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Autore: CinderNella    24/06/2016    4 recensioni
Si sentiva un po’ stalker a guardarlo e ad annotare ogni suo comportamento da dietro un muro delle rovine di Christ Church Greyfriars – se si fosse trovata dietro a un cespuglio avrebbe potuto trovarci dell’ironia nella situazione che stava vivendo da qualche tempo – ma era parte del suo lavoro anche quella. [...] Ma, diversamente dal solito, e non perché fosse venerdì, lui si era separato dal suo gruppo di colleghi per dirigersi all’interno del giardino che portava dritto alle rovine dov’era casualmente lei: si stava proprio dirigendo verso di lei.
Resasene conto, si catapultò alla panchina più vicina per dare l’idea di essere davvero impegnata a fare qualcosa che non fosse spiarlo da lontano, ma dalla sua espressione non doveva esserci riuscita: «Mi scusi, ma lei mi sta spiando?»
Era davvero come a scuola. Stesso portamento arrogante, stesse fattezze e modo di presentarsi elegante e capelli impossibilmente biondi: eppure era completamente diverso.
«Ehm...» non sapeva che scusa formulare.
«È la quarta volta che la vedo in una settimana e in zone diverse della città. Perché mi segue?»
Genere: Comico, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Daphne Greengrass, Draco Malfoy, Hermione Granger, Theodore Nott | Coppie: Draco/Hermione, Luna/Theodore
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Ohi! Son tornata. Ho finito di scrivere le ultime due parti del capitolo ieri sera (prima di cadere irrimediabilmente addormentata) e ora l'ho riletto quindi posso postarlo! Scusate il ritardo, ma ehi - almeno sono ritornata a essere in qualche modo "periodica". Non precisissima, ma ci sono! Spero che questo capitolo vi piaccia, è "di passaggio" ma non solo. Buona lettura!









 

Still I follow heartlines on your hand. And there’s fantasy, there’s fallacy,
There’s tumbling stone. Echoes of a city that’s long overgrown.
Your heart is the only place that I call home, I cannot be returned.
(You can… You can… I know you can…)

Hermione sentiva le braccia di Draco stringerle la vita con un’intensità tale che la rendeva pressoché certa del fatto che non l’avrebbe lasciata andare molto presto. E in realtà ne era contenta, ne aveva bisogno anche lei. Erano stati lontani per troppo tempo, non sicuri di come si erano lasciati, e avevano bisogno di recuperare tutto quel tempo in cui non avevano avuto alcun contatto. Nyx era acciambellata ai piedi del letto, e apriva ogni tanto gli occhi per controllare che i due suoi umani fossero ancora di fronte a lei, avviluppati sotto il piumone. Sembrava essersi abituata bene, per quel poco tempo che era stata lì. Nix, invece, era entrato in camera in perlustrazione solo mentre i due umani erano ancora in soggiorno: tutto il resto del tempo l’aveva passato a sonnecchiare o a giocare sul divano. Aveva ripreso in pochissimo tempo le abitudini che aveva avuto qualche mese prima in quella casa.
Draco sembrò tossire per attirare l’attenzione: sentiva che era sveglio, poiché ogni tanto la presa intorno alla vita si indeboliva impercettibilmente, e inoltre sentiva il suo respiro sulla spalla, e non era profondo com’era solito essere quando dormiva.
«Quindi... andavamo a scuola insieme?» esordì, mentre Hermione rivolgeva ancora lo sguardo dall’altro lato. La ragazza si voltò verso di lui, incuriosita «Sì. Perché me lo chiedi?»
«Oh, beh, stavo pensando... com’eravamo? Com’ero? Cosa facevo? Theo, Blaise e Daphne mi hanno aggiornato sulla loro parte della storia, ma immagino che non sia esattamente uguale alla tua, vero?» quasi le dispiaceva dover dare la notizia incresciosa – ossia della loro inimicizia – a quel faccino dall’espressione amorevolmente curiosa e titubante.
Decise, allora, di buttarla sul ridere, e gli rivolse un sorriso a trentadue denti: «Sì, diversissima. Eri un arrogante figlio di papà che non faceva altro che ripetere che “Suo padre sarebbe venuto a saperlo!”. Oh, e ti sei beccato un mio sonoro schiaffo al terzo anno.» terminò quella, annuendo soddisfatta.
Draco le rivolse uno sguardo sconvolto, toccandosi istintivamente la guancia sinistra, oltraggiato: «Mi hai schiaffeggiato?!»
