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Autore: Cygnus_X1    09/06/2016    2 recensioni
Un trono usurpato. Una ragazza in cerca di se stessa. Una maledizione mortale.
~~~
Myrindar ha diciassette anni e un marchio nero sul petto. Una maledizione che l'accompagna da sempre, che le dà il potere di uccidere con il solo tocco. Salvata dal Cavaliere Errante Jahrien dai bassifondi di una città sconvolta dalla guerra, Myrindar ha vissuto in pace per cinque anni, dimenticandosi dei conflitti, con una famiglia che l'ha accolta con amore.
Tutto cambia quando nel villaggio dove abita giungono i guerrieri dell'Usurpatore a cercarla. Myrindar è costretta a fuggire, guidata da una misteriosa voce che le parla nei sogni, alla ricerca dell'esercito dei Reami Liberi e dei Cavalieri Erranti. Ma il nemico più pericoloso non è l'Usurpatore, né il suo misterioso braccio destro; è la maledizione che la consuma ogni giorno di più e rischia di sopraffarla.
Tra inganni, tradimenti e segreti del passato, tra creature magiche e luoghi incantati, Myrindar si ritroverà in un gioco molto più vasto di quanto potesse immaginare; perché non è solo una guerra per la libertà, quella che sconvolge i Regni dell'Ovest. Non quando antiche forze muovono le loro pedine sul campo di battaglia.
[High Fantasy]
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Capitolo 24

Malinconia e speranza



 

I



l silenzio dell'accampamento non era mai stato un silenzio completo. C'erano troppe persone, presenze, anime perché la notte non ne fosse in qualche modo turbata; anche quella precisa notte, che le leggende raccontavano come il momento in cui il mondo degli spiriti sfiorava il mondo dei vivi, là, nel cuore del campo, appariva meno spettrale ai suoi occhi.
Lei non aveva mai creduto più di tanto alle dicerie sulla Notte degli Spiriti, forse perché il suo potere di percepire l'aura magica attraverso il marchio le consentiva di verificare che non c'era nulla  di diverso rispetto a qualsiasi altro momento. Però ne era comunque, in qualche modo, suggestionata.
Il primo novilunio d'inverno. La notte in cui tutto può succedere, diceva la tradizione.
Appena un anno prima, Myrindar aveva passato tutto il tempo a raccontare fiabe del terrore a Cody alla luce di candele di cera verde. Ora era seduta sulla terra battuta, in una tenda sgangherata; i soffici bagliori delle candele erano stati sostituiti dalle lingue di fuoco delle torce la cui luce filtrava oltre il tessuto, al posto delle storie c'erano i respiri di un intero esercito e i passi regolari delle sentinelle di pattuglia.
Cody... Altair, si corresse mentalmente. Era giusto che ora usasse il suo vero nome, e non il soprannome che gli aveva dato suo padre, ora che Mearth era morto. Aveva dodici anni ormai, e con tutto quello che era successo doveva essersi trovato costretto a crescere in fretta. La ragazza non se la sentiva più di riferirsi a lui con il nome della specie di scoiattoli che vedevano tutte le primavere dietro casa, e che lui adorava così tanto da meritarsi quello come soprannome.
Dodici anni... l'età che aveva lei quando Jahrien l'aveva salvata. Ma Altair non aveva incontrato nessun Cavaliere Errante, quella notte di quasi un anno prima, né l'aveva incontrato Mearth, o sarebbe ancora vivo. No, i cavalieri in cui si erano imbattuti loro erano tutt'altro.
Percepì il sapore del sale sulle labbra e solo allora si rese conto che stava piangendo, aveva le guance del tutto inondate di lacrime. Si sentiva svuotata. Le mancava la sua famiglia, le mancava Jahrien, anche se il ragazzo dormiva a qualche tenda da lei. Non voleva disturbare il suo sonno, era tornato quella sera da una ricognizione durata un'intera settimana; ogni persona in quel campo, di fronte alla battaglia imminente, provava il suo stesso sgomento, perché lei avrebbe dovuto fare pesare a Jahrien, che già aveva molto a cui pensare, la sua stupida malinconia?
