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Autore: Jules_Weasley    29/04/2016    2 recensioni
La prova del nove è il seguito della OS "Il matrimonio di Bellatrix" (a sua volta spin-off della long "Una strega in famiglia"). Pertanto, prima di leggere questo racconto, dovete aver letto entrambe, altrimenti non si capisce nulla; soprattutto il personaggio di Trixy Zabini e il suo rapporto con Fred Weasley Junior.
Fred e Trixy, dopo due anni, stanno ancora insieme; ma Bellatrix non si decide a parlare con i suoi famigliari e a lasciare Villa Zabini dove, intanto, i preparativi per il matrimonio combinato con Scorpius Malfoy procedono a ritmi serrati, e la data si avvicina inesorabilmente. Trixy, per porre rimedio alla situazione, dovrà trovare una soluzione - e che stavolta sia definitiva...
-DAL TESTO-
"Devo trovare un modo per lasciare casa mia prima di allora. Intorno al Maniero ci sono delle protezioni, ovviamente; ma non è questo il punto. Una volta oltre i cancelli posso Smaterializzarmi quando voglio".
"E allora qual'è il problema?" chiese James. "Puoi andartene anche ora".
"Ieri sono tornata a casa dopo aver passato un po' di tempo da te" e qui si rivolse a Fred, che annuì.
"E allora?" domandò Lorcan, curioso.
"E' successo qualcosa che ha cambiato del tutto la situazione".
Genere: Commedia, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Fred Weasley Jr, Nuova generazione di streghe e maghi, Nuovo personaggio, Pansy Parkinson
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Nessun Incanto è pari alla tenerezza del cuore!'
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Capitolo due: Una vera Zabini




Je Veux d'l'amour, d'la joie,

de la bonne humeur,

ce n'est pas votre argent

qui f'ra mon bonheur

moi j'veux crever la main sur le coeur.
Allons ensemble, découvrir ma liberté,

oubliez donc tous vos clichés,

bienvenue dans ma réalité.*


Zaz – Je Veux




Penny, comodamente seduta nella sua poltrona preferita del salone di casa Shane, stava sfidando Arnold, suo nonno, agli Scacchi dei Maghi – tra l'altro, con risultati pessimi: dopo tre partite, non aveva ancora riportato una vittoria!

"Nonno, posso fare una mossa senza che un tuo pezzo banchetti con i miei?" domandò sbuffando. In risposta ottenne solo la risata allegra di Arnold, che Penny adorava, e che, da sempre, era stata uno dei tratti distintivi dell'uomo, gli occhi fissi sui pezzi bianchi di fronte a sè. La rughe che gli solcavano il viso anziano erano ormai profonde e, in quel frangente, aumentate dallo sforzo di concentrazione. Una, immensa, troneggiava al centro della fronte; Penny poteva quasi sentire il cervello dello sfidante macchinare strategie e trappole per i suoi poveri pezzi neri, già così terribilmente in svantaggio. D'improvviso, l'atmosfera di sfida fu spezzata.

"A tavolaaaa!" strillò Anne dalla cucina. Penny e Arnold sospirarono all'unisono, si alzarono, lasciando la partita in sospeso, e si recarono in cucina. La donna aveva tratti molto simili ad Arnold, sebbene caratterialmente non avrebbe potuto distanziarsi maggiormente dal padre. Se ne stava in piedi con il mestolo in mano, mentre suo marito finiva di apparecchiare la tavola.

"Penny, quella roba non mi piace!" borbottò Anne.

"Quale roba mamma?" domandò innocente, pur sapendo benissimo a cosa si riferisse. Anne le scoccò un'occhiataccia.

"Ah! Devo farmi prendere in giro da una bambina?" .

"Non sono una bambina" protestò Penny, cominciando a tagliare la carne nel proprio piatto. "Ho diciotto anni e mezzo" le ricordò solennemente.

"Questo non significa che tu possa fare ciò che vuoi" obiettò suo padre, ripiegando l'ultimo tovagliolo e sedendosi a tavola. Penny alzò gli occhi al cielo. "Non è proprio il caso di far arrabbiare tua madre" e le fece l'occhiolino.

"Jack!" Anne gli lanciò un tovagliolo appallottolato, sentendosi presa in giro, ma il marito non rispose all'assalto che con una scrollata di spalle. "Comunque" riprese lei, "anche tu papà, non puoi evitare?" e indicò il padre con fare accusatorio.

"Oh, Anne, per piacere! Non stavamo mica progettando armi nucleari, era solo una partita" si difese, ridacchiando. Peccato che Anne fosse sangue del suo sangue e, quindi, altrettanto decisa ad avere ragione.

"Una partita ad un gioco barbaro in cui dei pezzi su una scacchiera si distruggono come se fosse una battaglia vera. È diseducativo per i ragazzi" dichiarò, indicando Penny. Arnold sbuffò e roteò gli occhi, ingollando una polpetta al sugo.

"Ci gioco da quando avevo undici anni" disse Penny, in preda all'esasperazione. Suo nonno, concentrato sul cibo, annuì solo, senza disturbarsi a parlare.

"Questo spiega molte cose" borbottò Anne, caustica. Penny le lanciò un'occhiataccia.

"Sono solo stupidi scacchi, mamma!".

"Sì, ma se qualcuno li vede? Insomma, se entrasse la vicina e vedesse una scacchiera in cui i pedoni si mangiano davvero a vicenda, che le diremmo?" obiettò coscienziosamente. Arnold si pulì la bocca con il tovagliolo e finse di riflettere, portando la mano destra ad accarezzare il pizzetto bianco.

"Beh, esiste l'Oblivion, no?" e qui rivolse un'occhiata eloquente a Penny, che scosse il capo con aria rassegnata.

"Sta scherzando..." tentò di tranquillizzare Anne, sospettosa. "Non lo farebbe per così poco... credo".

"Oh sì che lo farei!".

"Ma nonno! Io sto per diventare un funzionario del Ministero, un Auror!" precisò. "E per legge tu non dovresti dispensare Oblivion a chiunque ti veda incantare una scopa o scorga le figure di una foto in movimento, o, nel nostro caso, assista a questa 'barbarie', come la chiama la mamma" disse indicando la scacchiera, visibile in salotto.

"E cosa, allora?" mugugnò il nonno.

"Lo sai benissimo". Arnold fece spallucce e continuò a mangiare, dato che la provocazione indirizzata alla sua nipotina preferita – nonché unica, ma perché perdersi nei dettagli? - era appena fallita.

"Arnold lo saprà" osservò Jack. "Però io no, spiegamelo".

Penny fu contenta di cogliere l'interessamento di suo padre. Da quando aveva iniziato il corso per Auror e aveva spiegato loro a quali rischi effettivi andava incontro assumendo quell'incarico, Jack ed Anne avevano, dapprima, tentato di tutto per dissuaderla, spronandola a scegliere un'altra professione – possibilmente meno rischiosa. Avevano cercato l'alleanza di Arnold, che però aveva immancabilmente appoggiato la nipote; avevano trovato un buon alleato in James, che tentava ancora di convincere la sua Shane a non immettersi in un campo in cui avrebbe rischiato la pelle tutti i giorni.

Penny però aveva risposto ad ogni loro critica con salde argomentazioni, basate sul fatto che non avrebbe voluto fare altro nella vita e che essere un Auror non è una cosa per tutti; come non è da tutti essere ammessi al corso – cosa che a lei era riuscita.

In seguito, benché non entusiasti della scelta, entrambi si erano impegnati a fondo per conoscere il maggior numero possibile di informazioni sul Mondo Magico, sulle sue tradizioni, leggi e incantesimi vari.

Più volte sua madre aveva avuto occasione di scusarsi con lei per non essersene interessata abbastanza durante i primi anni ad Hogwarts. Comunque, da quando Penny si era messa con James, i contatti tra le due famiglie erano abbastanza frequenti. Le differenze, più evidenti che mai, non facevano altro che arricchire entrambe.