La lingua della ragazza spuntava lievemente dalle due file di denti, mentre quella sorrideva soddisfatta e annuiva: «Te lo meritavi. Non facevi che gracchiare insulti e stupidaggini e... a dire il vero non ci ho visto più. In compenso, posso ammettere in tua presenza che non è stato uno dei momenti di cui vado più fiera, ora.»
«Come minimo!» esclamò lui, il cui tono era ancora lievemente oltraggiato. Ma era tornato ad abbracciarla.
«Oh, ed eri il secondo migliore alunno del nostro anno.» aggiunse Hermione, annuendo quasi solennemente. Draco roteò gli occhi, attirandola a sé: «Fammi indovinare, la migliore eri tu?»
L’ex-Grifondoro annuì: «Per essere precisa, il termine che veniva usato dalla maggior parte delle persone era “la strega più brillante della sua età”.»
Draco cercò di toglierle quel fastidioso gran sorriso compiaciuto dal volto mordendole la spalla, ma quella non sembrava aver l’intenzione di dargliela vinta – e non sembrava nemmeno in procinto di smettere di sorridere. In realtà, al di là dello scambio di battute e beffe, si sentiva come Hermione: non riusciva a smettere di sorridere nemmeno lui, era come in uno stato di perenne contentezza. E quello non era attribuibile allo scoprire delle cose di sé che aveva ignorato per anni, quanto all’essere di nuovo assieme alla strega più brillante della sua età, averla di nuovo tra le sue braccia, pelle contro pelle.
«Sei rimasto ammutolito dopo la strabiliante rivelazione che mi pone sotto tutt’altra luce ai tuoi occhi? Insomma, per stare con la strega più brillante de—
Draco aveva scosso la testa, ma lei non se n’era accorta, e quello che seguì parve quasi un assalto alle sue labbra. Un piacevole assalto, ma un assalto nondimeno.
Quando incrociò nuovamente gli occhi dell’ex-Serpeverde, quelli avevano uno strano luccichio: sembrava concentrato, ma anche terribilmente distratto.
«Draco? Tutto bene?» era preoccupata, quei discorsi avevano forse innescato qualche ricordo? Cosa gli stava accadendo?
«Ti amo, Hermione Granger.» dichiarò il biondo, quasi solennemente «Anche se, a quanto pare, eri più brava di me alla scuola degli incantesimi.»
«Hogwarts.» lo corresse automaticamente lei, ma lo osservava come fino a qualche momento prima l’aveva guardata lui – o almeno così credeva, per quello che provava «E ti amo anche io, Draco Malfoy. Anche se eri più bravo di me in Pozioni.»
«Quindi c’era qualcosa in cui non primeggiavi!» esultò lui, con un tono che non si preoccupava di mascherare il suo compiacimento, nonostante quelle cose non le ricordasse minimamente.
Hermione roteò gli occhi ed emise un leggero sbuffo: «Sì. Eri bravo, ma eri anche il cocco del professore, che per inciso mal mi sopportava, quindi non so quanto possa esser considerata valida come eccezione!»
«Meno chiacchiere, Granger, accetta la sconfitta!» ribatté Draco, con un tono gongolante «Chi era questo professore? Perché sarei dovuto essere il suo cocco?»
L’espressione di Hermione si rabbuiò impercettibilmente per qualche secondo, ma a lui non sfuggì: «Perché ti ha protetto durante la guerra. E anche prima della guerra.»
«Cosa ha fatto? Come posso ringraziarlo?»
Lo sguardo contrito di Hermione non accennava a sparire: «Ha ucciso al posto tuo il preside di Hogwarts dell’epoca, Albus Silente, quando aveva avuto la certezza che tu non saresti riuscito a farlo, alla fine del sesto anno scolastico. All’epoca non sapevamo che era stato Silente a chiederglielo all’inizio di quell’anno, sia perché aveva una sorta di malattia terminale causata da una maledizione, sia perché voleva salvarti dal commettere un atto da cui non saresti potuto tornare più indietro.»
«Perché mai avrei dovuto uccidere il preside della scuola che frequentavamo?!» il sopracciglio alzato di Draco era chiaro indice della sua confusione neanche poco indispettita, alla scoperta di quei particolari.
«Era il paladino della lotta contro il male, contro Voldemort. E Voldemort voleva che tu lo uccidessi per porre rimedio a quelli che lui considerava gli errori di tuo padre. Fondamentalmente ti aveva messo di fronte a un compito decisamente più grande di te, e tu non avevi scelta, perché se ti fossi rifiutato ci sarebbe andata di mezzo la tua famiglia.»
