Anime & Manga > Saint Seiya
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Autore: Francine    16/06/2016    3 recensioni
«È uno scherzo?», vi domandate. Fissandovi negli occhi e specchiandovi nella stessa espressione sconcertata che vi allarga lo sguardo.
«No», dite. In stereofonia. E scoppiate a ridere, senza un motivo né un perché. Stringendovi la mano e cercando l’uno nello sguardo dell’altro quella luce, quella paura, quella speranza. Quel riconoscersi simili, eppur diversi. Annusandovi l’anima nella brezza serale per indorare una pillola che fa schifo, nonostante tutte le belle parole ed i buoni sentimenti. A darsi un po’ di coraggio – o di speranza – ché sì, tu hai i tuoi compagni come lui avrà i suoi. Ma a volte chi ti capisce davvero è lo sconosciuto che il destino ti fa incontrare per caso, passeggiando una sera, sul bagnasciuga deserto. Qualcuno che, in un’altra vita, in un altro momento, avresti potuto chiamare fratello. Qualcuno come te. Ad una vocale di distanza.

[Cross-over Saint Seiya/ Yoroiden Samurai Troopers]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Dragon Shiryu, Pegasus Seiya, Phoenix Ikki
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
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Per aspera, ad astra




をちこちに / 瀧の音聞く/ 落葉かな
[Ochikochi ni / taki no oto kiku / ochiba kana]
Lontano vicino si ode
crosciar di cascate
tra foglie cadute
(Matsuo Bashō)
 
 




La bicicletta sfreccia lungo la discesa, le fronde degli alberi che sussurrano qualcosa le une alle altre. Forse le strofe di una canzone, o forse un segreto, forse una chiacchiera. Forse, pensi, ridono di te e dalla tua suscettibilità. Perché è divertente prendersi gioco di chi ha la coda di paglia. Quelli come te sono una garanzia. Prendono fuoco subito, alla terza parola – alla terza sillaba – o giù di lì. Peccato che non sia poi così divertente quando si sta dall’altra parte della barricata. Fare lo zimbello, una tantum – ché sì, sai cosa significa, alla faccia di Touma – è anche divertente, a patto di essere consenziente. E a te proprio non va di essere stuzzicato ogni due per tre, così, solo per abitudine e senza che nessuno ti abbia chiesto un parere sulla faccenda.
Sarebbe così semplice, pensi, la catena della bici che sferraglia argentina e le carte da gioco infilate tra i raggi delle ruote. Basterebbe chiedere. Ehi, Shu, ti va di farti quattro risate? Che ci vuole? Certo, ti dici, a chiedere si perde l’effetto sorpresa, e il tempismo, l’estemporaneità, sono essenziali, quando si deve far ridere. Lo dice anche lo zio Chin, pure se, a onor del vero, lo zio Chin è uno che predica bene ma razzola molto, molto male.
Però a te non va giù lo stesso, le sopracciglia aggrottate e le guance gonfie, come un criceto che sta trasportando delle ghiande al nido. Nessuno stuzzica Ryo, nessuno infastidisce Touma o Seiji e Shin. Si divertono solo con te, ché sei così impulsivo da saltare su come una molla dispettosa. Eppure, lo sanno cosa succede, quando perdi il controllo. Lo sanno, che non è piacevole. Che può essere pericoloso. Eppure insistono a scherzare col fuoco. Un modo come un altro per ammazzare il tempo prima che lui ammazzi te.
Ecco perché hai mitragliato il pavimento di passi, ti sei chiuso la porta alle spalle senza tante cerimonie, hai inforcato la bicicletta di Nasty e adesso stai puntando verso il bosco ai piedi della collina. Hai bisogno di sfogarti. E per farlo, hai bisogno di essere da solo. Così da non fare male a chicchessia. Sarebbe patetico, dopo, dover anche chiedere scusa. Oltre al danno, la beffa, come direbbe zio Chin.
 