I Weasley-Potter sarebbero sempre sembrati oltremodo chiassosi ad Anne e decisamente strani a Jack. Erano un clan: si allargavano a macchia d'olio e inghiottivano ciò che incappava nei paraggi, come un buco nero.

Queste erano le parole di suo padre, ma Penny sapeva il significato che nascondevano: la famiglia di James era capace di accogliere come nessun altra al mondo. E lei li amava per questo. Tra di loro c'erano anche Rose e Al, i suoi migliori amici.

Ne amava uno in particolare, però.

"Beh, ci sono leggi complesse nel mondo della magia" iniziò. "Sai, cavilli burocratici simili a quelli babbani. Per legge" e scoccò uno sguardo di rimprovero al nonno, che le sorrise bonariamente, "dovrebbe chiamare una squadra speciale di Obliviatori, facente parte dell'Ufficio per la Rimozione della Magia Accidentale".

"Oppure, puoi eseguire l'incantesimo in maniera precisa, pulita e veloce, senza mille fastidi" borbottò allegramente Arnold. Penny lo guardò male, ma senza riuscire a reprimere un sorrisetto. Quanto adorava suo nonno!

"Non dovresti ridere, ma denunciarmi o qualcosa del genere" dichiarò lui. "Diventerai un Auror talentuosa, ma, nella pratica, poco rispettosa delle regole, temo" ridacchiò.

Jack seguiva la scena, confuso. Ogni giorno ne usciva fuori una nuova: il mondo magico sarebbe sempre rimasto un mistero. Si chiese come sarebbe stato se anche Anne fosse stata una strega anzichè una Maganò. Fortunatamente sua moglie era babbana quanto lui, due pazzi scatenati in casa erano già abbastanza.

"Lo so" rispose Penny. "James lo dice sempre; e anche il signor Potter".

Harry Potter era responsabile del dipartimento degli Auror e, pertanto, futuro capo di Penny e suo attuale supervisore per alcune delle materie dei corsi che si tenevano all'Accademia. In pratica ora era un suo quasi insegnante e, poi, sarebbe stato il capo – e contemporaneamente suo suocero. A casa era costretta a chiamarlo Harry – sotto minaccia – mentre in contesti formali preferiva 'signor Potter'.

James sosteneva che fosse ridicolo. Ma già... che ne voleva sapere uno che passava la giornata a inseguire un boccino? Dopo aver passato le selezioni per i Cannoni di Chudley – insieme al figlio di Oliver Baston, Sam – era entrato a far parte della squadra come riserva.

Presto però si erano resi conto del loro talento e sia James che Sam, nel ruolo di portiere, erano passati ad essere titolari. Una bella soddisfazione, ma anche un costante impegno che, sommato a quelli di Penny, riduceva drasticamente il tempo da passare insieme. Assorta nei propri pensieri, Penny non udì bussare alla porta.

"Bussano" le fece notare Arnold. Sua madre Anne si era già alzata e, aperta la porta, era rimasta esterrefatta nel vedere... nessuno. Percepì come un fruscio e, richiusa la porta, dal nulla sbucò fuori James Sirius Potter in tutto il suo splendore. Penny gli si lanciò addosso abbracciandolo e lui aumentò la stretta.

"Mi sei mancata".

"Ehi, ma se vi siete visti l'altroieri!" protestò Jack, geloso della sua bambina, come ancora usava definirla.

"Oh, lasciali in pace!" intervenne Anne che, fin dalla prima volta in cui l'aveva visto, nutriva uno spiccato debole per James. Pensava che, sebbene un po' malandrino (e non sapeva quanto fosse azzeccata quella definizione), fosse il ragazzo perfetto per Penny.

"Anche tu" sussurrò lei affondando il viso nel collo di James. Un secondo dopo si staccarono; James sapeva che la sua ragazza non gradiva dare spettacolo davanti ai genitori e, per quanto esibizionista fosse, neppure lui era allettato dall'idea. Ripiegò il Mantello dell'Invisibilità che aveva usato e lo ripose in tasca.

"L'hai di nuovo rubato a Harry?" domandò Penny, senza nascondere il divertimento nella propria voce – del resto non avrebbe potuto rimproverarlo, finché manteneva quella luce negli occhi castani e quella adorabile faccia da schiaffi.

"Ho dovuto, Shane" si giustificò. "Non potevo Smaterializzarmi qui fuori alla luce del sole, no?".

Penny annuì; nel mondo magico era considerato estremamente maleducato Materializzarsi in casa di qualcuno senza avvisare, più o meno come in quello babbano lo sarebbe stato buttare giù la porta a calci – motivo per cui James non ci aveva neppure pensato.*

"Scusate l'improvvisata" fece Potter, rivolto alla madre della sua ragazza.

"Non dire sciocchezze!" disse Anne. "Tu qui sei sempre il benvenuto, come tutti gli amici di Penny". A quelle parole James si illuminò e ringraziò con uno dei suoi sorrisi, quelli che da anni – e ancora – mandavano in fibrillazione il cuore di Penny Shane. Anne, ovviamente, rispose con un sorriso altrettanto caloroso, per poi sparire in cucina borbottando qualcosa su quanto fosse carino quel ragazzo.

"Ehm, a proposito di amici..." disse James, rivolto alla ragazza.

"Cosa succede?" sbuffò Penny. L'espressione di Potter, infatti, non prometteva nulla di buono.

"Ehm..." Un mugugno, seguito dal silenzio, non fu certamente d'aiuto a Penny, che si spazientì. "James Sirius Potter! Ho chiesto c-o-s-a!" mugghiò, incrociando le braccia al petto, in attesa. James si grattò la nuca, a disagio.

"Alice Paciock ha indetto una riunione speciale per affrontare un problema" spiegò.

"Non ha specificato di chi?".

"No, sai com'è Alice".

"Cioè ignori chi sia il destinatario dell' Intervento?" chiese sbalordita.*

James annuì confusamente, senza poter replicare. Alice aveva mandato un gufo a tutti dicendo che c'era urgente bisogno di uno dei loro Interventi e che si sarebbero riuniti a casa di Penny.

"Perché io non lo sapevo?" chiese.

"Nemmeno io fino a trenta minuti fa" precisò James. "Ha avvisato Trix e Albus, che ha avvisato Rose, che ha avvisato Lorcan, che ha avvisato me" concluse. "Dimmi se è normale che mio fratello avvisi prima Rose che me!" borbottò.

"Magnifico, ma io sono la proprietaria di casa, e sono l'ultima a saperlo" protestò.

"Mi spiace Shane, ma ci tocca andare di sopra e aspettarli. Si Materializzeranno lì tra venti minuti circa" la informò. "Ordini supremi".

Penny mugugnò qualche spiegazione ai genitori borbottando più volte il nome di Alice e cominciò a trascinare Potter su per le scale, diretta alla propria stanza. Entrarono e si richiusero la porta alle spalle.

"Merlino, dev'essere grave..." fece Penny, arrotolandosi una ciocca dei lunghi capelli neri tra le dita, subito scostate da James.

"Sono geloso" bofonchiò. Il malizioso scintillio nei suoi occhi, come quel maledetto sorriso, avevano sempre il pieno controllo sul battito cardiaco di Penelope, e la cosa la preoccupava non poco. "Solo io posso toccarti i capelli" le disse, sostituendo le dita di lei con le proprie, in una morbida carezza alle alle lunghe ciocche corvine. Adorava accarezzarle i capelli, ancor di più perché sapeva che era l'unico a cui lo concedesse; tutti gli altri, se tentavano di toccare i capelli a Penny, venivano etichettati come 'persone moleste – stare alla larga'.

"Shane" sussurrò James a una Penny in estasti, gli occhi chiusi e sul punto di fare le fusa.

"Mh".

"Stai mugolando" disse ridacchiando.

Lei spalancò gli occhi, due fanali verdi che ogni giorno lo facevano innamorare ancora e ancora; James era sicuro che non avrebbero mai smesso di coglierlo di sorpresa, neppure da lì a quarant'anni.