«Però non l’ho ucciso?» chiese lui, curioso nonostante tutto quel discorso gli desse la nausea. Non poteva nemmeno pensare di uccidere un animale senziente, figurarsi un essere umano.
«Da quello che mi raccontò Harry all’epoca, no. È stato Piton a farlo, approfittando dei tuoi tentennamenti.»
«Harry? Harry Potter, il tuo amico?» chiese Draco, ancora più confuso.
«Sì, era presente. Nascosto, però era lì e ha visto tutto. E per rispondere alla tua seconda domanda, non puoi ringraziare Piton. Voldemort l’ha ucciso durante la battaglia di Hogwarts perché ha scoperto del suo doppiogioco. Lavorava per l’Ordine, nonostante fosse un Mangiamorte.» quando notò lo sguardo lievemente disgustato e triste, ma anche perplesso di Draco, decise di continuare con la spiegazione «L’Ordine della Fenice era un gruppo composto da maghi e streghe che si opponevano a Voldemort. L’hanno combattuto e hanno tenuto lontano Harry da lui in diverse occasioni. Anche io, Harry e Ron facevamo parte dell’Ordine, pur non facendo parte direttamente di tutte le loro missioni. Di alcune non ne eravamo addirittura a conoscenza!»
Draco non aprì bocca per commentare: era palesemente pensieroso. Solo dopo qualche minuto, ancora abbracciato a lei, decise di porle un’altra domanda «Perché Voldemort voleva Harry?»
«Immagino perché fosse l’unico essere vivente che era sopravvissuto al suo tentativo di ucciderlo. Harry è anche quello che inavvertitamente, per un incantesimo protettivo che sua madre aveva posto su di lui prima di essere uccisa da Voldemort, ha indebolito quest’ultimo, costringendolo a interrompere il suo regno del terrore nel mondo magico. Dopo quel giorno, Voldemort è stato assente per molti anni.»
Draco tacque nuovamente. Quando sembrava aver l’intenzione di parlare, taceva subito dopo. Solo dopo qualche minuto riprese parola: «Sono davvero tante informazioni da assimilare. Sai perché Piton mi proteggeva?»
«No, ma ho sempre pensato che dipendesse da un intervento in merito di tua madre Narcissa. Ne sono quasi sicura, visto che durante la battaglia di Hogwarts ha addirittura mentito a Voldemort circa la morte di Harry, dopo aver saputo da lui stesso che eri vivo e vegeto nel castello. Quello che voglio dire è: ti ama molto. Penso che farebbe qualsiasi cosa per proteggerti, quindi sono sicura che c’entrasse lei in qualche modo.»
Draco ora osservava il soffitto: aveva passato un braccio intorno alle spalle di Hermione, e l’altro era posato sul suo stomaco. Stava osservando il soffitto bianco come se vi cercasse delle risposte.
«Perché ho perso la memoria?»
«Vuoi il mio parere professionale o quello personale?»
«Entrambi.» rispose lui, laconico. Guardava ancora il soffitto, e lei vedeva chiaramente il profilo del suo viso da quella posizione.
«Tecnicamente, hanno agito su di te una maledizione e una pozione. La prima dovrei averla trovata, la seconda non ancora. Vorrei riprodurla per capirne al meglio gli effetti e creare un antidoto.» spiegò Hermione, cercando di essere precisa «E poi, personalmente, credo sia stato per vendetta.»
Draco si voltò a guardarla, e si sentì nuda sotto quello sguardo indagatore: poco c’entrava quella sensazione col suo essere effettivamente nuda sotto le coperte «Un complice di quelli che dovrebbero essere i perpetratori ha dichiarato che i due, una in particolare, sarebbero stati motivati dal tuo aver tradito la causa
«La causa?»
«Di Voldemort. Tua madre l’ha tradito, proteggendo Harry. E nonostante lui sia morto, i suoi sostenitori non lo sono.» Hermione sapeva chiaramente che la mano di Draco che non era più visibile perché sotto le coperte era stretta in un pugno.
«Chi ha parlato? Chi è la complice?»
Hermione sospirò pesantemente, attirando lo sguardo inquisitore di Draco su di lei, che sembrava lievemente tradito dal suo esser restia a parlare: «Non sto cercando di nasconderti qualcosa, è che l’ho scoperto qualche ora fa, tramite un messaggio di Ginny. Lei e Daphne sono andata a confrontare la complice... che era la nuova fidanzata di Ron, il mio ex. La sua sfuriata di qualche mese fa a casa nostra era stata compiuta sotto l’effetto di una Maledizione Senza Perdono che aveva reso Ron un burattino, portandolo a rubare parte della mia ricerca. Penso che volessero sapere a che punto fossi nel porre rimedio ai loro danni.»
