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Autore: madychan    24/06/2016    1 recensioni
[Dal primo capitolo]
Davanti a lei c’era una altra ragazzina. Con tanto di capelli lunghi, vestito dalla gonna ampia, e l’aria di chi non è per niente stanco per la camminata fatta. [...]
E, proprio quando Arthuria fece per parlarle e chiederle chi fosse, lei sorrise. Arthuria sbatté le ciglia, vedendo che i suoi occhi andavano a soffermarsi di nuovo sull’elsa di Caliburn per qualche istante, e poi tornavano a guardare i suoi.
«Avete gli occhi di questo stesso colore.» commentò.
Aveva una voce quasi strana, per essere una ragazzina. Di certo, non particolarmente acuta.
Arthuria spostò lo sguardo da lei all’elsa, a propria volta, e fissò l’azzurro smaltato che si alternava con l’oro e i suoi riflessi chiari dati dalla luce di un sole che stava sorgendo.
«Vi somigliate.» disse ancora l’altra.
Genere: Drammatico, Romantico, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shoujo-ai | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Saber
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo terzo

Patto tra cavalieri



 

Accadde durante il suo dodicesimo anno di età, in un giorno di fine autunno.

La camminata sul pendio della collina era stata più faticosa del solito, e non si era mai sentita così stanca prima; la testa girava, e sentiva un dolore acuto al bassoventre. Non le era mai successo di sentirsi tanto debole.

E poi, l’attacco di Lancelot era arrivato all'improvviso, cogliendola alla sprovvista: l’aveva scaraventata giù per il pendio della collina per almeno sei, sette metri, come era successo solo la prima volta in cui avevano duellato, mesi addietro. Da allora, non si era mai più fatta prendere di sorpresa da un suo agguato.

Eppure quella mattina era successo. E Arthuria si era chiesta che le stesse succedendo; se qualche stregone o strega le avesse fatto qualche incantesimo per vendicarsi di lei, o se stesse molto male di punto in bianco; e in quel caso, quale evento potesse aver scatenato la punizione divina verso di lei.

Guardando in alto verso Lancelot, che aveva sbuffato e se ne stava sulla cima della collina, con le mani ai fianchi e un’espressione scocciata in viso, per un secondo desiderò di non essere lì, ma nel proprio letto; la sensazione di stanchezza, e di voler, eventualmente, rimanere lì a terra – una posizione in cui il dolore al bassoventre sembrava farsi sentire lievemente di meno – per un attimo la fece da padrone, e la spinse a riappoggiare la fronte tra l’erba della collina bagnata dalla pioggia del giorno prima.

Poi, in un lampo, il ricordo del perché lei fosse lì.

Strinse i fili d’erba e digrignò i denti, determinata ad alzarsi e a cercare di non sentire quel dolore; per un attimo, quando fu di nuovo in piedi, barcollò per il cambio improvviso di posizione e per il giramento di testa; ma poi estrasse la spada di legno, la strinse con entrambe le mani e risalì il pendio.

Al fianco di Lancelot, poco prima che lei lo raggiungesse, si parò anche Guinevere; aveva un’espressione preoccupata in viso, e quella preoccupazione era, come sempre, rivolta a lei.

Perché doveva farla impensierire, mentre verso Lancelot non aveva mai visto un’espressione di quel tipo?

Digrignò i denti e impugnò più saldamente quella rudimentale elsa di legno, pronta all’attacco, quando anche sul viso di Lancelot intravide un’apprensione simile a quella di Guinevere.

Da lei poteva quasi accettarlo; ma da lui, era come se la stesse sottovalutando.

Alzò la propria arma, e lo attaccò con una buona parte della forza che aveva; Lancelot, tuttavia, fu più veloce, e schivò il colpo, menando la spada in un fendente che la prese in pieno alla spalla.

Arthuria strinse i denti per il dolore – perché sembrava centuplicato, rispetto al solito? Perché sentiva dei brividi di sudore freddo e pelle d’oca che le sembravano non avere niente a che fare con la temperatura esterna? – e cercò di colpirlo di nuovo, muovendo la spada esattamente come aveva fatto lui; Lancelot scartò di nuovo, e la colpì dietro la spalla, spingendola sdraiata a terra come qualche secondo prima.

«Ma che…?» azzardò lui; dalla voce sembrava sconcertato.

Arthuria ringhiò, e fece per voltarsi e cercare di alzarsi; ma il dolore al bassoventre la colpì in modo acuto, e la spinse a stringerselo, contorcendosi per un attimo a terra per il dolore – mordendosi il labbro per evitare di manifestarlo più di così.

«Arthuria…!» esclamò Guinevere; Arthuria sentì la sua mano poggiarsi gentilmente sulla sua spalla, e il tono preoccupato della sua voce.

Era snervante. E umiliante.

«Spiriti dell’acqua, Guinevere, io non ho fatto niente, lo giuro! A meno che un colpo alla spalla non possa sortire quest’effetto…!» esclamò Lancelot.

Arthuria sentì la testa venire perforata dal tono troppo alto di quella voce; si strinse di più la pancia, cercando di socchiudere gli occhi e di sollevare lo sguardo.

Perché Lancelot pareva in preda al panico?

«Lancelot, calmati. Tu non hai fatto nulla.» replicò Guinevere.

«Se non colpire più forte del solito…» biascicò Arthuria, facendo perno sulla mano che ancora stringeva la spada, e alzandosi carponi. «Ma è colpa mia che sono ancora debole. Va tutto bene.»

«Ma…!» esclamò ancora lui.

«Va tutto bene, sì. Ma credo che per oggi faresti meglio a stare al castello a riposare, Arthuria. Per oggi risparmiati i combattimenti.» disse Guinevere, dolcemente.

Arthuria sollevò lo sguardo verso di lei, stralunata.

Il primo pensiero fu che lei voleva che Lancelot fosse avvantaggiato su di lei.

«Non…!» azzardò, alzandosi di scatto in piedi; di nuovo, sentì il giramento di testa che la fece barcollare.

«Arthuria.» la richiamò Guinevere, prendendola per le spalle. «So che vorresti combattere. Ma per oggi, almeno per oggi, è meglio che ti limiti a riposarti.»

«Non posso perdere un giorno di allenamento…!» esclamò Arthuria, muovendo un braccio per divincolarsi dalla sua presa. «Ne ho già persi abbastanza al castello! Lancelot mi sta insegnando infinitamente di più di quanto io abbia appreso in otto anni con i cavalieri di mio padre, perciò non ho intenzione di…!»

«Insomma!» la richiamò di nuovo Guinevere, ad alta voce, spingendola a voltarsi verso di lei. Arthuria vide sul suo viso l’espressione decisa di chi non vuole ammettere repliche. «Se combatteste oggi, non otterresti nulla se non un sacco di lividi! Non impareresti nulla e domani saresti ulteriormente debilitata e non riusciresti a combattere a dovere! Ascoltami, una volta tanto!»

Arthuria sbatté le ciglia, sorpresa da quell’atteggiamento così perentorio. Qualcosa le disse che era meglio non contraddirla.

Tuttavia, sapeva anche di aver imparato molte più cose in quei pochi mesi passati ad allenarsi con Lancelot, che in otto anni passati ad allenarsi a Tintagel; e voleva continuare. Era persino quasi arrivata al punto da tenere testa a lui, che si era allenato con quel metodo per anni; persino lui aveva detto che Arthuria aveva un talento innato, per l’uso della spada, che avrebbero dovuto coltivare già da anni.

Non voleva arrendersi. Ora più che mai, il raggiungere la potenza nel combattimento le sembrava qualcosa di fattibile. Non poteva arrendersi.

«Guinevere, però…» azzardò.

«Arthuria, niente “però”. Stai perdendo sangue, e Lancelot è scandalizzato perché pensa di essere stato lui a provocarti qualche ferita.» disse Guinevere, accennando con la testa proprio al suo bassoventre.

La domanda che per un attimo passò per la testa ad Arthuria – cioè, come Guinevere sapesse del suo dolore proprio al bassoventre – fu subito sostituita dall’esigenza di verificare la questione della perdita di sangue.

Effettivamente, aveva il cavallo dei pantaloni sporco di rosso.

«Ma che…?» domandò, sconcertata.

Il bassoventre. Allora il giramento di testa, la debolezza, la stanchezza, erano tutti per quella che doveva essere una ferita interna, che le stava causando quella perdita di sangue? Ma con cosa si era ferita? Come? E chi l’aveva fatto?

«Non è una ferita.» disse Guinevere, spingendo sia lei, sia Lancelot, a guardarla. «So che lo state pensando, ma non è così. È semplicemente il passaggio di Arthuria all’età adulta.»

Arthuria spalancò gli occhi, sconcertata. «…Questo?»

Guinevere annuì, con un sospiro che sembrava scocciato. «Per le donne il passaggio all’età adulta è segnato da qualcosa di preciso: l’inizio di perdite di sangue di questo tipo, per qualche giorno, che si ripresenta più o meno a ogni ciclo lunare.»

Arthuria guardò di nuovo le macchie di sangue – poche, e piccole, ma presenti sui pantaloni di tela; poi, tornò a guardare Guinevere, allibita: non l’aveva mai vista comportarsi in modo così saccente. Ma a giudicare dal modo in cui si era posta, dal fatto che non si era mai comportata così, e dal fatto che aveva distolto lo sguardo da loro durante tutta la spiegazione, concluse che doveva semplicemente essere in imbarazzo per la cosa.

«Effettivamente ho sentito mia madre parlare di qualcosa del genere, quando si è trattato di avere a che fare con una delle sue allieve cui si era presentata la stessa cosa, qualche anno fa.» considerò Lancelot, guardando Arthuria. «Ero piccolo, all’epoca. Ma adesso che ci penso, effettivamente… è praticamente la stessa cosa.»

Arthuria tornò a guardare Guinevere, che li fissava, le mani sui fianchi e l’espressione decisa; era un po’ imbarazzata – lo si vedeva dalle guance lievemente rosse, sulla pelle bianchissima – ma manteneva il suo piglio deciso.

E si sorprese a pensare che, forse, Guinevere aveva passato la stessa cosa. Stesse sensazioni, forse; stesso stupore; stesso dolore al bassoventre, e stesso smarrimento.

O forse no; forse sapeva già tutto e aveva affrontato la cosa preparata.

«Arthuria, dovresti tornare a Tintagel.» ribadì Guinevere.

«Ma…» replicò Arthuria. «Riesco a sopportarlo, davvero. Non fa così male. Credo di riuscire a combattere contro Lancelot…»

Guinevere ricambiò la sua obiezione con un’espressione di chiara disapprovazione; Arthuria fece una smorfia dispiaciuta, e la fissò, mentre l’altra si passava una mano sul viso, evidentemente esasperata dalla situazione.

«Lancelot.» disse poi Guinevere, voltandosi verso di lui. «Hai acconsentito ad allenare Arthuria a patto che ti insegnassi il controllo delle magie. Ricordo bene?»

Arthuria rivolse uno sguardo a Lancelot, che guardò la maga e si mise le mani sui fianchi.

«Ricordi bene. Ma evidentemente te lo ricordi solo ora, dato che per mesi non mi hai insegnato nulla.» ribatté con un tono un po’ seccato.

«Bene. Evidentemente è il tuo giorno fortunato, allora, Lancelot.» considerò lei, sorridendo con fare furbo, e tornando a rivolgersi ad Arthuria. «Facciamo così. Se acconsenti a tornare a Tintagel e a riposarti, per oggi, io insegnerò le basi della magia a entrambi durante la giornata.»

Arthuria la osservò per qualche secondo, sorpresa; poi, sospirò, e scosse la testa.