"Sai Shane, mi fanno sempre lo stesso effetto..." disse, e lei non ebbe bisogno di chiedere il soggetto della frase. "Sono così verdi, limpidi, non so come io possa aver passato sei anni senza fissarti per tutto il giorno, avvicinarmi e guardarti così" continuò, a un soffio dalle sue labbra. "Credo che rimarrò sempre incantato, anche quando avremo i capelli bianchi: io sarò un Cercatore suonato che ha preso troppi Bolidi in testa e tu un Auror svitata come un tappo. Come quel tale di cui parla mio padre, Malocchio Moody" disse, incurvando le labbra in un sorrisetto.

"Non si prospetta una bella vecchiaia" ridacchiò lei.

"Se la passerò con te, non si potrebbe prospettare migliore di così..." sussurrò vicino al suo orecchio.

Penny, a corto di parole, gli buttò le braccia al collo e affondò le mani nei capelli ricci e morbidi del suo James; si sollevò sulle punte e lo baciò. Entrambi avrebbero volentieri approfondito la questione se, in quel momento, non fossero apparse diverse figure all'interno della stanza. C'erano Trixy, Fred, Rose, Lorcan, Albus e Alice.

"Ciao piccioncini!" esclamò Alice.

"Ciao ragazzi!" bofonchiò Penny, staccandosi e incrociando le braccia. "La prossima volta che decidete di autoinvitarvi nella mia stanza, almeno chiedete il mio parere".

"Non c'è problema, non ci serve niente, possiamo sedere per terra" rispose Alice. Penny rimase, ancora una volta, sconcertata dallo nonchalance dell'amica. Bionda e con gli occhi chiari, Alice poteva agevolmente passare per una persona dolce e mite. Dolce lo era con gli amici, quando voleva, ma mite decisamente no (forse lo era solo con le sue piantine e con il ragazzo, ovvero Al).

Aveva sempre mille idee per la testa e le esprimeva, trascinando anche gli altri. Soprattutto se c'era da trascinare gli altri. E, gli altri, erano sempre loro.

"Al, Rose" Penny salutò col broncio i suoi due migliori amici.

"Lo so, non ti abbiamo avvisata. Stavo per mandarti un Gufo, ma poi ho pensato che mio cucino fosse meglio di un gufo". La rossa aveva un'aria contrita.

"Grazie Rose, hai sempre belle parole per me!" bofonchiò James. Rose rise al tono del cucino maggiore. Gli occhi, azzurri come quelli del padre, brillarono, mentre il naso cosparso di efelidi si arricciò in una smorfietta. Lei e James battibeccavano, ma si volevano un gran bene. Come tutti loro, del resto.

"Ora, perché siamo qui?" domandò Fred alla collettività.

"Non ne ho idea" rispose Lorcan. Rose, Penny e James si accodarono alla sola risposta possibile.

"Sono stata io a decidere di riunirci" disse Trixy. "L'Intervento riguarda me". Gli amici rimasero un po' di stucco.

"Ma... solo gli altri del gruppo possono richiedere l'Intervento per un membro che, a loro parere, ne abbia bisogno" precisò Rose, puntigliosa.

"Rose, tesoro, questa storia di Magisprudenza sta degenerando" le fece notare Lorcan, prendendo la mano della sua ragazza. Rose, studiando Magisprudenza, aveva sviluppato la lievissima tendenza a citare regole su regole in ogni dannato contesto, anche quando non se ne sentiva la mancanza.

"Hai ragione, scusa; è la deformazione professionale" si giustificò.

"Resta il fatto" fece Al, "che Trix ha convocato un Intervento per sè".

"No, l'ha fatto convocare a me" precisò Alice. "Su suo suggerimento, ma l'ho proposto io. Serve davvero, ragazzi" disse, sconsolata.

A quel tono, ognuno si premurò di trovare posto: Alice e Al appoggiati al davanzale della finestra; Fred e Trixy sul tappeto bianco al centro della stanza; Lorcan e Rose seduti sulla scrivania di Penny; mentre quest'ultima prese posto sul proprio letto, accoccolandosi accanto a James.

"Dunque, la situazione è grave" iniziò Trixy. "Il venticinque ottobre avrà luogo la cerimonia organizzata dai miei, per il matrimonio mio e di Scorpius".

Un mormorio percorse la stanza. Nessuno si aspettava che fosse una data così prossima; solo Fred ne era a conoscenza. Nell'ultimo periodo, Trixy si era rifiutata di dare informazioni precise su quel matrimonio, in linea con la tattica dello struzzo che aveva messo in pratica (in maniera del tutto fallimentare, peraltro).

"Si avvicina" commentò Rose, poco rassicurante.

"Ci andrai?" chiese Lorcan.

"No!" esclamò. "Devo trovare un modo per lasciare casa mia prima di allora. Intorno al Maniero ci sono delle protezioni, ovviamente; ma non è questo il punto. Una volta oltre i cancelli posso Smaterializzarmi quando voglio".

"E allora qual'è il problema?" chiese James. "Puoi andartene anche ora".

"Ieri sono tornata a casa dopo aver passato un po' di tempo da te" e qui si rivolse a Fred, che annuì.

"E allora?" domandò Lorcan, curioso.

"E' successo qualcosa che ha cambiato del tutto la situazione".

"Racconta" la incoraggiò Penny, seria.

"D'accordo" rispose Trixy, rivedendo davanti a sè la scena del pomeriggio precedente.





Smaterializzatasi da casa di George e Angelina Weasley, sentì uno strappo all'altezza dell'ombelico e, dopo essere stata risucchiata nel vuoto, riapparve davanti al cancello di Villa Zabini, ancora sorridente per il tempo passato con Fred. Presagiva che di lì a poco il suo buon umore sarebbe scomparso, come sempre quando metteva piede in quel luogo, ma si sbagliava di grosso.

Oltrepassò il cancello, attraversò il grande giardino e si fermò un attimo a scrutare la casa, immersa nel verde lussureggiante, scuotendo la testa con aria rassegnata. L'edificio, visto da fuori, era tanto ameno quanto in realtà era freddo e spoglio all'interno. Cioè, non che fosse realmente spoglio – c'era ogni genere di suppellettile e ornamento possibile. Semplicemente, il crepitio del caminetto non rendeva quel luogo 'casa', come invece sembrava fare dai Weasley; così come la condivisione di tre pasti al giorno non rendeva gli Zabini una famiglia.

Entrò in punta di piedi nell'immenso androne e si avviò velocemente su per le scale, desiderosa come non mai di andarsi a rinchiudere in camera propria e uscire dì lì alla fine del secolo. Purtroppo, la voce di suo padre risuonò fredda tra le pareti dell'ingresso.

"Bella" la chiamò dall'altra parte della sala.

"Padre..." mormorò lei, bloccandosi sul posto. Quando parlava di suo padre con altri si riferiva a lui con il nome di 'Blaise', ma in sua presenza era obbligata a fingere di essere ancora una figlia, per lui. Era chiaro come il sole, a chiunque, che gli Zabini avevano un figlio solo – ed era Daniel. In primo luogo perché era un maschio e, come tale, avrebbe portato avanti il cognome. In secondo luogo, era obbediente e animato dagli stessi 'sani principi' di Blaise e Pansy. Infine, a differenza della gemella, era stato Smistato in Serpeverde ed era molto amico di Scorpius Malfoy – Trixy non aveva ancora capito perché non lo facessero sposare a lui, se si volevano tanto bene.

"Vorrei parlarti" dichiarò Blaise. La ragazza si girò verso l'uomo e si avvicinò a lenti passi, cercando disperatamente un modo di fuggire da quella situazione.

"Veramente..." provò a svicolare. Non le andava per niente di fare conversazion, di sicuro non con suo padre.

"Non ammetto repliche" disse Blaise.

E quando mai ne hai ammesse, papà?!, si chiese lei.

