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Autore: Esteliel    15/06/2016    0 recensioni
L'illusione della giustizia può essere un'arma a doppio taglio, che anche dopo molti anni torna a perseguitare i sogni di chi, di proposito, ha deciso di voltarle le spalle. Ed è quando l'illusione viene allo scoperto che si presenta anche un atroce dubbio: la giustizia da che parte stava davvero?
Genere: Azione, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le volanti della polizia sfilarono in una rumorosa processione lungo Cornhill Street, lasciandosi alle spalle il grattacielo dei Llyods, nascosto dietro il portale risalente ai primi del Novecento. La serie di auto scorreva come un nastro infinito lungo le carreggiate sgombrate dai civili, le sirene emettevano senza sosta il loro perforante richiamo.
L’agente che guidava la macchina del capo di Scotland Yard dovette quasi rammaricarsi del fatto che il sibilo delle sirene non giungesse all’interno dell’abitacolo. Senza dubbio, sarebbe stato preferibile alle ininterrotte imprecazioni di Sanders. Dal sedile posteriore il direttore si sporgeva quanto più possibile verso il guidatore, la faccia quasi schiacciata sulle grate che isolavano gli arrestati. Le sue dita erano aggrappate come artigli e scuotevano il divisorio con fare iroso.
«Non sai andare più veloce?» sbottava di tanto in tanto, facendo sobbalzare l’agente. «Quella Ford ha accostato, passale accanto. Muoviti, non vedi che puoi infilarti da lì?»
Whitmore, seduto sul sedile anteriore alla sinistra del guidatore, trattenne un sospiro.
«Oliver, se potessi…»
«Ma perché resti incolonnato, dannazione!» tuonò Sanders, colpendo la grata con il palmo della mano. «Ridicolo, la macchina del capo della polizia che deve seguire le altre…»
«Anche se arrivassimo prima noi, non potremmo fare niente.»
«… come se fosse l’ultimo dei cadetti…» insisté Sanders, senza prestargli ascolto.
Whitmore fu grato di sentire la radio della pattuglia che gracchiava il codice in corso. Afferrò il ricevitore, agitando un mano per far segno al direttore del carcere di tacere.
«Gli artificieri smontano in questo momento» si udì la voce di un altro agente attraverso le scariche.
«State attenti, uno dei loro è là dentro e conosce il suo mestiere» avvertì Whitmore, prima di perdere la comunicazione.
Stizzito, imprecò a mezza voce, adagiando la schiena all’indietro. Con la coda dell’occhio notò che Sanders lo stava fissando attraverso le grate.
«Ha detto che gli è scoppiata una bomba in faccia, quando era in servizio.»
«È così» confermò Whitmore, concentrando lo sguardo sull’orologio dal cinturino consumato che l’altro portava al polso. «Quello fu l’errore che gli costò la carriera e una buona parte del volto.»
«Eppure ad East Court non ha fatto errori. Ramsfield ha scelto bene i suoi uomini.»
«È più probabile che siano stati loro a scegliere lui» sospirò Whitmore, continuando a fissare le lancette dell’orologio che si muovevano piano lungo il quadrante. «È sempre stato così. Chi non accettava lo stato delle cose, sapeva a chi rivolgersi per cambiarle.»
Sanders emise un mugolio di comprensione. Approfittò della pausa di silenzio per intimare ancora una volta all’agente di accelerare e tornò a guardare il capo della polizia.
«Ed è così che si cambiano le cose?» incalzò. «Facendosi sbattere in galera?»
Whitmore si schiarì la gola con un colpo di tosse, appoggiando il capo contro il poggiatesta e fissando lo sguardo sul tetto dell’auto.
«A volte mi chiedo se fosse andata diversamente» confessò, con tono amaro. «Se io avessi fatto qualcosa per cambiare la situazione, così come aveva tentato lui in passato.»
«Non si va avanti con i “se”» rimbrottò Sanders, disturbato dal tono colpevole di Whitmore, e si afflosciò sul sedile posteriore.
L’agente alla guida evitò a Whitmore la pena di dover trovare una risposta.
«Signore» lo richiamò, sterzando bruscamente per fermare l’auto. Spostò il cambio a folle e sollevò una mano per indicare la zona antistante la Banca d’Inghilterra. «Gli artificieri sono già in posizione.»