«Loro chi?»
Hermione chiuse le palpebre e tacque per qualche secondo, prima di ricominciare a parlare: «Pansy Parkinson, una tua compagna di Casa a scuola, e il suo fidanzato. Sono loro che ti hanno fatto perdere parte della memoria.»
La mascella di Draco era tesa ed era certa che gli avrebbe fatto male di lì a qualche minuto, se fosse rimasta così: portò istintivamente un braccio attorno alla sua vita, tralasciando il fatto che l’uomo che amava era così concentrato nel pensare ai due malfattori dal saltare su non appena ebbe percepito il calore di lei sul suo corpo «Non sono stati ancora trovati, ma da quello che mi ha detto Harry in un messaggio che mi ha mandato in seguito a quello che avevo ricevuto da Ginny, l’indagine sul tuo caso è stato riaperta e li stanno attivamente cercando. Se dovessero uscire allo scoperto, dovrebbero trovarli.»
«Perché Harry dovrebbe averti detto questo?» lo sguardo che Draco le aveva rivolto in quel momento era puramente confuso.
«Non ha mentito quando ti ha detto che lavoro fa. È di fatto una specie di poliziotto... ma del mondo magico. E si occupa lui, ora, del tuo caso.» spiegò Hermione, annuendo.
«Che strano mondo.» si limitò a commentare Draco dopo qualche minuto che avevano passato in silenzio, avvicinando Hermione a sé e lasciandole un bacio sui capelli «Come minimo, dopo avermi dato tutte queste cattive notizie, dovresti farmi vedere qualcosa di bello. Non so, qualcosa come qualche magia
Sembrava essergli tornato il buon umore, nonostante era palese che parte di lui stava ancora pensando a immagazzinare tutte quelle notizie che aveva appreso. Al che Hermione decise che era meglio che non ci pensasse, per il momento, e pretese la sua completa attenzione piazzandosi sopra al biondo, che alzò un sopracciglio, perplesso «Che razza di magie hai intenzione di fare, Granger?»
«Magie del tutto babbane, Malfoy. Poi magari potrò considerare l’idea di mostrartene qualcuna più convenzionalmente magica.» si avvicinò alle sue labbra con un sorriso del tutto furbetto, che venne accolto da quello di Draco altrettanto maliziosamente, prima che si decidesse a farla ribaltare sulla schiena in un movimento repentino, che causò l’emissione di uno squittio da parte della ragazza.
Nyx era saltata giù dal letto qualche secondo prima: tutto quel movimento su quello che lei aveva già ribattezzato come il suo materasso la infastidiva terribilmente; allora decise che sarebbe andata a cercare il suo compagno di giochi e magari a rubargli il cuscino.

Daphne aveva preso la metropolitana in piena ora di punta per arrivare al Ministero della Magia durante la sua pausa pranzo, e quel dannatissimo Potter non si faceva trovare nell’ufficio. Era pronta, bacchetta alla mano, per far passare i ricordi dalla sua testa in una boccetta del ministero, e quel maledetto Auror ancora non si era palesato.
Era seduta su una delle sedie oltre la sua scrivania, e tamburellava con un piede sul parquet dell’ufficio: quando Harry entrò non si accorse della sua presenza.
«Porco Salazar!»
«Hai una capacità osservativa davvero bassa per essere un Auror.» commentò secca lei, rivolgendogli un’occhiata perplessa «E ora muoviamoci, dammi la boccetta, così ti do i miei ricordi. Sono venuta qui perdendo la mia pausa pranzo, oggi.»
«È anche la mia, di pausa pranzo!» esclamò lui, inalberandosi.
Daphne roteò gli occhi e sbuffò: «Ma tu lavori qui! Io devo prendere la metro e tornare a Canary Wharf!»
«Non puoi materializzarti?» ribatté lui, andando a prendere il necessario per la deposizione dei ricordi.
«Già devo fare questo incantesimo particolarmente impegnativo, poi, se non ci hai fatto caso, vengo da quattro ore di lavoro impegnativo, e tra mezz’ora devo essere in ufficio. Finirò per mangiare te, Potter.» la nemmeno troppo lieve minaccia arrivò al destinatario mentre quello le porgeva la boccetta, e lei afferrò la bacchetta.
«Ricordi ancora come fare?»
«Potter, sono ancora una Purosangue.»
«Che vive nel mondo babbano da nove anni.»