Gli occhi neri come carbone, dalla forma allungata, erano simili a quelli di Trixy. Grazie a Godric, però, si differenziavano dai suoi – caldi ed espressivi – per lo sguardo glaciale che rimandavano a chiunque li incontrasse a mezz'aria, compresa sua figlia – soprattutto sua figlia, che, tra quelle mura, rappresentava ciò che di più odioso ci fosse all'esterno. Trixy era riuscita a concentrare in sè tutto quello che Blaise considerava un disonore. Purosangue rinnegata, amica dei peggiori traditori del loro sangue, babbanofila, riottosa e, come se non bastasse, Grifondoro. La figlia perfetta, insomma.

Benché contrariata, Trixy seguì ugualmente suo padre nello studio. Ogni volta che voleva parlare a lei o a Daniel, lo faceva in quella stanza – e, di solito, non erano mai buone notizie. Sperò ardentemente che quella fosse la classica 'eccezione che conferma la regola'.

Suo padre la precedette nella stanza e, non appena si fu richiusa la porta alle spalle, Trixy si sentì a disagio. Aveva sempre odiato la mobilia scura dello studio e l'atmosfera opprimente che vi si respirava.

Dopo un minuto, Bellatrix e Blaise si fronteggiavano senza proferire verbo, ai due lati della scrivania di quest'ultimo. Era curiosa di sapere cosa volesse dirle con tanta urgenza, ma allo stesso tempo non le andava di stare a sentire, perché probabilmente era qualcosa che aveva a che fare con Scorpius Malfoy e il loro maledetto matrimonio; e lei ne aveva abbastanza di sentir parlare di quell'idiota platinato e della sua magnifica, ricca e potente famiglia. Alla fine, Blaise si schiarì la voce e iniziò a parlare con tono solenne e molto, molto serio.

"Ora che stai per sposarti, Bella, devo contribuire in qualche modo al bilacio della casata Malfoy" esordì, pomposo. Lei faticò a trattenere uno sbuffo.

"Credevo pagassi già il matrimonio..." Sollevò un sopracciglio, senza capire dove Blaise volesse andare a parare.

"Certo" rispose con un gesto insofferente, "ma devi anche portare una certa 'dote'..." la informò. Dote? Era serio?

Le sembrò di essere precipitata nel Settecento solo ascoltando quella frase. Poi ricordò che in effetti il suo era un matrimonio combinato, proprio come quelli settecenteschi. Un'unione di sangue, patrimoni e casate.

Mentre pensava a questa triste verità, vide suo padre estrarre dal cassetto della scrivania una scatolina d'avorio intagliato. Non l'aveva mai vista prima, e si chiese cosa contenesse.

La risposta giunse subito: Blaise ne tirò fuori una chiave dorata, che aveva l'aria di essere un oggetto importante, vista la cura con cui la maneggiava.

"Questa" le spiegò, "è la chiave della tua camera blindata, nei sotterranei della Gringott". A Trixy parve impossibile di aver udito quelle parole. Come diavolo era possibile che avesse una camera blindata senza saperlo?

"La mia camera blindata?" ripetè spalancando gli occhi, esterrefatta.

"Già" confermò Blaise, con aria tranquilla. "Quando siete nati, mia madre, cioè tua nonna, ha destinato una consistente somma di danaro sia a te che a Daniel" la informò – con soli diciotto anni e mezzo di ritardo.

Trixy nutriva fondati sospetti che se la Vedova Nera (soprannome che trovava particolarmente azzeccato da affibiare a quella donna orribile) avesse saputo che sua nipote sarebbe entrata in Grifondoro, si sarebbe risparmiata la fatica di intestarle dei soldi. Un secondo dopo, suo padre stesso confermò la teoria.

"Voleva privartene quando sei stata smistata in quella sudicia torre rosso-oro, ma erano fondi vincolati all'intestatario. Il che significa che solo tu, se avessi voluto, avresti potuto ritirarli al compimento dei tuoi diciassette anni" spiegò con calma.

"Cosa?!" domandò, furiosa. "E non mi hai detto niente fino ad oggi?".

Blaise si accigliò, come se la rabbia della figlia fosse del tutto ingiustificata e, probabilmente, era così che la pensava.

Era ovvio che Bellatrix non meritasse del danaro da spendere, considerata la natura problematica dei suoi rapporti esterni alla famiglia e le sue idee inappropriate.

"Avrei dovuto darti la chiave il giorno del tuo diciassettesimo compleanno, Bella; Daniel ha già la sua" riprese senza fretta. "Ma sei sempre stata così ribelle, babbanofila e maledettamente Grifondoro che io e tua madre abbiamo ritenuto inopportuno rivelarti l'esistenza della camera blindata 271" concluse, come se fosse un comportamento perfettamente logico. Inopportuno, aveva detto.

Era frustrante, per Godric! Aveva una camera blindata piena di soldi – e Merlino sapeva quanto avrebbero fatto comodo – e la chiave se ne stava beata lì a saltellare da un dito all'altro di suo padre.

"Ora" continuò l'uomo, "io e Pansy concordiamo che da ultimo sei leggermente rinsavita e che, con un opportuno taglio delle tue bieche frequentazioni" aggiunse con espressione schifata, "potrai essere degna del nome Malfoy".

Trixy dovette mordersi la lingua a sangue per non rispondere con qualcosa di tagliente e irrispettoso, e si costrinse a lasciarlo parlare. Prima o poi gli avrebbe detto chiaro e tondo dove potevano infilarsi il loro nome, i Malfoy.

"Pertanto" riprese Blaise, "ho deciso di consegnarti la chiave oggi; perché tra quindici giorni ti sposi e voglio concederti fiducia".

Trixy non riuscì neppure ad aprir bocca, incredula. Suo padre voleva consegnarle la chiave della camera blindata? Voleva 'concederle fiducia'? Era davvero possibile che avesse avuto un tale colpo di fortuna?

Una parte del cervello della ragazza provò una gioia intensa e selvaggia nell'udire quelle parole: era libera, libera da ogni costrizione.

Un'altra parte, forse trascurabile, si sentì in colpa per quella 'fiducia' che avrebbe probabilmente tradito. Perlomeno, se voleva essere felice. Le tornò in mente la conversazione che aveva avuto con la sua migliore amica, Alice Paciock, circa due anni prima*. Le aveva detto che prima dei doveri verso la famiglia – quelli che le avevano inculcato a forza – c'era, verso se stessi, il sacrosanto dovere di cercare la felicità. E ora che Trixy l'aveva trovata, non aveva intenzione di lasciarsela sfuggire.

Il suo banco di prova era arrivato, la prova del nove – vista la data era proprio la definizione adatta. Se fosse riuscita a superare quello scoglio, il mare aperto e azzurro era proprio lì ad attenderla. E rispondeva al nome di Fred Weasley Junior.

Per una volta avrebbe contato sui suoi geni Serpeverde; doveva pur aver ereditato un briciolo del menefreghismo che contraddistingueva tutti i membri della sua famiglia! Se ne sarebbe fregata di tutto e avrebbe puntato dritto al proprio obiettivo, senza voltarsi indietro, senza rimpianti. Per una volta nella vita – una sola – Trixy avrebbe dovuto agire come una vera Zabini.





"Che c'è da discutere?" chiese Lorcan alla fine del racconto. "Mi sembra tutto chiaro, no? Quelli sono i tuoi soldi, ti tieni la chiave, fai un bagaglio leggero e vai da Fred".

"Non credo che per Trix sia così facile" intervenne Rose, guardando l'amica, che annuì.

"Pensavo, non lo so... credete che dovrei lasciar perdere?" domandò, mordicchiandosi il labbro inferiore.

"Aspetta... che?" chiese James. "E sposarti?".

"No, no... Solo, lasciar stare la chiave; andarmene e basta". Nessuno fiatò per un attimo, tutti intenti ad esaminare l'opzione. Alla fine, fu Penny a rompere il silenzio.

"Mi sembra una grandissima cavolata".

"Sono d'accordo" si accodò Al, subito seguito da Alice. In breve fu chiaro che nessuno la riteneva una buona soluzione.

