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Autore: Gemini_no_Aki    21/06/2016    1 recensioni
Prima di dare la caccia alle Leggende Chronos era uno dei Cacciatori e Agenti più temuti, e rispettati, che i Signori del Tempo avessero mai avuto.
«Non temere, ci occuperemo noi di te.» Fece un breve gesto con la mano indicando attorno a sé mentre le pareti cambiavano mostrando uno schermo con cose che Mick non capiva. «Questo è il Punto di non Ritorno. Ti consiglio di restare il più fermo possibile.»
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Mick Rory, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Chapter 05
 


Ogni volta che apriva gli occhi ogni cosa era come la volta precedente, come se il tempo non fosse mai trascorso, come se fosse stato tutto un sogno. Ogni volta le nuove bruciature che era certo di essersi fatto erano svanite, ogni volta lasciava che il fuoco lo avvolgesse in nuovi modi, più caldo, più vicino, più letale. Ogni volta non era mai abbastanza.
Poi c’erano i sogni veri, quelli simili a dei ricordi ma non chiari abbastanza da essere effettivamente ricordi. Quelli coi volti sfumati o talvolta senza volto, quelli in cui le persone non avevano nomi eppure dentro di sé sapeva di conoscerli, spesso anche molto bene. Amici, famiglia, ogni cosa sfumava nella nebbia e quando si risvegliava l’uomo dall’altro lato dello schermo, a volte lo stesso, a volte no, ripeteva sempre la stessa domanda, «Chi sei?», con un sorriso sempre più compiaciuto ogni volta che Mick rispondeva.
«Il mio nome è Mick Rory, sono nato a Central City.» Esitò per qualche istante, corrugò la fronte e distolse lo sguardo dallo schermo prima di aggiungere «Credo.» in tono sommesso.
Quello che seguì era diverso dal fuoco quanto piuttosto più simile a tanti minuscoli aghi impiantati nel suo corpo, il dolore si espanse velocemente lasciandolo ben presto in uno stato di torpore.
«Chi sei?»
Mick deglutì, un innaturale senso di paura si fece strada nelle sue viscere quando la voce parlò, come quando a scuola ti viene fatta una domanda a sorpresa e non sei sicuro della risposta giusta, ma vuoi tentare comunque. E Mick tentò.
«Il mio nome è Mick Rory, sono nato…» Si bloccò, gli occhi spalancati in un’espressione di terrore, deglutì nuovamente mentre la mente scavava sempre più a fondo alla ricerca della risposta.
“Dove? Dove? Dove?” Era diventato quasi un mantra, non c’era altro che riuscisse a domandarsi se non quello. Dove? Il Signore del Tempo appoggiò una mano sulla scrivania accanto ai comandi in attesa.
«… Non ricordo dove. Né quando.» Non si stupì di vedere l’uomo sorridere, si passò le mani sul viso continuando a scavare nella mente alla ricerca di qualcosa che non era più lì. Più a fondo scavava e più i ricordi si facevano annebbiati e lontani, le voci che un tempo avrebbe riconosciuto in un batter d’occhio erano delle perfette sconosciute, le canzoni che da bambino amava ascoltare non erano altro che musica e parole senza significato né interesse.
“Dove?” Quella parola era diventata l’unica costante, chiuse gli occhi, li strinse, si coprì completamente il volto con entrambe le mani, si rannicchiò sul letto con le ginocchia strette più possibile al suo corpo.
Il Signore del Tempo diede solo un paio di istruzioni al computer prima di abbandonare la stanza.
Lo schermo si spense e con esso anche ogni luce nella stanza, Mick sbirciò intorno a sé attraverso le dita, come un bambino spaventato, si azzardò ad abbassare le mani quando si rese conto che la stanza era vuota e buia, erano passati anni dall’ultima volta in cui si era sentito in quel modo, non sapeva nemmeno bene come definire quella sensazione, smarrimento? Paura? Per un istante gli parve di essere tornato il ragazzino quindicenne che nonostante l’età e la stazza si rintanava nell’armadio della camera per sfuggire al padre che rientrava ubriaco. Di tutte le famiglie che aveva avuto negli anni che seguivano l’incendio quella era la peggiore, non era nemmeno certo del perché lo avessero preso con loro e alla fin fine non importava davvero, erano come tutti gli altri, non ascoltavano, non capivano, fingevano che potesse importare loro qualcosa di lui ma Mick sapeva la verità, non importava, non era importante per nessuno al mondo, le uniche persone che lo avevano in considerazione erano morte a causa sua. E il padre, quel padre, non si faceva di certo tanti problemi a mettere in chiaro quanto fosse desiderato.
