Senza Fare Sul Serio –
Malika Ayane
Note.
Non ce l’ho fatta a farla più corta; quando
inizio non mi fermerai mai, e se volevo dare un senso alla cosa dovevo
andare
oltre i minuti della canzone.
«Questa
è l’ultima, almeno per ora» consegni la
cartella a
Teresa, che ti sorride senza dire niente. Servono solo una manciata di
secondi
perché la sua espressione si rabbui.
«Tutto
bene dottoressa?»
«Sì,
perché?»
«Ha due
occhiaie, la vedo stanca.»
«Si chiama
‘il mio letto mi sta aspettando’, in gergo
tecnico, s’intende.»
«Sì,
‘occhiaie’ è brutto.»
Ti lasci andare ad
una risata, implorando che nel frattempo
l’orologio scorresse velocemente gli ultimi 5 minuti del
turno.
Malosti si avvicina
ad ampi passi, costeggiando il bancone
dell’accettazione e tamburellando sulla sua superficie per
tutta la lunghezza.
«E questo
cos’era?» domanda Teresa non smettendo di
sorridere. «Buon umore? Alle 8 di sera?»
«Quello
è una prerogativa di voi donne, ve lo lascio
volentieri.» Picchietta più forte sul bancone.
«O almeno lo è 25 giorni al
mese.»
«Ah, ci
sta discriminando, dottor Malosti? La parità dei
sessi, gli stessi diritti, posizioni e retribuzioni
lavorative…»
Con due dita le fai
segno di tagliare corto. Teresa mugugna
dispiaciuta di non completare il suo monologo, si liscia la divisa con
entrambe
le mani e saluta con un cenno del capo, dichiarando, più a
se stessa che ai due
davanti a lei, che se voleva andare a casa doveva prima sistemare le
cartelle
degli ultimi pazienti.
«Si chiama
‘ho bisogno di un consulto’» ricomincia
Riccardo.
«Scusa?»
ti eri persa nelle chiacchiere di Teresa e tra gli
ingranaggi del tuo cervello, che cigolavano al ritmo di casa-cena-bagno
caldo-letto. E Malosti ci aveva messo un dito in mezzo, e Malosti aveva
fermato
quell’orologio maledetto, e Malosti ti stava guardando,
l’espressione dubbiosa
e al tempo stesso impaziente.
«Vogliamo
fare notte?» ti rimbecca.
«Hai visto
che ore sono? Ti prego, chiedi a Valerio o
Nicola, devo preparare la cena ad Elena, se arrivo in ritardo anche
stasera
potrebbe ripudiarmi come madre.»
«Un paio
di ore fa non mi avevi detto che sarebbe andata a
cenare fuori con suo padre?»
Brava.
Sei
la madre migliore
dell’anno, la bugiarda peggiore del secolo, la collega
più collaborativa del
giorno.
«Ecco, me
n’ero già dimenticata.»
Non
era una bugia, no?
Forse piccola piccola…
«L’età
avanza, Gandini.»
«Rimango
ancora più giovane di te.»
«E
cos’è questa?»
Ti si avvicina
lentamente, una mano alzata, lo sguardo
assorto a fissarti il viso. Ti ritrovi a non pensare più a
niente. Niente casa,
niente bagno caldo – beh un bel bagno caldo,
però… no, no, no –, niente letto
–
beh dipende all’uso che se ne fa… no
Cristiana, a cosa vai a pensare –, solo Riccardo
Riccardo Riccardo.
Socchiudi le labbra,
così, tanto per poterti affidare alla
tua testa un’ultima volta e proferire una parola che sia una,
una frase
qualsiasi. Ma l’unica cosa che fai è guardarlo,
mentre lui guarda te.
La sua mano si
avvicina alla tua guancia, e sei già pronta
ad appoggiartici, e lasciarti accarezzare, mentre due o tre
scimmiette-neuroni
che ancora sopravvivono nella tua testa ti gridano che ci
dev’essere una
trappola.
Dov’è
lo striscione ‘scherzi a parte’?
«Una
ruga!» sfrega il suo pollice lungo il margine tra
occhio tempia.
Niente striscione.
Ma puoi immaginare tante bandierine
bianche sventolare nel tuo cervello.
Ritrae in fretta la
mano, e ti fa segno di seguirlo. «Prima
mi dai la tua opinione sul versamento pleurico del letto 12, e poi
chissà.» Si
ferma e guarda indietro, sorpreso di trovarti appena dietro di lui.
«Ti ho mai
detto che mi piacciono le donne mature? Potrei anche invitarti fuori a
cena.»