CAPITOLO
9
Il
ragazzo si avvicinò sempre di più al tavolo:
teneva il braccio sinistro attorno alla vita della ragazza accanto a
lui, mentre lei, che indossava un vestito giallo che le arrivava fino a
metà cosce, aveva un grosso sorriso stampato sul volto,
incorniciato da lunghi capelli mossi e castani.
Il
ragazzo aveva invece capelli neri e indossava un pantalone viola e una
maglia bianca. Quei capelli a spazzola erano sempre rimasti gli stessi
nel corso del tempo, pensò Rose mentre lo guardava arrivare.
Erano
così dolci insieme: vederli così giovani e
innamorati suscitò in Rose un senso di felicità,
misto alla commozione di poterli rivedere dopo un intero anno in cui
aveva terribilmente sentito la loro mancanza. Adesso erano
lì, davanti a lei, pronti a presentarsi. Già,
come se non si conoscessero… come dei perfetti sconosciuti.
«Siete
arrivati, finalmente!» esclamò Chichi, girandosi
«giusto in tempo per il dolce. Sedetevi!»
Bulma
chiamò due dei suoi camerieri, i quali fecero portare due
sedie, che furono poste proprio davanti a Rose.
«Ciao,
sono Goten!»
Il
ragazzo si presentò poco prima di sedersi, notando la
sconosciuta di fronte a lui.
«P-piacere,
Rose» rispose, sentendosi arrossire.
«Oh,
“Rose”! Che bel nome!» esclamò
la ragazza vicino a Goten «piacere, io sono Valese!»
Sua
madre, per qualche motivo, era così entusiasta di
conoscerla: Rose si sentì all’improvviso
attraversare da una ventata di felicità, tanto che il senso
di commozione e di malinconia che aveva provato fino a quel momento
svanirono in un attimo.
Valese
era così bella, in tutti i suoi –quanti anni
doveva avere? Rose fece due conti… Ah, sì, sua
madre a quell’epoca aveva 27 anni.
«Piacere
di conoscerti!» disse Rose, ricambiandole il sorriso.
Si
mise per un attimo a fissarli. Era così contenta di averli
proprio lì, davanti ai suoi occhi, che fu travolta da
un’emozione indescrivibile. Probabilmente qualcuno
dei presenti, osservando la scena, si sarebbe accorto che lei aveva
“qualcosa a che fare” con loro due, ma a Rose non
importava: voleva solo godersi quel momento. Era passato troppo tempo
dall’ultima volta che li aveva visti.
Goten,
sorpreso dal modo con il quale la ragazza li fissava, le
domandò:
«Scusa,
ci conosciamo?»
Rose
si riprese un attimo, e disse, balbettando un po’:
«N-noi?
No, no, assolutamente no. Cioè, non credo, per lo meno! I-io
sono…» si girò velocemente alla sua
sinistra per guardare Pan «io sono un’amica di Pan!
Vero, Pan?» concluse, dandole una leggera pacca sulla schiena.
Pan, presa alla sprovvista, impiegò qualche secondo per realizzare la situazione, dopodiché disse, emulando un certo entusiasmo:
«C-certo!
Rose è una mia cara amica, l’ho invitata a
mangiare un
boccone con noi!»
Goten
parve convinto della risposta, e non disse più nulla.
«Oh!
Hai il ciondolo uguale al mio!» esclamò Valese,
indicando il
collo di Rose.
“Non
è uguale al tuo, è proprio
il tuo” pensò la ragazza,
portandosi istintivamente la mano sul ciondolo. Si ricordava come se
fosse ieri
il giorno in cui sua madre glielo regalò.
Aveva
appena soffiato sulle candeline e i presenti la avevano
applaudita, quando sua madre le si era avvicinata con un piccolo
pacchetto tra
le mani e le aveva detto:
«Pensavo
di dartelo per il tuo diciottesimo, ma non voglio aspettare
altri quattro anni. Sei una ragazza molto coscienziosa, quindi sono
sicura che lo
custodirai tanto quanto l’ho fatto io.»
La
ragazza, curiosa, aprì la scatola ed estrasse una collana
scura
dalla quale pendeva un ciondolo a forma di mezza luna.
«La
tua collana!» esclamò, stupita.
«E
adesso è tua. E’ una tradizione che tramandiamo da
generazioni:
mio nonno, che era un orefice, creò appositamente questa
collana per mia nonna
e gliela regalò quando lei stava molto male per via di una
grave malattia.
Qualche tempo dopo, tuttavia, mia nonna riuscì a guarire e,
una delle prime
cose che mi aveva detto dopo la guarigione, fu che quella collana le
aveva donato
molta forza.»
“La
stessa forza che mi servirà per portare a termine questa
missione” pensò la ragazza, accarezzando il
ciondolo e ripercorrendo quel
ricordo nella sua mente.
«Non
pensavo ne facessero altri così» riprese a dire
Valese,
pensierosa «il mio me l’ha fabbricato mio nonno.
Sai, era un orefice!»
Rose
le sorrise calorosamente.
«Allora
tuo nonno deve essere stato un ottimo orefice»
A
qualche sedia di distanza, a capotavola, Goku, insospettito dalla
particolarità dell’evento, continuava a girare la
testa prima a destra, verso
Rose, e poi a sinistra, verso Goten e Valese. E viceversa.
«Adesso
ho capito!»
Si
alzò sulla sedia e sbattè le mani sul tavolo,
spostando l’attenzione
di tutti i presenti su di lui. Puntò il dito verso Rose e
disse:
«Tu
devi essere la figlia di…»
Non
fece in tempo a finire la frase poiché Chichi si
spostò immediatamente
verso di lui e gli mise le mani sulla bocca.
«La
figlia di quello che ci viene a portare la frutta!» disse lei
completando
la frase del marito «Sì, ti abbiamo riconosciuta,
sei proprio tu! Ecco perché ti
sembrava famigliare, Goten!»
Per
qualche secondo, tutti i presenti rimasero a fissare Goku che
cercava di parlare nonostante avesse le mani di Chichi sulla bocca,
mentre,
nello stesso tempo, si divincolava come un matto per allontanarla.
«Non
sono sempre così sai, a volte sono anche normali»
cercò di
giustificare Goten a Rose.
La
ragazza si lasciò andare ad un piccolo risolino, proprio
mentre
i camerieri cominciavano a servire il dolce.
Nessuno,
per qualche minuto, aprì bocca, tranne che per mangiare
le deliziose pietanze che avevano cucinato i cuochi di Bulma.