Si strappò le lacrime dalle guance, si alzò in piedi di scatto gettando di lato le coperte che si era avvolta intorno e scostò il drappo che faceva da ingresso. Cominciò a camminare a caso per l'accampamento.
Non guardava dove stava andando e nemmeno le importava. Voleva solamente zittire la tempesta che le infuriava nella mente.
Superò le ultime file di tende e si trovò alle capanne dei rifornimenti. Oltre quelle, solo il perimetro sorvegliato dalle sentinelle, la barricata e poi la pianura. Lì, però c'era un po' di buio e più tranquillità. Aggirò la capanna più vicina e posò la schiena sulla parete; chiuse gli occhi e si concesse un lungo sospiro. Il legno sotto i palmi delle mani era freddo, come anche l'aria del buio, e lei era uscita solamente con addosso la tunica e il giustacuore di lana. Finché si muoveva, animata da quel sentimento cui non sapeva dare nome, a metà tra frustrazione e nostalgia, non aveva sentito il gelo, ma ora era scossa dai brividi.
Quattro giorni. Quattro giorni e potrei essere morta. Esalò un lungo respiro mentre la consapevolezza si faceva strada dentro di lei e la atterriva.
Colse un movimento alla sua sinistra, nel buio della capanna accanto. Eeshiv le stava venendo incontro con il suo incedere fluido nella sua lunga veste bianca; la chioma baluginava del suo lieve chiarore e lo faceva assomigliare agli spiriti che, secondo le leggende, quella notte facevano la loro apparizione nel mondo.
Lo salutò con un cenno della testa. Lui le si avvicinò e si posò alla parete accanto a lei, lo sguardo vago, diretto all'orizzonte.
«Come procede il piano?» mormorò la giovane.
«Come previsto» rispose. Per qualche istante, tra loro restò solo il silenzio della notte.
«Non mi aspettavo che accettassi» disse Myrindar dopo qualche istante. «Di farti coinvolgere nella nostra guerra, intendo.»
«C'è uno Ynahar dietro tutto questo. Non è solo la vostra guerra.»
«Lo sapevi? Per questo hai voluto venire con noi» chiese lei, stupita. Eeshiv annuì.
«Lo sospettavo. Solo un Sacerdote dei Demoni potrebbe tracciare un Kratheda così potente. La Regina mi consigliò di non esporre la mia ipotesi finché non ne fossi stato certo, per non diffondere il panico, e così ho fatto.»
«Dovete odiarli davvero molto, i Demoni – considerò la ragazza – per voler combattere con così tanta forza gli Zerisha Ynahar...» Il freddo le strappò un altro brivido, ma lei si strinse nelle braccia e lo ignorò.
«Non è odio» rispose lui, voltandosi a guardarla. «Né noi né le Fate conosciamo l'odio. Io stesso ho sentito questa parola la prima volta solo quando sono salito tra di voi.»
Myrindar aggrottò la fronte. Era stanca, infreddolita e i suoi pensieri sembravano scorrere viscosi come pece.
«Non capisco» disse.
«Non mi aspetto che tu lo faccia. Voi razze giovani – Uomini, Elfi, Selvaggi, Nani e tutti gli altri – non potete conoscere il bene o il male assoluti, non fa parte di voi. Ma è per questo che Fate e Demoni – e come loro noi, gli eredi – continuano quest'incessante duello: è un'inclinazione naturale, come l'acqua che scende dalle montagne al mare, o il fuoco che produce calore.»
Myrindar non parlò. Eeshiv aveva ragione, continuava a non comprendere e nemmeno riusciva a immaginare. Come doveva essere provare quell'irrefrenabile istinto a combattere?
«Non è stancante questa guerra eterna?» mormorò poi. Eeshiv la guardava e il suo viso appariva sereno, persino in un momento come quello, a un passo dalla battaglia, come se nulla potesse turbarlo. E probabilmente era davvero così, si disse la ragazza.
«Dovrei essere io a chiedertelo, non credi? Vi combattete, uomini contro uomini, e trovo che sia incomprensibile. I nostri nemici, i Demoni, sono l’opposto di ciò che noi siamo, ma voi… vi uccidete tra fratelli.»