«È un incantesimo che uso spesso. Per mettere da parte tutti i nostri ricordi migliori, se la nostra memoria dovesse perdere tacche.» Harry sapeva che si riferiva al gruppo delle Serpi, eppure non poté non sorridere: ormai, di quel gruppo facevano parte anche Hermione, Luna e Ginny. Ed era felice che si trovassero con persone indubbiamente leali.
Qualche minuto dopo Daphne gli porse la boccetta piena di liquido argentato: «Chi manca?»
«Ron. Ma dovrebbe arrivare a breve. So che ha richiesto un permesso per poter visitare Maggie.»
Daphne roteò platealmente gli occhi e sbuffò: «Voleva essere più tradito di così? Grazie a lei è stato vittima di un Imperius, e ancora vuole vederla?»
«È ancora la sua ragazza...» commentò Harry, non volendo esporsi troppo: in realtà dava ragione a Daphne, ma questo a Ron non l’avrebbe ammesso.
«Abbastanza merdosa, se posso dire la mia.»
«Andale, andale, Greengrass!»
Daphne era già sulla porta, ma si voltò accigliata per guardare Harry: «Stai citando Speedy Gonzales o mi stai esortando in spagnolo? E sappi che trovo entrambe le cose inquietanti.»
«Stavo citando Speedy Gonzales. Come ben sai, sono comunque vissuto nel mondo babbano.»
«Arriba arriba.» commentò la ragazza, rivolgendogli un’ultima occhiata perplessa e chiudendosi dietro la porta.
Harry sorrise e scosse la testa: ora era pronto a mangiare il suo triste pranzo alla scrivania.

Ron Weasley sedeva nella sala d’attesa del Dipartimento Auror, non riuscendo a tenere le gambe ferme dal nervosismo. Stava aspettando che qualcuno lo conducesse alle celle temporanee, ma nessuno dava cenno di avere un momento libero per effettivamente ottemperare alle sue richieste. E poi c’era una ragazza dai capelli biondo topo che gli lanciava occhiate da qualche sedile più in là ripetutamente, come se sapesse chi fosse.
«Cosa?!» sbottò lui, non potendone più di incontrare lo sguardo incuriosito di quella ragazza ogni pochi secondi.
«Potresti rivolgerti con un po’ più di educazione, Weasley, ai vecchi compagni di scuola.» il tono altezzoso del rimprovero gli ricordava impossibilmente quello di Daphne: ma quella ragazza era più piccola e diversa dalla Greengrass «Sono Astoria. La sorella di Daphne.»
«Oh. Che ci fai qui?» non la ricordava proprio così.
«Aspetto Harry. Avevo appuntamento con lui a pranzo.» spiegò brevemente lei, abbassando lo sguardo sulla borsa posata sulle gambe.
«Con Harry... Potter? Qui?!» si era perso qualche pezzo della storia? Harry e Astoria? Come si erano conosciuti?
«Tu?» chiese semplicemente, glissando le sue domande retoriche e alzando il capo lievemente, facendogli un cenno.
«Cerco di capire se posso incontrare Maggie.»
«Ma non l’ha arrestata, Harry? E poi non ti ha tradito?!» come Daphne, anche Astoria non doveva avere molti peli sulla lingua.
«Non è così facile.»
«Se finissi per colpa del mio fidanzato sotto Imperius sì, sarebbe così facile per me.» ribatté quella, rivolgendogli un’occhiata perplessa – e lievemente altezzosa.
«Come lo—Ah, sarà stato Harry.» stava per chiedergli come lo sapesse, ma data la relazione stretta – a quanto pareva – che c’era tra quei due, doveva essere per forza stata colpa sua.
Astoria annuì impercettibilmente: «Che hai da dirle? Devi lasciarla?»
Ron scosse la testa, e si rese conto di non sapere nemmeno perché fosse lì: voleva vederla. Non sapeva neanche cosa le avrebbe detto, ma sapeva che voleva vederla.
Una porta che si apriva, alle spalle di Ron, attirò l’attenzione di Astoria, che saltò su e salutò qualcuno con la mano «Devo andare. Ci si vede, Donnola!»
Vide solo la gonna della Greengrass piccola scomparire dietro la porta dell’ufficio di Harry che si chiudeva, prima di alzarsi e decidere di affrontare qualcuno per chiedergli dell’incontro: non avrebbe risolto nulla se fosse rimasto ad aspettare in sala d’attesa che qualcuno lo considerasse vivo – e in attesa di essere servito, o perlomeno aiutato.
  
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