«Ci ha provato anche Merlin, con me.» replicò. «Non sono portata. Non ho un minimo di potenziale.»

«Mi avevi promesso di provare a imparare quegli incantesimi che ti volevo insegnare.» ribatté Guinevere, prontamente.

Arthuria sollevò gli occhi verso di lei, sorpresa; a causa di tutto l’allenamento con Lancelot, delle lezioni di Merlin, e del fatto di aver sempre pensato di non essere portata per la magia, si era completamente dimenticata di quella promessa. E forse aveva anche pensato che anche Guinevere se ne fosse dimenticata; ma dallo sguardo che l’altra le rivolse, capì che non era così.

Guinevere inclinò la testa di lato, raddolcendo un po’ l’espressione, prima decisa e corrucciata.

«Ci hai provato?» domandò.

Arthuria si strinse nelle spalle. «Solo il giorno in cui hai provato a insegnarmele.» confessò. «Merlin ha tentato in diversi modi di insegnarmi qualcosa, dicendomi che sarebbe stato utile; ma non sono mai riuscita a fare niente, così…»

«…hai pensato che non saresti riuscita nemmeno con quelli che volevo insegnarti io.» completò Guinevere.

Arthuria annuì, tenendo lo sguardo basso; in quel momento, si sentiva solo una stupida, incapace ragazzina arrendevole, ai suoi occhi. Non si era mai arresa al primo tentativo: non era mai stato qualcosa che rientrava nella sua indole.

L’aveva fatto solo con quegli incantesimi di Guinevere.

Arthuria lanciò un’occhiata di traverso a Lancelot, e sospirò internamente di sconforto; non ci sarebbe stato da stupirsi, se la maga avesse preferito, di lì a poco tempo, trascorrere del tempo con lui. Non ci sarebbe stato da stupirsi nemmeno se lui fosse diventato re al posto suo: era Lancelot quello coraggioso, capace, testardo, e carismatico.

Lei era solamente… una ragazzina, che tendeva a starsene per i fatti suoi, che non riusciva a praticare nemmeno i fondamenti della magia nonostante le fossero stati insegnati in mille modi, che non poteva sperare di superare la capacità di uso della spada di Lancelot, e che nessuno voleva al proprio fianco perché non era altro che una mocciosa che tutti avevano avuto la sfortuna di ritrovarsi come unica erede legittima del re.

Per di più, era solo lei, quella per cui Guinevere continuava a preoccuparsi.

La sentì sospirare, e rimanere in silenzio per qualche attimo.

«Lancelot. Avevi detto che in cambio dell’insegnamento delle magie mi avresti anche insegnato a combattere, vero?» disse poi.

Arthuria sobbalzò, e si voltò verso Lancelot; lo vide esitare un secondo, sorpreso forse dalla domanda, e poi annuire.

«Ma così sarebbero due favori al prezzo di uno.» commentò Guinevere, inarcando un sopracciglio. «Qualcosa che va contro lo scambio equivalente che è la legge base dei maghi.»

«Due favori?» domandò Lancelot. «Ah, sì, perché l’allenarsi con Arthuria era un favore, in effetti…»

Guinevere sorrise, e si rivolse ad Arthuria. «Quindi, Arthuria, si può fare così. Io ti insegno a padroneggiare la magia, dovesse costarmi anche gli anni. E tu in cambio mi insegni a combattere.»

Arthuria la fissò per qualche attimo, sconcertata; sembrava estremamente ferma, e decisa.

«Ma così sarebbero due favori contro uno, ancora.» obiettò Lancelot, anticipando la domanda che stava per farle. Guinevere e Arthuria si voltarono verso di lui, sorprese. «Beh, sì.» proseguì lui, stringendosi nelle spalle, come imbarazzato per aver interrotto qualcosa. «Hai detto che se lei torna al castello e si riposa, in cambio insegni la magia sia a me che a lei.» spiegò. «Se le chiedi anche di allenarti, sarebbero due favori in cambio di uno. E saresti ancora fuori dallo scambio equivalente.»

Guinevere si fermò a guardarlo per qualche istante, pensierosa in viso; e lo stesso fece Arthuria, scrutandolo, sorpresa dalla costatazione.

Lanciò un’occhiata a Guinevere, inclinando la testa, e pensando al da farsi.

Sapeva che la soluzione era una sola.

E tutto sommato, avrebbe anche potuto metterla in pratica.

Ma non capiva una cosa.

«Guinevere. Posso farti una domanda?»

Guinevere si voltò verso di lei, mostrando un’espressione pronta a rispondere alla domanda successiva.

«Perché vuoi imparare a combattere?» le chiese Arthuria.

Una cosa del genere le risultava incomprensibile: a combattere c’erano lei e Lancelot. E già lei stava avendo difficoltà ad imparare l’arte della spada, pur allenandosi da una vita: quella era la prova lampante che le donne fossero poco portate per il combattimento, malgrado gli sforzi, e che in forza fisica non sarebbero mai riuscite a sopraffare un uomo.

Guinevere aveva visto gli allenamenti: aveva compreso quel concetto esattamente come l’aveva capito lei. E per di più, aveva già quattordici anni: cos’avrebbe potuto ottenere, se avesse iniziato ad allenarsi in quel momento?

Entrambe sapevano la risposta.

E l’ultima cosa che Arthuria voleva era che combattesse e che rischiasse di morire in guerra.

Guinevere e la guerra non c’entravano assolutamente nulla l’una con l’altra.

La maga sorrise, e inclinò la testa.

«Perché uno di voi due un giorno estrarrà questa spada.» spiegò, voltandosi a guardare Caliburn. Arthuria e Lancelot la imitarono, fissando la spada. «Ho la sensazione che sarà così: sarà uno di voi due, a diventare il re della Britannia.» disse. «E a quel punto, l’altro sarà comunque un valoroso cavaliere.» proseguì. Arthuria la guardò, sorpresa dal tono lievemente intristito e malinconico che aveva adottato. «Mentre io, a quel punto… a cosa vi servirò?»

Arthuria spalancò gli occhi, sentendo all’improvviso un groppo in gola per quella frase. E il desiderio di abbracciarla, e di farle capire che non avrebbe mai permesso che lei si sentisse fuori posto; che il suo futuro fosse di diventare re, o cavaliere, o una poveraccia rinnegata dal regno, sapeva che non avrebbe mai permesso che Guinevere si sentisse inutile per lei.

Ma poi, come poteva pensarlo? Era così ovvio che lei e Lancelot fossero fatti per stare insieme. Se Lancelot fosse diventato re – come era probabile che accadesse –, lei sarebbe sicuramente diventata la sua regina.

Sentiva una stretta allo stomaco al solo pensarci, quello era innegabile: il pensiero che Lancelot diventasse re al posto suo, e soprattutto che lui e Guinevere stessero insieme per il resto della vita, le faceva male.

Ma se quello… se quello poteva valere a Guinevere la felicità, allora…

Guardò Lancelot, in cerca di una sua parola per confortare Guinevere; ma lui sembrava ancora più smarrito e stupito dalla frase di lei, dato che stava fissando la maga con un’espressione a dir poco allibita.

Lo pregò mentalmente di dire qualcosa. Qualsiasi cosa in grado di tirarla su, e di farle passare quell’idea dalla testa.

Ma più andavano avanti i secondi, più si rendeva conto che Lancelot sapeva cosa rispondere ancora meno di lei.

Arthuria tornò a voltarsi verso Guinevere; e sentì il moto di prenderla per mano, e di abbracciarla.

Ma non lo fece; rimase distante da lei, e aprì la bocca per dire qualche parola.

«Non è…» azzardò.

Guinevere alzò la testa, e rivolse lo sguardo verso di lei; sembrava sorpresa che le si stesse rispondendo qualcosa.

Arthuria deglutì a vuoto per un istante, e poi decise di proseguire la frase.

«Non è mai stato un rapporto di scambio equivalente di favori, il nostro.» disse, seria. «Tu… non devi sentirti inutile. Non è così. Basta che…» azzardò, esitando un istante sulle parole. «…che quando uno di noi due diventerà re… e l’altro cavaliere… se lo diventeremo…» precisò, lanciando un’occhiata a Lancelot, per poi tornare a guardare lei. «Basta che, in quel momento, e anche dopo… tu stia con noi. Al nostro fianco. Basta che… che tu rimanga lì, a consigliarci su quello che dobbiamo fare quando non sappiamo cosa fare… a rimproverarci, quando stiamo per fare qualcosa di sbagliato, o l’abbiamo fatto… a starci vicino, quando dovremo prendere qualche decisione importante… Basta che tu stia lì, Guinevere.» ripeté, abbassando per un attimo lo sguardo, per poi tornare a rivolgerlo a lei. «Basta che tu… non ci lasci.»

Guinevere la fissò, con gli occhi spalancati; forse per la sorpresa di quello che Arthuria aveva appena detto. Arthuria stessa non sapeva da dove le fossero uscite quelle parole; le era sembrato di non riuscire più a ragionare, se non in funzione del fatto di voler far star meglio Guinevere, e di dirle quello che pensava, e che sentiva.

«Sì… giusto.» si aggiunse Lancelot, facendo mezzo passo avanti. «Tu sei importante per noi. Non vogliamo che tu rischi la vita in combattimento.»

Arthuria abbassò lo sguardo, contrariata verso sé stessa. Perché Lancelot riusciva sempre a dire quello che avrebbe voluto dire lei? Perché lei non riusciva mai ad anticiparlo?

Per qualche attimo, ci fu solo il silenzio; poi, Arthuria sentì un suono stizzito provenire da Guinevere, e alzò lo sguardo per guardarla.

Spalancò gli occhi, al notare che la sua espressione era contratta in una smorfia che era a metà tra la furia e il pianto; vide che aveva gli occhi lucidi, e che si stava mordendo il labbro per non piangere.

«Siete…» azzardò la maga, a bassa voce. Arthuria lanciò un’occhiata a Lancelot, di nuovo incerta sul da farsi; ma lui, di tutta risposta, ricambiò l’occhiata nello stesso momento, confuso quanto lei.

«Siete due stupidi…!» esclamò Guinevere, alzando la voce. Arthuria e Lancelot sobbalzarono, e si voltarono verso di lei, allibiti; ma Guinevere non ci fece caso, e proseguì. «Per quale… diavolo di motivo pensate che io starei tranquilla, al pensarvi in battaglia, mentre io me ne starei comoda comoda in un qualche rifugio sicuro?! Per quale diavolo di ragione pensate che per me vada bene lasciarvi andare a combattere senza dire nulla?!» disse. Arthuria, con la coda dell’occhio, notò che stava stringendo i pugni, da tanto era arrabbiata; e alzando lo sguardo nel suo, non poté fare a meno di pensare che forse non aveva tutti i torti. «Pensate che, dato che siete così capaci… e che ho fiducia in voi… Pensate che non mi preoccuperei?! Come siete abili voi, ce ne sono altri mille! E uno di quei mille potrebbe essere vostro nemico! Per quale diavolo di motivo pensate che io… che io non mi preoccuperei, sapendo che siete a combattere?! Perché pensate che non vorrei fare qualcosa anche io, fosse soltanto lo starvi vicino in battaglia per assicurarmi che voi ne usciate sani e salvi?!»

Arthuria la fissò, sconcertata.

Dalle parole, innanzitutto.

Ma anche dal fatto che Guinevere stesse guardando lei, mentre le pronunciava.

Era sempre lei, a farla preoccupare.

Era sempre lei, quella per cui Guinevere aveva apprensione.

Lei, e non Lancelot.

Assottigliò gli occhi, furiosa con sé stessa.

