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Autore: Tetide    08/04/2009    1 recensioni
E' la mia seconda fanfic su "Rosa Alpina", questa volta ambientata al giorno d'oggi. Jeudi ha una vita in apparenza perfetta, ma che in realtà nasconde dubbi e... qualcos'altro! Dunque, cosa succede quando un evento inaspettato scompagina il castello di carte dell'apparente perfezione? Leggete e lo scoprirete!
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Brividi e sospetti CAPITOLO 3
BRIVIDI E SOSPETTI
“Fino a quando ti fermi?”, gli stava chiedendo Jeudi mentre guidava;
“Solo un paio di giorni, non preoccuparti: non sono sufficienti per portarti via a tuo marito”.
Jeudi rise. Anche lo spirito di Leòn era rimasto lo stesso, pensò.
Erano all’incirca le cinque; il sole della primavera era ancora alto abbastanza per visitare un altro paio di monumenti; Jeudi era contenta, si sentiva sollevata: durante quelle ore in compagnia di Leonhard non aveva avuto modo di pensare ai suoi dubbi sulla condotta del marito, anche se sapeva benissimo che, prima o poi, avrebbe dovuto affrontarli. Ma come? Chiedendolo direttamente a Lundi? Era fuori discussione: se anche non avessero litigato (cosa che, di solito, succedeva sempre), lui avrebbe negato ogni evidenza, accampando qualche altra scusa. Allora forse spiandolo? Peggio che mai! L’angoscia ed il rischio connessi a quel tipo di attività erano sproporzionati ai benefici che avrebbe potuto averne: se Lundi avesse avuto davvero qualcosa da nasconderle non sarebbe stato così sciocco da continuare a frequentare i soliti posti. Dunque in che modo?
Quasi come una muta risposta del Cielo, ad un tratto vide camminare sul marciapiede Jean. Ecco un buon modo, si disse: Jean era un caro amico di Lundi, oltre che suo collega, ed i due si confidavano spesso; poi, c’era ancora da chiarire l’”arcano” della cicca sul divano…
Con mossa rapida, accostò al bordo della strada. “Buonasera, Jean!”, disse, “E’ da un po’ che non ci si vede, vero?”,
“Oh, salve Jeudi! Che ci fai da queste parti?”,
“Nulla di particolare. Stavo solo facendo da cicerone ad un amico in visita. A proposito, ti presento il signor Aschenbach, mio ex-collega universitario”,
“Molto piacere!”, Jean allungò la mano; “Piacere mio!”, gli rispose Leòn.
“Ah, scusa Jean! Quasi dimenticavo: Lundi mi ha incaricato di dirti che hai lasciato il portasigarette a casa nostra sul divano, l’altra sera”,
“Eh?!?”, l’uomo cadde dalle nuvole, “L’altra sera? Quale sera? E’ da più di due mesi che non vengo a casa vostra!”.
Jeudi si irrigidì: i suoi sospetti venivano in parte confermati, allora! Simulando una voce più naturale che poté, continuò: “Suvvia, Jean! Quella sera della scorsa settimana in cui io non c’ero e voi avete tirato le ore piccole giocando a carte e discutendo: non preoccuparti, Lundi mi ha detto tutto!”.
Ma Jean era sempre più imbarazzato: tanto imbarazzato da non rendersi conto del leggero, ma evidente tremore che si era impadronito delle mani di Jeudi.
“Ti giuro che io non sono mai venuto a casa vostra in tua assenza, Jeudi. Lundi si sarà… sbagliato… forse!”,
“Sì, è probabile”, lei girò la testa, rivolgendola di nuovo verso il parabrezza; era divenuta pallidissima e tremava. Leòn se ne accorse.
“Arrivederci, Jean. Scusa se ti ho importunato”,
“Arrivederci Jeudi. Ancora piacere, signor Aschenbach”.
Non appena Jean se ne fu andato, Jeudi si accasciò con la testa sul volante; Leonhard  pose una mano sulla mano di lei. “Jeudi, che ti succede? Sei gelata! Non ti senti bene?”.
Lei alzò la testa e lo guardò “Leonhard… oh, Leonhard! La mia vita è tutta un rebus… negli ultimi tempi!”. E scoppiò a piangere, appoggiandosi a Leonhard.
Lui non seppe cosa dire, però sapeva bene che cosa fare: l’abbracciò, carezzandole i capelli, mentre lei continuava a singhiozzare.
“Perdonami… ti avevo promesso che saremmo andati al museo… ma non ce la faccio…!”,
“Lascia perdere il museo, Jeudi: non mi importa nulla del giro turistico: te l’ho chiesto solo per stare con te. Ma ora ti vedo star male: c’è qualcosa che posso fare per aiutarti?”. Le sollevò il viso, asciugandole dolcemente le lacrime con le dita “Jeudi?”.
Lei lo guardava con la stessa intensità di un tempo “Posso confidarmi?”, gli chiese,
“Ma certo, Jeudi: puoi sempre confidarti con me. Dimmi pure”.
Lentamente, Jeudi si raddrizzò sul sedile; tirò un profondo sospiro. “Si tratta di mio marito Lundi: da qualche tempo è molto strano. Ad esempio, mi tiene nascoste le cose; rifiuta di dedicare alla famiglia il poco tempo libero che gli resta; inoltre è molto irritabile. Ed ora, questa storia della cicca… lo so che può sembrare stupida, ma per me è motivo di dubbio nei suoi confronti.” E gli raccontò tutto.