Myrindar incassò il colpo e non rispose. Non sapeva se avesse detto la parola “fratelli” proprio in riferimento a lei e Layrath o semplicemente come metafora, ma l’avvertì come una pugnalata in profondità dentro di sé. Ancora non le era affatto chiaro cos’era successo in passato tra Tarazed, i due vecchi regnanti – i suoi genitori –, Layrath, Anser, lei stessa e l’Usurpatore. Sembrava tutto così confuso… e lo Ynahar, in questo, che ruolo aveva? Sospirò.
«Non dovresti crucciarti per i fatti passati. Verrà alla luce la verità.»
«Non ne sono così sicura, invece» disse, piano.
«E questo ti turba così profondamente?»
La giovane spostò lo sguardo in lontananza. Sull’orizzonte veleggiava una stella candida che risplendeva di una luce secca e definita, diversa dai bagliori riverberanti delle sue compagne. Vardren, il Viaggiatore, la chiamavano nel regno di Amikar. Chissà se lì aveva un altro nome.
«Vorrei solo capire chi sono» sussurrò.
«Sei giovane. Hai tempo per trovare la risposta.»
Sempre se non muoio tra quattro giorni, pensò.
«Rientra, Myrindar. Stai tremando» le disse Eeshiv, piano.
Lei annuì. Salutò il maestro con un lieve inchino e prese la strada dell’accampamento, cercando di orientarsi. Intravide gli stendardi dell’Esercito Libero e a fianco il simbolo di un orso ruggente nero su fondo rosso, il simbolo dei reparti di fanteria yndirana.
Si sentiva congelare, ma non era il freddo dell’inverno che doveva scacciare, quanto piuttosto quello della malinconia. E contro un freddo come quello, che le artigliava l’anima, poco potevano le coperte o una tisana bollente.
Procedette tra le tende addormentate e le braci ormai morenti dei fuochi da campo, sola. Oltrepassò il campo dei maghi elfi, ornato dal vessillo viola con il sole d’oro, e infine si trovò tra i levrieri neri sovrastati dalla stella cremisi in campo bianco dei Cavalieri Erranti. Il suo giaciglio era a pochi passi, la tela afflosciata da un lato.
Gettò uno sguardo alla sua sinistra dove, a una cinquantina di passi di distanza, incuneata tra i resti di un falò e il padiglione di comando di Tarazed, distinse la tenda di Jahrien. Senza esitare, si voltò e si diresse verso di essa, si accostò al lembo che chiudeva l’entrata.
«Jahrien, sei ancora sveglio?» lo chiamò in un sussurro. Dall’interno le giunse solo il silenzio.
Non avrà sentito, si disse. Oppure semplicemente sta già dormendo, cosa che in effetti dovrei star facendo anche io, invece che girovagare per l’accampamento come un’anima in pena.
«Mir?» le rispose invece la voce del ragazzo dopo qualche istante. Era così fievole che Myrindar pensò di averla immaginata.
«Posso entrare?»
«Certo.»
La giovane scostò la tela con una mano. L’interno era buio, il profilo di Jahrien si distingueva appena nella penombra. Il ragazzo era seduto sulla branda, tra le coperte, e la stava guardando.
Myrindar sospirò piano. Avanzò e gli si sedette accanto, i sostegni della branda cigolarono. Del suo volto non coglieva che il lato sinistro, la luce filtrava da uno spiraglio nella tela e percorreva il contorno della fronte, lo zigomo, il profilo della mascella.
Lo vide sorridere appena.
«Non dormi?» chiese. Sussurrava, nonostante non fosse necessario. Il suo respiro le sfiorò la pelle.
«Non riesco» rispose la ragazza. Scosse piano la testa, guardandosi le mani. «Quattro giorni e si deciderà tutto» aggiunse.
Lui non parlò. Posò la mano sulla guancia, Myrindar chiuse gli occhi. Il suo palmo era duro, ruvido, ricoperto di calli e cicatrici, ma il suo calore arrivava fino al profondo della sua anima, a quel grumo nero di paura, nostalgia e tristezza che le pesava sul cuore. Si sentì meglio.
