Anime & Manga > Lupin III
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Autore: evelyn80    28/05/2016    2 recensioni
Michelle Duval è una giovane donna che, durante la sua adolescenza, ha trascorso alcuni anni con Lupin e la sua banda, innamorandosi perdutamente di Jigen. Quando viene abbandonata nelle mani di Zenigata, giura a sé stessa di vendicarsi del pistolero.
Genere: Avventura, Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Jigen Daisuke, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo due – In volo verso Rio


Due ore dopo, la Ford Capri arancione entrò rombando nel parcheggio sotterraneo dell’aeroporto di Tokyo. Michelle ne scese portando con sé solo un piccolo bagaglio, contenente la sua uniforme e pochi altri oggetti personali, tra cui la vecchia Smith & Wesson. Con la borsa appoggiata sulla spalla percorse lentamente la strada che la separava dall’hangar privato dell’Interpol, dove l’attendeva già l’ispettore Zenigata.
Quando il poliziotto la vide arrivare fece un cenno al pilota del piccolo jet, per poi andarle incontro a grandi falcate.
«Bene arrivata» le disse quando le fu accanto, prendendole galantemente il piccolo borsone. «Sei pronta?»
La ragazza annuì, secca, allungando il passo per mantenersi al pari con l’uomo.
Una volta a bordo dell’aereo i due si accomodarono su poltroncine attigue. La hostess offrì loro da bere. Zenigata chiese un whisky liscio, mentre Michelle rifiutò di bere alcolici e si accontentò di un bicchiere d’acqua. Voleva rimanere lucida, per restare concentrata su ciò che progettava di fare da lunghissimo tempo, ormai.
L’odore del liquido ambrato che l’ispettore faceva ondeggiare nel bicchiere le ricordava fin troppo il suo passato. Lo whisky era il liquore preferito di Jigen ed il suo aroma pungente le fece tornare alla mente tutte le volte – troppe forse – in cui aveva visto il pistolero con la bottiglia in mano.
Scosse la testa per sgomberarla, poi si rivolse al suo superiore. «Come pensa di agire, ispettore?»
Zenigata sorbì un piccolo sorso prima di risponderle.
«Ci apposteremo all’interno del museo, nascosti in una stanza segreta comunicante con la sala in cui sarà esposto il gioiello» spiegò. «Le telecamere di sorveglianza poste lungo tutto il perimetro e nelle varie parti del museo ci consentiranno di controllare la situazione. Le forze di polizia locali saranno disposte sia all’esterno che all’interno. Non appena si farà vivo, gli salteremo addosso come segugi. Non temere, non ci sfuggirà questa volta!» concluse, dandole un buffetto di incoraggiamento sulla mano.
Michelle annuì di nuovo, ma dentro di sé non era affatto d’accordo. Non voleva catturare Lupin e la sua banda, oh no! Aveva intenzione di vendicarsi di Jigen, certo, ma se il pistolero fosse stato rinchiuso in una cella non ci sarebbe stato nessun divertimento. Aveva progettato le cose in grande e, per realizzarle, aveva bisogno che il pistolero fosse libero e non detenuto in un carcere di massima sicurezza.
Mentre il jet rollava sulla pista, la giovane donna si allacciò la cintura di sicurezza e si mise comoda. Il volo da Tokyo a Rio de Janeiro sarebbe durato almeno venti ore, ed avrebbero dovuto fare scalo in Europa. Aveva quindi tutto il tempo per mettere a punto tutti i dettagli del suo piano. 
Non appena l’aereo si alzò in volo oltrepassando la cortina di nuvole che copriva il cielo del Giappone, la ragazza trovò invece molto difficile concentrarsi. L’ispettore Zenigata aveva abbassato lo schienale, si era calato il cappello sugli occhi e si era addormentato quasi all’istante, iniziando a russare pesantemente. Michelle gli lanciò un’occhiata disgustata, poi tornò a fissare fuori del finestrino le nuvole che sfrecciavano rapide sotto di loro. Senza neanche rendersene conto, i suoi pensieri corsero al suo primo incontro con Lupin e la sua banda, quando era cominciato tutto.