"Non capisco perché dovresti fare una sciocchezza simile..." disse Rose, con tono ragionevole. "La camera blindata appartiene a te; è inutile fare la Grifondoro dura e pura. Anche lasciandoli dove sono, Blaise e Pansy non potrebbero utilizzarli, in quanto essi sono fondi vincolati a te".

"Rose ha ragione" le diede manforte Penny.

"Penny ha ragione a dire che Rose ha ragione" aggiunse Albus, sintetico.

"D'accordo ragazzi, avete reso chiaro il concetto".

"Mi stupisco che ci sia qualcosa da dover rendere chiaro" obiettò James. "Insomma... quei soldi sono tuoi dalla nascita, tu devi andartene perché loro ti hanno messo in condizione di farlo..."

"E quindi ne hai bisogno per darti la spinta per la tua nuova vita" aggiunse Penny, annuendo alle parole del suo ragazzo. "Ti servono e ti spettano, mettitelo in testa. Non stai facendo un torto a nessuno. Sarebbero soldi buttati".

"E resterebbero in mano alla Gringott" le tenne bordone Albus.

E quando Rose, Al e Penny insieme tentavano un'impresa, era quasi matematico che la portassero a termine. In capo a cinque minuti Trixy, seppur non entusiasta, pareva totalmente persuasa della assoluta necessità di quell'azione.

Abbandonare la chiave al proprio destino, lasciare che si impolverasse nella scatolina d'avorio – senza che nessuno potesse far fruttare i beni che custodiva – non aveva alcun senso.

Certo, i soldi non le avrebbero mai dato la felicità – se l'avesse creduto possibile le sarebbe bastato restarsene a casa propria, immersa nel lusso. Ma qui non si trattava del vile danaro; si trattava della possibilità di essere libera; si trattava di un'opportunità unica per raggiungere la tanto agognata indipendenza economica.

Scoprendo quel conto, aveva trovato una miniera di libertà, più che di oro. Da questa sensazione – e non tanto dalla possibilità concreta di accumulare beni materiali – derivava la felicità. Quelli erano un mezzo, non il fine. Un mezzo per un progetto di vita che aveva in mente per sè. Ovviamente, insieme a Fred.

"Resta solo la questione del come tagliare la corda" disse Alice, pensierosa.

"Ovvero?" chiese Lorcan, aggrottando le bionde sopracciglia.

"Fred ritiene che non sia saggio affrontare i miei a viso aperto" spiegò Trixy. "Così Alice ha suggerito che potrei lasciare una lettera". Nel dirlo, si mordicchiò le labbra, nervosa.

"E che c'è che non va?" domandò Penny, notando il gesto. Trixy la guardò negli occhi, sospirando.

"Ma niente, è che mi sarebbe piaciuto andarmene alla luce del sole".

"A mio parere, valutando i rischi, non ti conviene" obiettò Penny, pratica. Sembrava essere entrata in modalità Addestramento Auror. "A Villa Zabini possono bloccarti e intralciarti, se li affronti verbalmente. La cosa migliore è lasciare una lettera in cui spieghi tutto e basta, non c'è nient'altro da fare se non aspettare il momento propizio, possibilmente prima del venticinque ottobre, e andartene. Non hanno alcun potere decisionale su di te". Penny aveva perfettamente ragione, e Trixy ne era consapevole.

L'idea di scappare senza rifacciare ai coniugi Zabini i motivi che l'avevano costretta a una scelta così drastica, la infastidiva. Ma l'avrebbe infastidita molto di più essere Schiantata e fatta oggetto di una qualche fattura durante la 'fuga'. Non se ne parlava proprio, no.

Avrebbe lasciato una lettera ricca di rancorose spiegazioni e avrebbe atteso il momento propizio per abbandonare Villa Zabini. James propose scherzosamente una votazione, sapendo già il risultato che avrebbe comportato.

"Quanti a favore di un confronto incivile e rischioso tra Trix e i suoi?" domandò Alice, rivolta all'uditorio.

"La domanda mi pare posta in maniera lievemente tendenziosa..." Rose sembrò dissentire dallo stile dell'amica.

"Oh, Rose, chiudi il becco!" la zittì Alice, alzando gli occhi al cielo. "O giuro che ti brucio tutti i libri di Magisprudenza!" aggiunse. "Dicevo, quanti a favore?".

Nessuna mano si alzò, e Alice parve soddisfatta.

"E quanti" riprese, "a favore di una lettera chiarificatrice e molto più sicura benché altrettanto efficace?".

"Però Rose non ha tutti i torti" sussurrò Al a Penny. "E' davvero tendenziosa".

"Shhh!" sibilò Penelope, sperando che la piccola Paciock non lo sentisse, ma senza trattenere un sorrisetto. Poi, tutte le mani si alzarono alla domanda posta da Alice.

L'Intervento era concluso; ora Trixy conosceva il parere uffciale dei suoi più cari amici. Le restava solo da affrontare i propri demoni; avrebbe dovuto scendere a patti con essi, e avrebbe dovuto farlo da sola.



***



In capo a una ventina di minuti, James e Penny erano di nuovo soli nella camera di quest' ultima. Appollaiata sulla spalla della ragazza c'era Janny, la sua Puffola Pigmea. Sorrise: ogni volta che la guardava ricordava il giorno in cui James gliel'aveva regalata.*

"Te lo immagini? Se tutto va bene, Trixy e Fred andranno a vivere insieme" disse lei. James ridacchiò.

"Invidiosa?".

"Un pochino" ammise, distogliendo lo sguardo e arrossendo lievemente. Avevano solo diciotto anni, ed era ancora presto per pensare al futuro. Perlomeno, per loro due lo era. Per Trixy e Fred il discorso era differente; ma Penny non aveva una famiglia opprimente che progettava di maritarla a qualcun altro che non fosse James.

"Prima o poi" replicò lui.

"Prima o poi cosa?" chiese, divertita.

"Anche noi, no?" disse James, ovvio. "Almeno, lo spero". Penelope gli fece un gran sorriso e si alzò per posargli un bacio a fior di labbra, affondando le mani nei ricci castani che tanto amava.

"Ma non dici sempre che diventerò un Auror con le rotelle fuori posto, Potter?".

"Senza dubbio" confermò ridacchiando.

"E mi vorrai ancora, nonostante questo?".

"Soprattutto per questo, Shane".



***



"Ti è servito parlarne?" Fred, seduto sul proprio letto, stava massaggiando le spalle a Trixy. "Sembri parecchio tesa".

Subito dopo l'Intervento erano tornati a casa – cioè, casa di George e Angelina Weasley. I genitori erano entrambi al lavoro; suo padre al negozio e sua madre al campo da Quiddich dove allenava una squadra femminile.* Roxana, la sorella di Fred, era rinchiusa in camera propria.

Dunque, i due ragazzi se ne stavano indisturbati nella stanza di Fred. L'ultima cosa che Trixy voleva in quel momento era separarsi da lui e tornare a Villa Zabini.

"Lo sono!" sbottò lei. "Sto per voltare le spalle a tutte le mie belle idee sulla sincerità da Grifondoro".

"Ehi" disse Fred, costringendola a voltarsi, per poterla guardare in faccia. "Non è facile formulare un discorso coerente con te che mi sei spalmata addosso, ma ci provo" esordì. "Tu sei migliore di loro, indipendentemente da una stupida lettera. Non si tratta di coraggio, bensì di buonsenso. Non puoi rischiare per una cosa del genere. Poi, se ti vorranno parlare dal vivo, ti manderanno un gufo e tu darai appuntamento da qualche parte; possibilmente in un posto affollato" specificò. "So che non rientrava nelle tue aspirazioni andartene alla chetichella, ma non stai rubando nulla. Il contenuto della camera blindata ti spetta di diritto". Trixy si lasciò accarezzare una guancia e sospirò.

