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Autore: Eleanor_    14/06/2016    1 recensioni
Rose Weasley ha quindici anni, è una Grifondoro ed è la figlia di Ronald Weasley e Hermione Granger. E questo lo sanno tutti.
Ha i capelli rossi, gli occhi azzurri, la passione per i guai e per il Quidditch ereditati dal padre.
Il covo di ricci che si trova in testa, l'astuzia e la bontà d'animo, invece, li ha presi dalla madre.
Ma la somiglianza finisce qua.
Non è intelligente come Hermione, né coraggiosa come Ronald.
Rose Weasley non è sola, per fortuna.
Nella sua situazione si trovano quasi tutti i suoi cugini: lo scapestrato James, innamorato da sempre della bella e malinconica cugina Dominique, che si trova in una situazione complicata; Albus, spirito libero intelligente e decisamente affascinante; la dolce e furba Lily, il fratello Hugo, il freddo e apatico Louis, gli instancabili Fred e Roxanne.
Ognuno di loro sa cosa vuol dire avere il peso di un cognome sulle spalle.
E lo sa, scoprirà Rose, anche il biondissimo Scorpius Malfoy, il misterioso, arrogante e sensibile ragazzo che imparerà a conoscere, per un caso più o meno fortunato.
In breve, Rose Weasley sono io e vi voglio raccontare le nostre storie.
Genere: Fantasy, Romantico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Famiglia Malfoy, Famiglia Potter, Famiglia Weasley, Nuovo personaggio, Rose Weasley | Coppie: James Sirius/Dominique, Rose/Scorpius, Teddy/Victorie
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Nuova generazione
Capitoli:
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The eternal fight: teenagers against adults
 

‘Cause I’m taking back what’s mine,
I am taking back the time
You may call it suicide
But I’m being born again
I’m waiting
-Days Are Forgotten, Kasabian
 
 