«Cos’è che ti spaventa?» mormorò.
«Layrath.» Chiuse gli occhi e sospirò. «Non è quello che potrebbe farmi che mi spaventa. O meglio, sì, è anche quello… il fatto è che – si morse le labbra per un istante, mentre cercava le parole migliori – credo di averlo capito. Credo di sapere perché fa così e…» Le parole le morirono in gola.
«E?»
«Se fossi io, là, al suo posto, farei lo stesso» sussurrò. «Uthrag… no, lo Zerisha Ynahar l’ha convinto che può liberarlo da Aleestrya e dargli una vita normale. A patto che combatta per loro. Ne sono sicura.»
Quando le erano montate le lacrime? Si trovò a piangere, senza saperlo, all’improvviso. Le braccia di Jahrien la strinsero, lei si strinse al ragazzo come alla salvezza.
Si sentiva come se la sua anima si fosse spezzata in mille frammenti e piangeva senza ritegno. Suo fratello, la consapevolezza, il peso di dover combattere e di avere un ruolo cruciale nel futuro dei Regni; e ancora gli anni di sofferenze, l’abbandono, Altair e Mearth, Alya e Dane; la maledizione, la morte che scorreva nelle sue vene, Kratheda, Aleestrya. Le si rovesciò addosso di colpo ogni cosa, tutti i mostri che aveva sempre trattenuto nel profondo di sé.
Sollevò il viso a cercare il suo, le sue labbra. Lo baciò e si sentì di nuovo viva.
Una linea di luce delineava il suo viso, si rifletteva sull’iride nera. Il respiro, appena affrettato, le solleticava il viso; Myrindar poteva percepire il suo calore attraverso l’aria.
Jahrien. L’aveva amato fin da quel giorno, ad Antya, tra le tenebre e le fiamme. Ora erano ancora lì, sei anni dopo, tra diverse tenebre e diverse fiamme.
Lo guardò negli occhi, sorrise appena.
.
Si lasciò invadere da quelle fiamme.

***
 
La serratura cedette di schianto, la porta finì a sbattere contro la parete opposta.
«Temeh!» ringhiò Anser. Nessuno rispose, ma l’uomo era lì. La guardia non aveva ragioni di mentire loro, soprattutto con una punta di freccia elfica incoccata e ferma a una spanna dal suo occhio.
Il giovane la precedette nel salotto sguainando la spada. Fiamme bianche danzarono intorno alla sua mano mentre preparava un incantesimo contro eventuali assalitori, ma non fu necessario. La stanza era deserta.
Keeryahel arricciò il naso. L’odore di whisky aleggiava come un fantasma nella stanza, due poltrone erano rovesciate, cocci di vetro luccicavano al sole del tramonto sparsi sul tappeto. Anser scattò avanti, furioso.
«Dove ti nascondi, bastardo?»
La ragazza lo afferrò per il polso prima che potesse avanzare ancora. Lui si voltò, piantandole addosso gli occhi neri che parevano mandare fiamme.
«Non permettergli di farti perdere lucidità» gli disse, seria. «Se ti arrabbi, ha già vinto.»
L’ira parve dissolversi dal suo volto. Per un istante le parve solo un ragazzo sperduto nella propria rabbia, ma si riscosse. Anser non era un bambino, e in ogni caso non spettava a lei giudicarlo.
Lui annuì e strinse la presa sull’impugnatura della spada. Scostò i ricci sporchi dalla fronte e mosse qualche passo nel salotto, i frammenti di vetro scricchiolarono sotto i suoi stivali. Temeh aveva festeggiato. Keeryahel dovette trattenere una smorfia di disgusto.
Incoccò una freccia e seguì Anser. Non un suono spezzava il silenzio. Il ragazzo saettava con gli occhi in ogni direzione, ma di Temeh non c’era traccia.
Eppure Keeryahel, prima, aveva percepito una presenza in quella casa che poteva essere la sua.
Le mani le sudavano, rendendole la presa sull’arco meno salda.
Anser posò il piede sul primo gradino. Il legno mandò un lieve gemito.
Una risata gorgogliò dal piano superiore.