«Perché è il nostro compito.» ribatté, freddamente. Guinevere sobbalzò, sorpresa. Arthuria evitò di farci troppo caso, e proseguì. «Perché ognuno ha il proprio ruolo, nel mondo.» aggiunse. «E quello mio e di Lancelot è di combattere. Il mio, perché sono l’unica erede legittima di Uther Pendragon, e qualunque sarà il nuovo re, io sarò al suo servizio, se me lo permetterà; e quello di Lancelot, perché lui è figlio della Dama del Lago. E forse è la strada che ha scelto lui.» spiegò. «Il tuo, Guinevere, non è di combattere. Il combattimento non è qualcosa di adatto alle donne; io sono un’eccezione dovuta alle circostanze.» precisò. «Le tue doti sono quelle di una maga. Il tuo compito è essere una maga.» disse. Esitò, e abbassò lo sguardo, sentendo un dolore allo stomaco al solo pensiero di quello che le era venuto in mente di dire dopo quella frase; preferì attribuirlo al fenomeno che le si era presentato quella mattina, piuttosto che alla sensazione che sentiva sempre al pensare che Guinevere sarebbe stata di Lancelot, un giorno. «E di essere la sposa di qualcuno. Forse.» aggiunse, a voce più bassa. «Io e te non siamo nella stessa posizione, e non abbiamo gli stessi compiti.» ribadì, tornando a guardarla.

Non trovò altre parole da dire; e pensò di aver espresso più che bene il concetto.

Eppure, si sentiva male al solo pensiero di averla ferita.

Si vergognava per aver stroncato così la sua volontà, e quello che pensava.

Si vergognava per essere una femmina che stava dicendo quelle cose a un’altra femmina.

Abbassò lo sguardo, sentendo un’altra fitta alla pancia.

«Forse è davvero meglio che io torni a Tintagel.» commentò, rivolgendosi a Lancelot. «Non si tratta di… del favore che mi ha chiesto Guinevere. Solo, credo di non essere in grado di combattere, oggi. Ti chiedo perdono, Lancelot.»

Lancelot annuì, con un mezzo sorriso che voleva sembrare, forse, comprensivo.

«Non preoccuparti. Recupereremo domani. Parlane con Merlin.» disse.

Arthuria annuì di rimando, e si voltò verso Guinevere.

Non sapeva nemmeno se salutarla o no.

La fissò, mentre teneva lo sguardo basso, in un’espressione che le sembrò solo ferita.

Avrebbe voluto abbracciarla.

Se solo non fosse stata lei, la causa di quella ferita…

Se solo fosse stato Lancelot, per una volta, a dire quelle parole…

Se solo Guinevere si fosse preoccupata anche per lui…

…se solo lei fosse stata abbastanza forte da non farla preoccupare per la propria sorte.

Chiuse gli occhi, con lo stomaco che le si stringeva sempre di più, mano a mano che pensava a quello che aveva fatto.

Bisbigliò un “a domani, dunque”, e si avviò giù per il pendio della collina, passando di fianco a Caliburn senza degnarla di uno sguardo.

Maledicendo quel suo essere diventata adulta che, per una volta che lei avrebbe veramente voluto correre giù e scappare da tutto, glielo impediva per il dolore.

 

 

Lancelot rimase a fissare per qualche attimo Arthuria mentre scendeva la collina.

Andava a rilento, rispetto a quello che si sarebbe aspettato dopo quella che, ai suoi occhi, era stata una sfuriata in piena regola nei confronti di Guinevere. Si teneva la pancia, come se ci fosse qualcosa che le doleva proprio in quel punto. Il famoso passaggio all’età adulta, a quanto pareva, non era proprio quella che si potesse definire una passeggiata.

Si voltò a guardare Guinevere, ancora esterrefatto dalle parole che aveva pronunciato poco prima.

Sembrava distrutta; sull’orlo di scoppiare a piangere, e intenzionata a trattenersi per chissà quale motivo d’orgoglio.

Non capiva nemmeno se dovesse dimostrare a lui di essere in grado di trattenersi dal piangere; o se, piuttosto, dovesse dimostrarlo a se stessa.

Una cosa, però, la sapeva; Guinevere avrebbe preferito mille volte che fosse stato lui, a dirle quelle parole, con quella freddezza, e che fosse stato lui ad andarsene in preda alla rabbia.

L’aveva capito nel momento in cui Guinevere aveva detto quel “io a cosa vi servirò?”.

Aveva avuto il sospetto, in quei mesi, che Guinevere provasse qualcosa di più dell’amicizia per Arthuria; e quel sospetto era stato alimentato a non finire: Guinevere aveva occhi solo per lei, la trattava sempre con riguardo, e cercava, in tutti i modi, di esserle utile e di aiutarla, e di fare il suo bene – anche il chiedergli di darle una mano con gli allenamenti, in realtà, rientrava in tutto quello.

Lo sguardo di Guinevere era sempre, e costantemente, puntato verso Arthuria. Mai verso di lui.

Rimpianse di non aver detto quelle frasi al posto di Arthuria, in quel momento. Non avrebbe dovuto essere lui, ad essere lì, a mettere una mano sulla spalla a Guinevere e ad accarezzarla sulla schiena, osservandola mentre lei chiudeva gli occhi in un gesto di stizza verso sé stessa, e non parlava.

Guinevere non voleva lui. E lui l’aveva capito da tempo – quella frase, quel “io a cosa vi servirò?”, era stata solo la conferma che Guinevere desiderasse solo essere al fianco di Arthuria; e sarebbe stato quello, il suo desiderio per il resto della vita.

Lui si era intromesso in qualcosa in cui non avrebbe dovuto stare; forzato dalla stessa Guinevere, certo – ma era in mezzo a loro, ed era praticamente un terzo incomodo.

E sapeva che Arthuria la pensava allo stesso modo, e voleva che lui non fosse lì. Sapeva che in quel momento, mentre scendeva la collina, si stava pentendo di averlo lasciato lì, insieme a Guinevere; e sapeva anche che era convinta di quello che aveva detto, e che non avrebbe cambiato idea – non facilmente, almeno.

«Guinevere.» la chiamò, a bassa voce, inclinando la testa di lato per guardarla in volto.

Guinevere gli lanciò un’occhiata che riuscì a sembrargli solo irritata; poi, scostò la spalla dalla sua mano, e si voltò, lasciando a intendere che voleva starsene da sola.

Come se lui fosse tanto insensibile da lasciarla lì.

«Ehi, senti!» protestò, mettendosi le mani sui fianchi, spazientito. «Lo so bene che vorresti che al posto mio ci fosse lei! Ma se continui a darle a intendere di preoccuparti per lei, non puoi pretendere che dopo un po’ non si irriti! Lo sai meglio di me com’è fatta!»

Guinevere si voltò verso di lui, gli occhi spalancati per la sorpresa.

Per qualche attimo lo fissò, senza parole, e con un’espressione completamente mutata rispetto alla precedente.

«Dare a intendere… di preoccuparmi per lei?» domandò; sembrava confusa.

Lancelot sbuffò. «Vuoi farmi credere che non te ne sei resa conto? L’avrebbe notato chiunque.» spiegò. «Quando hai parlato del preoccuparti per il fatto che se fossimo cavalieri e andassimo in guerra rischieremmo... hai guardato solo lei, mentre lo dicevi. Non ti sei girata nemmeno una volta verso di me.»

Guinevere spalancò ulteriormente gli occhi; sembrava sempre più esterrefatta da quello che lei stessa aveva fatto.

«…Davvero?» domandò.

«Davvero.» replicò Lancelot, annuendo. «E fai sempre così. Come credi che lo interpreti lei?» proseguì, sospirando. «E’ cresciuta in un ambiente in cui non c’è anima viva, a parte Merlin, che creda che lei diverrà il futuro re. Eppure, quello è lo scopo della sua vita. E tu le hai fatto credere che l’avrebbe realizzato, da quello che mi hai raccontato sulla prima volta che vi siete viste. Ora che vede che tu ti preoccupi in continuazione per lei, e solo per lei… cosa credi che vada a pensare? È ovvio che pensi che io sia sufficientemente forte da non meritare le tue preoccupazioni, e lei invece non lo sia abbastanza.» spiegò. «E se ci aggiungi che prova un profondo affetto per te, e non ti vuole vedere ferita… pensi che accetterebbe così, come se niente fosse, l’idea che tu vuoi combattere per stare al nostro fianco, e invischiarti in una guerra quando non ci sei portata?»

Guinevere mostrò un’espressione stizzita che lo stupì; poi, realizzò quello che aveva detto, e capì.

«Io non voglio… semplicemente stare lì, a guardarvi.» disse lei, anticipando ogni suo tentativo di chiarimento. Lancelot si bloccò, e la fissò, sorpreso. «Io… vorrei esservi d’aiuto anche da quel punto di vista…»

Sospirò, pazientemente. «Perché?» domandò. «Sai bene di non essere portata per il combattimento. Sai che, non essendoti allenata per quattordici anni, non puoi sperare di raggiungere un buon livello ora. E sai che non serve che tu combatta, per esserci d’aiuto.» commentò. «Perché vuoi farlo?»

Guinevere esitò per qualche secondo, lo sguardo basso e i pugni stretti.

E Lancelot chiuse gli occhi, e sospirò.

«E’ per lei, vero?»

Guinevere si strinse ulteriormente nelle spalle; sembrava determinata in quello che faceva, eppure reagiva come qualcuno che volesse proteggersi dagli altri.

Non rispose; voltò solo la testa di lato, tenendo gli occhi bassi.

«Da cosa la vuoi proteggere, Guinevere? Arthuria è un talento del combattimento con la spada. Sa difendersi benissimo, anche da me.»

«Arthuria è una femmina.» replicò Guinevere, alzando lo sguardo verso di lui, seria.

Lancelot sobbalzò, sorpreso da quella costatazione: entrambi sapevano bene che Arthuria odiava essere considerata come tale. Sapeva di esserlo; ma non amava la propria natura fisica. E non amava essere trattata prima come una femmina, che come un guerriero.

«Arthuria è una femmina e, per quanto sia capace, sarà sempre più debole di molti uomini, fisicamente parlando.» proseguì Guinevere. «Lo sappiamo tutti e tre, questo. E io non voglio essere quella che se ne sta in disparte, a sperare di vederla tornare incolume dal campo di battaglia, a pregare che vada tutto bene, e che qualcuno non la colpisca alle spalle, e che gli altri siano in grado di proteggerla. Io voglio essere… una parte attiva nel proteggerla. Nell’aiutarla, anche su quel fronte.»

Lancelot la fissò; non poté trattenere lo stupore, nel vedere come gli occhi di lei brillavano di decisione, mentre diceva quello – mentre pensava, e sentiva, che era quello, ciò che voleva fare.

E tutto per Arthuria.

Quante volte le aveva visto brillare gli occhi così, anche quando parlava di lei? Forse, quella volta, erano davvero più brillanti di quanto avesse mai visto.

Era determinata a tutto. Si sarebbe allenata anche da sola, avrebbe preso le armi per conto proprio, anche in incognito se fosse stato necessario. Ma avrebbe combattuto. Perché era quello che voleva fare.

Lancelot la vide chiudere gli occhi, e trarre un profondo respiro.

«Lancelot.» disse, a voce più bassa. «Lo so, che hai capito come stanno le cose.»

Lui la osservò per qualche istante; il suo tono, e tutta la sua espressione, sembravano tesi, in attesa di un giudizio di cui lei temeva il contenuto.

«Dopo quello che hai detto, mi pare ovvio.» commentò lui, cercando di far trasparire il più possibile la propria tranquillità.

