedito a casa. Domani avrò una giornata piuttosto impegnativa,quindi mi spiace  averti rotto le uova nel paniere. Aspetti qualcuno?-
Misato ne è risentita – Quando mai ho portato gente in casa tua, Shin! Io non sono come te!-
-Mica te lo vieto-
-Grazie tante ma no!-
Shin sorride, gli piace punzecchiarla, notare in lei la stessa espressione di Nana quando infastidita e poterne però cogliere le differenze che in Misato sono addolcite, più ingenue e fragili. Condividono l’appartamento da quasi un paio d’anni e Shin fatica a ricordare  le scorribande serali alcoliche prima dell’arrivo della ragazza.
-Hai visto Chikage oggi?-
La ragazza annuisce e al pensiero dell’amica gli occhi si addolciscono – sì, diventa sempre più carina, faticheresti a riconoscerla da quanto è cambiata-
-Le persone non cambiano mai, fingono solo di farlo- lapidario Shin più rivolto a sé stesso che alla sua interlocutrice.
-Come ti pare, comunque ha ottenuto un colloquio alla Happy Berry, un marchio piuttosto famoso qui in Giappone-
-Sì, conosco Miwako Sakurada la direttrice creativa del marchio, potrei metterci una buona parola- Shin trangugia un boccone di sushi – ho posato per la loro linea estiva maschile lo scorso anno-
Misato lo ascolta distrattamente – Credo che Chikage preferisca essere scelta per il suo talento e non per raccomandazione-
-Mi hai frainteso, e comunque la Happy Berry è un’azienda seria, Mikako Koda non permetterebbe mai che qualcuno venisse preso nel suo marchio su raccomandazione, su questo posso metterci la mano sul fuoco. Il mio era solo un suggerimento per dare qualche referenza, tutto qua-
-Allora lo riferirò a Chikage e poi ti farò sapere, potrebbe essere anche l’occasione che vi rivediate, è passato molto tempo dall’ultima volta-
Shin annuisce distratto – Certo, mi farebbe piacere. Non vuoi nemmeno questo con il salmone?-
Sulle labbra di Misato si dipinge un sorriso divertito – Come mai tanto appetito? Hai fatto porcellate sul set?!-
Il ragazzo la fissa con finta aria scandalizzata – Affatto, mi hanno dato addirittura un ruolo molto serio e sfogliando il copione non ho ancora trovato una sola scena di sesso. Non vorrei che questo compromettesse la mia immagine-
-Scemo- Misato si sporge dal divano lanciando uno sguardo al borsone che Shin ha abbandonato a terra – è lì dentro?-
-Non ti do il permesso di frugare tra le mie cose- dice con voce calma e ironica.
Misato lo ignora dirigendosi verso la borsa con una certa impazienza –Dove?-
-Io e te parliamo un linguaggio decisamente differente-
-Dove?-
-Tascone laterale-
Misato sorride –Vedi che era semplice!- e Shin sospira esasperato in risposta.