Un manipolo di uomini in uniforme nera stava smontando dietro al loro furgone d’ordinanza, i volti nascosti da caschi a calotta la cui superficie a specchio catturava i riflessi del sole di metà mattina. A pochi metri da loro, la squadra degli artificieri si era radunata e si preparava a un cauto avvicinamento. Decine di agenti in uniforme avevano formato un semicerchio a distanza di sicurezza dal portale d’ingresso, trattenendo a viva forza l’irruenza delle troupe televisive. I segnali inviati dalle postazioni mobili della televisione contribuivano a disturbare le comunicazioni delle auto di servizio.
Il capo di Scotland Yard aprì lo sportello e scese dalla macchina, restando per un attimo aggrappato al finestrino. Sanders si gettò sulla portiera posteriore per fare lo stesso, facendo scattare a vuoto la sicura. Rammentando che le portiere dei prigionieri sono sempre bloccate, imprecò ad alta voce e urlò qualcosa all’agente alla guida. Whitmore si riaffacciò all’interno della vettura, piegando la schiena e voltando il capo in direzione del direttore di Hammersmith.
«Oliver, forse è il caso di…»
Le sue parole di ammonimento e gli strepiti di Sanders furono coperti dal boato proveniente dalle loro spalle. Il capo di Scotland Yard ricadde in avanti, ma riuscì a tendere le braccia davanti a sé per atterrare sul sedile. Le sue ginocchia si piegarono e cozzarono violentemente contro il paraurti dell’auto. L’onda d’urto causata dall’esplosione dell’ordigno scosse le auto di pattuglia più vicine, mandando a gambe all’aria gli agenti che si erano riparati dietro di esse. L’ondata di calore si sparse sul manto stradale, seguita a breve distanza da nuvole di gas e piccoli frammenti di vetro delle cabine esplose.
Il direttore Sanders si sollevò quanto gli permetteva il tetto basso dell’abitacolo, spostando spasmodicamente lo sguardo dalle nubi di polvere sollevate dall’esplosione agli agenti che correvano ai margini della zona colpita, gridando ordini e richiamandosi l’un l’altro. Nella confusione generale, nessuno riuscì a distinguere i movimenti sospetti che il grigiore del gas stava nascondendo.
«Whitmore!» sibilò il direttore attraverso la grata.
Il capo della polizia emise un rantolo di dolore. Si lasciò scivolare sul selciato e puntellò i gomiti contro il sedile, per riuscire a rimettersi in piedi. L’agente alla guida smontò in fretta e, insieme ad un sergente sopraggiunto di corsa, sostenne il capo della polizia da sotto le braccia, sollevandolo quasi di peso.
«Sto bene» assicurò Whitmore in un bisbiglio agitato, una mano appoggiata sulla fronte grondante di sudore freddo. «Quali sono i danni?»
Un artificiere gli si era appena accostato, aiutandolo ad appoggiarsi alla portiera dell’auto.
«La detonazione è stata minima, signore» lo informò. «Nessun ferito, per il momento. Appena si deposita la polvere, procederemo a…»
«Fatemi uscire di qui, maledizione!» strepitò la voce di Sanders dall’interno dell’auto, i cui vetri tremarono sotto i colpi delle sue nocche.
«… sgombrare i detriti ed evacuare» terminò lentamente l’artificiere, fissando il direttore del carcere ad occhi sgranati.
Whitmore lo congedò con un gesto della mano, pregando poi l’agente che li aveva accompagnati di far uscire Sanders dall’auto. Con la schiena ancora appoggiata contro la portiera, strizzò gli occhi per il dolore alle giunture e adagiò la nuca contro la carrozzeria.
«Sono ancora dentro, signore» spiegò a bassa voce il sergente appena sopraggiunto, preoccupato per un suo eventuale stato di shock. «Ci prepariamo ad entrare.»
Whitmore sollevò una mano a mostrare il palmo, gli occhi sbarrati e fissi sulla polvere che andava depositandosi davanti al portale semi distrutto della Banca di Inghilterra. Il sergente seguì il suo sguardo ed emise un verso di sorpresa. Tre figure si stagliavano tra i detriti sollevati dall’esplosione.