«Mamma, solo un messaggio. Uno» imploro, per la centesima volta solo quel pomeriggio.
«Rose, la scuola inizia tra due settimane. I tuoi amici li rivedrai là» risponde esasperata mia madre.
«Penseranno che sia morta» ribatto io, sempre più convinta che non la persuaderò mai.
«Saranno molto felici di rivederti viva, suppongo» ride, tutta divertita, continuando ad impastare gli ingredienti della torta che sta per infornare.
Sono seduta al tavolo della nostra cucina da diverse ore, ormai, aiutandola con quel maledetto dolce. Mi ha tenuta segregata in casa praticamente tutta l’estate, in punizione, e mi costringe ad aiutarla in tutte le faccende domestiche. E per tutte, intendo proprio tutte : pulire il bagno, andare nell’orto a raccogliere la verdura, dividere la spazzatura, ripulire la grondaia dalla merda di uccello, e così via.
Cosa ho fatto di tanto grave per meritarmelo? Be’, ho semplicemente “provocato disturbi e disordini”, come li definisce lei, e non ho avuto dei voti molto alti, durante l’anno precedente.
“Se t’impegnassi, Rose, saresti la strega più brava della tua annata, come me!” mi ripete con molta modestia ogni volta che le faccio capire che io, di studiare, non ne ho la minima voglia.
La guardo di sottecchi per un momento, per capire ciò che la gente ci trova nella brillante e dotata Hermione Granger. Grandi occhi castani, quasi ambrati, contornati da ciglia lunghe e scure, capelli ricci e bruni che le arrivano appena sopra le spalle, una bocca sottile, così come il naso, e gli zigomi alti. Una donna come tante, alla fine, ma con un che di particolare. Non è alta ed è abbastanza esile ma c’è qualcosa nel suo modo di camminare, di parlare, di fare tutto ciò che fa, che le conferisce un’aria autorevole.
Devo ammettere comunque, che nonostante abbia quarantadue anni, sia una bella donna. Sì, okay, è mia madre, ma io dico le cose come stanno.
«A quanti gradi?» mi chiede.
«Trecentoventi1, per quaranta minuti» leggo distrattamente il foglietto su cui è stata velocemente scribacchiata la ricetta.
«Benissimo. Oh, tesoro, mentre aspettiamo che la torta si cuocia, va’ fuori a buttare la spazzatura e pulisci la cucina: è un disastro» ordina, mentre inforna il dolce.
«Ma… mamma! Non posso sempre fare tutto io!» protesto, alzandomi di scatto dalla sedia. Detesto quando con una finta noncuranza calcolata mi impone di eseguire le faccende più repellenti, trattandomi al pari di una domestica.
«A scuola per causare disturbi e disordini – ecco, appunto – ce l’hai fatta benissimo, e veniva tutto dalla tua testolina, inoltre» dice, falsamente delusa, incrociando le braccia al petto.
«Quando la smetterai di rinfacciarmi quello che ho fatto?» sibilo, strizzando gli occhi.
«Quando tu non mi darai più motivi per farlo, cara.»
Quanto odio quando fa così! Con i suoi “cara, amore, tesoro, piccola, Rosie, cucciola” del cavolo. Che ipocrita.
Sbuffo rumorosamente ed esco dalla cucina sbattendo la porta. Prendo il sacco nero che mi attende malamente disteso sul pavimento del portico e mi incammino, attraverso il vialetto del giardino, per arrivare al marciapiede.
Alla fine, lo devo ammettere, andare fuori a buttare la spazzatura non è così male. Sono i pochi e rari momenti che posso trascorrere all’aria aperta in solitudine, fuori dalle mura di casa mia, cosa che non mi è praticamente mai concesso di fare. Escludendo le volte in cui la strega mi costringe ad andare a fare la spesa al supermercato vicino.
I “disturbi e disordini” che ho combinato a scuola, parlando francamente, non erano tanto gravi da rinchiudermi per l’intera estate. Erano scherzi, e io sono ancora una ragazza. Entrare nelle cucine per rubare un po’ di cibo, nuotare nel Lago Nero, dare una festa che dura fino alle tre di notte sono divertimenti che solo quando si è ragazzi ci si può permettere.
Oh, ma c’è di peggio: lei pensa che io fossi sola. Non le ho detto però che ad organizzare tutto questo c’erano anche i miei cugini Albus, James, Dominique, mio fratello Hugo e i miei migliori amici. Infatti sono stati puniti come me solamente Fred e Roxanne, i cugini su cui è più facile far ricadere la colpa per via della loro sfrenata passione per i guai e l’indole ribelle. Lo trovo non solo ingiusto, ma anche umiliante, dal momento che le mie amiche e i miei cugini hanno passato tutte le vacanze a divertirsi e a cazzeggiare, mentre io mi sono dovuta studiare l’intero programma scolastico dell’anno scorso per recuperare i debiti e parargli il fondoschiena.
«Che vita di merda» sbuffo, lanciando il sacco al di là della strada, il quale, naturalmente, si rompe e si rovescia sul marciapiede, facendo uscire lattine vuote di tonno, plastica unta e barattoli puzzolenti. Arricciando il naso rimetto tutto dentro e approfitto dei pochi minuti di libertà concessi per farmi una passeggiata.
Brentford d’estate è una città bellissima: il Tamigi, che scorre accanto al Gallows Bridge, riflette il sole luminoso e la sua acqua è limpida e pulita quasi solo in questa parte di Londra. Gli alberi fungono da ombrelloni alle panchine rosse di vernice smorta appoggiate al loro tronco e le strade grigio scuro sono pulite. Le case, la maggior parte rosse, rendono il paesaggio più fantastico: con i loro fiorellini bianchi e blu che abbelliscono le facciate di ogni abitazione, sembrano essere la cornice di una qualche fiaba babbana.
Svolto all’angolo tra Harrow Dene e St. Paul e percorro la lunga Westwood Road, costeggiata da negozietti di varie dimensioni per poi entrare nella libreria costantemente affollata della signora Morgan dove, da piccola, passavo la maggior parte delle mie giornate estive.
«Buon pomeriggio, signora Morgan» saluto, chiudendomi la porta alle spalle.
Il grande spazio completamente occupato da scaffali, tavolini e mensole ospita le più varie razze e specie di libri. A una mezza decina di metri da dove mi trovo c’è la cassa, ricoperta da cianfrusaglie e souvenir. Dietro al bancone c’è la padrona del posto, una donna florida e vivace, con gli occhi neri e vispi. La signora Morgan si toglie gli occhiali da lettura e solleva la testa, squadrandomi con aria perplessa. Quando capisce finalmente chi sono, inizia ad urlare: «Rose! Zuccherina!» e corre ad abbracciarmi, neanche fossi sua nipote.
«Anche per me è un piacere rivederla» dico a mezza voce, sgusciando fuori da quell’abbraccio spaccaossa. Voglio bene alla libraia, ma quanto a dimostrare il proprio affetto, non abbiamo lo stesso punto di vista.
«Non ti vedo da tutta l’estate! Che fine hai fatto?»
«Ho combinato un po’ di casini a scuola e mia madre mi ha messa in punizione» le confesso grattandomi la nuca imbarazzata, reprimendo a fatica gli istinti omicidi.
Lei scoppia in una fragorosa risata, contenuta non appena si accorge dell’ingresso di alcuni ragazzi diretti all’area fumetti.
Mi avvio verso il bancone e vi appoggio di gomiti, mentre lei fa il giro del tavolo e torna a sedersi sulla sua immensa sedia girevole, che scricchiola sotto il suo modesto peso.
«Solo per questo? Tua madre è stressata dal lavoro?» chiede, continuando a ridere. La signora Morgan è una persona che ride un sacco.
«Perché?»
«Insomma, ne hai combinate di peggiori, ma allora non ti ha tenuta chiusa in casa per mesi! Ora, mettiamo anche che fossi una bambina, però non è mai stata così severa.»
Ci rifletto un attimo e realizzo che ha ragione. Mia madre è molto presa dal lavoro in questo periodo ed è nervosa: si arrabbia per le cazzate più stupide, ultimamente anche con Hugo è rigida e non è proprio un mistero che lui sia il preferito di mamma. Perfino con mio padre litiga. Perlomeno, più spesso del solito.
«Ha ragione… proverò a parlarle» mento. Voglio liquidare il discorso in fretta, comprare un libro e arrivare a casa prima che mia madre si domandi dove sono finita. D’altronde devo ripulire la cucina, non posso assolutamente fare tardi.
La donna sorride e mi fa l’occhiolino.
Mi dirigo a grandi passi verso la zona che vende romanzi stranieri e inizio la mia ricerca: so esattamente cosa voglio. Seguo l’indice alfabetico e trovo immediatamente il libro che cerco, lo prendo e lo sfoglio, poi lo porto alla cassa.
La signora Morgan si guarda attorno: nella stanza ci sono solo tre ragazzi babbani che parlano dell’ultimo videogioco uscito, Assasin’s Creed, e un paio di ragazze che sussurrano e ridacchiano a bassa voce. Nessuno dei due gruppi sembra prestarci molta attenzione.
La donna sussurra velocemente: «Venti Falci.»
Frugo nelle tasche ed estraggo i soldi magici. Mia madre ovviamente non sa che possiedo ancora delle monete, per cui cerco di tenergliele nascoste.
La libraia ritira i soldi e li fa scivolare dentro una tasca della gonna.
«Mm… Anna Karenina… autori russi, eh? » commenta.
«Voglio provare un genere nuovo» ribatto, scrollando le spalle. «Ora vado, signora Morgan» la avverto, senza dare ulteriori spiegazioni.
«Vieni a trovarmi presto, che tra poco inizia la scuola e non ti vedrò per molto tempo!» trilla, infilando nuovamente gli occhiali da lettura.
«Cercherò un modo per venirla a trovare, promesso» la saluto, e poi esco dal negozio, iniziando a correre, col libro infilato sotto la t-shirt XL sgualcita che indosso.
Alla fine, al contrario di ciò che pensavo, mantenni la promessa: chiesi spesso a mia madre di permettermi di andare a salutare la signora Morgan, ma lei, sempre impassibile, non me lo permise.
 