Michelle Duval aveva sedici anni. All’età di tre era rimasta orfana e, poiché non aveva nessun parente stretto che potesse prendersi cura di lei, i servizi sociali l’avevano affidata ad un orfanotrofio, gestito da un uomo tutt’altro che adatto a quel compito. Diabolico e perverso, il direttore amava distribuire punizioni incredibilmente violente ai piccoli ospiti che non si comportavano correttamente, arrivando persino ad abusare delle ragazzine più grandi.
La prima volta in cui Michelle era stata vittima della sua violenza aveva avuto quattordici anni e, da allora, ciclicamente aveva dovuto subire l’oltraggio e la vergogna di un rapporto sessuale non voluto, insieme ad altre ragazzine come lei.
Dopo due anni di stupri e sberle, ormai sull’orlo della disperazione, un giorno Michelle trovò miracolosamente aperta la porta delle cucine. Evidentemente qualche inserviente sbadato aveva dimenticato di richiuderla accuratamente a chiave dopo essere passato. Per un istante rimase come paralizzata, convinta di stare sognando, ma quando la maniglia si abbassò e l’uscio docilmente si aprì una molla scattò dentro di lei, spingendola avanti. Da lì riuscì a sgattaiolare abbastanza agilmente fino al muro di cinta del grande giardino, che scavalcò non senza difficoltà. Nel cadere dall’altra parte si ferì ad un ginocchio, ma strinse i denti e resisté al dolore pur di allontanarsi il più possibile da quell’inferno.
Camminò per due ore senza neanche badare a dove stesse andando quando, all’improvviso, si rese conto di trovarsi di fronte all’ingresso del museo della città. Stava suonando l’allarme. Michelle alzò lo sguardo, giusto in tempo per veder uscire dal portone principale due uomini che correvano a rotta di collo.
Il primo, barba e capelli lunghi, in completo nero e cappello in tinta tenuto premuto sulla testa con una mano, per non perderlo durante la fuga, le sfrecciò accanto mancandola di pochissimo. Il secondo, in giacca rossa, alto e magro, dinoccolato al punto da assomigliare ad una scimmia nei movimenti, correva con la testa voltata all’indietro, senza guardare dove andava.
«Ci vediamo, Zazà!» gridò in tono ironico, prima di andare a sbattere contro la ragazza che era rimasta impietrita a guardare la scena, con occhi sgranati.
Per l’impatto entrambi rotolarono a terra. Contrariamente a quanto Michelle si sarebbe aspettata, quello le si rivolse gentilmente, con un sorriso enorme stampato sul volto.
«Scusami chérie» le disse, alzandosi di scatto e porgendole la mano per aiutarla, «ma adesso non ho proprio tempo di fare la tua conoscenza…»
Le sue parole furono troncate da un vocione rimbombante che gridava: «Fermati Lupin!!!»
Un altro uomo in impermeabile marrone era appena uscito dal museo, facendo roteare un paio di manette, legate ad una fune, sopra la testa. Dietro di lui veniva un manipolo di poliziotti urlanti ed agitanti manganelli.
Lupin prese la mano di Michelle, gliela baciò galantemente e poi le strizzò l’occhio, prima di riprendere a correre.
«Addio mia cara, spero di rivederti un giorno!» le urlò mentre si allontanava, diretto ad una Mercedes anni ’30 decappottabile, color giallo limone, dove il suo socio già lo attendeva seduto dal lato del passeggero.
Ancora confusa ed intontita, Michelle lo fissò correre via per un istante, finché non fu ridestata dal rombo di passi alle sue spalle. L’ispettore di polizia ed il suo seguito di agenti avevano raggiunto la scalinata d’accesso e la stavano scendendo come una valanga umana. La ragazza, terrorizzata, si ritrovò a fissare la faccia deformata dalla rabbia dell’uomo in impermeabile e, temendo che se l’avessero acciuffata l’avrebbero riportata all’orfanotrofio, si mise a correre anche lei verso la macchina gialla, su cui l’uomo in giacca rossa era appena salito.
