Anime & Manga > Saint Seiya
Segui la storia  |       
Autore: Francine    22/06/2016    3 recensioni
«È uno scherzo?», vi domandate. Fissandovi negli occhi e specchiandovi nella stessa espressione sconcertata che vi allarga lo sguardo.
«No», dite. In stereofonia. E scoppiate a ridere, senza un motivo né un perché. Stringendovi la mano e cercando l’uno nello sguardo dell’altro quella luce, quella paura, quella speranza. Quel riconoscersi simili, eppur diversi. Annusandovi l’anima nella brezza serale per indorare una pillola che fa schifo, nonostante tutte le belle parole ed i buoni sentimenti. A darsi un po’ di coraggio – o di speranza – ché sì, tu hai i tuoi compagni come lui avrà i suoi. Ma a volte chi ti capisce davvero è lo sconosciuto che il destino ti fa incontrare per caso, passeggiando una sera, sul bagnasciuga deserto. Qualcuno che, in un’altra vita, in un altro momento, avresti potuto chiamare fratello. Qualcuno come te. Ad una vocale di distanza.

[Cross-over Saint Seiya/ Yoroiden Samurai Troopers]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Andromeda Shun, Cygnus Hyoga, Dragon Shiryu, Pegasus Seiya, Phoenix Ikki
Note: Cross-over, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Caleidoscopio'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A




Ultimi raggi di luna




M’illumino d’immenso
(Giuseppe Ungaretti,
Mattina, 1919)
 





Il Sole è uno di quei soggetti che entra in scena senza chiedere permesso.
C’è, sì, un piccolo chiarore che tinge il cielo di rosa, avvisando del suo arrivo come il suono di un inseguitore alle calcagna, ma è questione d’un istante o poco più. Poi c'è la luce. Improvvisa e decisa, come l’intervento a gamba tesa di un difensore d’altri tempi, di quelli che ti spezzano caviglie e stinchi e menischi senza battere ciglio. Ma puoi ammonire il Sole? Puoi espellerlo dal campo di gioco sventolando il cartellino rosso?
No, che non puoi.
Perché, senza la meraviglia dell’alba, questo mondo sarebbe un posto molto, ma molto più brutto. In fondo, è solo un attimo accecante, che annichilisce gli ultimi raggi di luna, e poi il sole arriva ad abbracciarci con la stessa gioia di un amico che non incontriamo da chissà quanto tempo.

La notte è una cella d'afa. Dormire senza che le lenzuola ti si appiccichino alla pelle è quasi impossibile. Così la passi sveglio, ad osservare la superficie pallida della luna che ti guarda di rimando, curiosa, dal suo balcone di nuvole. Sai che qualche stanza più in là i tuoi fratelli si stanno rivoltando nel letto come pesci sulla graticola; eppure, te ne resti per i fatti tuoi, appollaiato sul davanzale, una gamba a pencolare nel vuoto, ascoltando quello che il mondo ti racconta attraverso il frinire dei grilli. Ché ci sono notti fatte per pensare, altre per amare, e altre ancora in cui l’unica cosa da fare è spegnere la luce e andare a dormire.
Ma quando la luna non è perfettamente piena, e un alito gentile di vento ti solletica, accarezzandoti quell’accenno di barba che il rasoio fa sparire al mattino, tu esci. Sgattaioli fuori, una maglia sulle spalle, e ti godi il silenzio ovattato che precede l’alba. E scopri che la città è bella, a suo modo, mentre gironzoli per i sentieri che portano lungo stradine senza nome, le serrande delle botteghe che ancora dormono e qualche gatto che ti attraversa la strada, affaccendato in chissà quale commissione. Tokyo sa stupirti nella sua tranquillità, col venticello fresco che ti bacia la pelle e gioca a spettinare le cime di quei quattro alberi che resistono, strenui, all’avanzare di quel progresso chiamato cemento.
 