"Mi sento come se stessi tradendo la fiducia di mio padre" disse. "So che è illogico, ma una parte di me non può smettere di sentirsi in colpa... e in più, mi dispiace lasciare mio fratello. Nonostante tutto, gli voglio bene". Fred sospirò a sua volta e scosse la testa; poi parlò.

"Ok, fingerò di essere estraneo alla faccenda e ti dirò cosa ne penserei se non mi coinvolgesse da vicino" disse. "Credo che tu debba scegliere il male minore; e ci sono tre possibilità" e qui fece una piccola pausa. "Sposare Scorpius e soddisfare le aspettative dei tuoi, ma non rientra nelle alternative accettabili" e qui le lanciò uno sguardo in tralice che la fece sorridere. "Affrontare i tuoi, con il concreto rischio che tentino di fermarti. Sono Serpeverde, e userebbero con ogni mezzo, mi spiace dirlo".

"Lo so meglio di te" mormorò. "Non li hai elencati, suppongo, per delicatezza; ma sono consapevole che si spingerebbero fino alla Maledizione Imperio".

Qualcuno di estraneo avrebbe creduto che si trattasse di una battuta, ma nessuno dei due rise. Fred si trattenne dal confermare apertamente quell'opzione, ma non la smentì neppure. Non aveva alcun bisogno di mentirle per farla sentire meglio.

"Infine, l'opzione più sensata e anche l'unica praticabile" aggiunse. "Lasci una lettera, vai via, e cerchi di vivere la tua esistenza in santa pace e come più ti piace" concluse. "Scegli e agisci di conseguenza".

"Ho già scelto – e lo sai" affermò con convinzione. "Non mi resta che agire e, ti giuro, lo farò il prima possibile" aggiunse, sporgendosi verso di lui e baciandolo. Sapeva perfettamente che tutte le sue assicurazioni non erano ancora riuscite a dissipare l'incertezza del ragazzo, e la paura che aveva avuto nel vederla tentennare così a lungo. Era certa che le insicurezze sarebbero sparite solo nel momento in cui l'avesse vista varcare la soglia di casa Weasley per rimanerci – cosa che, a maggior ragione, intendeva fare al più presto.

Si girò e Fred riprese a massaggiarle le spalle, ma più languidamente, mentre qualcosa nel suo basso ventre parve risvegliarsi nell'averla così vicina.

"Senti... cosa posso fare per farti smettere di rimuginare?" le domandò, iniziando a baciarle il collo. Lei ridacchiò e reclinò la testa per dargli maggiore accesso alla pelle, piuttosto sensibile in quel punto.

"Non so... prima parlavi del fatto che sono spalmata addosso a te" disse in tono malizioso. "Potresti spiegarmelo meglio" propose, accostandosi di più, fino a far aderire la propria schiena al petto di Fred. A lui sfuggì un basso ringhio di frustrazione: il suo problema erano quei dannati vestiti. Voleva sentire la propria pelle a contatto con quella della ragazza; starle vicino – molto vicino.

"Con piacere" replicò, iniziando a sbottonarsi la camicia. A quel punto fu Trixy a rigirarsi nell'abbraccio e a fermare le mani di Fred, prendendone il posto.

Lo spogliò senza fretta. Un bottone per volta e la camicia fu tolta. Nel frattempo, Fred l'aveva distolta ben due volte dal suo accurato lavoro, per privarla del maglione e della camicetta.

Trixy si sporse per baciarlo a fior di labbra, ma Fred approfondì subito il bacio, che divenne appassionato, sensuale, quasi irruento. Era l'incontro di due persone che avevano temuto di doversi separare e che ora avevano la certezza di potercela fare. Insieme.

Quando si staccarono, col fiato corto, Trixy si distese sul letto e lasciò che Fred le togliesse i jeans, slacciando nel frattempo la chiusura dei pantaloni di lui e facendoli scivolare lungo le gambe muscolose. Rimasero entrambi solo in intimo, ma anche quello non durò molto.

Stavano festeggiando, Fred e Trixy. Festeggiavano come una coppia, insieme. Festeggiavano il passaggio da una vecchia a una nuova vita.

Ci sarebbero state difficoltà, insidie e periodi bui – è così per tutti. Ma niente la spaventava: era Trixy Zabini, e avrebbe dimostrato di poter avere una vita diversa da quella che avevano scelto per lei.

Quasi quasi sentì una fitta di pietà per Scorpius Malfoy, costretto da se stesso a seguire i dettami dei genitori e dei nonni. La sua esistenza era stata così fino ad allora, però mai più avrebbe permesso a qualcuno di imporle i comportamenti da tenere. La vita era sua, e se la sarebbe ripresa ad ogni costo.

Fred la baciò, ancora e ancora. Entrò in lei lentamente, per godersi appieno ogni momento e senza mai distogliere lo sguardo, perso in quello scuro della ragazza sotto di lui. Un gomito sul cuscino e una mano a stringerle i capelli ricci, accarezzandoli, mentre lei affondava le unghie nella sua schiena, rilasciando morbidi gemiti, che dall'orecchio arrivarono dritti al cuore di Fred.

Anche solo sentire il ragazzo sussurrare piano il suo nome, come una dolce litania, rendeva Trixy felice. Felice come non pensava di poter essere.

Fu un amplesso lento, dolce, appagante e meraviglioso; come sempre con Fred. Non si sarebbe mai stancata di accarezzare le sue spalle, o di disegnare immaginari cerchi concentrici sul suo petto nudo, per poi appoggiarvisi ed addormentarsi così. Il pensiero di poterlo fare ogni giorno della sua vita, la rendeva euforica.

Non era certo la prima volta che facevano l'amore, loro due, ma in seguito l'avrebbero sempre ricordata come una delle più belle, perché carica di emozioni sino ad allora trattenute e rilasciate tutte in una volta.

Era stato liberatorio.




***



La luna era ormai alta nel cielo, e Trixy non faceva altro che rigirarsi nel proprio letto, senza riuscire a prendere sonno – andava avanti così da tre giorni.

Ogni giorno si diceva che quella notte sarebbe stata quella buona per andarsene; e ogni sera rinunciava al progetto – con una scusa o un'altra. Una mera e sana vigliaccheria era, ovviamente, la spiegazione più sincera.

Scalciò via le coperte e si mise a sedere sul letto, riflettendo. Si alzò e, a piedi nudi, iniziò a percorrere avanti e indietro il parquet nell'enorme stanza che occupava. Si recò allo scrittoio e aprì un cassetto, da cui estrasse la lettera che aveva preparato – era pronta da ben due giorni.

Era scarna ed essenziale. Del resto, dubitava che, qualunque cosa potesse scrivervi, i suoi genitori avrebbero tentato di comprenderla. Dispiegò il foglio e rilesse, per l'ennesima volta, le parole vergate in bella grafia – la stessa di suo padre Blaise.




A Blaise e Pansy:

Quando leggerete questa lettera sarò già lontana da Villa Zabini. Non sono lieta di dovermene andare di nascosto, ma non mi avete lasciato scelta. Per tale ragione il mio senso di colpa è limitato nel dirvi che non ho alcuna intenzione di attenermi alle vostre richieste nè di sottomettermi alle vostre pretese. Non sposerò Scorpius, non diverrò la signora Malfoy. Mi dispiace comunicarvelo per iscritto. Avrei voluto farlo vis-à-vis, ma ammetto di non averne avuto il coraggio. So che i metodi persuasivi della famiglia Zabini sono sempre stati efficaci, anche se di dubbia moralità – si, padre, qualora te lo stessi chiedendo, mi riferisco alla mia carissima nonna.

In confidenza, non credo che, oltre al danno di immagine per le nozze saltate, la mia perdita vi arrecherà grossi disturbi. Non siamo mai stati una vera famiglia, dopotutto.

La chiave della Camera Blindata 271 viene con me, quindi non sprecate tempo in inutili ricerche. Ho riflettuto molto su questo punto, e sono giunta alla conclusione che, comunque, sono soldi vincolati, che non potreste toccare.