Con uno scatto felino, benché il ginocchio le facesse un male cane, Michelle riuscì a saltare a bordo dell’abitacolo un attimo prima che l’auto si staccasse dal marciapiede. Atterrò direttamente in braccio all’uomo in completo nero, facendogli saltare il cappello dalla testa. Quello fu subito catturato dal vento e volò via, andando a finire sull’asfalto, proprio davanti ai piedi dell’ispettore che continuava ad urlare al loro indirizzo, schiumante di rabbia.
«Ehi! Ma che modi!» esclamò l’uomo in nero, trattenendosi a stento dal buttare la ragazza giù dall’auto in corsa. «Mi hai fatto perdere il cappello! Me ne devi uno nuovo!»
«Ehi, chérie, che bella sorpresa!» proruppe il suo socio, voltandosi a guardarla con lo stesso sorrisone di poco prima. «Speravo proprio di rivederti, anche se non così presto e non in queste circostanze!» 
Con il pollice indicò dietro di sé: lo strepitante ispettore ed il manipolo di agenti stavano salendo sulle volanti, pronti all’inseguimento.
Michelle, ancora spaventata, si aggrappò con forza all’uomo che la teneva in grembo e che non aveva smesso di dimenarsi sul sedile.
«Ma si può sapere chi diavolo siete?» riuscì a malapena a balbettare, fissando con orrore le auto che correvano dietro di loro, mentre il rombo della Mercedes si faceva sempre più alto man mano che aumentavano i giri del motore.
«Io sono Arsenio Lupin III, e lui è il mio migliore amico, Daisuke Jigen» le rispose l’uomo in giacca rossa, strizzandole l’occhio. «Siamo due ladri professionisti, ed abbiamo appena rubato… questo!» 
E, con gesto teatrale, tirò fuori dalla tasca un diamante grande come una pallina da ping pong. «E tu chi sei, invece?» le domandò, subito dopo aver riposto la grossa pietra.
«Io… io mi chiamo Michelle, e sono appena scappata dall’orfanotrofio…»
«Anche tu una fuggiasca, eh? Interessante…» commentò Lupin, guardandola maliziosamente. «Beh, credo che non ci sia niente di male nel darti un passaggio, tu che ne dici, Jigen?»
«Fa come ti pare» rispose l’altro stringendosi nelle spalle, senza smettere però di lamentarsi per il cappello perduto.
«Benissimo! Allora, tieniti forte Michelle. Adesso faremo sul serio!»
Con quelle parole, il ladro premette a tavoletta sull’acceleratore, facendo scattare in avanti la potente auto d’epoca, che schizzò via sull’asfalto lasciando solo le impronte degli pneumatici dietro di sé.
Senza riuscire a trattenere un urlo la ragazza si aggrappò ancora più forte alle spalle di Jigen, affondandogli la testa nell’incavo del collo per non essere frastornata dal vento, provocato dalla precipitosa fuga. L’odore penetrante dell’uomo, uno strano mix di tabacco e polvere da sparo attenuato lievemente da un aroma più delicato, le penetrò nelle narici, quasi stordendola, e la sua barba ispida le solleticò la fronte. Oramai rassegnato, l’uomo le strinse delicatamente le braccia attorno al corpo, poi, nel tentativo di mettersi più comodo, issò le gambe appoggiando i piedi sul cruscotto. In questo modo Michelle scivolò ancora di più contro di lui. Con l’orecchio appoggiato contro il suo petto, la ragazza riuscì a sentire persino il battito del suo cuore, forte e regolare. Quel rumore ritmico e rassicurante ebbe il potere di calmarla e, senza che nemmeno se ne accorgesse, scivolò in un sonno senza sogni…


«Michelle? Vuoi qualcosa da mangiare?»
La mano di Zenigata la scosse leggermente, facendola sobbalzare. Immersa com’era nei suoi ricordi non si era resa conto di essersi appisolata. Si raddrizzò sulla poltrona, volgendo lo sguardo verso la hostess che le tendeva un vassoio carico di cibo. La ragazza lo accettò e si mise a mangiare, fingendo di non notare l’ispettore che si ingozzava come se non mangiasse da un mese.
Una volta finito il pasto controllò l’orologio: stavano volando da sole tre ore. Si stropicciò gli occhi per poi rimettersi a fissare fuori del finestrino. Stranamente, aveva voglia di riprendere il filo interrotto dei suoi pensieri, voleva tornare indietro nel tempo e rivivere quegli avvenimenti che le avevano segnato per sempre l’esistenza. Chiuse gli occhi, fingendo di dormire, e sprofondò di nuovo del passato.