Con pazienza ed attenzione Leòn la stette a sentire; quand’ebbe finito, le chiese: “E tu cosa pensi a riguardo?”,
“Penso che stia in qualche guaio, e non voglia farne parola con me per non coinvolgerci in questa storia”,
“Guaio di che tipo?”,
“Licenziamento in tronco, ad esempio. Oppure ricatto per commettere qualche brutta azione: quel Troncan non mi è mai piaciuto troppo”,
“E chi sarebbe questo Troncan?”,
“E’ il proprietario dell’industria per cui lavora Lundi. Un tipaccio, tirannico, superbo, prepotente, arrogante: crede che tutti gli debbano obbedire sempre e comunque”
“Così, tu credi che questo… Troncan  abbia cercato di coinvolgere tuo marito in qualche affare losco”,
“Esattamente”,
“E avresti modo di scoprirlo?”,
“Non vedo come”,
“A parte Jean, conosci qualche altro suo collega?”
“No”,
“Quel tipo arrogante ha una moglie?”,
“E’ morta di cancro anni fa”,
“Ha dei figli?”,
“Sì, una figlia, all’incirca della mia età: si chiama Matilda”,
“E lavora con lui?”,
“Lavorare? Figurati! Non fa niente. Non vuol sentirne di lavorare: preferisce farsi mantenere dal ricco padre, e fare la bella vita tra le settimane bianche a Cortina e le estati a Montecarlo!”,
“Bel tipo davvero!” Leòn scoppiò a ridere. Jeudi gli sorrise con gli occhi ancora umidi.
Leonhard si girò verso di lei “E tu conosci questa Matilda? Sei sua amica?”
“Nemmeno per idea! E’ arrogante come suo padre!”,
“Dunque non puoi cercare di saper niente per questa via.”. Tacque.
La donna guardò fuori dei vetri della macchina: stava tramontando e la città, come al solito, era immersa nel sonnolento traffico serale; le luci delle automobili e delle moto che scorrevano lente vicino a loro riportavano un po’ di rassicurante familiarità, facendo sembrare quella sera simile a tante altre. Ma non era così.

“Scusa Jeudi, ma devo proprio chiedertelo, anche a costo di apparirti invadente: saresti disposta a lasciarmi girare per casa tua?”.
Alla ragazza quella proposta parve oltremodo strana; ma tormentata com’era in quel momento, non pensò nemmeno per un attimo ad un tentativo di approccio amoroso da parte di Leonhard; la lasciò solo stranita.
“Per quale motivo?” gli chiese,
“Semplice: vorrei esaminare la “scena del crimine”, se me lo permetti”,
“Ma guarda che l’ho già fatto io!”,
“Tu sei sconvolta: qualcosa può esserti sfuggito”,
“C’è Lundi a casa adesso. E c’è anche Pierre”,
“Benissimo: un’ottima scusa per portarmi a casa sarebbe quella di farmeli conoscere; così non desterei i sospetti del visitatore che s’infila in casa con la moglie, di nascosto al marito!”.
Jeudi ci rifletté un attimo “Sì, in fondo è ora che tu li conosca. Vieni a cena da noi stasera. Ti presenterò come un vecchio amico”,
“Ed è la verità, dopo tutto”,
“Già, è vero”.