Guinevere rimase per un secondo in silenzio; poi, aprì gli occhi, stavolta con una luce che, mista alla determinazione, aveva anche l’attesa di un suo particolare responso.

«Lo capisci, allora, quello che voglio dire?» domandò. «Lo capisci, che voglio stare vicino a lei, e aiutarla in qualunque modo che mi sia possibile?»

Lancelot rimase fermo per un attimo; poi, sospirò, e annuì.

«Sì, lo capisco.» disse. «Ma capisco anche che è pericoloso, Guinevere.»

«Ho già provato a difendermi con gli spiriti del vento, e ci…»

«Non per quello.» la interruppe Lancelot. Guinevere sobbalzò, e lo fissò negli occhi, stupita; lui abbassò lo sguardo, e assottigliò le palpebre. «Non… solo per quello.» precisò. «Sai meglio di me che… Arthuria non è cresciuta con le leggi dei maghi, e con la morale dei maghi. Per quanto sia stata addestrata e istruita da Merlin, lei non crede in quello in cui tu e io siamo stati abituati a credere.» disse, sollevando di nuovo la testa e rivolgendosi direttamente a lei. «Se… scoprissero quello che provi… Guinevere, non farmi pensare a quello che potrebbe succedere. Sarebbe peggio che vederti morire perché ammazzata in guerra, credo.»

Guinevere abbassò la testa, assumendo un’espressione che sembrava più pensierosa che spaventata; e Lancelot intuì che lei doveva aver già pensato alle conseguenze che avrebbe potuto avere una scoperta di quello che provava nei confronti di Arthuria. Sapeva già cos’avrebbe dovuto affrontare; e anche cosa fare, probabilmente.

Il punto però era: quello che aveva pensato di fare era giusto, o sarebbe stato dannoso per lei?

«Allora insegnami a combattere.» disse Guinevere, alzando di nuovo gli occhi, decisa. «Nessuno scoprirà quello che provo, se la mia giustificazione per stare vicino a lei sarà che sono semplicemente uno dei tanti cavalieri del re.»

Lancelot sospirò, all’ennesima conferma del fatto che Guinevere pensasse che sarebbe stata Arthuria, a riuscire a estrarre Caliburn dalla roccia, e non lui; aveva già intuito anche che la maga la pensasse così – e, a essere onesto con sé stesso, era qualcosa che in fondo pensava anche lui.

La fissò negli occhi azzurro-verde, serio; e riuscì a vedervi solo determinazione.

«E tu riusciresti a nasconderlo, Guinevere?» le chiese. «Riusciresti… a tenertelo dentro per tutta la vita?»

Guinevere ricambiò, con altrettanta serietà. Rimase in silenzio per un solo secondo; giusto il tempo di ponderare bene la propria risposta, e il peso che avrebbe avuto.

«Sì.» rispose alla fine. «Se il nasconderlo porterà al suo bene, sono disposta a nasconderlo per tutta la vita.»

Lancelot osservò i suoi occhi, e la sua espressione: non tradiva il minimo di insicurezza, in quello che aveva detto.

Mostrava solo una compostezza, una fierezza, e una determinazione che ebbero l’unico risultato di farlo intristire, per la missione per cui venivano mostrate.

Guinevere avrebbe vissuto nella più completa solitudine, e avrebbe rimpianto sempre quella decisione, e l’essere nata come donna; e avrebbe continuato a cercare la forza di portare avanti la propria scelta, trovandola chissà dove, e chissà come.

Il ragazzo sospirò, e le si avvicinò, allungando un braccio verso di lei e stringendola a sé.

La sommità della testa di Guinevere arrivava a sfiorargli il mento; e lei aveva le spalle piccole, strette, ed era magrolina.

Eppure, aveva più determinazione e forza di quanta ne avessero cavalieri grandi e grossi.

«Cosa fai?» gli domandò lei, dopo il primo attimo di stupore.

Lancelot sorrise, intenerito dal fatto che, malgrado quella domanda scontrosa, lei avesse appoggiato la fronte alla sua spalla.

Sospirò, e alzò gli occhi al cielo.

«Potrai fare così tutte le volte che vuoi.» disse. «Quando ti sentirai sola, e avrai bisogno di qualcuno con cui piangere… puoi venire da me. Farò così, non ti guarderò mentre lo farai, e tu magari ti sentirai un po’ meglio e capirai che non sei sola.»

Sentì Guinevere ridacchiare, e poi accucciarsi meglio contro la sua spalla.

«Grazie.» la udì mormorare; e lui sorrise, certo che anche sul viso di lei vi fosse la stessa, identica espressione.

 

 

 

Il giorno dopo, Guinevere si addentrò nella foresta prima che sorgesse il sole.

Aveva riflettuto per tutto il giorno precedente su ciò che lei, Lancelot e Arthuria si erano detti sulla collina di Caliburn; ed era arrivata alla conclusione di non desistere dai propri intenti, per nessuna ragione al mondo. Arthuria avrebbe potuto opporsi, o avrebbe potuto infuriarsi perché lei le dedicava attenzioni e si preoccupava per lei e non per Lancelot. Ma lei non avrebbe abbandonato il proposito di imparare a combattere: avrebbe chiesto a Lancelot di insegnarle, e se anche lui si fosse di nuovo rifiutato, avrebbe chiesto a qualche allieva della Dama del Lago, o alla Dama del Lago stessa.

Non si sarebbe fatta proteggere. E non sarebbe stata in disparte, come una tranquilla mogliettina apprensiva, a preoccuparsi della sorte di Arthuria in guerra. Avrebbe combattuto al suo fianco. Le sarebbe stata vicina, nel bene e nel male.

Non sapeva nemmeno quando fossero nati in lei pensieri del genere, e intenti di quel tipo: era una questione su cui aveva riflettuto più e più volte, senza trovare però una conclusione soddisfacente.

Era qualcosa che era sorto in un momento non ben preciso: frequentando tutti i giorni Arthuria, apprendendo la sua storia, ascoltando le sue parole, e prendendo coscienza dei suoi sentimenti e dei suoi pensieri – molti dei quali, lo intuiva, raccontava solamente a lei –, aveva maturato col tempo il desiderio di starla ad ascoltare di più, e di apprendere anche i più piccoli dettagli della sua vita privata, e di non relegare il tutto a qualche minuto passato sulla collina di Caliburn; e quel desiderio si era trasformato in quello di stare al suo fianco, e di proteggerla da ciò che avrebbe rischiato di farla soffrire. L’aveva già vista abbastanza triste quando parlava della madre o della sorella, o quando aveva accennato al fatto che per lei prendere in mano Caliburn non era un desiderio, ma un dovere; non voleva più vederla stare male così.

Voleva aiutarla ad essere felice, malgrado la strada che era stata costretta a percorrere.

E voleva farla vivere più a lungo possibile, in modo che lei potesse accumulare esperienze, e fare tesoro della propria vita che, troppo spesso, Arthuria considerava solo qualcosa di trascurabile.

Guardò in alto, mentre le foglie cadute dagli alberi scricchiolavano sotto i suoi piedi; tra le fronde, si poteva ancora vedere il bagliore della luna e delle stelle risplendere, pallido, nel cielo non ancora albeggiante.

Ritrovò la strada per il rifugio in cui si era rintanata più e più volte, in quegli ultimi due anni, per acuire la propria capacità di interagire con gli spiriti della natura. Era quello, il primo passo per l'apprendimento della magia: entrare in contatto con uno spirito della natura avrebbe garantito al mago la capacità di utilizzare e manipolare la materia a proprio piacimento. Passare al grado di apprendimento successivo a quel punto sarebbe stato facile: il mago sarebbe stato in grado di modificare la sostanza di qualcosa, tramite la magia della natura, o modificarne la forma, tramite la magia della forma.

Guinevere si trovava in quel rifugio ad esercitare le proprie capacità nella magia della forma, in cui era meno capace rispetto alla magia della natura, quando un giorno di quasi un anno prima aveva incontrato Lancelot.

Effettivamente, se ci si voleva rifugiare nel bosco, quello e la piccola casetta in cui abitavano lei e sua madre erano gli unici posti disponibili; perciò era abbastanza logico che prima o poi qualcun altro lo trovasse.

Lancelot era lì per allenarsi nel controllo degli spiriti della natura; ma era a un livello decisamente inferiore al suo. Probabilmente la Dama del Lago, all’epoca, aveva insegnato da poco la magia al figlio, preferendo allenarlo prima nell’uso della spada.

Lei e Lancelot si erano soffermati a litigare per un po’ per decidere a chi spettasse il passare il tempo nel rifugio, e poi Guinevere si era offerta di aiutarlo, in cambio di un paio d’ore passate lì dentro da sola: non avrebbero potuto stare insieme ad allenarsi, visto che Lancelot, nell’atto di ampliare il proprio spirito in modo da interagire con quelli della natura, avrebbe interferito con l’ampliamento dello spirito di Guinevere, per via della sua poca esperienza.

Lancelot aveva accettato, e dopo una breve spiegazione, seguita dalla supervisione di Guinevere e da un suo successo – seppur poco duraturo; una cosa normale, d’altronde, quando si era agli inizi –, aveva lasciato che fosse lei a fare pratica. Ed era rimasto talmente stupito dalle sue capacità, che le aveva chiesto un aiuto per il proprio, di allenamento.

Era stato in quel momento che Guinevere, chiedendogli cosa potesse offrire in cambio, e sentendo la risposta di Lancelot sulla propria capacità di usare spade e lance, aveva pensato ad Arthuria e al suo allenamento.

Non aveva però osato proporre la cosa a Lancelot, almeno non subito: aveva preferito conoscerlo meglio, e sapere con chi avrebbe avuto a che fare.

Ed era stato così che avevano fatto amicizia. Lancelot era un tipo molto estroverso ed esuberante; entrava facilmente in confidenza con chiunque ed era un gran chiacchierone. E lei aveva trovato affascinante, oltre che piacevole, quel lato della sua personalità: non aveva avuto problemi a comunicare con lui e a scherzare con quello che, nell’arco di pochi giorni, era diventato un amico.

Sorrise malinconicamente, riflettendo su quell’incontro mentre si affacciava dalle fessure dell’abitazione che servivano a far passare l’aria esterna, per controllare che non vi fosse nessuno dentro; Lancelot aveva una sorta di capacità empatica che gli consentiva di capire al volo quello che passava per la mente delle persone che conosceva. Era stato lo stesso, il giorno prima: aveva capito subito che cosa lei provasse per Arthuria – l’aveva compreso già da tempo; di quello, Guinevere era assolutamente sicura. E aveva capito quanto ci stesse male, ma quanto non potesse, al tempo stesso, fare nulla di più che accettare la realtà dei fatti e decidere di arrivare a combattere, pur di starle vicino.

Eppure, non le aveva detto che l’avrebbe allenata lui – tutt’altro: gli aveva proposto di andare a chiedere comunque ad Arthuria di istruirla sul combattimento, spiegandole le proprie ragioni, e garantendole che in cambio lei le avrebbe insegnato le arti magiche utili in battaglia.

Era per quello, che Guinevere si trovava lì. Lei doveva apprendere l’uso delle armi dalla base, come Arthuria doveva imparare ad entrare in contatto con gli spiriti della natura e, successivamente, ad usare magie più complesse, se necessario. E quello era il luogo in cui era entrata per la prima volta davvero in contatto con gli spiriti della natura: era stato lì, che aveva davvero sentito il contatto con uno degli spiriti del vento che risiedevano nella foresta; era stato lì, che era stata in grado di toccarlo, perché la forma di quello spirito era quella di un’entità palpabile che si era mostrata a lei e che voleva entrare in contatto con lei.