«Che diavolo fanno?» sbottò la voce di Sanders, che era riuscito a raggiungerli.
Whitmore non rispose. Deglutì a vuoto e strinse le labbra, incapace di smettere di fissare i tre uomini che si facevano avanti, due di loro con le braccia sollevate verso l’alto. Il rumore di una sgommata poco lontano non servì a distoglierlo da quello spettacolo. Se pure nella sua mente si chiese distrattamente il motivo per cui un'auto non identificata si stesse allontanando come se niente fosse, non riuscì a fare subito mente locale per preoccuparsene. Come ipnotizzato, seguì con lo sguardo la squadra speciale che correva verso i tre uomini e li circondava da ogni lato, stringendoli all’interno di un cerchio compatto di scudi umani. Emise un sospiro mozzato, tentando di ignorare le urla degli agenti e, soprattutto, di non fissare l’uomo con la gamba destra costretta in un tutore rigido.
L’operazione fu svolta talmente in fretta che Whitmore quasi non si accorse che i suoi agenti stavano già portando via gli arrestati. Si riscosse solo quando Sanders gli afferrò il braccio.
«Perché sono tre?» Ogni singola parola era permeata dall’ansia crescente. «Perché sono… Whitmore, DOVE DIAVOLO È IL QUARTO?»
«Come?» Il capo di Scotland Yard era ancora intontito da quella rapida serie di eventi.
Un altro agente li raggiunse di corsa, la mano pigiata sulla testa scoperta.
«Signore, manca una nostra auto!» esclamò ad alta voce per riuscire a farsi udire al di sopra della confusione.
Sanders spalancò la bocca in tutta la sua ampiezza, voltandosi a fissare i prigionieri che venivano trasportati a viva forza verso un’auto poco distante, le braccia incastrate dietro la schiena e i polsi serrati nelle manette. Due agenti accompagnavano Ramsfield, sostenendolo per le spalle da entrambi i lati. Quando passarono accanto a loro, Whitmore sollevò lo sguardo in tempo per incrociare i suoi occhi verdi. Fece in tempo ad intravedere la loro espressione trionfante, prima di essere richiamato dall’arrivo di una donna, che si frappose tra lui e Sanders.
«Signore, devo parlarle.»
Frastornato, Whitmore si sforzò di distogliere lo sguardo dal suo amico di un tempo. Corrugò la fronte e sventolò la mano in aria, nervoso.
«Non adesso, ispettore Hunt» la rimproverò, asciutto. «Controllate…»
«Signore, è importante» insisté l'ispettore Hunt con tono d’urgenza. «La lettera con cui la banda ha avvertito i giornali conteneva altre informazioni.»
«Informazioni?» le fece eco Sanders, nel tentativo di infilarsi nella conversazione.
Whitmore si volse a guardarla, il disagio che gli stringeva il cuore come una morsa.
«Che tipo di informazioni?»
«Informazioni sul caso Thompson, signore» spiegò lei.
Le labbra di Whitmore si dischiusero per lo sconcerto. Ignorando gli sguardi insistenti di Sanders e dell'ispettore Hunt, abbassò gli occhi a terra, portandosi una mano tremante a sfiorare la fronte. Il rumore degli sportelli che si chiudevano lo fece sussultare. Si voltò verso la macchina più vicina, intravedendo il volto di Ramsfield che lo fissava dal sedile posteriore. Forse perché li conosceva troppo bene, vide spiccare il verde dei suoi occhi attraverso il vetro opaco. Prima che l’auto mettesse in moto, le labbra di Ramsfield si mossero.
Nel frastuono provocato dalle sirene in funzione e dal continuo vocio di poliziotti e giornalisti, Whitmore non poté udirlo. Ma, seguendo i movimenti del labiale, non gli fu difficile comprendere ciò che stava dicendo. Due parole che nei mesi a venire sarebbero rimaste impresse a fuoco nella sua mente.
Io voglio.



- Un ringraziamento particolare a Megara X e Steph808 che hanno ripescato questa storia. Anche a distanza di anni ci sono affezionata e vi ringrazio ancora per aver letto e recensito - Alessandra
  
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