Quindi, non vi creerò neanche danni economici. Forse, in fondo, dovreste essere orgogliosi di me. Per una volta ho agito alle vostre spalle, strisciando come la Serpe che avrei dovuto essere. Un comportamento da vera Zabini, non trovate?

Non mi aspetto che capiate le mie motivazioni; mi contenterò di essere ignorata.


Trixy





Nonostante non fosse lunga nè arzigogolata, a Bellatrix, quella lettera sembrava fin troppo elaborata. Con tutta probabilità, Blaise l'avrebbe accartocciata già alla seconda riga, e Pansy l'avrebbe gettata nel fuoco. Forse nell'ultima parte aveva utilizzato dei toni leggermente velenosi, ma non aveva potuto farne a meno.

Volutamente, non aveva lasciato scritto niente a suo fratello. Ogni cosa le sarebbe suonata come una nota stridente in quella lettera fredda, poiché non poteva negare di provare ancora affetto per Daniel.

I colori delle Case a cui erano appartenuti, uniti ad idee diverse e caratteri agli antipodi, li avevano divisi; ma non riusciva a dimenticare gli anni dell'infanzia in cui, sebbene differenti, erano stati inseparabili. Dopotutto erano gemelli, e una parte di Bellatrix aveva sofferto profondamente quando Daniel, comportandosi esattamente come il resto della famiglia, l'aveva allontanata bruscamente.

Per lungo tempo le ostilità erano state aperte e all'ordine del giorno. Dopo la fine della scuola, invece, le liti erano cessate. Erano rimasti solo l'ostinata indifferenza di lui e il silenzio di lei; non esattamente quello che Trixy avrebbe auspicato dal rapporto con il suo unico fratello.

Tenne in mano la lettera mentre, agitata, si aggirava di nuovo per la stanza. Accarezzò con gli occhi ogni oggetto: il grande letto a baldacchino in legno di noce; lo scrittoio al quale si era seduta tante volte a leggere o studiare – o, negli ultimi giorni, a scrivere e cestinare lettere per i genitori; il velluto scuro delle tende.

Si accostò alla finestra e le tirò, solo per intravedere le stelle e la luna che illuminava il parco e il foglio tra le sue mani. Perfino il drappeggio del tendaggio sembrava ricordarle, nella propria testa, che quello era il luogo in cui aveva vissuto diciotto anni e mezzo – la sua intera vita.

Poi, l'occhio le cadde sullo stendardo di Grifondoro che, anni prima, aveva sapientemente incollato al muro con un incantesimo di adesione.

Merlino! Pansy era talmente infuriata che aveva seriamente temuto per la propria incolumità; ma diamine se ne era valsa la pena! Qualsiasi cosa, all'epoca, sarebbe valsa a vedere quel volto da carlino deformato da sentimenti ostili e, perfino, quello di Blaise – di solito controllato – in preda alla collera. Con nessun incanto avrebbero potuto scollarlo – anche perché neppure lei conosceva il contro-incantesimo.

Ogni mattina, d'estate, si svegliava con un audace leone su sfondo rosso e oro; in tal modo aveva potuto sopportare, negli anni, la lontananza da Hogwarts e dai propri amici.

Quel leone, adesso, sembrava ruggire e dirle: "Ora o mai più!".

"Audacia, fegato, cavalleria..." mormorò tra sè e sè. Tali parole, dette a bocca chiusa, le fecero prendere la risoluzione definitiva: quella stessa notte sarebbe andata via da Villa Zabini.



Si vestì con calma e iniziò a raccogliere le proprie cose nel vecchio baule che usava per andare ad Hogwarts, cercando di non fare baccano. Vestiti, libri e oggetti personali furono disposti con cura nel bagaglio.

Una volta concluso, si sporse fino allo scrittoio e aprì un altro cassettino, speculare a quello in cui aveva conservato la lettera. Lì, nella sua scatoletta d'avorio, giaceva la chiave dorata che apriva la camera blindata.

Trixy si domandò come sarebbe stato andare alla Gringott da sola, trattare con i Goblin – non le erano mai piaciuti, i Goblin – e ritirare del danaro che fosse interamente suo. Per quanto veniale potesse essere quel pensiero, per Trixy aveva il sapore della libertà.

Indossò il mantello sopra ai vestiti e ripose la scatolina in una tasca interna; imbustò la lettera e vi scrisse sopra Per Blaise e Pansy, premurandosi poi di lasciarla in bella vista. Ecco, era tutto fatto. Non le rimaneva che uscire dalla stanza e scendere le scale provocando meno rumore possibile. E così fece.

Giunse alla porta della casa, uscì nella notte ventosa senza la minima esitazione e si diresse, lungo il viale di ghiaia, verso il cancello. Era ad appena qualche metro da quest'ultimo, quando un rumore di passi dietro di lei le gelò il sangue nelle vene.

Chiunque fosse, l'aveva fatto apposta per palesare la propria presenza – poiché, se era giunta fin là senza la sensazione di essere seguita, doveva esser stato molto silenzioso.

Trixy sospirò e si chiese se fosse il caso di mettere mano alla bacchetta, ma vi rinunciò.

Si voltò piano, pronta a scorgere il viso duro di Blaise o gli occhi scintillanti di rabbia di sua madre. La figura che vide, però, non apparteneva a nessuno dei due.

"Vai da qualche parte?" Daniel parlò con voce spenta, secca, ma senza desiderio di schernire o di umiliare, stupendola non poco.

"Hai intenzione di fare la spia?" chiese lei, diffidente. Lui tacque. "Avanti, Dan. Va' da mamma e papà e di' loro che la figlia cattiva sta scappando a pochi giorni dal matrimonio del secolo" lo provocò.

A dispetto delle sue parole, Daniel, di solito irritabile come Pansy, rimase zitto. Trixy mollò il baule e incrociò le braccia, in attesa. Era scappata di casa, ma era pur sempre una Grifondoro, e non sarebbe scappata anche dal fratello prima di conoscere le sue intenzioni. Non sarebbe stata tanto vigliacca da voltargli la schiena – anche perché, con una Serpe, è sempre meglio non farsi cogliere mai di spalle.

"Non voglio fare la spia" precisò lui; e di nuovo usò quel tono diverso dal solito. "Io... sapevo che l'avresti fatto".

"Ah sì, per questo mi hai seguito?" domandò.

"Anche ieri notte ero sveglio e appostato fuori dalla tua camera" confessò. Trixy aggrottò le sopracciglia, sorpresa.

"Non capisco, come facevi a..."

"Un paio di giorni fa sono entrato in camera tua..." Daniel vide Trixy mordersi le labbra pur di non ribattere. "Non stavo ficcanasando, volevo parlare con te" specificò.

"E quindi?" incalzò lei, incerta se credergli o meno.

"Tu non c'eri, e io stavo per uscire, quando ho visto una busta a terra".

Trixy si ricordò di aver trovato a terra la lettera, tornando a casa dopo l'ultima ed estenuante prova d'abito da sposa – sembrava non ci fossero mai abbastanza modifiche da fare, per renderlo perfetto.

Si era data dell'idiota per averla fatta cadere e aveva ringraziato Merlino e Morgana che nessuno fosse entrato. Evidentemente, si era sbagliata.

"L'hai letta, suppongo". Daniel annuì solo, completando così la confessione.

"Ho capito che te ne saresti andata subito, e volevo parlare con te". Lei inarcò un sopracciglio e inspirò una boccata d'aria fresca.

"Apprezzo che tu non abbia fatto la spia, ma, in ogni caso, non mi convincerai a cambiare idea" lo bloccò subito. Daniel la guardò sospirando, conscio che la colpa della sfiducia che sua sorella riponeva in lui era solo ed esclusivamente da a attribuire a se stesso.

"Non voglio farti cambiare idea".

"E se pensi che..." Trixy stava ribattendo senza neppure ascoltare; ma poi si bloccò all'improvviso. "Aspetta... che hai detto?"

"Che non voglio che cambi idea" ripetè Daniel. La diffidenza di Trixy crollò nello scorgere l'affetto negli occhi di suo fratello, identici ai suoi – lo stesso nero pece di Blaise, per l'appunto.