Lì c’era l’origine del suo controllo degli spiriti del vento. E doveva tornare alle origini, se voleva capire come avesse fatto: ormai era talmente abituata a interagire con la natura che non ci faceva quasi più caso. E anche Lancelot, per quanto meno bravo di lei, ormai era talmente avvezzo all’interazione con gli spiriti da non ricordarsi facilmente come avesse iniziato.

Per quanto la riguardava, era qualcosa di simile al respirare: un atto quasi involontario. Ma per Arthuria non era lo stesso: lei non aveva la minima idea di come fare, ad ampliare il proprio spirito e a contattarne un altro.

Entrò nel rifugio, forzando la porta sgangherata e fuori dai cardini, ed avanzò all’interno della minuscola casetta.

L’interno era buio e pieno di polvere; dalle fessure che facevano passare la luce durante il giorno entravano rami di piante rampicanti, e foglie di alberi troppo bassi per salire al cielo. Un tempo quello doveva essere stato il rifugio di qualcuno: lo si poteva notare dal tavolo ancora presente, relegato in un angolo, costruito con legno che ormai sembrava quasi marcio, e con la superficie coperta da un dito di polvere; e dal letto, addossato alla parete opposta alla porta, con lenzuola sudicie e grigie.

Eppure, in quel luogo si sentiva l’odore della natura in quanto tale.

Si sentiva il profumo dell’erba bagnata di rugiada e di umidità del sottobosco; la fragranza dei fiori non ancora aperti; l’odore quasi pungente di alcuni tipi di alberi che circondavano la casupola; la forza del legno, che resisteva alle intemperie e al tempo.

Guinevere inspirò profondamente quella mescolanza di fragranze, e chiuse gli occhi per qualche istante.

Poi, li riaprì, e si piazzò al centro del rifugio, ritta in piedi sul pavimento di legno da cui facevano capolino, attraverso alcune fessure, dei fili d'erba, e su cui camminavano gli insetti.

Chiuse gli occhi di nuovo, e tentò di concentrarsi, e di evocare lentamente uno spirito qualunque della natura, riapprendendo, passo per passo, il metodo con cui farlo.

Doveva ampliare il proprio spirito. E sua madre le aveva insegnato che ampliare lo spirito significava innanzitutto ascoltare l’esterno: i rumori della natura, lo scrosciare della pioggia, lo stormire delle fronde. Acuire i sensi, alle volte fino ad udire un fiume a miglia di distanza: era quello, che un mago particolarmente bravo avrebbe saputo fare – e sarebbe successo perché sapeva fondersi con la natura, fino a viaggiare all’interno della terra o dell’aria pur rimanendo, con il corpo, in un posto preciso.

Inspirò a fondo di nuovo, concentrandosi innanzitutto sul rumore del proprio respiro; poi, lentamente, mentre espirava, si concentrò su più suoni contemporaneamente – il fruscio delle foglie degli alberi circostanti; il pigro soffio del vento; il canto dei grilli; lo spostamento delle foglie all’esterno, sull’erba, sempre per opera del vento; e poi, più attentamente, anche sul lieve rumore dei passi delle formiche, e degli insetti sui muri dell’abitazione; fino ad arrivare al suono fatto dal legno, che si piegava al loro passo, e sotto il peso del suo corpo.

Sapeva che, a quel punto, metà del lavoro era fatto; il resto consisteva nel lasciare che la natura comunicasse qualcosa a lei. Il suo spirito si era espanso perché i suoi sensi si erano acuiti: tramite quell’acuirsi, sarebbe stata in grado di udire anche il lievissimo passo di uno spirito del vento accanto a lei, o l’andatura felpata di uno spirito della foresta che si arrampicava su un albero, o l’altrimenti inudibile spostamento d’acqua fatto da uno spirito dell’acqua mentre si muoveva.

Di spiriti, la natura ne era piena. Sentiva i fruscii dei passi di diversi di loro a poca distanza da lei, sia del vento che della foresta; un paio erano addirittura all’interno della casa. Ma stavolta non doveva essere lei, a contattarne uno di proposito, come faceva abitualmente; ora doveva essere uno spirito, ad entrare in contatto con lei. Era così che avveniva l’iniziazione: gli spiriti erano esseri la cui volontà andava necessariamente rispettata, in modo da guadagnarsi la loro fiducia. La prima volta si doveva essere necessariamente contattati da loro, in quanto non si era abbastanza esperti per mantenere la concentrazione per l’ampliamento dello spirito e, nel contempo, per contattarne uno. Successivamente, diventava più semplice: ricevuto il contatto con uno di loro, se ne manteneva per sempre l’odore, e ciò giovava al contatto con altri spiriti – avere l’odore di uno di loro addosso significava essersi meritati la loro fiducia, e quindi meritarsi la fiducia di qualunque altro spirito. In genere, gli spiriti dello stesso tipo erano più propensi a dare il proprio aiuto a un mago che avesse contattato per primo un membro del loro gruppo: ad esempio, lei che era stata contattata per prima da uno spirito del vento era generalmente in contatto con spiriti di quella famiglia – pur essendo in grado di entrare in contatto anche con quelli delle altre.

Quella volta, lasciò che gli spiriti entrassero in contatto con lei; e percepiva chiaramente la loro perplessità, mentre le camminavano di fianco e voltavano la testa a guardarla, per il fatto che avesse già odore di spirito addosso, eppure non si avvalesse di quello per contattarli.

Rimase lì per minuti o ore; non capì esattamente quanto, e non vi diede nemmeno importanza.

Fu quasi all’improvviso, che sentì un’immensa presenza avvicinarsi a lei. Se non avesse avuto i sensi perfettamente tesi a percepire ogni movimento e ogni suono, probabilmente non se ne sarebbe accorta.

Era uno spirito del vento, ed era molto più grande di quelli con cui lei interagiva di solito.

Lo sentì avvicinarsi, spostando semplicemente l’aria, senza toccare terra. E percepì la sua immane potenza davanti a sé, dopo quelli che le sembrarono minuti. Di certo, non si era messo a correre per lei.

Tuttavia, era venuto lì per lei, lo sentiva. Rimase con gli occhi chiusi, concentrata a sentire il suo muoversi intorno a lei, in cerchio, come a studiarla; restò immobile, quando lui si piazzò davanti a lei, e inclinò la testa da un lato, e poi dall’altro, per qualche secondo.

Aprì le palpebre solo quando sentì la sua mano appoggiarsi sulla sua testa.

Era una creatura meno immensa di quanto si fosse immaginata, per quanto riguardava le dimensioni: arrivava quasi al tetto del rifugio ma, considerando che la casupola era bassa, lo spirito non era granché alto. Aveva una consistenza quasi lattiginosa, a malapena visibile nell’aria dell’alba; si stagliava prendendo una forma eterea e trasparente, e attraverso il suo corpo Guinevere poté vedere il letto in tutto il proprio sudiciume, e il pavimento della casa, e la parete di fronte a sé.

Eppure, aveva occhi, e bocca, e fattezze umane; e sprigionava una forza che la sua pelle, al tatto, recepì come abnorme.

Probabilmente non era, in forza, molto diverso dalla Dama del Lago, che pure era uno degli spiriti dell’acqua più potenti; ma mentre lei si presentava in forma assolutamente umana, quello spirito aveva un modo diverso di presentarsi. Estremamente simile a quelli del suo stesso gruppo.

All’esterno della casupola, Guinevere poté sentire la presenza di almeno un paio di centinaia di spiriti del vento, e di una cinquantina di quelli della foresta, che spiavano dalle finestre, o dalla porta, o dalle fessure nelle mura e sul tetto.

Ma non diede loro una sola occhiata; sollevò gli occhi verso lo spirito che aveva davanti a sé, decisa, ma lasciando che fosse lui il primo a parlare.

«Voi riportate già l’impronta di uno dei nostri, giovane maga.» esordì lo spirito, dopo qualche secondo, sollevando il mento nel guardarla. «Qual è la ragione per cui non avete appellato nessuno di noi di vostra sponte?»

Guinevere rimase in silenzio per un attimo, cercando le parole giuste per esprimersi.

«Esercizio delle mie capacità.» replicò. «E il richiamare l’attenzione di uno spirito della comunità abbastanza influente da potergli fare qualche domanda.»

Lo spirito restò zitto per alcuni istanti, ponderando la risposta da darle; dietro di sé, Guinevere sentì la quiete più totale degli altri, che assistevano alla scena.

«Ce l’avete davanti.» rispose allora lui, facendo un piccolo cenno d’assenso con il capo. «Voi siete…?»

«Guinevere, figlia adottiva della maga Cassandra, che vive in questo bosco.» replicò Guinevere.

Lo spirito annuì. «Cassandra è conosciuta, nel nostro bosco. È in contatto in particolare con i nostri simili della razza della foresta.» commentò. «Su di voi invece percepisco l’impronta di uno della nostra famiglia.» aggiunse. «Quali sono le vostre domande?»

Guinevere inspirò a fondo, chiudendo per un attimo gli occhi; poi, li riaprì, e lo guardò, decisa.

«Quali sono le prerogative che un aspirante mago dovrebbe avere, per entrare in contatto con voi, o con qualunque altra… razza di spiriti?» domandò, rifacendosi al termine usato da lui.

Lo spirito assunse per qualche secondo un’espressione che Guinevere definì pensierosa; poi, rispose.

«Noi capiamo quando qualcuno percepisce la nostra presenza.» spiegò. «Noi siamo, nella scala degli esseri viventi, i meno percettibili ai vostri sensi umani. Quando uno di voi sente la nostra presenza attraverso i sensi, lo si capisce da un semplice movimento dell’espressione facciale, o delle mani, o del corpo intero. Percepiamo che il vostro spirito diventa quello della natura che vi circonda, e che così sentite la natura dentro di voi.» disse. «Quando lo capiamo, a nostra discrezione, entriamo in contatto con voi. In genere chi ha più sensazioni olfattive entra in contatto con gli spiriti della foresta; chi ne ha uditive, con noi del vento; chi ne ha tattili, con quelli dell’acqua.» precisò. «Ma molto va a nostra discrezione.»

Guinevere annuì. «Quindi tutto starebbe nel concentrarsi sulle sensazioni che la natura dà.» commentò. «E nel fatto che voi lo percepiate.»

Lo spirito annuì. «Il che, tuttavia, non è una cosa semplice nei vostri giorni, giovane maga.» ribatté lui, pacatamente; Guinevere notò che il suo aleggiarle davanti emanava potenza, ma al tempo stesso non era opprimente. «Nei tempi antichi, noi spiriti e voi umani eravamo in stretto contatto. Tuttavia, col tempo, gli umani si sono concentrati sempre più su sé stessi, e gli spiriti hanno fatto lo stesso di rimando.» raccontò. «Ma evidentemente il nostro antico legame non si scinde facilmente: appena qualcuno di noi percepisce che uno di voi cerca un contatto, lo studia, e poi se lo ritiene meritevole lo stabilisce.» disse. «Ci sono, tuttavia, spiriti che su questo dissentono, e preferiscono non stabilire contatti con voi, in virtù dell’inizio dello stacco tra le nostre specie.» commentò, con una lieve punta di amarezza. «Guadagnarsi la fiducia di quelli è difficile.»

Guinevere assottigliò gli occhi. «Cosa si deve fare, di particolare, per essere ritenuti meritevoli?» domandò.

Sul viso dello spirito, Guinevere vide comparire l’abbozzo di un sorriso.