Quando Michelle riaprì gli occhi, la Mercedes gialla stava ancora correndo lungo una strada costiera, ma l’andatura era decisamente calata. Evidentemente l’inseguimento era stato interrotto.
«Ben svegliata, chérie! Non temere, siamo quasi arrivati.»
La ragazza si raddrizzò, schiacciando involontariamente l’inguine di Jigen che lanciò un’imprecazione. Rossa per l’imbarazzo Michelle si scusò, guardando per la prima volta dritto in faccia l’uomo che la sorreggeva. Aveva lunghi capelli neri, folti e setosi, che gli spiovevano sul collo. I suoi occhi, altrettanto neri, parevano due pozzi profondi in cui era impossibile non perdersi. Il naso, lungo e sottile, sormontava una bocca dalle labbra altrettanto sottili e dal taglio deciso, al cui angolo stava una cicca spiegazzata. Le sue guance ed il suo mento erano coperti da una fitta barba nera, terminante in un pizzetto dal taglio caprino. Non aveva, invece, i baffi. Michelle giudicò che potesse avere circa trent’anni ed, in quel momento, pensò che fosse l’uomo più bello che aveva mai visto. Si sentì arrossire ancora di più e, per vincere l’imbarazzo, rivolse la sua attenzione all’altro uomo che continuava a guidare tenendo lo sguardo fisso sulla strada.
Lupin era più magro del suo socio. Con capelli corti e lunghe basette, il naso piccolo, la bocca larga ed il viso allungato, aveva un aspetto simpatico ed aperto, al contrario di Jigen che pareva invece rude e taciturno. Non appena si accorse che la ragazza lo stava osservando si voltò nella sua direzione, sorridendole e strizzandole l’occhio. 
Michelle rispose involontariamente al sorriso contagioso dell’uomo che, con un cenno della mano, le indicò una piccola palazzina cadente in fondo alla strada che stavano percorrendo.
«Eccoci qua!» esclamò allegramente, spegnendo il motore e saltando giù dall’auto.
«Questa è casa vostra?» chiese curiosa la ragazza, guardando l’edificio dal basso verso l’alto.
«Oh no, chérie, noi non abbiamo una casa. Questo è il nostro nascondiglio segreto» le rivelò il ladro, abbassando la voce in tono cospiratorio.
Con la bocca atteggiata ad una “O” di stupore Michelle rimase a guardare imbambolata la struttura cadente, fino a quando Jigen non la pungolò con un dito nella schiena.
«Ehi! Quando hai intenzione di scendere?!»
La ragazza si profuse in ulteriori scuse, affrettandosi ad aprire lo sportello. L’uomo in nero scese a sua volta e si raddrizzò, facendo schioccare le ossa della schiena, per poi avviarsi verso la porta d’ingresso. Michelle si guardò intorno per un po’, stupita e spaesata allo stesso tempo. Lupin le si avvicinò e le tese la mano.
«Bene, tesoro, le nostre strade si dividono qui. Abbi cura di te…»
«Cosa?!» esclamò la ragazza, facendo sobbalzare il ladro, «avete intenzione di abbandonarmi qui? Io non conosco nessuno!»
«Suppongo che tu non conosca nessuno in nessun’altra parte del mondo, se stavi in un orfanotrofio…»
«Conosco voi!» lo interruppe di nuovo lei. «Ti prego, non lasciatemi qui da sola!» lo implorò, giungendo le mani.
Lupin sospirò ed alzò gli occhi al cielo. «Va bene… Potrai rimanere un po’ con noi…»
«Oh grazie, grazie!» ed, in un impeto di euforia, Michelle gli gettò le braccia al collo, mandandolo per la seconda volta quel giorno a gambe all’aria. Per nulla dispiaciuto dell’incidente, Lupin si passò una mano sulla testa, ridendo, per poi accompagnare la ragazza all’interno.