* * *
 
«Mamma! Ho quindici anni, cavolo!» urlo, mentre mia madre cerca per l’ennesima volta di stritolarmi in uno dei suoi abbracci troppo formali.
Mi piego a raccogliere il baule proprio mentre lei, con un’ espressione sconvolta, sta per rifilarmi una predica della serie “Rose, per Merlino, ti ho insegnato l’educazione o no?!”.
Giro gli occhi sbuffando, con la certezza che questo mi costerà non meno di una settimana di incazzatura.
«Ciao, mamma, ci vediamo a Natale» le dico, seccata.
Lei sembra quasi non notare il mio tono e si limita a sospirare: «Se non ti mando in collegio prima.»
Sto per darle una risposta da non dover mai dare alla propria madre, ma per fortuna, puntuale come un orologio svizzero, arriva mio fratello, che mi afferra per un braccio e mi porta via, lontana da mia madre, verso la mia vera casa.
«Rosie, senti, falla finita.»
Ancora più esasperata sbuffo di nuovo e raggiungo il muro della colonna fra binario nove e dieci, a cui mi appoggio, seduta sul mio baule. Accarezzo il mio gatto, Tennessee, che mi concede addirittura un po’ di fusa.
Resto immobile per qualche minuto, con la mano infilata nella cuccetta del gatto, annoiata, senza la possibilità di fare alcunché. Mia madre non mi ha ancora restituito il cellulare, e le do perfino ragione dal momento che sarebbe inutile, poiché a Hogwarts le apparecchiature elettroniche non funzionano.
Mi accascio ancora di più sul mio baule in attesa che accada qualsiasi cosa di più interessante che guardare i babbani e mi strappi dalla noia, ripensando alla sensazione meravigliosa che proverò appena rivedrò i miei cugini e tutti i miei amici. Persino la prospettiva di incontrare Thalia Nott e Destiny Rookwood, le due puttane Serpeverde per eccellenza, ora non mi sembra granché male. Potrei persino ammettere che Connie Marigold, la Corvonero so-tutto-io che l’anno scorso mi ha fatta dannare durante le lezioni che condividevamo a Divinazione, mi manca. Un istante dopo ripenso a quanto detto e un moto di repulsione mi fa cambiare idea.
Sono immersa in questi pensieri, quando un profumo di rose molto intenso mi pizzica il naso e mi risveglia dal mio stato di trance. Prima ancora di sollevare la testa e realizzare ciò che sta succedendo, so che è arrivata mia cugina.
«Rosie!» urla lei, strattonandomi per un braccio per farmi alzare.
«Dom!» urlo io per risposta.
Ci stringiamo in un abbraccio infinito e solo ora mi rendo conto di quanto mi sia mancata mia cugina.
« Sei diventata più alta? » dice, squadrandomi, una volta sciolto l’abbraccio.
«O tu più bassa?» la stuzzico. So che parlare della sua altezza, anche se non esageratamente… bassa, le dà fastidio.
Lei si esibisce in uno sei suoi sorrisi del tipo che potrebbe fare la pubblicità di un dentifricio, e io riesco ad osservarla meglio. Ovviamente è bellissima, e lo è proprio perché tenta di mascherare questa sua bellezza innata: porta i capelli lisci e biondo platino raccolti in uno chignon malamente appuntato sulla testa. Gli occhi azzurri, del colore del ghiaccio, mostrano sempre la parte più debole e fragile di una ragazza che da fuori sembra sprezzante e tosta. Non sono freddi, bensì distanti e con una sorta di velo malinconico-nostalgico che ormai riesco ad associare solamente a lei, la persona che mi è sempre stata accanto, dalla culla a questa parte. La sua bocca è ancora schiusa in un sorriso che ora si è fatto timido, ma si riesce ancora ad intravedere il canino decorato da un brillante. Ha le guance tinte di un naturale rossore, tipico del gene Weasley, anche se lei, di Weasley, ha veramente poco.
Essendosi sempre sentita, come Roxanne, d’altronde, più simili alle madri e quindi non propriamente parte dell’omologata banda Weasley, Dominique, da quando la conosco, non solo vuole evitare a tutti i costi di ottenere le attenzioni che tutti sembrano rivolgerle, ma inoltre ha sempre tentato di emanciparsi dall’ideale di bellezza eterea che le viene attribuito. È per questo che non indossa mai nulla di vistoso, appariscente o lontanamente seducente, si passa appena un velo di trucco sul viso e preferisce lasciare i suoi capelli allo stato brado piuttosto che lisciarli con la piastra o pettinarli.
«Saliamo sul treno, di corsa!» dice, notando l’ammasso di persone che si sta lanciando sulle porte dell’Espresso scarlatto.
Io annuisco, non riuscendo però a togliermi un sorriso ebete dalla faccia.
Con una mano stretta nella sua e l’altra che trasporta la gigantesca valigia munita di cuccia per gatto, non è facile destreggiarsi con dignità fra la gente. Più di una volta, infatti, inciampo sui miei stessi piedi.
Tentiamo di farci spazio tra la folla di persone che occupa la traversina per raggiungere l’ingresso al Mondo Magico e che, facendoci anche da scudo, non nota le due ragazze che stanno attraversando la barriera tra due binari.
Una volta dall’altra parte, lascio la mano di Dominique e sento la familiare sensazione di vuoto allo stomaco che mi coglie ogni volta in cui mi trovo qui, pronta a raggiungere la mia seconda casa.
Mi guardo attorno, non riuscendo ad evitare di sorridere: sono finalmente il binario nove e ¾, il primo segno della mia libertà.
Mio fratello raggiunge poco dopo la mia postazione, ma prima di potergli parlare, lui sguscia via, raggiungendo il suo gruppo di amici. Mi sembra quasi impossibile che il mio fratellino minore a cui sono tanto legata stia veramente per cominciare il suo terzo anno ad Hogwarts. Come, d’altra parte, mi sembra impossibile che io stia veramente per cominciare l’anno in cui dovrò sostenere i G.U.F.O. Il panico mi travolge come un’onda, ma tento di ricacciarlo indietro.
Cercando di spingere meno persone possibili, mi faccio spazio tra i corpi, seguendo i passi di Dominique. Quando trovo un piccolo spiazzo libero, appoggio il mio bagaglio e guardo torva tutta la gente che sta ammucchiata davanti agli ingressi del treno.
«E noi come cavolo facciamo a passare?» grugnisco.
Tra le varie persone, le quali indossano vestiti coloratissimi, noto le inconfondibili capigliature rosse tipiche della mia famiglia: Lily, ad una debita distanza dai suoi fratelli maggiori, mio padre, che non so come abbia fatto a raggiungere il Binario prima di me, zia Ginny, nonno Arthur, meravigliato e con gli occhi lucidi, e persino Molly.
C’è qualcun altro di familiare però: una ragazza che indossa un leggero vestito viola a fiori con i capelli castani ed estremamente ricci raccolti in una traccia.
Spalanco la bocca in un’espressione che deve sembrare molto idiota ma non ci bado.
«Jadie?» dico in tono indeciso, e la ragazza, come se l’avessi urlato, si volta.