Il ponte pedonale sul canale si insinua tra le case come l’ago nella stoffa. L’acciaio tinto di verde non si camuffa da erba, foglie o prato; ma non protesta, quando ti fermi ad aspettare che il sole sorga, spadroneggiando colla sua luce nel cielo pulito della mattina. E chissà quanti altri, come te, ne avrà visti passare e fermarsi, quel ponte senza nome. E chissà quanti altri ne vedrà aspettare che il mattino si svegli, sorseggiando un caffè comprato ad un distributore strada facendo.
Oggi hai ricevuto due lattine, al posto del resto. Il tepore nelle tasche della felpa ti accompagna lungo la strada, mentre la luna grossa e tonda si attarda ancora un po’ in cielo, pettinando i suoi capelli d'argento. Forse, il sole le lascerà qualche minuto in più, ché le donne, si sa, ci impiegano sempre una vita per farsi belle. Ma la luna sa essere pericolosa. E proiettare ombre inesistenti lungo la tua strada; e il sole lo sa. Ed è per questo che sorge, ogni mattina, per evitare all'umanità di specchiarsi troppo a lungo nel sorriso d'argento della luna.

Stamane non sei solo. Lo vedi non appena svolti la curva: il bavero della giacca jeans rialzato, le caviglie accavallate ed un fiore di papavero tra le dita. Un tuo coetaneo, forse appena un paio d’anni più giovane. Lo sguardo fisso sull’acqua che scorre, placida, pigra, sembra accorgersi di te, che lo osservi dall’altra parte.
Tentenni. Non vuoi disturbare. E non vuoi avere estranei intorno, quando sorge il sole, ché quello è oramai un tuo piccolo rito quotidiano. Vuoi essere da solo, quando la luce torna di prepotenza nel mondo, svegliandolo dai suoi sogni – belli o brutti che siano stati. 
A Esmeralda piaceva l’alba. Sgattaiolava fuori dal fienile, quando ancora dormivano tutti, il vestitino di stoffa lisa e i piedi scalzi. Erano i suoi cinque minuti di pace, in cui tutto il mondo sembrava trattenere il respiro, prima di ritrovarsi incatenata ai suoi doveri quotidiani: le pecore, la casa, il bucato, l’acqua da prendere al pozzo.
Ed è pensando a lei, che ti soffermi ad osservare l’alba. Ed è per lei che sgrani gli occhi su questo mondo con lo stesso sguardo affamato e stupito che si allargava sul suo viso quando le raccontavi della neve di Gennaio, del chiasso di Tokyo, dei pini di montagna. Delle lucciole. Di Tanabata,  dei ciliegi in fiore, della luna d’autunno e…

No. Non vuoi compagnia.
Giri sui tacchi, prima che qualcosa di grosso e umido si stringa attorno al tuo polso. Con delicatezza. Le fauci di una grossa tigre bianca. Un animale così enorme e meraviglioso che resti a fissarla, stupito e intimorito. Da dove è sbucata fuori? Fino a pochi istanti prima non c’era nessuno, oltre a quel ragazzo e a te, ne sei sicurissimo. Una bestia così non passa inosservata. Ma non stringe. Non affonda i suoi canini poderosi nella carne del tuo polso. Ti tira sul ponte, piuttosto. Quasi che al suo padrone, stamane, servisse compagnia.
Spiacente, ma sono la persona meno adatta allo scopo, pensi, prima che il suo proprietario si riabbia e la richiami a sé.
«Byakuen. Qui.»
Byakuen si volta. Ha gli occhi dolci, nonostante la stazza e le fauci attorno al tuo polso. Guarda prima lui, poi te, come a chiederti di seguirlo sul ponte.
«Byakuen?»
Il ragazzo si stacca dal parapetto verde salvia. La tigre allenta la presa. Ti lancia un’ultima occhiata, poi si gira e si avvicina al suo padrone, mentre resti a massaggiarti il polso. Ok. Sto sognando, pensi. Ma il segno leggero che la bestia ti ha lasciato sulla carne dice l’esatto contrario.
«Scusami. Non volevo spaventarti», dice il ragazzo, accarezzando la tigre. È docile come un gattino colla pancia piena di latte, adesso.
Fra poco si metterà a fare le fusa, pensi, prima di scuotere la testa. No, non ti sei spaventato, tu. Per un tigrotto troppo cresciuto, poi, figuriamoci! Uno che ha visto l’inferno in terra e la morte in faccia così tante volte da avere perso il conto, non ha paura di una tigre. Lo trovi… eccentrico, questo sì, nemmeno vi foste incontrati nel cuore della jungla nera; ma sono dettagli.
«Tranquillo», dici. Alzando una mano in direzione di quello sconosciuto.
Eppure, quando il tuo sguardo incrocia quello del ragazzo con la tigre, vedi che siete più simili di quanto non pensassi in prima battuta. Perché c’è sincerità nei suoi occhi, la stessa della lava che scende dai fianchi di un vulcano, o della fiamma che balugina sulla cima della candela. E sul fondo di quel fuoco azzurro ci sono cicatrici, graffi e ferite spaventose. Quelle che ognuno di noi conserva sul fondo dell’anima, e che non è disposto a condividere col prossimo, a cuore leggero.
 