Mick si spinse contro la spalliera del letto, lasciò vagare lo sguardo nell’oscurità, sobbalzò al suono di una porta che si apriva, gli occhi scattarono sulla parete su cui l’ultima volta aveva visto la porta ma non vide nulla se non il muro liscio, il rumore della porta che cigolava sui cardini e si chiudeva arrivò forte e chiaro, l’uomo osservò le altre tre pareti con la stessa inquietudine di bambino, la chiave girava rumorosamente nella toppa, si strinse se possibile di più contro la spalliera, lo scalpiccio trascinato dei piedi si avvicinò, un passo dopo l’altro, inesorabile.
«No…» La voce che uscì dalle sue labbra non era sua, deglutì, si portò le mani davanti per proteggersi meglio, sembravano così piccole rispetto a come ricordava, erano piccole, esattamente come la voce.
«La scuola ha chiamato ancora.» Mick si lasciò scappare un breve singhiozzo, si riparò con le braccia mentre lo scalpiccio si fermava accanto al letto.
«Non ho fatto niente…» Ribatté il quindicenne, perché non poteva essere nessun altro, perché non era più Mick, era solo un bambino spaventato senza un passato.
Le luci si riaccesero di colpo, ogni angolo della stanza venne illuminato di un bianco accecante, Mick si coprì gli occhi con la mano, non era in grado di distinguere la realtà dai sogni, non più ormai.
«Chi sei?» Lo schermo era spento quando Mick lo guardò, la voce sembrava arrivare da ogni angolo della stanza, o forse era direttamente nella sua testa. Aprì la bocca per rispondere e si fermò qualche istante dubbioso.
«Chi sei?» Il Signore del Tempo sembrava ridere di quell’incertezza, senza un’effettiva risata, era qualcosa solo nella voce, qualcosa che Mick non sapeva definire, qualcosa che doveva avere un nome ma in quel momento non gli veniva.
«Il mio nome è… Michael.» Mormorò, sapeva che mancava qualcosa, mancava un cognome, mancavano altri dettagli che avrebbero potuto definire chi era davvero ma in quel momento sembravano non esistere. Era solo Michael.
Michael era un nessuno, nessuno di importante, nessuno che sarebbe mancato a chiunque lo conoscesse, come se ci fosse qualcuno al mondo a cui importasse qualcosa di lui.
“Lenny.” La mente si fermò su quel nome, uno dei pochi che ancora sembravano avere un volto, uno dei pochi nomi che forse appartenevano a qualcuno di reale. Lenny. Lenny. Lenny. Eppure per quanto potesse apparire reale Michael non sapeva nient’altro di questo Lenny, solo il volto e il nome. Non sapeva perché fosse nella sua mente eppure si aggrappò ad esso con tutte le sue forze come se fosse l’unica salvezza che aveva.
Forse quel Lenny era con lui, forse no, forse lo stava cercando, forse no, forse era qualcuno per cui Michael era importante, forse era qualcuno che lo aveva abbandonato.
 Michael scattò in piedi a quel pensiero, spalancò gli occhi nella realizzazione della verità. Abbandonato. Ogni cosa tornò ad avere senso in quel momento.
Dovevano fermare uno psicopatico immortale, dovevano salvare il mondo, diventare eroi, leggende, ma non lui. Lui non era previsto, lui era una specie di danno collaterale, Rip non aveva detto quelle esatte parole ma il significato era quello. Lui non era previsto. Non sarebbe diventato un eroe, non che Mick lo volesse, non sarebbe mai stato nessuno per il mondo come non lo era mai stato in passato. Era un’ombra che cerca di allungarsi e prendere con sé tutto il resto, una scintilla che attende il momento giusto per esplodere, una fiammella che non aspetta altro che crescere e distruggere ogni cosa al suo passaggio.