Non passa nemmeno un secondo che ci corriamo incontro e ci stringiamo in un abbraccio ancora più infinito di quello precedente con Dominique.
Un’intera estate senza vederci, senza sentirci, senza contatti è troppo per lei, che inizia a singhiozzare debolmente.
«Eddai, Jadie, non vedi che sono viva?» la rassicuro, accarezzandole la schiena e affondando il viso nella sua spalla.
«Ma io pensavo fossi morta! Ti giuro, se sapessi come Smaterializzarmi, sarei venuta immediatamente da te!» urla.
Io rido, perché sono certa che l’avrebbe fatto davvero.
Sciogliamo l’abbraccio e ci guardiamo in faccia per un attimo. Prima di poter dire qualcosa lei mi sussurra: «Mamma mia, quanto non sei cambiata. Ti aspettavo smunta, dimagrita, fiacca. E invece sei tu.»
Le tiro uno schiaffo in testa stizzita, lei mi fa la linguaccia e si sistema la borsa sul fianco, quasi nevroticamente. Saluta affettuosamente Dominique e poi ci fa segno di seguirla. Trascinandomi dietro la valigia, montiamo sul treno tutte e tre e occupiamo un posto fra le prime cabine dell’Espresso, vicino alla carrozza del conducente. Mentre aspettiamo che qualcuno dei nostri amici e i miei cugini si uniscano a noi, iniziamo a parlare di ciò che abbiamo fatto durante l’estate. Dominique si è defilata velocemente alla ricerca del suo ragazzo e ci ha lasciate sole. Non appena Jade comincia a raccontarmi delle sue avventure estive, mi accorgo, come temevo, di non avere praticamente nessun argomento di conversazione. Cosa dovrei dirle? Che per tutta l’estate ho pulito tetti e scrostato forni? Che le uniche “feste” a cui sono andata sono state le riunioni del vicinato, una volta al mese?
«Hermione mi ha tenuta chiusa in casa. Tutta. La maledetta. Estate. Se ti dico che non ho fatto nulla, letteralmente non ho fatto nulla» ribadisco, irritata.
«Scusa. Posso dirti solo un’ultima cosa? Piccola piccola » implora Jade, con gli occhi grandi che esprimono un vero desiderio di parlare.
«Dimmi.»
«Quest’estate, e non so come abbiano fatto ad avere il mio numero, mi hanno scritto Liam Simons, Joel Weetmore e due ragazzi di Tassorosso. In più, cosa più importante, indovina un po’ con chi sono uscita…!» scoppia, con gli occhi che brillano. Senza attendere la mia risposta riprende: «Albus! Ma ci credi?! E mi ha anche baciata!»
« Cosa?! Veramente?! » le domando, strabuzzando gli occhi. Sono sorpresa, seriamente: a Jade piace mio cugino dall’anno scorso. Sono pure amici, solo che lui, più di tanto, non ha mai parlato dei suoi sentimenti, nonostante siano usciti più di una volta.
Jade ha un sorriso enorme stampato in faccia. Magari ci fosse un ragazzo che fa questo effetto anche a me. Be’, in realtà c’è, però…
«Ho anche degli scoop sulla Nott, ma ti racconterò più avanti» aggiunge.
«Usciamo un momento?» chiedo.
«Per fare cosa?» risponde, masticando una Bolla Bollente.
«Voglio vedere se c’è David da qualche parte, per salutarlo» butto lì, con indifferenza.
«Scommetto che è quello che ti è mancato di più quest’estate, eh?» sorride con malizia.
«Jade! È un mio amico e basta, chiaro?» sospiro.
«Sì, sì, amico…»
Sbuffo ed esco dalla cabina, incrociando gli occhi tanto per farle capire che sono piuttosto seccata.
Camminando lungo il corridoio, percorrendolo fino alla fine, mi rendo conto ancora di più di quanto mi sia mancato tutto questo: il rumore che fanno i miei compagni di scuola, le facce familiari dei ragazzi che frequentano la mia stessa classe, le risate dei primini, le parolacce e le battute sporche di quelli più grandi, le mie compagne di dormitorio…
«Celeste!» urlo alla mia coinquilina, e amica più cara.
Lei si volta di colpo e sembra un po’ sconcertata nel trovarmi, come tutte le persone che ho incontrato finora, viva e vegeta.
«Rose!» mi fa eco, stringendomi in un abbraccio. «Oh Merlino, stai bene! Non mi hai mandato nemmeno un messaggio quest’estate. Dove diamine eri finita?»
«Scusa, ti racconto per bene stasera, promesso» mi difendo.
«Ci conto! Ehi, ciao Jade» saluta lei, appena nota la ragazza accanto a me.
«Ciao» risponde freddamente l’altra.
Celeste sembra rimanerci davvero male per la risposta gelida ma fa finta di niente e chiede: «Vi va di stare con noi? Ci sono anche Belle e Maggie»
«Grazie, ma Jade ed io stiamo nella cabina là infondo ad aspettare i miei cugini» le spiego mortificata. «Mi dispiace.»
«Nessun problema. Ci vediamo a cena» mi sorride, per poi chiudersi la porta scorrevole alle spalle.
Prendo Jade per un braccio e la trascino lungo il corridoio
«Adesso tu mi spieghi che cosa cavolo hai contro Celeste» ordino, non contando sul fatto che me lo dirà subito.
«Credo sia una persona falsa» risponde schiettamente.
Più facile del previsto.
«Cosa? Celeste falsa?» rido.
«Sì, e pure molto approfittatrice» dice, come a sfidarmi.
«Ma come ti viene in mente? Non la conosci neppure!» sbotto, al limite dell’esasperazione.
«Non so spiegartelo, sono cose che si sentono a pelle. Non mi è mai andata a genio quella ragazza.»
Incrocia le braccia al petto, come a sfidarmi a ribattere.
«Jade, finiscila. La conosco da sette anni, forse di più, e non ho mai dubitato della sua sincerità.»
«Ne sono convinta, ma ti sto solo avvertendo di stare attenta. Il modo in cui si comporta, tutti quei sorrisi rivolti a chiunque… Sono frutto di un’ipocrisia ben calcolata.»
Non riesco a trattenere una risata scettica e seccamente chiudo il discorso.
«Non è che sei solo gelosa?» le domando, alzando un sopracciglio e dirigendomi verso il nostro scompartimento.
«Di chi? Di te?» Scoppia a ridere e poi aggiunge, sinceramente sorpresa: «Perché mai dovrei, so di essere la tua migliore amica!»
«Non mi azzarderei mai a distruggere questa tua convinzione, allora» ghigno divertita, anche se in realtà quello che ha detto è del tutto vero.
Entrambe facciamo cadere il discorso.
«E David?» domanda, raggiunta la nostra cabina.
«Lo vedrò a scuola, in ogni caso» assicuro.
Appena entriamo nel nostro scompartimento, vedo che Dominique è tornata, e assieme a lei c’è qualcun’altro: Albus e Lily si sono uniti a noi, occupando l’intero spazio all’interno.
«Albus!» sorrido con enfasi al mio migliore amico, nonché cugino preferito, che prima non avevo visto, al binario.
«Rosie!» mi risponde lui con un sorriso e mi abbraccia, poi guarda alle mie spalle e arrossisce. Saluta impacciato Jade e si siede.
«Che smancerie» soffia Dominique, che è sempre stata gelosa del rapporto che c’è tra me e Albus.
Saluto Lily, che si è truccata gli occhi con un ombretto azzurro cielo, a quanto pare, e poi ci sediamo tutti sui pulciosi e consunti sedili blu, in attesa del familiare suono che ci indica che il treno è in corsa.
 
