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Autore: _Blanca_    08/07/2016    3 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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VII. Segreti





Anna avvertì lo sguardo di Lily su di sé, non appena la cameriera l’affiancò.
«Ti senti bene?»
Anna fece cenno di sì, ma non osò parlare di nuovo: temeva che la voce l’avrebbe tradita. Girò i tacchi e si diresse alle scale, seguita a ruota da Lily, che ancora la osservava, perplessa. Invece di rientrare in casa dalla veranda, Anna fece il giro della villa: era a mala pena cosciente del movimento dei propri piedi, ma sapeva di dover prendere tempo. Doveva calmarsi. Non sarebbe stata in grado di comparire davanti a nessuno con il terrore che le faceva ancora tremare i polsi.
Entrò in casa e si trattenne nel vestibolo, per liberarsi del soprabito e appenderlo all’attaccapanni.
«Lily...» chiamò, con un fil di voce.
«Dimmi.»
«Che tu sappia, è mai accaduto qualcosa di... violento, là, in giardino?»
Lily batté più e più volte le palpebre sugli occhi azzurri.
«Violento?»
«Un incidente, magari?»
«Non lo so. Non ho mai sentito nulla a riguardo.» Lily sfiorò il braccio di Anna. «Perché lo chiedi?» Tacque. Aggrottò le bionde sopracciglia. «Sei sicura di sentirti bene?»
Anna inspirò, drizzando le spalle; le braccia lungo i fianchi e le unghie premute contro i palmi. «Sì... io... mi stanno aspettando.» Oltrepassò la porta a vetri e marciò attraverso l’atrio ma Lily, che l’aveva seguita passo passo, l’acchiappò per un gomito, bloccandola davanti ai battenti chiusi della biblioteca.
«Aspetta!» bisbigliò. «Sei tutta scarmigliata. Se ti presenti così davanti ai suoi ospiti, madam ci rimprovererà entrambe.»
L’appunto colse Anna alla sprovvista: si guardò la gonna con l’espressione di chi ha appena scoperto di possedere un corpo fisico.
Lily, alle sue spalle, stava già armeggiando con le forcine. «Gli Hall hanno la brutta abitudine di piombare qui senza avvertire» sospirò.
«Quindi... vengono spesso in visita?» Anna si era appena ricordata di sfilare via l’anello: la pietra era tornata trasparente. Lo lasciò scivolare in tasca.
«Abbastanza. Almeno una volta al mese. Sopratutto William Hall. L’ho visto andare e venire come fosse uno della famiglia.» Tolte di mezzo le ciocche sfuggite alla treccia, Lily consigliò ad Anna di pizzicarsi le guance e mordicchiare le labbra, perché ― le fece notare ― entrambe avevano perso colore.
Anna obbedì, ringraziò confusamente, e quando Lily aprì la porta, fece il suo ingresso in biblioteca.
La signora Woodhams, in abito da pomeriggio nero da capo a piedi, sedeva sulla greppina, composta e impettita come dinanzi all’obbiettivo di una macchina fotografica; lo zio Woodhams e il signor Hall occupavano le due poltrone, più rilassati di due dandy in un’oppieria cinese. Tutti e tre si voltarono all’unisono verso Anna. Ed Anna venne travolta dalla certezza di trovarsi faccia a faccia almeno con un custode del segreto del giardino. Lily non poteva sapere, perché era a Bon Fleur da pochi mesi, ma fra i tre accanto al camino doveva pur esserci qualcuno che conosceva la verità.
Con quell’amara certezza piantata nel petto, Anna si avvicinò.
William Hall si alzò e le rivolse un leggero inchino del capo.
Anna, con il cuore preda delle palpitazioni, dimenticò l’esistenza delle riverenze e rispose con un sorriso storto ― che le costò un piglio di rimprovero da parte della zia.
«Anna, vieni qui, accanto a tuo zio» disse il signor Woodhams. La prese per mano. «Come sei fredda!»