Abbandoni la bici sotto un albero e ti addentri. Il vento è un respiro caldo sulla pelle. Stai sudando. Perché è giugno, sì, anche se sembra agosto, e perché stai fumando di rabbia. C’è una grotta, poco più avanti. Una spelonca abbandonata. Non la usa nessuno, nemmeno gli orsi per andare in letargo. L’hai scoperta qualche tempo fa, passeggiando in solitaria per sbollire la rabbia. C’è un bel frescolino, lì – c’è una cascata, dall’altra parte della grotta – ed un’eco che fa al caso tuo. Non farai danni, se ti lascerai andare lì dentro. A patto che non mi crolli il soffitto sulla testa, pensi.
L’erba s’è fatta più alta e rigogliosa. Ti fai strada fino allo spiazzo antistante l’entrata della caverna ed entri.
Ti accoglie il buio. Ti avvolge, come una mano amica su una spalla. Io lo so, sembra volerti dire quella quiete, rotta solo dallo scroscio costante della cascata. Io ti capisco. E tu sai che lì, in quel rifugio segreto, puoi lasciarti andare davvero. Puoi sentire la forza della terra che risale dai tuoi piedi, lungo le tue gambe, utilizzando le tue vene come fossero autostrade per il cervello, i capelli, la punta delle dita.
Freme, la Terra. Calda, possente, vigorosa, prorompente. Sotto i tuoi piedi sta crescendo l’erba, scorrendo l’acqua, rimuginando il magma. E attorno a te, l’aria ti scompiglia appena appena i capelli. Unica assente, la luce. Ma è meglio così. È stata una frase infelice di Seiji a farti perdere le staffe, oggi, e l’ultima cosa che vuoi è un raggio dispettoso che ti solletichi il viso mentre sei concentrato a raccogliere tutti i cattivi pensieri dentro al cuore e a lasciarli andare via, fuori da te, prima che ti facciano esplodere l’anima e ti avvelenino lo spirito.
Trattieni il fiato, fino a che non senti i polmoni protestare con veemenza e poi rilasci un urlo basso e roco, simile ad un ringhio o al borbottio della terra quando si sveglia e si scuote un po’, prima di tornarsene a sonnecchiare beata.
 
Adesso va meglio, pensi, quando tutto e finito e ti ritrovi, spossato, a fissare la terra, le braccia che ti puntellano e la testa leggera. Vuota. Un piccolo terremoto personale. Niente di più, niente di meno.
Non puoi continuare così, dici a te stesso. E in primo, primissimo istante ti dai ragione. No, non puoi. Non puoi perché non avrai sempre la possibilità di scippare la bici a Nasty e di allontanarti quanto basta per esplodere senza fare danni. Poi sbatti le palpebre e ti accorgi che no, non hai detto, né pensato quelle parole. Non è un’idea tua, quella, né è arrivata da parte dei tuoi compagni a lambirti l’anima.
Ma allora chi è stato?, ti chiedi, aggrottando le sopracciglia, i sensi all’erta.
Che ci sia un nuovo nemico, così cortese da palesare la propria presenza, prima di saltarti addosso?
Un sorriso ti si disegna sulle labbra. Magari!, pensi. La sola idea ti fa fremere. Menare le mani è un ottimo modo per scaricare la frustrazione – anche se ti sei scaricato adesso adesso, ad onor del vero, ma una mela non cade lontana dall’albero – e mentre cerchi di capire chi possa essere stato ad inviarti quel pensiero – quel consiglio – percepisci qualcosa.
Chiudi gli occhi. Sì, c’è qualcuno. È un ragazzo della tua età. Sta meditando sotto la cascata. Non è una minaccia, ma percepisci anche il potere immenso che vortica attorno a lui. Dentro di lui.
Chi sei?, ti chiedi avvicinandoti, un piede leva e l’altro metti. Guardingo.
Lui non si muove di un millimetro, come se fosse fatto di roccia, quella pura e inviolabile di cui sono fatti monti. La cascata lo bagna mentre se ne sta nella posizione del loto, gli occhi chiusi, i capelli lunghissimi ed un fisico di tutto rispetto. Quello che tu non avrai mai, se continui ad ingozzarti senza freno, ti sussurra il tuo cervello con la voce di Seiji, con la stessa, identica pedanteria del suo proprietario.
E la rabbia ritorna. Non è che hai proprio fame, tu. È che ti prendono degli attacchi improvvisi di fame. Fame nervosa, l’ha detto anche il dottore. Non mangi perché ne hai bisogno, ma per sfogare la frustrazione. O per noia, ché tu sembri un tipo pacifico, ma non sopporti di startene a girarti i pollici. E allora arriva la fame, impetuosa ed improvvisa. E tu non ci puoi fare niente, e devi assaltare il frigorifero nemmeno avessi appena concluso un digiuno di mesi. E Seiji si sente in dovere di fermarti. Sai che non lo fa con cattiveria, o malizia; eppure, qualcosa nel suo tono da mister perfezione ti fa saltare la mosca al naso e allora…
 