Così lo portò a casa. Si finsero allegri e spensierati mentre entravano a casa, per ingannare Lundi.
“… Una strana usanza davvero! Siamo paesi così vicini, eppure tanto lontani!”,
“E non hai sentito il resto: aspetta e vedrai!”.
Seduto sulla sua poltrona, Lundi stava leggendo il giornale; non appena sentì le voci, abbassò il giornale e si rizzò, scostandosi dallo schienale “Jeudi! Sei tu?”, chiese,
“Sì, amore, sono io. Vieni pure avanti, Leòn!”, disse rivolta all’amico,
“Oh… abbiamo ospiti! Buonasera signor… signor?”,
“Lundi, voglio presentarti un mio carissimo amico ed ex-compagno di studi dei tempi dell’Università: Leonhard Aschenbach”. Jeudi preferì non fare sapere al marito che quello che aveva davanti era il suo ex.
Lundi si alzò dalla poltrona e gli tese la mano “Molto piacere. Scusi per il disordine, ma non eravamo pronti a ricevere ospiti, stasera”,
“Leonhard, questo è mio marito Lundi”,
“Felice di fare la sua conoscenza, signor Corot”, gli strinse la mano.
“Mamma, chi è questo signore?”,
Jeudi si volse verso il bambino “E questo è mio figlio Pierre”, disse poi.

Più tardi, a cena, Jeudi e l’ospite si scambiavano occhiate d’intesa, Jeudi con aria preoccupata, Leòn quasi dicendole “lascia fare a me”.
“Così lei è un critico d’arte. Dovrebbe trasferirsi qui, allora: qui c’è tanta di quell’arte da farsela uscire dagli occhi! Sarebbe occupato dalla mattina alla sera!”,
“Beh, se è per questo non è che dalle mie parti si scherzi: a Vienna, ultimamente, è tutto un brulichio di nuovi artisti o presunti tali”.
Jeudi osservava Leonhard dal basso verso l’alto, simulando indifferenza; ma in fondo al suo cuore non poteva fare a meno di notare quanto lui fosse sempre affascinante ed attraente.
“Feelings,
feelings like I never lost you…”
Jeudi sentiva dentro di sé le parole della sua canzone preferita, Feelings di Albert Morris: le sembrava scritta per lei, in quel momento
“I wish I never let you go…”
Sì, doveva ammetterlo: era ancora attratta da lui.
Leòn parlava con un’intonazione ed una cadenza così musicali che era impossibile non rimanere incantati ad ascoltarlo: ed infatti, lei lo fissava sempre più assorta.
Lundi se ne accorse; guardò la moglie, poi tornò a guardare il suo interlocutore, che parlava un perfetto Francese.
Jeudi adesso si chiedeva come mai non avesse pensato di raggiungerlo a Salisburgo, una volta espletate le formalità di famiglia dopo la morte dei genitori. Si sentiva riportata indietro negli anni, ai tempi in cui loro stavano insieme, e lui riusciva sempre a stupirla, a travolgerla, a farla sentire bene. Le tornò in mente quella che era stata la loro canzone, “Since I don’t have you”, una cover dei Guns ‘n’ Roses: Io non ho più niente da quando non ho più te, diceva; e mai come in quel momento sentì che anche quella canzone le si confaceva perfettamente.
Arrossì impercettibilmente, ed abbassò la testa per nasconderlo.
 “Tesoro, non ti senti bene?”, Lundi le prese la mano,
Lei rialzò la testa, con un’aria visibilmente accaldata; Lundi notò il suo rossore “Ma che hai, Jeudi?”.
La ragazza si passò una mano tra i capelli per darsi un contegno “Nulla, ho avuto una giornata pesante, tutto qui. Pierre, per te è ora di andare a letto”, disse poi, tanto per cambiare argomento.
Pierre iniziò a tirare Lundi per un braccio “Papà, mi leggi una favola? Ti prego, ti prego, ti prego!”.
L’uomo cedette “E va bene”, disse “Volete scusarmi, per favore?”.
Jeudi si rilassò e gli sorrise “Vai pure caro. Vorrà dire che per questa sera sparecchierò da sola”,
“Ti aiuto io, Jeudi”, le disse prontamente Leonhard.
Lundi si avviò su per le scale con il figlio in braccio.
 
  
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