«Ero fuori. A passeggio.»
«Allora, mettiti qui, accanto al fuoco.»
Lo zio la invitò ad accomodarsi sul bracciolo della sua poltrona e lei accettò, ma tanto valeva cercare di scaldarsi davanti a un cumulo di cenere: i suoi non erano il genere di brividi che potevano venir dissipati da un focolare.
«Vuoi che faccia portare del tè?» domandò lo zio. «Come vedi, al momento ne siamo sprovvisti» aggiunse, ironico. «Ma devi capire che si tratta di una cortesia nei confronti del nostro William: il signor Hall non è un ammiratore della bevanda.»
«Ah, sì? Ed è legale, per un inglese?»
Lo zio ridacchiò e William Hall si rimise a sedere con un' increspatura di sorriso sulla bocca. La signora Woodhams rimase in assoluto silenzio; non un cenno di espressione le sporcò il volto.
«Vostro zio esagera» disse William, pacatamente. I grandi occhi chiari, assoluti padroni del viso magro, sembravano immuni alla piega cordiale delle labbra. «Non ho nulla contro la bevanda, ma dopo aver visto le condizioni di lavoro delle operaie, nelle fabbriche lungo il Tamigi, sono le leziose scatoline di latta a risultarmi odiose.» Fece una pausa, carezzando con le lunghe dita bianche il tessuto damascato del bracciolo. «Non tutti i padroni si ricordano di comportarsi umanamente, come vostro zio, miss Hawkins.»
La signora Woodhams si levò in piedi. «William, se hai tanto a cuore le condizioni degli operai, dovresti seguire l’esempio di tuo fratello e farti strada in politica.» Accompagnata dal solenne fruscio della maestosa gonna, si spostò dietro la poltrona dello scrittore, adagiando un braccio alla spalliera.
Entrambi pallidi, entrambi abbigliati di nero, la signora Woodhams e il signor Hall formavano un quadro che Anna trovò sgradevolmente accordato; per un istante, ebbe l’impressione di aver difronte la replica vivente di certe suggestive illustrazioni che le era capitato di sbirciare, tra le pagine di romanzetti zeppi di vampiri, spettri e relazioni proibite.
«Non ho la stoffa del politico, lo sapete» si scusò William. Non guardava la signora, che lo sovrastava come un’ombra in carne e ossa; guardava il fuoco.
«Dì piuttosto che sei troppo onesto per la politica.»
«E troppo intelligente» disse lo zio Woodhams.
«Alas!» sospirò la signora. «Io sono d’accordo con Clifford: ci hai detto che è contrario alla tua decisione - e ha ragione di esserlo. La vostra famiglia è una delle più importanti di Maidstone. Perché vuoi gettare via il nome di tuo padre ― Dio l’abbia in gloria ― per il capriccio di voler diventare precettore?»
«Perché voi non vi curate degli affari vostri?» gettò lì Anna, in un mugugno.
E si ritrovò vittima di tre sguardi: di divertimento quello dello zio, sorpreso quello del signor Hall, impassibile quello della signora Woodhams.
«Voglio dire...» riprese Anna, a voce più alta, «non capisco perché usate quell’aria di rimprovero, signora. Il signor Hall non è libero di scegliere la carriera che desidera? Non è questo uno dei vantaggi di essere un uomo ricco? Decidere per sé stessi? Perché deve rendere conto a voi?»
«Devi perdonarla, William» disse la signora Woodhams. Sorrise, serafica. «Questa nostra piccola scimmietta ha difficoltà nel comprendere molte cose ― comprese le più ovvie. È estranea alla civiltà. Ma non è interamente colpa sua: è stata allevata da due selvaggi.»
William si mosse sulla poltrona. Batté le palpebre. Umettò le labbra, tirate in un sorriso di contrito imbarazzo. Chiaramente, non sapeva come lenire l’insulto rivolto alla nipote senza offendere la zia.