No. Non così.
Sbatti le palpebre. Non conosci quella voce, no. Calda e bassa. Matura. Possibile che appartenga a quel tizio?, ti chiedi, aggrottando le sopracciglia. Perché il tizio ti ha parlato in cinese. Una forma dialettale. Del sud est. Della zona del Jiangxi, tipo. Forse. Chi lo sa? Ma adesso non importa.
«Tu chi sei?», chiedi, le mani a coppa ai lati della bocca, osservando la sua espressione imperturbabile tra i rivoli che l’acqua disegna sul suo viso e sulle sue spalle. «Non ti ho disturbato, vero?»
Domanda cretina, ti dici. È lui che sta parlando a te, anche se non capisci ancora come. O forse sì, lo hai disturbato mettendoti ad urlare come un ossesso, poco fa, all’interno della grotta?
Il tizio apre gli occhi. Sono verdi. Splendenti e scuri come uno smeraldo purissimo. Calmi. Sereni. La quintessenza della pace interiore. Si alza, si ravvia all’indietro i capelli e si avvicina. E dice: «Shiryu.».
Ti risponde in cinese, le braccia lungo i fianchi e le spalle morbide. «E tu?», chiede a sua volta.
«Shu», dici soltanto, la mani sprofondate nelle tasche della salopette, impedendoti di fissare la tartaruga degli addominali di questo Shiryu. Dovesse pensare che sono un maniaco… «Senti, amico, scusa davvero. Non volevo disturbarti. Pensavo che qui non ci fosse nessuno…»
«Nessun disturbo», replica lui. Mostrandoti i palmi delle mani per dimostrare che sì, è sincero. «La montagna appartiene a tutti.»
Ok, questo tizio è strano, ti dici, sentendolo snocciolare una saggezza che non coincide con la sua età. Avanti. Sei troppo giovane per giocare a fare Yoda. Troppo giovane, troppo alto e troppo in forma, accidenti a te!
Lui sorride e un brivido freddo ed intensissimo ti scorre lungo la schiena.
Non è che leggi nel pensiero, vero?
Quando lui sbatte le palpebre e poi ride, capisci di non esserti limitato a pensarlo, ma hai dato fiato alle trombe, senza accorgertene. «Scusa, io…»
«Non scusarti», dice Shiryu. «Non leggo nel pensiero, ad ogni modo. È che tu… sembri un libro aperto.»
«Un… libro aperto?» Non ti starà dando del sempliciotto, vero? Perché te lo dice sempre anche Seiji, e di solito finisce molto, molto male.
«Percepisco la tua rabbia. La tua… frustrazione. Ero anche io come te, una volta.»
Tu? «Non ci posso credere!»
«Perché? Non mi conosci mica…», ribatte lui.
«Hai ragione, ma vedi… è che fatico a credere che qualcuno con la pazienza necessaria a meditare sotto l’acqua, possa essere stato un tipo… nervoso…»
«Non ho motivo di mentirti», dice. Strizzandosi i capelli e dandoti la schiena. Ha un tatuaggio. Un drago. Enorme. Circonvoluto su se stesso, le fauci aperte e gli artigli pronti a dilaniare la preda. Alla faccia dell’imperturbabilità. «Ho avuto un’infanzia… complicata.»
«Ti capisco. Io dovevo badare ai miei fratelli minori. Sono in quattro, tre marmocchi ed una bambina. Un vero inferno.» Per non parlare di Harago, delle Armature e di tutto il resto… «Ma chi non ha un’esistenza complicata, oggigiorno?»
Lo vedi annuire. «Per aspera, ad astra. Lo diceva un mio… amico.».
«Tradotto?»
«Verso le stelle, attraverso le difficoltà.»
«Un koan zen?»
Lui scuote la testa. «No, un motto latino.» Poi tace, assorto in pensieri tutti suoi.
«Posso chiederti una cosa?»
«Certo.»
«Funziona?» Il tuo pollice indica la cascata, che continua a scrociare a valle come se niente fosse.
«La meditazione, intendi?» Shiryu si asciuga i piedi e raccoglie da terra un piccolo involto. Un Longzhuang glicine. «Funziona, sì. A patto di non barare.»
«Che intendi per barare?», gli domandi, mentre lui allaccia gli alamari e arrotola le maniche sugli avambracci.
«Intendo dire che la meditazione funziona se la pratichi con regolarità, e non tanto per fare. Ci vuole metodo. Applicazione. Costanza...»
«Insomma, una rottura di scatole non da poco. Ed io ne ho già abbastanza di mie per aggiungerne un’altra…» Sospiri. «No. Non fa per me…»
«Come fai a dirlo senza neppure averci provato?»