Le prime ore del viaggio trascorrono tranquille: io e Jade parliamo del più e del meno. A volte si inserisce nella conversazione anche Dominique, con i suoi gossip e i pettegolezzi.
Lily, se ne sta come al solito in disparte, per conto proprio. Albus ha raggiunto i suoi amici poco dopo la partenza da Londra.
«Quel David Lodge, il tuo amico, non capisco cosa ci trovi in lui. Non è nemmeno carino» cinguetta mia cugina quando cominciamo a parlare di Dave.
«Rose è innamorata di lui e sai che l’amore è cieco» mi prende in giro Jade.
«Apriamo l’argomento “infatuazioni”? Sai, qua dentro c’è una persona che sarebbe molto felice di sapere che tu sei cotta di…» non riesco a terminare la frase perché lei mi tappa la bocca e mi trucida con lo sguardo.
«Va bene, va bene, starò zitta! Ma anche tu! Se scopro che Albus lo sa, io ti uccido!» mi minaccia a voce bassissima.
«Ehi! Anche io voglio sapere!» si impiccia Dominique.
«Giura che terrai la bocca chiusa, perché ti conosco, e so che non riesci a mantenere i segreti» la ammonisco.
«Promesso.»
«Bè… non c’è nulla da sapere… tra me e Albus…» confessa sempre a voce bassissima Jade, lanciando un’occhiata a Lily, che a quanto pare trova veramente interessante la sua rivista sul Quidditch.
«Tutto qua? E che male c’è se Albus lo scopre?»
«Shhht! Non voglio che lo scopra, punto e basta!» la zittisce.
«Ok, ok. Ma scusa, non hai intenzione di dirglielo?»
«Non subito. Non so cosa lui provi per me e potrei rovinare la nostra amicizia.»
«Tentar non nuoce, non sai mai ciò che può accadere. Ti ricordo che ti ha anche baciata» dico io, mettendo una certa enfasi sull’ultima parola.
«Sì ma sicuramente ci avrà ripensato.»
«No, credimi che non ci si pente mai di un bacio» assicura Dominique scuotendo la testa.
Qualche minuto dopo, per uno strano scherzo del destino, entra in cabina Albus.
 