«Siamo arrivati!» esclamò, facendo il suo ingresso nel piccolo salotto dove, oltre a Jigen, si trovavano un giovane samurai, seduto in meditazione sul pavimento a gambe incrociate, la lunga katana appoggiata sulle ginocchia, ed una giovane donna dai lunghi capelli castani ed il seno procace, messo in evidenza da una camicetta che a Michelle parve di due taglie più piccola del dovuto.
«Allora Lupin, hai preso il diamante da un milione di dollarucci!» lo apostrofò la donna in questione, per poi subito dopo aggiungere: «E questa chi e?!»
«Lei è Michelle» le rispose Lupin, mettendo una mano sulla spalla della ragazza e spingendola avanti. «È scappata dal suo orfanotrofio ed, essendo in fuga come noi, le abbiamo dato un passaggio» spiegò. «Michelle, lei è Fujiko» aggiunse subito dopo, presentandola, «e quel bel giovanotto tenebroso laggiù si chiama Goemon e, come puoi ben vedere, è un samurai.»
«Lieto di conoscerti» disse Goemon, aprendo per un istante gli occhi per guardare la nuova arrivata. Dal canto suo, Fujiko si era già dimenticata di lei e stava di nuovo pressando Lupin per avere il diamante. Arsenio la accontentò, tirandolo fuori dalla tasca e porgendoglielo. La donna lo baciò e poi lo fece scivolare nel solco tra i seni, dove il ladro lo osservò sparire con sguardo lascivo. 
Michelle, al vedere quella scena, storse silenziosamente il naso e fece una smorfia di disgusto. Con sua sorpresa, vide Jigen fare altrettanto prima di mettersi in testa un nuovo cappello ed accendersi un’altra sigaretta più storta della precedente. Dopodiché l’uomo in nero si abbandonò sul divano, incrociò le lunghe gambe magre e si versò una dose abbondante di whisky.
«Allora, qual è il prossimo colpo che hai in mente, Lupin?» chiese Fujiko, spingendolo via con malagrazia visto che il ladro in giacca rossa le stava ancora fissando il décolleté.
«Ho in mente un piano geniale!» le rispose, riprendendosi all’istante e tirando fuori dalla tasca un ritaglio di giornale, che appoggiò sul tavolo. La foto mostrava il primo piano di un famoso casinò, che Lupin aveva intenzione di svaligiare.
I tre soci si misero subito a discutere fitto fitto sul da farsi, soltanto Goemon rimase fermo immobile nel suo angolo, gli occhi chiusi ed apparentemente immerso in profonda meditazione. Michelle si sentì messa da parte ma capiva anche che i suoi salvatori avevano una vita – anche se criminale – da portare avanti. Con un sospiro si appoggiò con i gomiti al davanzale della finestra, fissando le luci della costa ed isolandosi dal resto del mondo, come spesso aveva fatto anche all’orfanotrofio, in cerca di quella libertà che non aveva mai avuto. Fu riscossa dal suo isolamento da Goemon. Il samurai si era alzato e le si era avvicinato, posandole una mano sulla spalla. Neanche lui pareva particolarmente interessato alla discussione accesa che si stava svolgendo alle loro spalle.
«Posso chiederti perché hai lasciato il tuo orfanotrofio?» le chiese, fissandola con sincero interesse.
Michelle chinò la testa, incerta se rispondere o no. Quando alzò di nuovo lo sguardo fu colpita dal modo in cui il giovane uomo la stava fissando, così decise di fidarsi e raccontò brevemente la sua storia, fatta di soprusi e violenze. Mano a mano che il racconto andava avanti il volto del samurai si faceva sempre più cupo. Quando infine la ragazza giunse alla sua conclusione, con un gesto rapido e preciso Goemon estrasse la sua spada dal fodero di legno.
«La mia zantetsu-ken sarebbe onorata di bagnarsi del sangue di quel bastardo» sibilò, prima di riporla nuovamente e tornare a sedersi a gambe incrociate sul pavimento.
Stupita e sconcertata, Michelle lo osservò rimettersi seduto, per poi voltarsi in direzione del tavolo dove Lupin, Jigen e Fujiko continuavano ad elaborare strategie su strategie.
«Bene, allora all’alba ci muoveremo!» esclamò il ladro in giacca rossa, ripiegando il ritaglio di giornale e riponendolo in tasca. «Adesso è ora di dormire… Buonanotte!» e salutando allegramente gli altri si incamminò verso una stanza attigua. 