«Hai trovato il coraggio di combattere, moccioso?»
La giovane gli afferrò il braccio e affondò le dita nel muscolo, per avvertirlo. Lui si volto, ma non furono necessarie parole, stavolta. Ricambiò il suo sguardo deciso e annuì.
Salì le scale un passo alla volta. A metà, l’Elfa si fermò, gli fece un cenno. Anser la osservò per un lungo momento, immobile sul gradino, ma poi avanzò senza dire altro.
Questa cosa di lasciarlo solo contro quell’uomo le metteva non poca preoccupazione, ma gli aveva promesso che l’avrebbe lasciato a lui.
Interverrò solo se si metterà nei guai, si disse.
Si trovò a mordicchiarsi un labbro, preoccupata.
Quali tranelli aveva in mente Temeh?
Anser percorse gli ultimi gradini di scatto e si gettò sul pavimento, lasciandosi rotolare sulla schiena. Come a confermare ogni sospetto, un quadrello di balestra si schiantò sul pavimento in una gragnola di schegge. L’Elfa, dal suo nascondiglio, sussultò.
Il ragazzo si rialzò nel mezzo del corridoio e scomparve dalla sua visuale. Keeryahel sfogò l’ansia in un respiro profondo.
Ora era tutto nelle mani di Anser. Per quanto le sarebbe piaciuto conficcare una freccia nell’occhio di Temeh, era una battaglia a cui lei era estranea.
L’uomo rise.
Keeryahel decise. Non sarebbe rimasta a nascondersi nel buio. Percorse qualche altro gradino, giusto per poter vedere la scena e sapere se intervenire. Si asciugò le mani sul mantello e riprese la sua arma.
Non era mai stata tanto preoccupata per un combattimento.
Ma non le era mai accaduto di dover stare a guardare.
«Ti sei fatto più furbo, moccioso, eh? O forse dovrei chiamarvi Vostra Altezza?»
Anser non rispose.
«Devo inchinarvi di fronte a voi?»
L’uomo sghignazzò e si profuse nell’imitazione di un inchino, senza mai abbassare lo sguardo.
Ti sta provocando. Vuole farti perdere le staffe. Ti prego, Anser, si disse la ragazza.
Il giovane puntò la spada contro di lui. Il braccio era immobile, sicuro. Prese un respiro profondo.
«Sono qui» disse, e la sua voce suonò perentoria, «per vendicare il tuo tradimento nei confronti di mio padre.»
Temeh scoppiò a ridere.
«Oh, ma Torg non te l’ha detto? Non è tuo padre.»
«Lui non è mio padre. Ma lo era l’uomo che mi affidò a lui. Hai tradito il tuo re, Temeh.»
«Ma taci!» sbottò. «Sei solo un ragazzino che si è montato la testa. Se ti fosse importato davvero qualcosa di tuo padre, ora saresti nei Regni con i tuoi amichetti.»
«Sta’ zitto tu» replicò. La voce, stavolta, suonò alterata.
No, Anser…
«Non sai nulla di me» ringhiò il ragazzo.
«Uh! Qualcuno si sta leccando le ferite nell’angolino! Che c’è, troppa paura per riprenderti il tuo posto?»
Un ghigno assassino affiorò sul volto di Temeh. Aveva vinto e lo sapeva.
«E se anche fosse? Almeno io non ho bisogno di far arrabbiare i miei avversari per vincere» sputò Anser, sprezzante.
«Dovresti provare. È un vero spasso! A proposito di spasso» l’uomo voltò la testa, fingendo di guardarsi intorno per cercare qualcosa, «non hai portato la tua puttanella magica? Peccato, mi sarebbe piaciuto farci un altro giro…»
L’urlo di Anser esplose insieme con la rabbia che le infuocò il petto. Fu sul punto di balzare in cima alle scale e scoccare quella dannata freccia.
Udì un improvviso clangore e seppe che avevano iniziato a combattere con il ferro invece che con le parole.
«Non osare» scandì il ragazzo.
«Altrimenti?»
Altro rumore d’impatto. Anser aveva risposto con la sua lama.