Verso le due del pomeriggio, i nostri discorsi vengono interrotti dalla Signora-Del-Carrello, così ne approfittiamo per comprare qualcosa.
«Una scatola di Gelatine Tuttigusti+1» chiedo per prima.
«Una Liquirizia Lingualunga» aggiunge Dominique.
«Mmmh… due Fildimenta Interdentali, per favore» conclude Jade.
La signora ci porge con un sorriso il pacchetto beige, due nastri azzurri e un sacchetto rosa e noi la paghiamo.
Apro il mio pacco, mangio una caramella e arriccio il naso.
«Melone» dico. Poi prendo un’altra caramella, la metto in bocca e inizio a masticare. Non riesco a capirne il gusto, non assomiglia a niente che abbia mai mangiato in vita mia.
“Sei diventata bianchissima” sono le ultime parole che sento pronunciare da Dominique, prima di sprofondare in un lungo sonno.
 
* * *
 
«Rose, mi senti?»
Appena mi risveglio noto che c’è qualcosa che non va: i visi delle persone che mi stanno attorno sono tesi e il modo in cui mi guardano conferma i miei presentimenti.
«F-Fred? » balbetto, alzandomi. Mi sento la bocca impastata e ho un terribile mal di testa.
«Ross. Sei sveglia grazie al cielo. Scusa. Ti giuro, io non sapevo che quel Pasticcetto Svenevole sarebbe toccato a te. Volevo… volevo solo fare uno scherzo ad Avery. Mi dispiace, mi dispiace» si scusa lui mortificato.
«Cosa? Tu hai messo un Pasticcetto Svenevole dentro le mie caramelle?!»
«Non dentro le tue caramelle… in realtà pensavo che le avrebbe mangiate Avery! Era giusto nello scompartimento dopo questo e ho sentito che le voleva. Mi sono anche raccomandato con quella vecchia megera di NON DARE A NESSUNO QUEL PACCHETTO, ma a quanto pare non mi ha dato retta» sputa tutto d’un fiato il fratello di Roxanne.
«Tu… Tu… Potevano capitare a chiunque!» Mi accorgo che il mio tono di voce si sta alzando. Non so da dove provenga tutto questo risentimento, sento solo che sta parlando da solo, non sta seguendo ciò che il mio cervello detta alla mia bocca.
«Lo so, ma al momento mi era sembrata un’idea geniale» dice avvilito.
«Tutte le tue “idee geniali” alla fine risultano dei piani da schifo che ci fanno solo finire nei casini!»
Adesso sto veramente alzando la voce, il che non giova al mio mal di testa. Non sono mai stata così dura con Fred, anzi, al contrario, l’ho sempre appoggiato in tutto ciò che faceva. Vedo dallo sguardo nei suoi occhi scuri che quelle parole l’hanno ferito, ma è solo un attimo, perché poi cambia totalmente espressione, diventando una maschera di freddezza.
«Ricordati solo che tu stavi con me, Rose» conclude con un tono duro, che non gli ho mai sentito usare con nessuno, ed esce dalla cabina. A poco a poco il risentimento si affievolisce, lasciando spazio ad un’immensa stanchezza.
Lo guardo mentre si allontana e non riesco a fare a meno di sentirmi in colpa.
No, Rose, tu non hai fatto nulla.
«Stai bene?» mi chiede Celeste, accarezzandomi il braccio.
«Sì» rispondo, portandomi una mano alla testa. «Da quanto sei qui?»
«Un paio d’ore penso. Questo pomeriggio sono passata qua davanti e ho visto che tu eri stesa sul sedile e i tuoi cugini ti stavano attorno e mi hanno detto che eri svenuta.»
Annuisco, guardandomi attorno. Ci sono tutti: Dominique, Jade, Lily, Hugo e Roxanne. E tutti, ovviamente, mi stanno guardando con occhi strabuzzati ed espressioni imbarazzate per aver assistito al litigio con Fred. Mi sento totalmente nuda ed esposta a trovarmi al centro dell’attenzione di così tante persone, nonostante siano i miei familiari.
«Dove siamo?» domando tirandomi a sedere con un grugnito.
«Quasi a Hogsmeade» stabilisce mio fratello, guardando fuori dal finestrino.
«Oh merda, non ho messo la divisa» dico. «Scusate, siete stati gentilissimi a stare con me ma ora gradirei… cambiarmi… e ho bisogno di privacy…» scandisco.
Uno a uno escono dalla cabina ed io mi cambio così in fretta che sono colta da una fitta tremenda alla testa e sono costretta a sedermi. Dominique e Celeste, le uniche rimaste dentro con me, mi offrono della cioccolata ma io rifiuto, sentendo arrivare dei conati di vomito.
«Per Merlino, sicuramente chi vuole saltare le lezioni mangiando dei Pasticcetti Svenevoli, dopo starà male veramente» osservo, appoggiandomi una mano sulla pancia.
Le ragazze ridono piano ed io percepisco chiaramente che la tensione si è spezzata.
In pochi minuti arriviamo a Hogsmeade e l’Espresso si ferma. Scendiamo cautamente, trascinando i bauli e le gabbie degli animali.
Hogwarts. Casa. Famiglia. Eccola finalmente: la vedo solo da lontano, oltre gli altissimi alberi della foresta, un enorme castello sopra una collina, una rocca, una rassicurante seconda casa dove non sarò continuamente sottoposta alle pressioni di mia madre, ai suoi castighi, ai suoi ordini. Dopo due lunghi mesi finalmente sono di nuovo qua e sono felice, davvero felice, come se quel posto fosse il ricordo di un’infanzia bellissima ed io ci ritornassi dopo anni che non lo vedo.
«Rose!» Una voce maschile mi riporta alla realtà. Mi volto seguendone il suono e vedo che mio fratello mi fa segno di salire sulla carrozza, trainata dagli invisibili Thestral.
Annuisco e salgo con gli altri. Tranne, ovviamente, Fred e Dominique, che raggiunge il suo ragazzo, Jonathan.
«Brett Hunter ha lasciato la scuola» li informo dopo qualche minuto, rompendo quel silenzio non proprio da noi.
«Brett? Brett chi?» chiede Lily, sistemandosi meglio sul sedile.
«Brett Hunter, quel ragazzo che abbiamo conosciuto l’anno scorso, proprio su una di queste carrozze. È un Tassorosso» ricorda Hugo. «Come fai a saperlo?»
«Me l’ha detto lui, poco dopo la fine della scuola e poco prima che la mamma troncasse tutti i contatti fra me e il mondo esterno. Mi ha scritto che gli dispiaceva moltissimo» spiego.
«Ma ti ha detto il perché?» domanda a bassa voce Hugo.
Mi volto in modo da poter guardare l’animale che sta trasportando la nostra carrozza, quello che solo chi ha assistito alla morte riesce a vedere.
«Perché i suoi genitori sono stati uccisi una settimana dopo il suo ritorno a casa.»
 