«Giovane maga, il semplice cercare un contatto con noi e riuscire nell’impresa di sentirci è già da giudicarsi abbastanza meritevole da guadagnarsi la nostra impronta.» disse. «Viene vista la buona volontà del mago, e la voglia di imparare nozioni che non sono poi così semplici.» commentò. «Ma se mi chiedi cosa si deve fare per guadagnare la fiducia di quelli più malfidenti, ebbene, ti dico che bisogna altresì dimostrare di avere un cuore sincero. Ciò stabilisce la purezza di intenti. E ciò viene visto dagli spiriti meno fiduciosi come segno che qualcosa, forse, è rimasto nel cuore degli uomini.»

D’istinto, Guinevere pensò ad Arthuria come la candidata adatta a quel ruolo. Ma perché non era mai riuscita ad interagire con gli spiriti, allora, se era così sincera con sé stessa?

«Forse conosco una persona di questo genere.» disse Guinevere; sentì, dietro di sé, il mormorare degli spiriti del vento e della foresta, a quell’affermazione; quel rumore era simile allo stormire delle fronde degli alberi. «Si tratta della candidata ideale ad estrarre Caliburn, almeno a mio parere.» spiegò.

«Caliburn è di competenza degli spiriti della montagna.» commentò lo spirito davanti a lei. «Sono loro che la tengono ancorata al suolo, e che la daranno solo a un cuore puro che se la merita.»

«Se puro significa lo stesso di sincero, allora stiamo parlando della stessa persona, secondo il mio modesto parere.» considerò Guinevere.

Lo spirito assottigliò gli occhi. «Voi parlate della giovane Arthuria Pendragon, che vive poco distante dalla roccia in cui è incastonata Caliburn.» asserì. Guinevere annuì, sollevata che anche loro pensassero lo stesso. «Gli spiriti della montagna cui è addossato il castello in cui lei e la sua famiglia vivono ci hanno parlato di lei.» commentò.

«Tuttavia, nonostante il suo cuore puro e il fatto che gli spiriti della montagna vi abbiano parlato di lei, lei non è mai riuscita, in un solo addestramento, a entrare in contatto con gli spiriti della natura.» disse Guinevere.

Lo spirito alzò una mano per interromperla. «Giovane maga, stai dando per scontato che la purezza e la sincerità siano per noi la stessa cosa. Non ho mai detto che sia così.». Guinevere esitò, sorpresa, e aspettò che lui parlasse di nuovo. «Una persona sincera è un tipo di persona che ammette le proprie colpe, i propri difetti, e i propri limiti.» spiegò. «Un cuore puro, invece, è un cuore libero da ogni male. E Arthuria Pendragon, ancora, non è né l’una, né l’altra cosa.» disse. «Arthuria Pendragon coltiva dolore, senza riuscire a disperderlo all’esterno di sé stessa. La storia della propria nascita le è nota, esattamente come le è evidente la ragione per cui sua madre non la voglia vedere, e del fatto che nessuno si fidi completamente di lei. Se vuole estrarre Caliburn, deve fare in modo di scindere sé stessa e questo tipo di dolore. Solo così il suo cuore potrà essere puro: altrimenti, il dolore potrebbe essere tale da scatenare, in futuro, rancore.» disse. «Allo stesso tempo, per essere pura dovrà dimostrare l’intenzione di farsi carico delle proprie responsabilità quando necessario, e talvolta anche quando non necessario. Dovrà conoscere, in sintesi, il senso del dovere verso sé stessa, e soprattutto verso gli altri.» disse. «Ma se mi stai chiedendo la ragione per cui non è mai riuscita a mettersi in contatto con noi spiriti della natura, ecco, è questa: il suo cuore è acerbo; lei è potenzialmente adatta a riconoscere i propri limiti e ad assumersi le proprie responsabilità, ma il fatto che gli altri nutrano poca fiducia in lei ha comportato il suo sottovalutarsi e, di conseguenza, non essere sincera con sé stessa e non riconoscersi per quello di cui è capace. Lei vorrebbe entrare in contatto con noi; ma lo ritiene un limite invalicabile, nel profondo, per quanto lei provi a superarlo, come prova a superare tutti i suoi limiti anche in combattimento. Tutto ciò genera un animo confuso e un cuore in tumulto, che vede i propri limiti più in basso rispetto a quanto realmente lo siano, e che vorrebbe innalzarli.» spiegò lo spirito. «Entrare in contatto con noi significa avere coscienza almeno di una parte di sé: quella che riconosce i propri limiti e le proprie capacità per quello che sono. Un cuore sincero, che non sia troppo umile né troppo superbo, ma che spinga a riconoscere sé stesso per quello che è, e a cercare costantemente di migliorarsi. Arthuria Pendragon, in questo senso, non ha lo spirito adatto a contattare nessuno di noi, in quanto lei non è sincera con sé stessa, seppure per cause esterne.» disse. «Se vuoi aiutarla» aggiunse; probabilmente aveva capito le intenzioni di Guinevere dall’inizio. «devi fare in modo che riconosca le proprie capacità per quello che sono, almeno in buona parte. Nel momento stesso in cui lo farà, avrà la capacità di acuire i propri sensi, e riuscirà a mettersi in contatto con qualcuno di noi. Qualcuno di potente, probabilmente. Quell’umana è destinata a fare grandi cose.» commentò.

Guinevere lo fissò, esterrefatta; in effetti, ora tutto si spiegava. La Dama del Lago, e sua madre Cassandra, avevano avuto fiducia in Lancelot e in lei; sapevano che ciò avrebbe comportato il riconoscimento di sé stessi, e dei propri limiti. Ed entrambi sapevano quali questi fossero. Entrambi avevano coscienza di sé stessi e riuscivano ad avere coscienza anche delle capacità di altre persone, forse proprio in virtù di questo.

Per Arthuria era diverso: nessuno si fidava di lei, e quindi lei si sottovalutava e non riconosceva esattamente ciò che era. Non aveva ancora coscienza di quello che era, e non confidava in quello che avrebbe potuto diventare.

Una volta che l’avesse avuta, sarebbe stata in grado sia di usare la magia, sia di estrarre Caliburn dalla roccia.

Lei doveva fare in modo che apprendesse cosa lei realmente fosse.

Inspirò a fondo, riflettendo sul da farsi; probabilmente, il far prendere consapevolezza ad Arthuria di quello che era sarebbe stata la parte più difficile del tutto. Ci sarebbero voluti davvero anni, forse, per farle capire che qualcuno che credeva in lei c’era davvero.

Riaprì gli occhi che aveva chiuso, e guardò ancora quello spirito, non troppo alto ma dalla forza immane e pacata.

Sorrise, e si inchinò.

«Avete la mia gratitudine.» disse, cercando, con il proprio tono di voce, di esprimere al meglio la gioia che provava all’aver avuto quelle informazioni, così preziose per Arthuria. Sentiva il corpo tremare di euforia: sebbene difficile, sarebbe riuscita nei propri intenti, ad ogni costo. Sapeva come fare a raggiungerli, e tanto bastava. «Cosa posso fare per ricambiare le preziose informazioni che mi avete concesso?»

Lo spirito rimase per qualche attimo in silenzio.

«Essere capace di combattere da sola.» disse. Guinevere alzò lo sguardo verso di lui, sorpresa. «Non fraintendeteci, giovane maga. Siamo più che lieti di aiutarvi e di cooperare con voi. Ma è nella nostra indole ripudiare la guerra. Sebbene ci sia impossibile morire per via della nostra natura, le urla di combattimento, e gli orrori presenti su un campo di battaglia, sono per noi insopportabili. Miei compagni mi hanno comunicato che voi volete apprendere l’arte del combattimento. Se è così, vi chiedo di non contare molto sul nostro aiuto, nel rispetto del nostro modo di essere.»

Guinevere esitò per un secondo soltanto, guardandolo in viso, sorpresa; aveva contato, almeno nei primi momenti, sulla loro protezione: era in grado di utilizzare la magia anche senza l'ausilio degli spiriti della natura, ormai, ma il loro contributo avrebbe reso gli incantesimi più forti. Perciò, almeno nelle prime fasi dell'addestramento con le armi, contava sulla loro presenza.

Tuttavia, anche a lei quello sembrava solo uno sfruttamento; e voleva altresì essere capace di difendersi con le proprie forze, senza contare su nessun altro. Aveva meno tempo per apprenderlo, rispetto a Lancelot e Arthuria; ed era sensato che iniziasse ad apprenderlo da subito.

Annuì, quindi, all’indirizzo dello spirito; e sentì un sospirare di sollievo da parte degli spiriti dietro di lei.

«E’ mia intenzione imparare a combattere e difendermi da sola.» chiarì. «Perciò non chiederò il vostro intervento, in nessun caso.»

Lo spirito annuì di rimando, pacatamente. «Dunque, avete altre domande?»

Guinevere scosse la testa. «Solo la mia gratitudine da offrirvi.» disse. Poi, sbirciò fuori dalla finestra, notando le prime luci del mattino; quanto era stata lì dentro? Arthuria e Lancelot erano già sulla collina di Caliburn?

«Dunque mi accomiato da voi, giovane Guinevere.» disse lo spirito, attirando di nuovo la sua attenzione. Guinevere si voltò, e lo guardò inchinarsi gentilmente in segno di saluto. «Siate prudente nell’apprendere l’arte del combattimento con le armi.» aggiunse. «I miei fratelli saranno lieti di essere al vostro servizio per qualunque altra cosa.»

«E io vi sarò sempre grata di questo.» replicò lei, chinando di nuovo la testa.

Subito dopo, vide lo spirito passarle velocemente di fianco, e si voltò; vide che gli altri si scostavano per farlo passare, e poi lo seguivano, come pecore attratte dalla guida di un pastore.

Sorrise, entusiasta; aveva quello che desiderava – aveva il modo per far apprendere la magia ad Arthuria e, cosa più importante, sapeva ciò che lei avrebbe dovuto diventare per poter estrarre Caliburn.

Ci avrebbe messo anni, forse, ma avrebbe fatto in modo che ne fosse in grado.

Sapeva che nessun altro poteva estrarre quella spada, oltre a lei.

 

 

Cassandra le aveva fatto una sfuriata, quando Guinevere era tornata a casa per dirle che quella mattina era uscita presto.

Guinevere non si era arrabbiata particolarmente, e aveva subìto quella sfuriata che, più che alla rabbia, sembrava dovuta all'ansia che Cassandra aveva patito in quelle ore. E aveva evitato di dirle dove fosse andata davvero: il rifugio in cui aveva incontrato uno dei capi degli spiriti del vento era verosimilmente stato la dimora di personaggi di ogni risma e tipo, che vi avevano trascorso la notte. Non era un posto sicuro: era stata una fortuna non trovarvi nessuno, malgrado il bosco fosse un posto tranquillo.

Tuttavia, Cassandra si era calmata nel momento stesso in cui Guinevere le aveva rivelato la missione che si era prefissata quella mattina, e in cui era riuscita; dopo che le aveva raccontato a grandi linee le parole dello spirito, sua madre si era rivelata sollevata, e quasi soddisfatta, e non le aveva impedito di andare alla collina di Caliburn.

Una volta arrivata lì, Guinevere aveva trovato solamente Lancelot.

Avevano concluso che Arthuria stesse ancora male per via delle mestruazioni. Guinevere aveva sospirato, e Lancelot si era alzato dalla propria posizione seduta – probabilmente, nell’attesa, si era esercitato nel contatto con gli spiriti della natura; lui era più affine a quelli dell’acqua, e ci teneva ad allenarsi anche a distanza – e l’aveva seguita, quando lei si era diretta spedita al castello di Tintagel. Il cielo, dopo un abbozzo di sole all’alba, minacciava pioggia; tutto sommato era un bene, che Arthuria fosse rimasta al castello – sebbene, Guinevere lo sapeva, non fosse stata una decisione presa da lei.