-Il tuo personaggio indaga sul suicidio della madre-
-Già, è un ruolo piuttosto profondo pieno di flash back e roba simile, credo possa riscuotere successo-
- E tu te la senti di interpretarlo?-
-E’ lavoro, Misato, solo lavoro-
-Non conosco bene i dettagli della tua storia, Shin, ma… non credi che rievocare un dolore non sia la cosa giusta in questo momento-
-E quando può essere il momento?! Tu ed io sappiamo bene come gira il mondo, che non tutte le situazioni sono idilliache. Ieri ti sei arrabbiata perché nessuno di noi riesce a liberarsi del proprio passato, ma mi è venuto il sospetto che nessuno di noi lo voglia veramente-
- Io voglio! Voglio liberarmi di tutto quello che è successo, di mia madre, di Nana, di Takahiro e…-
-Perché non sei andata in ospedale a vedere il bambino?-
- Non lo voglio vedere-
-Hai paura-
-No! Certo che no!-
-E allora perché?-
-Non sono affari tuoi, lasciami in pace!-
- Lo vedi, continuiamo a nasconderci-
Misato si morde le labbra, la rabbia le fa tremare il corpo come un colpo d’aria gelida
-Hai ragione ma… non riuscirei a tollerarlo. Finché siamo distanti va bene, finché mi manda foto per telefono della sua famiglia a me sta bene. Ma non so come reagirei se dovessi trovarmelo di fronte. Vederlo con il bambino tra le braccia, la moglie accanto. Forse sono pazza ma ho paura che finirei col rovinare tutto. Sto cercando di proteggerlo da me e sto cercando di proteggere me stessa-
Shin l’abbraccia, se la stringe contro – E’ lo stesso motivo per il quale cambi canale quando vedi Ren o Nana-
Misato piange e la debolezza di quel momento la fa vergognare profondamente – Mi stavi guardando?-
-Mi dispiace-
- Forse se avessi detto la verità a Nana, magari le cose sarebbero andate diversamente-
-Questo non puoi saperlo-
-Ma posso sentirlo. E mi detesto per questo-
-Non è cercando di emularla che arriverai a capirla, Misato-
Misato si distacca bruscamente – Pensi che io stia cercando di emularla? E tu non fai forse la stessa cosa con Ren!? Non mettere sul piano le debolezze degli altri per nascondere le tue, Shin! Non sopporto tutto il tuo self-control, quel modo distaccato di guardare il mondo. Perché non parliamo di Reira! Perché non parliamo di quel copione!-
-In questo somigli a tua sorella veramente. Tenti di dirigere il colpo su qualcun altro quando per te è troppo da sopportare-
Misato si alza, con un colpo brusco fa volare la scatola del sushi che rovina sul pavimento – Non parlare di Nana!-
-Di cosa vuoi parlare allora, di me? Eccomi! Sono esattamente quello che vedi e rispecchio ogni meschinità che pensi. Sono scappato dalla morte di mia madre, dalla mia famiglia, dal dolore di Ren e dalla donna che amavo… mi chiedi se un copione mi farà rendere più consapevole di questo? Ne sono già consapevole benissimo!-
Misato avverte il cuore fare male ma non può placarsi – E quindi questa cos’è una gara a chi di noi ha paura d’essere il meno incompreso?! –
Anche Shin ora si alza, le sta di fronte, i lineamenti tesi – sei tu che giochi a fare l’incompresa e ti terrorizza il fatto che qualcuno invece possa capirti!-
-E saresti tu questo qualcuno?! Mister me ne faccio una a sera per non pensare a quanto disgraziata è la mia vita!-
-Va al diavolo Misato!-
-Vacci tu al diavolo! E’ come se ci stessimo riflettendo nello stesso specchio con la pretesa di essere ognuno dal lato giusto ed io sono stanca! Stanca! Stanc…-
E’ la mano di Shin a stringere con forza e rabbia i capelli neri dietro la nuca, a premere con insistenza le labbra sulle sue, a farla cadere e schiacciarla sotto il suo peso senza che la bocca si allontani dalla sua. E Misato si ritrova a stringerlo forte per le spalle, a sentire la testa dolore e girare e confondersi in un misto di rabbia, malinconia e dolcezza. Shin è intossicante, i suoi occhi sono un mare nordico, la linea sottile del dolore e della salvezza. E stanotte Misato desidera sia salvezza, desidera essere salvata, ed è proprio quando risponde con la stessa irruenza a quel bacio che Shin si allontana da lei. Il tempo di comprendere, di aprire appena gli occhi, di allentare la presa e anelare di affogare di nuovo nel mare.
-Possiamo andare di là, o qui, anche qui va bene- e a quel sussurro di Misato, Shin scuote il capo e si allontana definitivamente.
-Perché?- domanda lei sollevandosi appena da quel vortice di confusione – Perché non possiamo andare oltre?-
-Perché non è la cosa giusta- ribatte lui freddo
E Misato è stordita – La cosa giusta? Io non cerco amore o idiozie da ragazzine! Shin perché non posso essere esattamente come tutte le altre donne che porti qui!?- e quella supplica di Misato per Shin è sintomo di ulteriore rabbia.
-Se davvero hai bisogno di una risposta, Misato,allora è anche il caso che da oggi in poi cerchi un altro luogo dove vivere-




Note: Fortuna che avevo detto che avrei scritto un capitolo più leggero rispetto al precedente ^^” .
In realtà volevo introdurre personaggi a noi noti che non hanno ancora fatto la loro comparsa, tuttavia ho pensato sarebbe stato meglio mettere sul piatto alcune situazioni prima di proseguire.  Il fattore scatenante è stata un’immagine di Shin da adulto, sfido chiunque a non aver pensato la prima volta “cavolo ma è Ren!” ed ho creduto non potesse trattarsi di una casualità. Dopotutto Ren è sempre stato l’idolo di Shin e nel caso specifico ho voluto metterlo a confronto con Misato che già da ragazzina rivelava alcune caratteristiche simili a Nana. Con questo non voglio dire che tra loro potrà esserci un risvolto romantico, non ho ancora le idee chiare su questo punto @_@
Comunque mi piaceva l’idea di utilizzarli come “sottostoria” insieme ad altre che apprenderete a breve. Nel manga la Yazawa ha dato ad intendere che l’infanzia di Shin sia stata molto travagliata, con una madre suicida ed il resto della famiglia che praticamente lo disconosce come membro, ho voluto darne così una mia versione sottolineando come però Shin sia tra i più ermetici personaggi del manga.  Misato invece mi pare più emotiva, fino a quanto ci è stato dato di vedere nel manga la situazione famigliare l’ha parecchio sconvolta, non ultimo l’amore per il fratello maggiore. Probabilmente un brother complex  dal quale non è ancora pienamente uscita.  Ho fatto fare un’apparizione lampo a Mai della quale ho comunque intenzione di trattare perché sarà un’importante tassello della vicenda.

 

 

 

  
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