A cena mangiucchio qualcosa e approfitto della confusione generale nella Sala Grande, per sgattaiolare in dormitorio con Celeste prima delle mie compagne. Io e Cel parliamo per una buona mezz’ora finché nella stanza non irrompono anche Maggie e Belle.
Dopo i saluti e gli abbracci da manuale, ognuna di noi riprende la propria attività.
Mentre Margaret canticchia una canzone terribilmente malinconica, io e Cel continuiamo a chiacchierare a bassa voce.
Dopo averle raccontato dettaglio per dettaglio la mia estate, anche se non ci metto molto, lei mi rivolge un sorriso e mi dice: «Mi sei mancata, lo devo ammettere Rosie.»
«Anche tu. Io ci ho provato, ho provato mille volte a scriverti un messaggio o a mandarti un gufo… Ma Hermione è irremovibile, per me è fatta di pietra» mi scuso.
Sento una fitta al cuore, al pensiero di mia madre e di tutte le volte in cui mi ha detto di no quest’estate, di tutti i lavori domestici che ho dovuto sbrigare, di tutte le persone che non ho potuto vedere, incontrare e con cui non ho potuto parlare.
«Io, comunque, devo parlarti di una cosa importante» comincia lei, con una nota di nervosismo nella voce.
Siamo sedute sul suo letto, così incrocio le gambe sul copriletto scarlatto e mi sposto per farle spazio.
«Dimmi tutto» la invito io, con un tono che, almeno secondo me, dovrebbe suonare persuasivo.
«Ecco, io… ecco» comincia, ma poi sembra cambiare idea. «Jade, no… io penso che… insomma, che lei mi odi. Ma non voglio questo. Cioè, io non la odio, e non voglio che lei odi me» decide alla fine.
«Cel, intanto finiscila di dire “odio” perché in questa frase l’hai detto abbastanza volte. Non so cosa le prenda, proverò a parlarle » mento, con una diffidenza strana nei suoi confronti.
«Grazie» dice lei dolcemente, anche se dalla sua posizione sembra irrigidirsi.
«Rose! C’è un certo David di sotto che ha chiesto di te.»
Mia cugina Lily, in camicia da notte e con i capelli rosso fuoco acconciati in due piccole trecce, è appena entrata nella stanza e svogliatamente mi fa un cenno di saluto, poi prosegue verso la sua camera.
«Oh, grazie Lily.»
Mi alzo dal letto, chiedo a Celeste se vuole seguirmi e lei accetta.
All’inizio credevo che David fosse un ragazzo esagerato, troppo incasinato, pieno di sé e anche leggermente arrogante, forse proprio per questo fino all’anno scorso non ci eravamo mai rivolti la parola. Conoscendolo meglio, però, ho capito che in realtà è una persona meravigliosa, che sa sempre come farmi ridere. E ho capito che mi piaceva. Anzi, che mi piace. Celeste questo lo sa, e per fortuna ha sempre custodito questo segreto come fosse proprio.
Scendo le scale piuttosto di corsa, e, quando arrivo in Sala Comune, lo vedo. Lui è lì, seduto su una poltrona. Non molto diverso da come lo ricordo: i capelli castani gli sono cresciuti e ora ci sono delle ciocche che gli coprono il viso. Porta degli occhiali nuovi, neri con la montatura grossa che gli nascondono un po’ il naso a patata. Ha le sopracciglia scure e ben definite, folte. Le labbra sono carnose e, quando sorride, mostrano una dentatura quasi perfetta: un canino, infatti, è scheggiato. Ha una cicatrice sul collo, argentea e irregolare, che si è procurato giocando a Quidditch con suo fratello maggiore e una meno visibile sulla tempia. Non lo definirei bello, anzi. Ha qualcosa di affascinante, non so se lo sguardo intenso o le imperfezioni del viso. Il fisico, magro e asciutto, è quello di un agile e veloce Cacciatore.
Noto solo più tardi che sta parlando con qualcuno, qualcuno che sta seduto di fronte a lui, una ragazza che sta ridendo, una risata che conosco molto bene: quella di mia cugina Dominique.
I due stanno ridendo, e troppo, per i miei gusti. Devo avere un’espressione piuttosto idiota sul viso, a metà tra lo stupore e la sorpresa, con un briciolo di odio, forse. Mi affretto ad assumerne un’altra, che si addice di più a me: fredda ironia.
Osservo i due ragazzi giusto il tempo necessario, perché poco dopo lei si accorge di me e Celeste: io sono appoggiata al muro di fronte a loro, proprio in fondo alle scale, con le braccia conserte come a dire “Tranquilli, non ho fretta”. Celeste, invece, è in piedi sull’ultimo gradino e sembra sul punto di picchiare qualcuno.
«Ehi, David. Come va?» domando, fingendo di non vedere mia cugina.
«Ehi, Rose. Bene… tu?» risponde, con la sua solita voce arrogante. Non ha notato il mio tono ostile.
Dominique, intanto, si è alzata in piedi, e sta fissando il fuoco affascinata, come se stesse osservando una specie di animale che non ha mai visto prima in vita sua.
«Non c’è male. Dov’eri stasera, a cena? Ti stavo cercando.»
«Oh, io non… non stavo molto bene. Ma parliamo di te: che fine hai fatto quest’estate? Non mi hai scritto, mai, né un gufo né un messaggio» replica.
«Mamma mi ha chiusa in casa, ero piena di lavori da fare e non mi ha lasciato avere contatti con nessuno» liquido il discorso con una scossa del capo.
Dominique distoglie lo sguardo dalle fiamme e mi fissa, come per chiedermi scusa. Ma non è lei con cui sono arrabbiata. È David.
Noto che le ombre che getta il fuoco mettono in evidenza delle occhiaie profonde che stonano col bel viso pallido, segno della sua stanchezza.
«Non avevo intenzione di disturbare, scusate.» concludo. «Buonanotte.»
Senza attendere risposta mi volto e afferro il braccio della mia amica, poi salgo con lei le scale. Quando arriviamo nella nostra stanza, vedo con piacere che Margaret e Belle si sono già messe a letto.
Mi siedo sul materasso, a gambe incrociate, e invito Celeste a fare lo stesso. Lei si siede, con calma, e appoggia le mani sulle ginocchia, il tutto con gesti automatici. Poi incolla i suoi occhi azzurri ai miei.
«Sai, Rose, tua cugina è una puttana» sputa.
«Co-cosa?!» chiedo, incredula. Celeste dice raramente parolacce, e quando lo fa, be’… quando lo fa c’è da preoccuparsi.
«Sì, una puttana» ripete.
Oh Godric, due parolacce in due frasi. È seria la questione.
«Vedi, lei può avere tutti i ragazzi che vuole. È bella. Ha un fisico da paura e la pelle perfetta. Chiedi a chiunque se sa chi è Dominique Weasley, e vedrai che inizierà a sbavare. Ma no, lei non è contenta se non ottiene l’impossibile. L’unico ragazzo di Hogwarts che… t-ti piace, adesso è suo» spiega, tentennante.
«Celeste, lei non lo sa. Non sa che mi piace David. E poi è fidanzata con Jonathan da due anni!» sussurro, sentendo la rabbia montarmi dentro. Nessuno può permettersi di parlare in questo modo di mia cugina.
Non ho idea del perché Celeste la aggredisca così, ma mi sembra davvero cattivo nei suoi confronti. Stavano solo parlando. Che poi è una tecnica di autoconvincimento molto scarsa. David è un tipo che non si accorgerebbe dei sentimenti altrui nemmeno se glieli sputassi in faccia e parla con tutte le ragazze che gli capitano a tiro.
«Fa tanto la dolce con chi le pare e dopo si comporta… in questo modo… con tutti quelli su cui posa l’occhio. Ne conosco di ragazze del genere, ma pensavo che lei fosse diversa, che non usasse la sua bellezza per…» sibila senza terminare la frase, con un’espressione di disgusto dipinta sul volto.
«Stai traendo conclusioni affrettate, parlavano e basta» dico gelida, scaldandomi e a arrabbiandomi.
«L’hai visto anche tu, Rose! Era seduta di fronte a lui e ridevano di gusto.»
«Be’, ora stai esagerando! Dominique è una ragazza fedele!»
«Infatti si dicono cose molto piacevoli sul suo conto, come…»
Non termina la frase perché percepisce il movimento di una figura esile alla porta. Mi volto, sperando con tutto il cuore che non sia mia cugina. I miei sospetti si rivelano corretti, e con lo stomaco annodato, balbetto: «Dominique?»
«Già» mormora Dominique, freddissima, anche se so che non ce l’ha con me. Non ce l’ha nemmeno con Celeste. Per anni le voci su tradimenti e legami con vari ragazzi di altre Case non hanno fatto che gettare una pessima ombra sulla sua reputazione, scatenate da ragazze gelose e false, che non hanno fatto altro che farle male.
Non riuscendo a trattenermi mi alzo dal letto per andare verso di lei. Dom però si allontana con uno sguardo triste, e guardandomi un’ultima volta, scende le scale.
Provo una fitta di disprezzo verso Celeste e non riesco a fare altro che pensare che deve imparare a tenere la bocca chiusa.
«Rosie, scusa. È stata tutta colpa mia, perché ho detto ciò che pensavo, non avrei dovuto. Scusami, non so cosa mi sia preso, io… Rose? Che cosa succede?» dice velocemente Celeste.
Si avvicina a me cautamente e mi tocca la spalla.
«Nulla. Esco per un attimo» dico in tono neutro. Getto un’occhiata alla sveglia sul comodino di Belle: indica le dieci e mezzo. «Sola.»
Celeste annuisce dispiaciuta e io inizio a scendere le scale di marmo della torre, per poi arrivare nella Sala Comune. Ci ho passato così tanto tempo, in quattro anni, che ormai la conosco a memoria: ci sono venti poltrone rosse di velluto sgualcito, disposte in coppie davanti a dieci tavoli di mogano pesante ricamati con lo stemma di Grifondoro. Accanto all’ingresso e al camino si trovano cinque divanetti e tre poltrone. Su una parete della stanza è collocato il caminetto costituito di mattoncini rossi e arancioni, al cui interno scoppietta costantemente un fuoco dai colori vivaci, mentre dalla parte opposta della Sala c’è una vetrina di cristallo dove vengono custoditi gelosamente tutti i trofei e le medaglie, i premi e i riconoscimenti che sono stati dati alla Casa. Sopra di essa ci sono le foto dei Grifondoro più famosi, tra cui ovviamente il nostro Godric, alcuni giocatori di Quidditch del Quattordicesimo e Quindicesimo secolo (come William Lo Svitato e Magara Dentistorti), il Professor Silente, molti Auror tra cui Remus Lupin, Sirius Black, i Potter e i Paciock e infine, ovviamente, i miei genitori, gli zii, i nonni e parenti tutti. Cosa alquanto imbarazzante, devo ammetterlo.
Conosco ogni piccolo difetto della stanza: un’asse del pavimento al centro della Sala non è fissa perché, quando era al suo secondo anno, Melanie Stoner aveva deciso di cercare i suoi galeoni, che le erano stati rubati almeno cinque mesi prima. E avrebbe letteralmente smontato tutta la stanza se un benefattore anonimo non l’avesse ripagata giusto in tempo. Una delle cornici ha un graffio sul vetro che sfigura la povera donna della foto, uno degli scalini che conducono fuori dalla torre ha una macchia nera di cui non si è ancora compresa l’origine… Ma in questo momento, la parte che noto di più della Sala Comune è il ragazzo che, disteso sulla poltrona più vicina al camino, russa rumorosamente. I capelli lisci che si arricciano appena vicino alle tempie gli si impigliano nelle ciglia lunghe e scure nascoste dietro gli occhiali. Sembra quasi un bambino mentre sta dormendo.
Mi avvicino a lui cautamente quasi come fosse una bestia feroce e osservo ipnotizzata il suo petto che si alza e si abbassa regolarmente, con respiri lunghi e gravi.
Allungo la mano e gli accarezzo la guancia, percependo il calore che emana ancora prima di toccargli la pelle. Tra noi i gesti di affetto, a parte forse un abbraccio al compleanno, sono pressoché inesistenti. Meglio così, comunque.
Gli scosto i capelli dal viso e prego Merlino che non mi senta. Esitando appena, mi volto per assicurarmi che Celeste non mi stia seguendo. Proseguo e salgo le scale che portano al dormitorio maschile. Sicura di cosa voglio fare.
Alla terza curva mi blocco, osservo la porta alla mia destra e con grande coraggio alzo la mano per bussare ma mi fermo, udendo delle voci concitate. Appoggio l’orecchio alla porta.
«Fred!» lo richiama una voce maschile molto profonda e roca. «Mi puoi ascoltare per un secondo?»
Sento un grugnito e riconosco che si tratta di mio cugino.
«Cosa cazzo hai combinato con la McGranitt?» Dal tono comprendo che il suo compagno di stanza è spaventato.
«Ti ho raccontato tutto. La McGranitt sa, e Rose adesso mi odia.»
Dopo una pausa, il compagno di stanza di mio cugino riprende: «Ti prego, Fred. È tua cugina, non ti darà mai contro.»
«Alan, non hai sentito cosa mi ha detto. Era arrabbiata, e non poco» risponde Fred, con la familiare voce allegra, ma anche con una nota di… preoccupazione?
Sussulto appena.
«Certo che non è da lei, però. Rose è sempre stata una che li combina, i guai. Una brava, se proprio vogliamo.» La voglia di aprire la porta e spaccargli la faccia è immensa in questo momento.
«Fatto sta che ha ragione. Dovrei iniziare a mettere la testa a posto…» mormora Fred esitante.
«La McGranitt ora sa che hai portato a scuola roba vietata, giusto? Sa che hai fatto svenire Rose. Tu invece sai che lei era arrabbiata, tanto arrabbiata. Quindi, seguendo un ragionamento logico che evidentemente il tuo cervellino non riesce a fare, chi altri può essere stato, se non lei, a raccontare tutto alla Preside? Prova a ingraziartela un po’, domani. Fai il tenero, il cuginetto perfetto, e magari lei ritirerà ciò che ha detto, in modo che non ti metta in punizione. Che ne dici?» ride Alan. Non con cattiveria. Le persone come lui non sono cattive, solo molto stupide.
«Rose non lo farebbe, è come una sorella…»
Sì Fred, diglielo tu a quel coglione che non ti tradirei mai!
«Ma non può essere stato nessun’altro» si arrende poi, rassegnato.