C’è una luce diversa, adesso, nei suoi occhi. La bonaria indulgenza che colorava lo sguardo di Zio Chin quand’eri piccolo e lottavate. Lui resisteva ai tuoi assalti, poi qualcosa gli brillava nello sguardo e oplà, lui finiva al tappeto, lasciandoti vincere.
«Lo so e basta», t’impunti, ché quando hai deciso una cosa, discutere con te è come pretendere di abbattere una montagna a testate.
«E allora perché mi hai domandato se funziona?»
Touché.
Non sai cosa ribattere. Dai un paio di colpi di tosse, rimescoli le mani nelle tasche e poi dici: «Per amore di conversazione.».
«Capisco», dice lui, raccogliendo le sue cose da terra, calzando le scarpe e facendo per andarsene.
«No, amico, resta. Davvero. Io ero solo di passaggio.»
«Siamo tutti di passaggio», ribatte, mentre il vento gli accarezza i capelli sulla fronte. «Comunque non preoccuparti. Stavo andando via», dice, girando sui tacchi, il fagotto sulla spalla come fosse lo zainetto di un liceale. Resti a guardare la sua schiena allontanarsi di qualche passo, poi si ferma. Si volta. E ti lancia un’occhiata indecifrabile, da sopra la spalla. «Oggi l’acqua è stupenda.»
Annuisci, non sai nemmeno tu perché. Lui ti fa un cenno, salutandoti con la mano e in pochi passi è già nel fitto degli alberi. Sei rimasto da solo. Tu, la grotta e la cascata. Che sembra quasi chiamarti, col suo incessante scrosciare.
Sì, oggi fa caldo. Sì, ci starebbe proprio bene una bella doccia fredda. Sì, potresti anche provare, una volta tanto. Al limite, mi sarò dato una lavata. Con tutta la polvere che ho preso, male non farà, ti dici, liberandoti del berretto, della salopette e del resto dei vestiti.
Entri in acqua, che è fredda e ti regala un brivido delizioso sulla pelle, e ti avvicini alla cascata. Prendi fiato. E conti fino a tre. Uno… due… e al tre sei sotto il getto della cascata.