Nel tempo impiegato ad arrivare lì, il tempo era cambiato da timidamente soleggiato a nuvoloso a minaccioso di pioggia almeno cinque volte. Guinevere aveva descritto nel dettaglio a Lancelot il motivo del proprio ritardo, e quello che aveva visto e di cui era venuta a conoscenza quella mattina, inclusi i dettagli su come estrarre Caliburn dalla roccia.

«Me lo stai dicendo perché pensi comunque che sarà lei, ad estrarre Caliburn, vero?» aveva domandato lui, una volta conclusa la spiegazione.

Guinevere aveva sospirato – in effetti, sapeva che da parte sua quei dettagli esposti proprio a lui potessero sembrare detti per quel motivo. «No.» aveva replicato. «Lo dico perché abbiate pari possibilità. Anche se sono convinta che Arthuria abbia più… potenziale, per estrarre Caliburn, nulla vieta che possa essere anche tu, quello che alla fine la tirerà fuori dalla roccia.»

Lancelot aveva emesso un suono di sufficienza, e aveva replicato con un semplice sorriso. E Guinevere aveva capito che la sua intenzione era chiudere lì il discorso: in un certo senso, comprendeva che per Lancelot fosse umiliante sentirsi quasi una seconda scelta. Anche se non era proprio quello, il punto della sua osservazione.

Arrivarono a Tintagel nell’arco di poco più di un’ora, procedendo a passo spedito. Il ponte levatoio per l’ingresso al castello era alzato; tuttavia, una volta che si presentarono al guardiano, bastarono alcuni attimi, e quello spalancò loro l’ingresso.

Attraversarono il ponte velocemente, intravedendo delle figure sulla soglia del castello. Uno era sicuramente Merlin: aveva i capelli grigi dalla vecchiaia, il viso segnato dalle rughe eppure sorridente, e una tunica tipicamente da mago, di colore blu scuro, senza particolari ricami o simboli magici. L’altra era una donna davanti alla quale bellezza rimasero entrambi sbalorditi – Guinevere sentì Lancelot trattenere il fiato, di fianco a lei, non appena riuscirono a vederla chiaramente; e dal canto proprio, non poté fare diversamente.

Doveva avere all’incirca vent’anni. Aveva i capelli scuri che si articolavano in boccoli finemente elaborati, e raccolti in un fermaglio laminato d’oro; la pelle chiarissima; e un vestito azzurro che le cadeva morbidamente addosso, assecondando ogni sua curva e rilucendo dei riflessi del poco sole che il cielo voleva mostrare quel giorno. Le maniche si allargavano all’avambraccio; e il corpetto era stretto da una fascia blu avvolta sotto il seno. La parte tra collo e attaccatura del seno era scoperta, e mostrava la pelle bianca.

Sulle spalle, per proteggersi dal vento che aveva iniziato a soffiare almeno un’ora prima, teneva un mantello pesante, color porpora. Se non fosse stato per quel dettaglio, Guinevere l’avrebbe assimilata a una dea romana: aveva visto delle immagini, su alcuni libri che era riuscita a reperire e in cui si parlava delle culture dell’entroterra europeo e del Mar Mediterraneo.

Rabbrividì lievemente, sentendo una scossa alla schiena, quando la donna soffermò i propri occhi verdi su di lei.

Per un momento, si sentì come penetrata da quello sguardo; e non fu una sensazione piacevole.

Vide che Lancelot esitava, ancora ammaliato dalla bellezza di quella che Guinevere, dopo un attimo di smarrimento per quello sguardo fulminante, identificò come Morgana, la sorellastra di Arthuria. Si voltò verso Merlin, facendo un debole inchino; Lancelot, fortunatamente, si riprese a sufficienza da imitarla.

«Lieta di incontrarvi di persona, Merlin lo stregone.» proferì lei, sollevandosi. «Sono Guinevere, figlia della maga Cassandra. E lui è Lancelot, figlio della Dama del Lago.»

Merlin annuì, prima al suo indirizzo, poi a quello del suo compagno. «Mi ricordo di entrambi.» rispose, con tono affabile. «Ma sono felice di rivedervi. Permettetevi di presentarvi Lady Morgana.» disse subito dopo, voltandosi verso la donna al suo fianco. «E’ la sorella di Arthuria, e la primogenita di Lady Igraine.»

Entrambi si inchinarono davanti a lei, affascinati. Guinevere sentì Lancelot mormorare un “incantato”, e alzò gli occhi al cielo, per metà divertita, e per metà esasperata; non ci voleva una grande mente, per capire che il suo compagno fosse rimasto stregato dalla bellezza di Morgana.

E come non rimanerlo, del resto? Non poteva poi biasimarlo troppo.

«E’ un onore conoscervi, Lady Morgana.» disse, rialzandosi eretta, e guardandola negli occhi.

Morgana annuì, senza dire una parola per un solo attimo; poi, parlò.

«Siete gli amici di cui Arthuria mi ha parlato, immagino.» commentò. Entrambi annuirono. «Vedo. Mi ha parlato in particolare di te, Guinevere.» proseguì, spostando lo sguardo su di lei, di nuovo; e di nuovo, Guinevere sentì un brivido freddo scorrerle lungo la spina dorsale, a quell’incrocio di occhi.

Non era amichevole. Per niente.

«Siete venuti a trovarla per sincerarvi sulle sue condizioni di salute, suppongo.» proseguì Morgan, tornando a guardare Lancelot. «Lasciate che vi faccia strada. Oh, Lancelot.» disse, arrestandosi mentre si stava voltando per entrare nel castello, e rivolgendo di nuovo uno sguardo all’interpellato. «Devo ringraziarti per aver addestrato Arthuria con la spada. Continua a proclamarti come un maestro eccezionalmente capace.» considerò, condendo il tutto con un sorriso che Guinevere non riuscì a non vedere come artificioso. Da parte sua, tuttavia, Lancelot esitò per un attimo, mentre arrossiva; Morgana si voltò, facendo loro strada per i corridoi del castello, e Guinevere dovette dare uno spintone all’amico per farlo proseguire, perché altrimenti sarebbe rimasto imbambolato a fissarla svanire.

Merlin si accomiatò rapidamente da loro e se ne andò da tutt’altra parte. I due lo salutarono, poi inseguirono Morgana, che era già diversi passi avanti a loro.

Guinevere preferì non parlare con Lancelot, durante il tragitto; Arthuria le aveva accennato al fatto che la sua sorellastra fosse una maga: se loro due si fossero messi a parlare, lei li avrebbe sicuramente sentiti. E a primo impatto, non riusciva a fidarsi di lei. Forse era solo una sua impressione; ma quegli occhi non promettevano nulla di buono. Non a lei, almeno.

Perciò, rimase in silenzio per tutta la camminata lungo i corridoi del castello di Tintagel, e Lancelot fece lo stesso – evidentemente era troppo intento ad osservare la camminata decisa di Morgana, i capelli ricci che le cadevano sulle spalle, e il mantello che ondeggiava a pochi centimetri dal pavimento. Lungo la strada, Guinevere intravide delle serve che camminavano frettolosamente nei corridoi, avanti e indietro, come se avessero qualcosa di particolarmente impellente da fare tutte quante.

«Lady Igraine ha problemi di salute, negli ultimi giorni. Per questo vedete un continuo andirivieni di serve.» spiegò Morgana, dopo che l’ennesima domestica passò di fianco a loro. Guinevere si voltò verso di lei, sorpresa. «E c’è da aggiungere che nemmeno Arthuria è in forma perfetta. Alcune delle donne provengono anche dalla sua camera.» proseguì, voltandosi dalla sua parte, e guardandola con la coda dell’occhio.

Guinevere si chiese se quella donna, oltre a usare la magia, sapesse anche leggere il pensiero.

Se così fosse stato, era una donna temibile. La lettura del pensiero, insieme ad altri tipi di magie che non riguardavano la modificazione della natura delle cose, era annoverata in quella branca delle arti magiche che erano le Magie Oscure. Generalmente, erano anche bandite dalla comunità magica, in quanto interferivano con altri esseri umani in particolare; Guinevere si chiese dove avesse appreso qualcosa del genere, se l’avesse appreso.

Ma il pensiero che Morgana sapesse capire i sentimenti che lei provava per Arthuria fu più lancinante: la colpì come una freccia in pieno petto, mentre i loro sguardi rimanevano fissi l’uno nell’altro.

Se l’avesse saputo… cos’avrebbe fatto Morgana?

Rabbrividì, e abbassò gli occhi, con la speranza – vana, se lo sentiva dentro – che se lei sapesse leggere nel pensiero, quell’abilità venisse meno una volta che mancava il contatto visivo tra le due parti.

Cercò di tranquillizzarsi, riflettendo. Se Morgana sapeva, ma l’aveva comunque portata lì dentro, significava che come la maggior parte dei maghi non era contraria; che leggendo il suo pensiero aveva compreso che lei non volesse fare nulla ad Arthuria; che magari le stesse rivolgendo quegli sguardi perché, più che altro, stupita dalla sua intenzione di prendere le armi per stare al fianco dell’altra. Forse il fatto che non avesse ancora detto nulla, né l’avesse cacciata, significava che non era poi così contraria; forse quegli sguardi volevano solo studiarla, ed erano normalmente rivolti ad un’estranea che provava quei sentimenti verso sua sorella.

O forse… forse la stava studiando per usare quegli argomenti contro di lei? L’avrebbe cacciata appena ne avesse avuto la conferma? Oppure li avrebbe usati per ricattarla?

Di colpo, le sembrò che l’ostacolo più alto da oltrepassare per prendere le armi in difesa di Arthuria non fosse l’approvazione di Arthuria stessa, ma il giudizio di Morgana.

Si torturò le mani, mentre continuavano ad avanzare; forse non era nemmeno vero che Morgan sapesse leggere il pensiero, pensò. In fondo, le Magie Oscure erano una pratica antica, e da tempo bandita all’interno della comunità magica odierna; e poi, Morgana da chi avrebbe potuto imparare quelle arti? In Britannia non c’era nessun mago noto che le praticasse.

Forse era stata solo una sua impressione, dovuta allo sguardo penetrante dell’altra; forse non sapeva leggere davvero il pensiero, e il fatto che avesse risposto alle sue domande mentre lei pensava la stessa cosa era stata una semplicissima coincidenza. Anzi, no: era proprio dovuto al fatto che avessero visto molte serve passare al loro fianco lungo la strada.

Sì, doveva essere così. Era l’unica spiegazione logica.

Sollevò lo sguardo, esitando nell’alzare completamente la testa; si soffermò a guardare il movimento ondeggiante del mantello porpora della donna, pochi passi avanti a lei.

Ci volle poco, ad arrivare alla stanza di Arthuria. Morgana si fermò davanti ad essa, picchiettando delicatamente con le nocche, mentre loro due aspettavano dietro di lei.

«Qui con me ci sono Guinevere e Lancelot.» disse, accostandosi alla porta per rispondere a un’evidente domanda di Arthuria, che Guinevere non aveva avuto la prontezza di udire. Alzando lo sguardo per la sorpresa di quella frase inaspettata, la maga intercettò l’espressione facciale della sorella di Arthuria, e sobbalzò per lo stupore: da costruita e artificiosamente cordiale, era diventata apprensiva, e si era addolcita. Ripensandoci, anche il tono le era sembrato più preoccupato, e più tenero.

«Credo siano venuti a sincerarsi sulle tue condizioni di salute.» disse ancora Morgana, in risposta a un’ennesima frase che Guinevere non sentì. Il tono di voce era ancora più dolce di prima; sembrava quasi preoccupata di farli entrare, ora.