Keeryahel chiuse gli occhi per un istante. Lasciare Anser combattere da solo la stava lacerando più di quello che avrebbe immaginato.
Lo vide portare un affondo al fianco di Temeh, l’uomo lo intercettò con la sua lama; la sua mano scomparve dietro la schiena e ne emerse in un lampo d’acciaio.
L’Elfa, d’istinto, fece per scagliare una freccia di luce. Anser sollevò il braccio e parò al volo con il bracciale di metallo. Sollevò una gamba per tirargli un calcio al ginocchio, Temeh non schivò in tempo e fu colpito di striscio.
«Bastardo» ringhiò. Anser balzò indietro, evitando un tondo rabbioso. Doveva essere doloroso, quel colpo, se aveva fatto reagire così un combattente accorto come Temeh.
Keeryahel prese a torcersi una ciocca di capelli. Temeh ora aveva la sciabola e il pugnale, mentre Anser solo una spada. E anche se in altezza si uguagliavano, l’uomo era una montagna di muscoli.
Il ragazzo gemette. L’Elfa sussultò.
Temeh l’aveva raggiunto a una spalla, lacerandogli la corazza di cuoio con la punta del pugnale. Arretrò, ma l’avversario non sembrava intenzionato a lasciarlo riprendere; menò un fendente laterale con la sciabola e Anser incespicò per evitarlo. Con l’ennesima breve risata, Temeh lo spinse contro la porta che si trovava dietro la sua schiena.
Questa si aprì, e Anser sprofondò nel buio.
No!
Keeryahel balzò in piedi. L’occhio si allineò senza che lei nemmeno ci pensasse: le piume della freccia, la punta, la spalla di Temeh.
L’uomo gridò di stupore e dolore. L’asta gli sporgeva dalla carne in una macchia cremisi, lui si voltò e incrociò il suo sguardo.
«Ma allora ci sei! Benvenuta alla festa, stronzetta. Giusto in tempo per vedere il tuo ragazzo fatto a pezzi.» Il suo sorriso scacciò la maschera di dolore.
Keeryahel non aspettò. Balzò giù di qualche gradino e poi ancora giù, in salotto. Tese la mano, il fuoco bianco sfrecciò verso il petto del suo avversario.
Un’aura biancheggiò attorno a lui e inghiottì il suo incantesimo.
«Troppo facile, così» la derise.
Com’è possibile?!
L’Elfa arretrò, afferrò una freccia e la incoccò. Deglutì, il cuore che batteva come impazzito.
«Stupita? Non potevo rischiare che facessi uno di quei giochetti con cui hai steso tutti i miei l’ultima volta!»
Non può conoscere la magia, l’avrei percepito nella sua aura!
Si sentì improvvisamente inerme. Scoccò la freccia, ma la mano le tremava. Si conficcò alle spalle di Temeh e gli strappò la camicia procurandogli solo un graffio.
L’Elfa gettò l’arco di lato. Ora che Temeh era così vicino, era inutile. Estrasse la daga e arretrò.
Sbatté contro qualcosa con la caviglia, si trovò sbilanciata all’indietro. Il tavolino, se n’era dimenticata.
L’istante sembrò dilatarsi, vide Temeh sovrastarla con il suo solito sorriso e spada e pugnale nelle mani.
Riuscì a balzare di lato, sottraendosi all’assalto.
Come faceva a essere ancora così feroce nonostante le ferite?
Parò un fendente, percepì un lampo con la coda dell’occhio. Il pugnale.
Si piegò sulla schiena, annaspò con la mano libera e afferrò qualcosa che sembrava un frammento di vetro. Le tagliò la pelle quando lo strinse. Tese il braccio, avvertì la scheggia andare a segno, Temeh gemette. Il sangue le bagnò le mani.
Aveva trapassato la corazza di cuoio e l’aveva colpito al fianco.
«Bastarda!»
Scattò indietro. Una frustata di fuoco le attraversò la gamba destra, gridò. La spada di Temeh l’aveva colpita.
«Non la toccare mai più
Un lampo. Una spanna d’acciaio spuntava tra le costole di Temeh in un fiore di sangue. L’uomo spalancò gli occhi. Keeryahel vide la luce abbandonarlo, mentre il corpo stramazzava al suolo come un fantoccio.