Ossantissimapacedellesettedivinitàdellafortuna!!

Schizzi via come un petardo, la pelle increspata, il cuore a mille e le tue parti basse che protestano. Inviperite. Caspita se è fredda! Ti congela il fiato nel petto, peggio del secchio di ghiaccio che avevi preparato per Ryo, e che invece è finito in testa a te!
No, non ce la posso fare, ti dici, e fai per tornare a riva, quando qualcosa ti blocca, l’acqua a metà polpaccio e il cuore che minaccia di fracassarsi contro le costole.
Quel tizio aveva un’espressione serena. Imperturbabile. La stessa che dovrebbe avere la Terra, qualora possedesse un viso. La stessa che vorresti avere tu. Chissà, ti dici, magari così sarebbe più semplice resistere alle provocazioni di quegli altri quattro. Ché lo sai che no, non sono provocazioni vere e proprie, ma sei tu ad avere la coda di paglia e a farti saltare la mosca al naso al minimo alito di vento. Il succo è sempre lo stesso, parole grosse che volano, tu che sbatti la porta alle tue spalle, monti in sella e vai ad urlare nella grotta.
E se per una volta provassi qualcosa di diverso?, ti dici. Avvicinandoti piano piano alla cascata, come se fosse una qualche fiera bizzarra uscita fuori da un bestiario medievale. Prendi di nuovo fiato. Prima un piede. Poi l’altro. E poi è solo l’acqua che ti scorre sulla testa, ma non solo. C’è anche il calore del sole. I sassolini sotto ai tuoi piedi e la terra che si propaga dentro di te. L’abbraccio del vento sulla pelle. E un piccolo, timido raggio di sole che ti scalda la fronte. E che adesso no, non ti dà più fastidio.
Cinque minuti. Solo cinque minuti, dici a te stesso, mentre l’acqua della cascata scorre armoniosa ed il vento sussurra tra le fronde degli alberi la più soave delle canzoni.

 



Saint Seiya © Masami Kurumada, Shueisha, Toei Animation, 1986
Yoroiden Samurai Troopers © Sunrise, Nagoya TV,Tokyu Agency, 1988.
Grafica ® Francine.





Note:
Protagonisti dell'episodio, Shu e Shiryu, accomunati dal fatto di essere cresciuti in Cina.
Non credo che si possa sempre cavare del sangue da una rapa accostando due personalità simili. A volte vengono fuori cose carine accostando due caratteri diversi. Shu è il più forte, ma anche il più impetuoso dei cinque Troopers, mentre Shiryu è il più riflessivo tra i Bronzetti. Sì, Ryo è la testa calda dei samurai, ma quello che muore dalla voglia di menare le mani è proprio Shu. Così, mi sono detta che cinque minuti con Shiryu avrebbero potuto aprirgli... nuovi orizzonti. No, non in quel senso e no, non sulla tartaruga (anche se...).

Mi rendo contro che Shu è solo un po' più piazzato dei suoi compagni, ma la tartaruga di Shiryu ha sempre il suo stramaledetto perché, n'est-ce pas?
Il nostro cinesimo ha una famiglia numerosa assai, tre fratelli e una sorella minore: Rinfi (tre anni di differenza con Shu), Yun (cinque anni di differenza), Mei Ryuu (otto anni di differenza) e Chun Faa (undici anni di differenza). Grazie mille a SoltantoUnaFenice, la mia consulente in materia.

Il Longzhuang è la casacca con gli alamari e gli spacchi sui fianchi che indossa Shiryu. Ovviamente viola (Shiryu si scrive con gli ideogrammi di 'murasaki', viola, e 'ryu', drago). In cinese significa Veste del Drago, e una volta tanto il sor Kurumada non ha fatto la figura del peracottaro, insomma...
   
 
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