Temendo di venire abbandonata e di rimanere di nuovo sola, Michelle strinse le mani all’altezza del petto ed esclamò, rivolta alla schiena di Lupin. «Portatemi con voi, vi prego!»
I quattro si voltarono a guardarla. Il ladro mosse qualche passo verso di lei.
«Vedi Michelle…» prese a spiegarle, nel tono più dolce di cui era capace, «devi capire che noi siamo ladri professionisti. Oggi ti abbiamo aiutata… e l’abbiamo fatto volentieri, senza chiederti niente, ma non possiamo assolutamente portarti con noi, cerca di comprendere…»
La ragazza chinò la testa, le lacrime che le pungevano agli angoli degli occhi. Aveva veramente sperato di poter andare via con loro e di cominciare una nuova vita…
La voce di Goemon ruppe il silenzio che si era venuto a creare. «Credo che dovrebbe venire con noi, Lupin.»
Il ladro lo guardò, stupito. «Mi spieghi perché, scusa?»
«Mi ha raccontato la sua storia. Michelle ha bisogno di qualcuno che la guidi, in questa fase della sua vita.»
«Mio caro Goemon, noi non siamo affatto le persone adatte, non ti pare?»
«Non ha nessun altro al mondo, solo noi» ribadì il samurai, in tono serio.
Lupin si guardò in giro, cercando l’opinione degli altri. Jigen e Fujiko si strinsero nelle spalle. Pareva che per loro non facesse nessuna differenza.
«E va bene, allora… Potrai venire con noi!» 
Michelle stava di nuovo per buttargli le braccia al collo, ma il ladro la bloccò alzando una mano. «Ma ad una condizione! Quando noi saremo occupati tu te ne rimarrai buona buona ad aspettarci, intesi?»
«Oh, si! Grazie, grazie!» 
E, per la terza volta, la ragazza fece finire Lupin a gambe all’aria con il suo entusiasmo.
Finalmente poterono ritirarsi per dormire. Arsenio e Fujiko presero una delle due porte che davano sulla stanza, ma dopo soli pochi secondi, accompagnato dal rumore di un sonoro ceffone, l’uomo tornò nel salottino tenendosi una mano premuta sulla guancia e, dopo aver borbottato qualcosa riguardo alla volubilità delle donne, si ritirò in un’altra cameretta. Goemon salì sul davanzale della finestra e con un agile balzo saltò sul tetto per continuare la sua meditazione. Jigen si buttò sdraiato sul divano, la testa appoggiata ad un bracciolo e le gambe accavallate.
Michelle si guardò per un po’ intorno, in cerca di un posticino dove potersi stendere e dormire, ma pareva che per lei non fosse rimasto altro posto. Si mise perciò a fissare con sguardo implorante l’uomo in nero, fino a che Jigen non alzò la tesa del cappello per rispondere alla sua occhiata. 
«Oh, al diavolo!» esclamò infine, «tanto ormai ci sono abituato.»
Si mosse, facendole spazio tra sé e la spalliera del divano e la ragazza si accoccolò contro di lui, appoggiandogli la testa sul petto. Senza riflettere, Jigen le circondò le spalle con un braccio in un gesto protettivo. Come già era successo prima, il battito forte e regolare del suo cuore le conciliò il sonno, facendola sprofondare ben presto nel mondo dei sogni. Dopo pochi minuti anche l’uomo si addormentò, cullato dal suo lento respiro.


Michelle aprì gli occhi. Fuori era completamente buio e l’ispettore Zenigata stava di nuovo dormendo sulla poltroncina di fianco alla sua. Anche lei avrebbe dovuto dormire almeno un altro po’. Non poteva permettersi di essere stanca, non in quel momento. Reclinò lo schienale e chiuse nuovamente gli occhi, questa volta abbandonandosi tra le braccia di Morfeo.



Spazio autrice:
Questo capitolo è il più lungo di tutti. Spero che siate riusciti ad arrivare fino alla fine! Finalmente sappiamo come Michelle ha conosciuto Lupin e soci. Spero che vi sia piaciuto!

 
  
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