«Arthuria, non è una strada da nulla. Penso che tu debba lasciarli entrare.» commentò ancora Morgana.

Guinevere fece una smorfia perplessa: fino a poco prima sembrava contraria al fatto che lei fosse lì – su Lancelot, non aveva capito bene quale fosse l’opinione di Morgana –, mentre ora voleva farli entrare.

A meno che non volesse farlo per spiare la conversazione.

Guinevere si accigliò contro sé stessa, riproponendosi di non avere pensieri così negativi su una persona che nemmeno conosceva, se non per il sentito dire da parte di Arthuria – e per di più, lei ne aveva sempre parlato benissimo, descrivendola come una sorella dolcissima e molto apprensiva.

«D’accordo.» disse Morgana, con un sorriso intenerito; poi, si voltò verso di loro, e mutò l’espressione in una più decisa, e severa.

Allora non era stata solo una sua impressione, rifletté Guinevere.

«Potete entrare e stare con lei.» disse. «Ma non per molto. Quando vi chiederà di uscire, dovrete andarvene.»

Guinevere e Lancelot annuirono. Morgana appoggiò una mano affusolata sulla maniglia della porta, l’abbassò e spalancò loro l’entrata.

Guinevere fissò Arthuria, sorpresa di trovarla praticamente rintanata sotto le coperte pesanti del suo letto a baldacchino, con i capelli scompigliati e gli occhi appesantiti da occhiaie, anche se non eccessivamente evidenti.

Lei la osservò di rimando, con uno sguardo meno aggressivo del giorno precedente, e più tranquillo – al vederla, le sembrò desolata.

«Andrò a fare visita a nostra madre, Arthuria.» disse Morgana. «Se hai bisogno, fammi chiamare.»

«E’ tutto a posto, sorella. Ma grazie.» replicò lei, con un debole inchino della testa.

Guinevere osservò con la coda dell’occhio Morgana chiudere la porta; quando sentì lo schiocco contro l’infisso, sospirò internamente di sollievo.

Con ulteriore sorpresa, vide Arthuria disfare le coperte e alzarsi a sedere sul letto, come se stesse benissimo.

E tuttavia, proprio mentre stava pensando, nel suo movimento, che Arthuria non risentisse più dei dolori delle prime mestruazioni, la vide afferrarsi il ventre e fare una smorfia di dolore.

«Diamine.» la sentì sibilare. «Quando andranno via?» domandò, più a sé stessa che a loro.

«Presto, se sei fortunata.» replicò Guinevere, attirando la sua attenzione; e gioì internamente, al vedere la sua espressione attenta, e non arrabbiata perché si stava preoccupando per lei – un atto che, ormai, le riusciva naturale esattamente come respirare o esercitare la magia. «Dipende da persona a persona. Però se stai a riposo dovresti migliorare in fretta.»

Arthuria sospirò, e dette un’occhiataccia al cuscino. «Non credo di volermi sdraiare ancora.» confessò. «Mi hanno costretto a letto tutto ieri e tutta stamattina. Qualcuno sembrava addirittura entusiasta di questo mio passaggio all’età adulta.» commentò, con tono chiaramente scocciato. Poi, si voltò verso Lancelot. «Mi dispiace di non essere potuta venire, Lancelot. Mi hanno praticamente legato al letto. Il corridoio è pieno di serve e non sarei potuta uscire senza che loro cercassero di riportarmi in stanza.»

«Sì, abbiamo notato.» replicò lui.

Guinevere ridacchiò, attirando l’attenzione dell’amico. «Abbiamo?» domandò, inarcando un sopracciglio. «Mi parevi intento a osservare ben altro, tu.»

Lancelot arrossì, imbarazzato, scatenando le sue risate, e la perplessità di Arthuria.

«Credo che Lancelot non sia proprio quello che si definisce immune, al fascino e alla bellezza di Lady Morgana.» chiarì Guinevere, facendo spallucce. Arthuria spalancò gli occhi per la sorpresa, e poi li rivolse a Lancelot; fu solo poco dopo, che si espresse in una piccola risata divertita.

Guinevere sorrise, al vedere la sua espressione rilassata. Si avvicinò a lei e tirò su il cuscino del suo letto, in modo che fosse appoggiato alla testiera. «Così non dovrai sdraiarti di nuovo.» spiegò, quando si voltò verso di lei.

Arthuria le sorrise di rimando, e annuì, appoggiandosi al cuscino con la schiena. E Guinevere si sentì rinfrancata, da quel tranquillo distendersi di labbra.

«In realtà non voglio che ve ne andiate.» commentò Arthuria. «Ho… sentito quello che vi ha detto Morgana, prima di farvi entrare. Ma non voglio che ve ne andiate. Se volete restare, ovviamente.»

Guinevere sobbalzò, sorpresa – e lanciò un’occhiata a Lancelot, che le sorrise di rimando; si voltarono entrambi, ed entrambi annuirono all’offerta di Arthuria.

«Però prima vorrei mettere in chiaro una cosa, Arthuria.» disse Guinevere. «Così, nel caso tu voglia mandarmi via, lo puoi fare subito. In realtà sono venuta qui soprattutto per questo.»

Arthuria sembrò capire al volo di cosa stesse parlando; assottigliò gli occhi, ma non disse nulla, consentendole, tramite il proprio tacito assenso, di proseguire.

Guinevere prese fiato, cercando le parole adatte con cui cominciare. Poi, le prese una mano nella propria, e la strinse.

«Voglio che tu sappia» disse «che quello di imparare a combattere non è un capriccio del momento. Forse lo si potrebbe definire capriccio, perché è effettivamente una scelta mia; ma è da tempo, che sto ponderando la cosa.» spiegò. «Credo di aver intuito quello che tu hai pensato ieri, quando te l’ho detto la prima volta: credo siano gli stessi pensieri che ho avuto io all’inizio.» commentò. «Il fatto che io sia una femmina non mi aiuta. E nemmeno il fatto di iniziare l’addestramento a quattordici anni. E probabilmente non sono nemmeno portatissima per il combattimento come lo siete tu e Lancelot.» ammise. «Ma voglio combattere al vostro fianco, Arthuria. Voglio essere lì, vicino a voi, ad aiutarvi. E sono sicura che se voi mi insegnerete, io potrò diventare forte, e capace, e colmare le mie lacune.» disse. «Sai che sono decisa a farlo. Lo vedi e lo senti dalle parole che ti sto dicendo.» aggiunse. «E sai che se non mi insegnerete voi, sarei capace anche di farmi insegnare da chiunque altro, ma che è meno dotato di voi, forse. Che capisce di meno dove sbaglio, e cosa posso fare per rimediare. Come per me non sono poi molti anni che ho imparato ad usare la magia, e quindi posso capire di più dove stanno gli errori di una persona nei fondamentali, lo stesso vale per voi due, che avete iniziato da relativamente poco ad allenarvi.» disse. «Per favore, Arthuria. Aiutami ad imparare a combattere.»

Arthuria la fissò per qualche secondo; per un po’, rimase in silenzio, a quelle dichiarazioni. Poi, Guinevere la vide sospirare, e dare una breve occhiata a Lancelot, prima di tornare a guardare lei.

«Perché, Guinevere?» domandò. «Ci sono altri mille modi in cui potresti aiutarci.» disse, prima che Guinevere si rimettesse a ripeterle daccapo le proprie ragioni. «Sai che né io né Lancelot vorremmo che tu rischiassi la vita. Non ci saresti inutile, te l’ho già spiegato ieri: anzi, saresti comunque indispensabile, visto che sia io che lui siamo cocciuti, e tu sei molto più intelligente e istruita di noi, e potresti consigliarci in merito a tante decisioni.» commentò. «Potresti…» azzardò ancora Arthuria, esitando per un istante sulla parola successiva. «…sposarti, avere dei figli, essere un’ottima moglie. Una donna normale, tutto sommato.» proseguì. Guinevere si sentì colpita nel vivo, da quelle parole, e la fissò, sconcertata e quasi pronta a replicare; ma si fermò sul punto di aprire bocca, quando notò che Arthuria aveva un’espressione affranta, dopo quella frase. «Perché rischiare la vita quando non è necessario?» domandò l’altra, stringendole la mano a propria volta. «Perché vuoi a tutti i costi combattere?»

E di colpo, la risposta si rivelò a Guinevere. La vera risposta. Quella più sensata da dare secondo il suo cuore.

«Consigliarvi significherebbe rimanere nell’ombra. E lo stesso varrebbe se mi sposassi.» disse. «Una donna normale rimane nell’ombra, in genere. Totalmente asservita al marito, e vivente in funzione sua e dei figli.» commentò. «Sento che non è quello che voglio fare. Quello che vorrei è darvi il mio aiuto apertamente, e potermi manifestare agli occhi di tutti di fianco a voi due. Non voglio rimanere in disparte, Arthuria: voglio essere al vostro fianco, agli occhi di tutti, come voi sarete una volta diventati cavalieri.»

Almeno in quello, pensò, avrebbe potuto dimostrare apertamente la propria fedeltà e la propria lealtà ad Arthuria, visto che nel modo che desiderava non sarebbe stato fattibile agli occhi del popolo e del mondo intero.

Almeno in quel modo, voleva essere apertamente al fianco di Arthuria.

Strinse di più la sua mano, e incrociò, decisa nei propri intenti e determinata a dimostrarlo, gli occhi spalancati per lo stupore dell’altra; poi, la vide sospirare, e annuire, un po’ stancamente.

«Immagino non ci sia modo di farti cambiare idea. So bene quanto sai essere testarda» commentò. Guinevere sobbalzò, e sorrise, spalancando gli occhi per l’entusiasmo e l’euforia che sentì montarle da dentro. «E sia. Ti allenerò io, se tu in cambio mi insegnerai ad usare la magia. Ma valuterò io se sarai pronta alla battaglia o meno, e nel caso che si verifichino combattimenti prima che tu sia pronta ad affrontarli, mentre noi lo saremo, non ci seguirai. Per favore, promettimelo.»

Guinevere sorrise, e annuì. «Però mi devi promettere che mi istruirai in modo che io un giorno sia meritevole di un tuo giudizio positivo.» disse, stringendo di più la sua mano per l’entusiasmo.

Arthuria si espresse in un sorriso tranquillo di rimando. «Certo.» replicò. «Altrimenti non terrei fede allo scambio di favori.»

Lancelot s’intromise, mettendo una mano sopra le loro, e attirando la loro attenzione con quel gesto.

«Facciamo una solenne promessa, allora.» commentò. «Un patto.»

«Un patto?» domandò Arthuria.

«Un patto tra cavalieri.» disse Lancelot, annuendo e guardando prima Arthuria, e poi Guinevere. «Visto che Guinevere insiste tanto nel dire che uno di noi due estrarrà Caliburn, Arthuria,» commentò, tornando a guardare l’interessata, «promettiamo che, se uno di noi due diventerà re, l’altro e Guinevere diventeranno i suoi primi cavalieri, e i più fidati.» disse.

Guinevere sorrise, e lo stesso fece Arthuria; entrambe si scambiarono uno sguardo, prima di appoggiare anche le altre loro mani su quella di Lancelot, in segno di aver accettato il giuramento.

Quella mattina, lo sentivano, stava nascendo qualcosa di nuovo, e di completamente diverso dal regno di Uther in cui ancora si trovavano.

Quel giorno, stavano nascendo i primi cavalieri di Caliburn.

 

 

Le vicende

Nulla da precisare in particolare, se non che Guinevere, ovviamente, non è mai stata una guerriera, né un cavaliere di Arthur(ia).

  
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