«Scusaci ancora», dice, la mano che abbandona il parapetto. «Andiamo, Byakuen…»
«Resta», dici. Stupendo te stesso per primo.
Lui si volta, regalandoti uno sguardo indecifrabile da sopra la spalla. «Non vorrei disturbare», dice, come a saggiare le tue reazioni.
«Nessun disturbo», ribatti, un leggero chiarore da est, mentre ti avvicini. «Mi avanza una lattina di caffè», dici, porgendogliela dalla tasca della felpa.
«Grazie», mormora. Prendendo la lattina con un gesto fluido, le dita pronte a stringersi sull’elsa di una spada. «Ryo.»
«Ikki.»
Annuisce.
«Non conoscevo questo scorcio», dice. «Tu sei di queste parti?», domanda.
«No. Passavo di qui per caso», menti. «Tu?»
«Idem», ribatte. «Stanotte ha fatto caldo.»
«È tempo suo», commenti, le braccia sul parapetto e lo sguardo rivolto all’orizzonte.
Lo vedi annuire con la coda dell’occhio. Poi riporti la tua attenzione sul sole che sta sorgendo. Una lama di luce fende in due l’aria, separando la terra ed il cielo e poi s’allarga, lenta e inesorabile, ad abbracciare le montagne, scacciando via le ombre della notte e i suoi fantasmi e il chiarore opaco delle stelle.
Ed è in quel chiarore assoluto e puro che cerchi un ultimo scampolo di lei. I suoi capelli biondi, il suo sorriso sincero, la sua risata. Un’ombra fugace, uno scherzo della luna, che imbroglia cuori e cani, e che osserva dispettosa i tuoi occhi velarsi appena; ma prezioso quanto basta per andare avanti, ancora un altro giorno.
Il fiore di papavero cade nell’acqua e si avvia, pigro, verso il mare aperto.
«Luna.»
«Esmeralda.»
E poi vi abbraccia il silenzio, nel ronfare della tigre acciambellata ai piedi di Ryo che si armonizza col fluire placido del fiume. Benedetto sia il caffè e chi l’ha inventato, pensi, mentre lo snap delle lattine riempie l’aria del mattino.





 



Saint Seiya © Masami Kurumada, Shueisha, Toei Animation, 1986
Yoroiden Samurai Troopers © Sunrise, Nagoya TV,Tokyu Agency, 1988.
Grafica ® Francine.





Note:
Ikki e Ryo. Due modi differenti di chiamare il fuoco, per così dire.

Nel mio headcanon la storia di Esmeralda è un filo più complessa di quella che ci ha raccontato Kurumada (schiava nel manga, figlia di Guilty, nell'anime). Luna appare nel primo OAV dei Samurai, e sebbene tra lei e Ryo non vi sia tempo per una liaison affettuosa di qualche tipo - se non una cotta adolescenziale, coi suoi picchi di furore - ma resta il fatto che entrambi si sono visti morire una ragazza tra le braccia. Ed è quella vita spezzata che cercano, tra gli ultimi raggi di luna.
   
 
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Saint Seiya / Vai alla pagina dell'autore: Francine