Non vedeva una tale espressività negli occhi di Daniel da quando – non lo ricordava nemmeno più, da quando. Erano stati così occupati nelle loro ripicche rancorose che, per anni, non aveva più guardato davvero gli occhi di suo fratello.

"Bella" mormorò avvicinandosi, "so che sono stato pessimo con te, e che la colpa dei nostri litigi è, in larga parte, mia". Ora il tono del ragazzo aveva completamente perso di compostezza e suonava addolorato. Il fastidio per quel soprannome che Bellatrix non aveva mai tollerato, fu del tutto annientato da questa scoperta. Del resto, suo fratello non l'aveva mai chiamata Trixy – come sua madre e suo padre – quindi non c'era abituato.

"Però, nonostante tutto, ci tengo a dirti che hai ragione e, quindi, non ti fermerò. Io voglio solo dirti che mi dispiace per tutto e che..."

"Oh, Dan..." lo chiamò, con gli occhi già lucidi.

"...ti voglio bene" disse, abbassando lo sguardo – come se si vergognasse di esprimere il suo affetto a parole. Trixy non resistette all'impulso di avvicinarsi e abbracciarlo forte.

Suo fratello le appariva, quella notte, dopo anni, in una luce del tutto diversa. Se non nuova, talmente vecchia che credeva quella versione di Daniel sparita tra i sotterranei di Hogwarts.

"Non sono te, non ho la tua forza" disse. "Non l'avrò mai. Farò quello che mi dicono, perché è il mio dovere e perché in fondo penso sia giusto. Ma tu non sei così, non ti possono forzare ad essere ciò che non vuoi, lo so da un pezzo".

"No, non possono" ripetè. "E io non potrei mai essere come mi vorrebbero".

"Vedi, Scorpius è un mio amico, oltre che, come direbbe mamma, 'un ottimo partito'; però so che non saresti mai felice con lui – e io voglio che tu lo sia".

Trixy potè sentire chiaramente la voce di suo fratello incrinarsi e le parve, alla luce della luna, che avesse gli occhi lucidi.

"Mi spiace di lasciarti solo".

Non potè trattenere le lacrime, che le scivolarono silenziosamente sulle guance mentre stringeva di più il gemello.

"Shh" fece Daniel, cullandola nell'abbraccio. "Il minimo che posso fare per te è sopportare mamma e papà; so già che daranno di matto" e qui accennò un sorrisetto.

Si staccarono a malincuore, con gli occhi gonfi e le lacrime che scorrevano copiose da una parte e, dall'altra, premevano evidentemente per uscire.

"Ora vai, non voglio che nostra madre si svegli" sbuffò. "Le grida riecheggerebbero per tutto il castello". Trixy incurvò un angolo della bocca a quell'immagine, incapace di sorridere davvero, e annuì.

"Dan..." sussurrò. "Anche tu meriti di essere felice, in qualunque modo tu voglia esserlo. Spero che cercherai la tua strada, non sei costretto a percorrere quella che hanno scelto loro" disse, riferendosi ai genitori. "Solo... promettimi che ci penserai". Lui la guardò poco convinto, e poi sospirò.

"Ci penserò, lo prometto" concesse alla fine.

"Ti voglio bene, Dan" disse, dandogli un ultimo bacio sulla guancia.

"Anche io, Bella".

Trixy si girò e riprese il baule; si voltò un ultima volta e, con uno sforzo, gli sorrise; poi Daniel la vide uscire dal cancello nella notte buia e, un attimo dopo, non c'era più. Solo a quel punto, prima di tornare dentro, lasciò che una lacrima – fino ad allora trattenuta – gli solcasse il viso.







NOTE AL CAPITOLO


1) La canzone di Zaz parla di una ragazza che vuole vivere come dice lei, senza formalismi e stereotipi che non le appartengono. Un po' come Trixy che non vuole più avere niente a che fare con i clichés imposti dalla società in cui è cresciuta e va fino in fondo per scrollarseli di dosso. Il ritotnello da me citato dice questo: < l'amore, la gioia, il buonumore, non sono i vostri soldi che faranno la mia felicità; io voglio morire con la mano sul cuore. Andiamo insieme a scoprire la mia libertà e dunque dimenticare tutti i vostri clichés... benvenuti nella mia realtà.>>

2) Avevo già citato la pratica dell'Intervento in Una strega in famiglia, e la riutilizzo anche qui, rispecificando che è mutuata da How I Met Your Mother, che ogni tanto sbuca fuori in qualche modo nelle mie storie.

3) Questa cosa, mi pare, la dice Silente a Harry nel sesto libro (se ben ricordo eh) quando questi gli chiede per quale motivo non si siano Smaterializzati direttamente in casa di Lumacorno e, in effetti, ha senso. James quindi non prende in considerazione quell'opzione; gli altri amici di Penny si Materializzano in camera sua solo perché avevano mandato James ad avvisarla prima che lo facessero, non perché siano degli zotici.

4) La conversazione a cui mi riferisco si trova nella OS che precede questa storia, ovvero Il Matrimonio di Bellatrix (lì Alice Paciock, migliore amica di Trixy, le dice di cercare di seguire la felicità, più che i desideri dei genitori).

5) Nell'ultimo capitolo prima dell'Epilogo di Una strega in famiglia, James regala a Penny una Puffola Pigmea di nome Janny (so che è molto fluff chiamare un animaletto domestico con il nome della ship, ma è proprio quello che ho fatto allora...) Credo proprio che Janny sia il mio personaggio preferito insieme a nonno Arnold!

6) Angelina Johnson è stata capitano della squadra di Quiddich Grifondoro durante il quinto anno di Harry Potter, e io l'ho sempre immaginata a giocare da professionista nel ruolo di Cacciatrice. Credo che anche nel Quiddich, come nel calcio, a una certa età ci si ritiri; così ho pensato di metterla ad allenare una squadra non meglio precisata.








ANGOLO AUTRICE


Salve gente!

Ecco, dopo un bel po', il secondo capitolo di questa mini-long. Abbiamo visto i dubbi e le incertezze e, alla fine, Trixy ha portato a termine la propria scelta. Ha avuto fortuna, anche.

Il personaggio di Daniel era stato nominato sporadicamente nelle altre due storie, accennando al suo cattivo rapporto con la sorella – però nella mia testa io ho sempre tenuto conto di quanto Trixy ci soffrisse, e volevo metterlo su carta. In conclusione, i Serpeverde possono nascondere delle sorprese e, alla fine, come si è visto, anche lui si è reso conto del tempo che aveva perso con Trix e di quanto le volesse bene.

Poi, beh, abbiamo rivisto James e Penny (per te sawyer_ che mi avevi chiesto se ci sarebbero stati riferimenti a loro). Non potevo inserire altro, perché la storia è dedicata a Trixy e quindi sarebbe stato fuori luogo; però mi faceva piacere riunire tutta l'allegra combriccola. Anche perché sono troppo affezionata a James e Penny per non citarli in questa piccola storia. Comunque, li rivedremo un po' nel prossimo capitolo, che sarà un epilogo in cui si suppone vedrete come Trixy e Fred saranno schifosamente felici.

Ringrazio intanto le persone che hanno letto e messo tra le seguite la ff – e le invito a mostrare un po' di audacia Grifondoro e recensire lasciandomi un parere, anche critico, perché ci tengo taanto.

Ringrazio sawyer_ e La_Marta per aver recensito – e quest'ultima, colgo l'occasione, anche per avermi aiutato a cercare un nome da dare alla serie di Una Strega in Famiglia.

Per il resto, spero che il capitolo vi piaccia come a me è piaciuto scriverlo. Come ho detto tengo molto al personaggio di Trixy – e alla coppia con Fred Jr.

Spero vorrete seguirli fino in fondo ora che Trix si è liberata delle catene, e scoprire con me cosa la aspetta in futuro.

Grazie a chi ha letto fin qui e un bacio


Jules



  
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