Note: - questa storia forse non dovrebbe stare qui, non se volessi tenere fede al tema della raccolta, ma, allo stesso tempo, deve stare qui e non avrei altro posto dove metterla. Quindi. Ecco. A volte l'amore finisce - e a volte non finisce, ma finiscono le cose, relazioni, situazioni, speranze. Spero che lo faccia sempre con grazia.
- ambientata durante Civil War, contiene spoiler, ma pochi(e comunque come fate a non averlo ancora visto? SHAME ON YOU. Voglio dire. Il culo di Chris Evans. Il. Cu.). e Darcy è la figlia di Tony!AU e il rapporto tra Bucky e Steve potete interpretarlo un po' come volete.
- No beta e quindi segnalatemi qualsiasi errore, svista, strafalcione.
- ambientata durante Civil War, contiene spoiler, ma pochi
- No beta e quindi segnalatemi qualsiasi errore, svista, strafalcione.
Danni collaterali
Il telefono squilla tre volte prima che l’uomo risponda e Darcy immagina che dovrebbe sentirsi lusingata e amata perché nonostante tutto – un mondo che sembra esplodere ovunque lui cammini e che lo vuole morto – ancora le risponde. Ha la voce stanca, spezzata, frantumata come la palazzina di Lagos, come interi isolati in Nuovo Messico, e si ferma e le risponde.
Darcy sente, di sottofondo, la voce di Sam e quella di un altro uomo e immagina che sia Bucky, il fantomatico e recidivo James Buchanan Barnes. Pensa che dovrebbe odiarlo, che vorrebbe, ma le si stringe il petto al solo pensiero.
- Darce – mormora Steve.
Nella voce ha ancora l’eco della tenerezza con cui le si è rivolto sotto il sole di New York, quando ancora cercava di mascherare la sua identità sotto un cappello e una barba più folta di quella che sarebbe stata consona per Capitan America perché era un eroe e non voleva che qualcuno li interrompesse per chiedergli un autografo o, peggio, una foto. Per chiedergli di distogliere lo sguardo da lei e quando gliel’aveva confessato, con le guance rosse e le ciglia calate sugli occhi azzurri, Darcy aveva pensato che Steve le avrebbe fatto venire il diabete. Che era il pensiero più romantico che le avessero mai dedicato.
Nella voce ha la stessa morbidezza che aveva quando le aveva scostato i capelli dalla fronte, la prima volta che si erano addormentati sul divano e Tony aveva avuto da ridirne per settimane.
- Steve. –
Il suo nome le sfugge dalle labbra quasi come un pigolio e si odia perché ha steso Thor, perché ha fermato Malekith a Londra ed è più forte di così, ma il suo intero mondo sembra sull’orlo del baratro e…
- Steve – ripete, coprendo le ultime incertezze con un leggero colpo di tosse. – Cosa stai… Cosa state facendo? – domanda.
È rannicchiata sul divano della villa di Malibù, con una donna che non è sua madre e non è neanche più la compagna di suo padre e nella cui piega della labbra e nei passi nervosi, Darcy può leggere la preoccupazione di essere stata in parte causa della guerra che sta divorando il mondo.
Le finestre della villa sono scosse dal ruggire del vento e dalla pioggia che si scaglia contro le ampie vetrate e sembra volerle sradicare dai cardini e Darcy ascolta il silenzio dall’altro capo del telefono e pensa all’altra tempesta che rischia di trascinarli tutti via con sé.
Il sospiro dell’uomo le rimbomba nelle ossa e nella stanza vuota che la circonda. Può quasi vederlo, mentre si passa una mano sul volto e sul capo, scompigliando i capelli biondi e può quasi immaginarsi, mentre gli prende la mano e gli bacia le nocche e il capo. Mentre gli è accanto e cerca di liberarlo di tutto quel peso che si porta sulle spalle.
- Darce. È Bucky. Non posso… -
Un clangore risuona da qualche parte e copre le ultime parole di Steve, ma Darcy non ha bisogno di sentirle per sapere come avrebbe continuato, per sapere che è sempre stato Bucky, che non c’è mai stato niente oltre a Bucky da quando Steve ha saputo che era ancora vivo e forse neanche prima. Che è Bucky e Steve non può fermarsi neanche se a tentare di arginarlo ora c’è Tony, anche se erano amici, anche se è suo padre e quando li ha trovati rannicchiati sul suo divano, Tony l’ha minacciato e ha gridato oltraggiato, ma non l’ha cacciato dalla Torre perché era Steve e, nonostante tutto, si fidava di Steve.
È il suo turno di sospirare, di lasciarsi sfuggire l’aria dalle labbra con un singulto tremulo. Ed è difficile con quel nodo in gola, con quelle lacrime che le pizzicano gli occhi e il ricordo dell’espressione tradita sul volto di suo padre, nella piega sottile delle labbra di Natasha.
- Non posso schierarmi dalla tua parte – gli dice e finalmente, finalmente, la sua voce è di nuovo ferma, salda come l’armatura di Iron Man e Darcy non è un eroe, non ha armi se non la sua voce, se non.
Se non fosse così triste, si darebbe una pacca sulla spalla per la fermezza con cui non permette al sospiro – stanco, sconfitto, frantumato – di Steve di farla vacillare.
- Lo so – le dice. – Non ti avrei mai chiesto di… -
Di sottofondo, Darcy sente la voce dell’uomo che non conosce – Bucky – chiamare: Steve e Darcy percepisce sulla pelle – è come un leggero formicolio, come quando i nervi si dimenticano di funzionare - l’attenzione di Steve sfuggire via da lei, da quella conversazione e tornare a dove dovrebbe essere. A dove è sempre stata.
Lo so, le dice. Non importa, non aggiunge, è Bucky.