Non era destinato ad essere un eroe, non era destinato ad essere ricordato, voleva tornare a casa. Così era stato abbandonato, lasciato indietro da quel Lenny a cui la mente si aggrappava. Non gli aveva dato il tempo di spiegare, non l’aveva ascoltato, forse Michael non aveva chiesto di essere ascoltato, non lo sapeva, non ricordava, ma non importava, in fondo Lenny come tutti gli altri in passato non avrebbe ascoltato.
«E tu potrai andare a casa.» Qualcuno gli aveva detto quelle parole, quell’uomo che vedeva nello schermo a volte, non sapeva il nome, ma gli aveva promesso di lasciarlo tornare a casa. La mente lasciò andare il nome e il volto di Lenny e si appigliò alla promessa di un volto ghignante senza nome.
Lenny era ancora lì, tranquillo nel suo tradimento, Michael concentrò ogni frammento di rabbia verso di lui, l’odio, la furia, la pazzia, il fuoco, riversò ogni sentimento che provava in quel momento su quel nome, su tutto ciò che significava, su ciò che era stato in passato, su ogni ricordo che in quel momento riaffiorava solo per essere spazzato via nuovamente.
E quando ogni briciola si fu concentrata su Lenny la mente si fece bianca, dello stesso bianco accecante della stanza. L’odio, la rabbia, il fuoco, ogni cosa svanì. Lenny, la missione suicida, Rip Hunter, la squadra, il bianco inglobò ogni cosa.
La vide arrivare nella forma di un piccolo puntino azzurro, una scia che dal nulla era schizzata contro di lui come un proiettile invisibile, non provò dolore nel momento dell’impatto, una scossa gli attraversò la testa, si espanse in tutto il corpo, nervi, muscoli, Michael non urlò mentre cadeva in mezzo alla stanza, mentre il dolore ora si attaccava ad ogni cellula e le distruggeva lentamente. Strinse gli occhi riverso sul pavimento con lo sguardo al soffitto, l’ultimo pensiero che il nulla distrusse fu l’odio e quando anche quello svanì Michael rimase immobile.
«Chi sei?» L’uomo parlò dopo dieci minuti che lo schermo venne acceso, erano rimasti fermi a fissarsi, a studiarsi, il Signore del Tempo seduto alla sua scrivania lucida, con le mani incrociate, in attesa, Mick seduto sulle coperte bianche del letto, le gambe distese e le mani su di esse, immobile come una statua, impassibile. Pensò alla risposta, pensò a chi fosse, senza muovere un muscolo.
«Non lo so.» Disse in tono neutrale, senza reagire all’assurdità della situazione, la mente non scavò per scoprire chi fosse, rimase silenziosa e immobile. «Non sono nessuno.» Il Signore del Tempo sorrise, Mick non si domandò il perché, la porta si aprì, un uomo apparve sulla soglia, gli fece cenno di alzarsi e seguirlo e Mick obbedì senza domande, si mosse in automatico senza più degnare di uno sguardo lo schermo.
«Informate Declan che il Cacciatore è pronto all’addestramento.»




Angolino dell'Autrice: Mi dispiace incredibilmente del ritardo! Ho avuto un blocco pauroso, poi dovevo completare un disegno molto molto molto importante in davvero poco tempo e farlo uscire il più perfetto possibile. E così ogni volta il capitolo slittava avanti, fino ad oggi in cui ho deciso di mettermi lì d'impegno e dare il meglio. Ho scovato un paio di playlist strumentali che hanno aiutato non poco nella scrittura (incredibile quanto la musica possa influenzare, sono arrivata al punto che seguivo il ritmo, scrivevo più velocemente quando la musica era veloce e rallentavo quando rallentava!). Anyway, eccoci qui. La prima parte di rebirth è finita, ora inizia la seconda, si spera con qualche interazione umana più consistente per il nostro Micky.
Spero che fino ad ora vi sia piaciuta,  e che continuiate a seguirla!
Thanks

Aki Out
   
 
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