Mi volto con la schiena contro la parete quando i ragazzi cambiano discorso e cominciano a parlare della merce che vogliono vendere.
«Che casino» sussurro tra me e me, mentre inizio a rendermi conto di quanto sia affamata e stanca.
Resto fuori dalla porta qualche altro minuto, poi mi rialzo in piedi, per dirigermi verso la mia stanza.
Quando arrivo in Sala Comune, David è nuovamente sveglio, e mi nota subito.
«Rose Weasley» ripete assonnato, come se non mi avesse visto appena una ventina di minuti prima.
Me ne vado prima di cominciare una conversazione dal tono troppo aspro, sbuffando.
 
 
 
Note:
1) gradi Fahrenheit. Sono un po’ precisina in questi particolari, quindi ho preferito rendere la cosa il più inglese possibile.
 
Ed eccomi qua, finalmente, come avevo promesso (a chi, poi?), con la FF sul quinto anno di Rose Weasley! Premetto subito che sto scrivendo questa storia da tantissimo tempo, dal 2014 per la precisione, quando non avevo ancora 15 anni. Ora ne ho 17, sono cresciuta e cambiata (come ho già detto nelle note a fondo pagina della mia nuova storia "Come un fiocco di neve" ). Il che significa che penso noterete anche voi un’evoluzione dai primi capitoli in poi… Questa storia segue un po’ la mia crescita, segue i miei stati d’animo, cambia continuamente trama, è stata revisionata tantissime volte… insomma, va un po’ per la sua strada. Spero ugualmente che possa piacervi. Oggi pubblicherò i primi tre capitoli, perché mi sono stancata di tenere chiusa la mia fantasia nel mio computer, dopo ormai più di due anni.
Scusate l’infinita lunghezza (sulle 14-15 pagine di Word), ma penso che, aggiornando più o meno una volta al mese, non sarà poi così pesante. Se lo è, non fatevi problemi a dirmelo ;)
Un grande saluto a tutti, fatemi sapere che ne pensate!
Ellie Grey
  
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