Il rombo del suo cuore le riempiva il cranio. Anser, di fronte a lei, aveva gli occhi grandi dallo stupore. Abbassò lo sguardo sulle mani scorticate e sporche di sangue, sulla spada che spuntava dalla schiena del suo nemico di una vita, infine lo sollevò su di lei.
Mosse un passo, ma gemette, la gamba si piegò sotto il suo peso e crollò.
«Anser!»
La ragazza si precipitò ad aiutarlo. Aveva il volto teso, pallido.
«Sto bene, sto bene. Devo essermi… slogato una caviglia cadendo, credo. Scendere le scale è stato un incubo…» mormorò.
«Che cosa diamine…»
Keeryahel si voltò verso la porta spalancata. Tre giovani fissavano a bocca aperta la scena di distruzione che si spargeva oltre la soglia, il cadavere scomposto, loro due coperti di sangue.
Oh, maledizione!
«Moran, Kreig, Soreise!»
I tre ragazzi si volsero verso Anser, ancora a terra. Keeryahel gli tese una mano, lui vi si aggrappò e si sollevò di nuovo in piedi con un gemito.
«Cos’è questo… casino?» Quello che aveva parlato, un giovane biondo, dal volto scottato dal sole e un sorriso sghembo e sconcertato, si fece avanti.
«Siete arrivati giusto in tempo» disse Anser.
«Voci dicevano che i prigionieri si stessero ribellando; abbiamo pensato subito a te…»
«Non è importante.» Zoppicò avanti, appoggiandosi alla mobilia sfracellata, fino a raggiungere i tre. Pareva un po’ ubriaco, pensò Keeryahel. Forse uccidere la persona che si fantastica di eliminare fin dall’infanzia fa quest’effetto, si disse.«Moran, ti nomino comandante in seconda. Raduna tutti, abbiamo un Usurpatore da combattere.»
L’Elfa sbatté le palpebre. Era felice che Anser avesse deciso di tornare nei Regni, ma l’intera situazione l’aveva stordita. Scosse appena la testa. Si sentiva di colpo esausta.
«Keeryahel?»
La ragazza sollevò il viso verso il giovane. Gli si avvicinò, la mente ancora piena di quella nebbia.
«Forse non dovrei, ma non importa» le disse.
Lei lo fissò senza capire. Ma prima che potesse chiedergli cosa non avrebbe dovuto, Anser la baciò.







 
******* Famigerato Angolino Buio *******
Sono certa che alla fine di questo capitolo mi inseguirete brandendo una zweihänder.
Uno, perché è davvero interminabile - 3.720 parole. Srsly, cervello?!
Due, perché di fatto la storia non va avanti, e c'è una battaglia che sta per arrivare, e questi accidenti di personaggi stanno qui ad amoreggiare(?). Però la faccenda è che decidono loro cosa fare, per quanto io stia lì a rompere che devono sbrigarsi.
Poi, ci ho messo una vita ad aggiornare. A tal proposito, devo confessare che metà capitolo l'avevo già finito un secolo fa, ma la seconda parte mi ha davvero dato filo da torcere, dunno why... e non sono del tutto soddisfatta, ma se non aggiorno ora passa un altro eone almeno, visto che gli esami incombono. Avevo iniziato a scrivere con il PoV di Anser, poi a metà ho deciso che non mi piaceva e ho riscritto tutto dal PoV di Keeryahel... e mi sembra lo stesso troppo piatto, come duello epico - Temeh per quanto sia una persona indescrivibile è pur sempre uno dei boss di fine livello(?) - però so come sono fatta. Starei a ragionare su ogni parola, e non è proprio il caso.
Nonostante ciò, spero che almeno il vostro lato fangirl sia felice di questo capitolo! ^^
Annuncio già che per il resto ci vorrà un po', ma visto quanto lungo era questo ne avrete per un paio di lustri, credo.
Ce la farò, a finire questa storia! Dopo due anni, ce la farò! *musica epica motivazionale*
Alla prossima, then!
*si smaterializza*
   
 
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