Il signor Woodhams gli andò in soccorso, cambiando la rotta della conversazione con una manovra salda: «Per quanto mi riguarda» batté una mano sul bracciolo, con aria soddisfatta, «sarò lieto di assecondarti nel tuo progetto, William. Ho già in mente almeno tre famiglie della contea che sarebbero felicissime di vedersi raccomandare un giovane come te per l’educazione dei loro figliuoli. Mi occuperò di informarli prima della mia partenza.»
«Avete la mia gratitudine, signore» disse William.
«Partite, zio?» si intromise Anna. «Per dove?»
«Per Londra, cara. Devo occuparmi di persona di alcuni cambiamenti nelle esportazioni oltremanica.»
«E quando dovete partire?»
«La prossima settimana: partirò di mercoledì e tornerò il successivo.»
La signora Woodhams, ignorando marito e nipote, riesumò l’argomento che sembrava esserle tanto caro: «Se davvero possiedi la vocazione all’insegnamento, William, dovresti aspirare a un posto in un istituto. Uno di prestigio. Con il nome di tuo padre, e le conoscenze di tuo fratello, non hai porte chiuse da temere. Le entrate sarebbero maggiori. La reputazione migliore.»
«Credetemi, signora» disse William. «Quando vi assicuro che ho già valutato i pro e i contro della mia scelta. Io chiedo soltanto di lavorare in un ambiente raccolto e tranquillo. Desidero un mestiere che mi assicuri uno stipendio decoroso e del tempo da dedicare alla scrittura. Non ho alcun interesse per le relazioni sociali.»
«Il che è un male» decretò la signora Woodhams. «Sei troppo giovane per abbracciare la vita dell’anacoreta.»
Anna, smesso di ascoltare nel momento in cui la zia aveva ripreso la parola, scese di scatto dal bracciolo. «Scusatemi...  io... ho... mal di testa. Vorrei andare a sdraiarmi un po’. Signor Hall, è stato un piacere rivedervi.» E William non ebbe il tempo di levarsi in piedi, che Anna era già fuggita dalla biblioteca.

*

Anna chiuse a chiave la porta della camera e tirò fuori l’anello: la pietra era ancora trasparente. Appoggiò il gioiello sulla mensola del caminetto, arretrò, cadde seduta sulla sponda del letto. Nascose la bocca dietro le mani. I denti torturavano i polpastrelli; i respiri entravano e uscivano, lenti e irregolari, a ogni sobbalzo del cuore; e lei cercava invano il coraggio di calmarsi.
‘Magari si sbaglia’ pensò. ‘Ma non si è mai sbagliato... prima d’ora.’
Trascorse qualche minuto senza che Anna potesse aggrapparsi a un pensiero rassicurante. A un certo punto, quando i crampi allo stomaco iniziarono a farla sentire sull’orlo della nausea, prese a camminare: dal letto alla finestra, e dalla finestra al letto; il capo chino e le mani strette sui fianchi.
Si fermò. Lo sguardo salì verso il vetro e cadde oltre lo spiraglio tra le tende.
Con una certa sorpresa, vide William Hall: stava passeggiando, vicino al muretto delle rose, ed era in compagnia della signora Woodhams. Lui teneva le mani dietro la schiena, lei cincischiava una foglia secca, forse raccolta da terra, forse strappata dalla veranda; iniziarono a scendere la scalinata, William offrì il braccio e la signora accettò. Parlavano.
Ma, da lassù, Anna non poteva udire la loro conversazione.
«Ora che vostra nipote abita con voi, dovremo trovare un'altra sistemazione» stava affermando William, in quell’esatto momento, curandosi di tenere la voce bassa. Attorno a loro, il pomeriggio stava sfumando nella sera e il vento continuava a battere la campagna.
«E perché mai?» obbiettò atona la signora Woodhams.
«Perché mi avete assicurato di poter mettere a tacere i domestici, quando sarà il momento, ma vostra nipote... lei potrebbe parlare.»
«Anna non è affar tuo» sentenziò la signora: mentre guardava la vasca vuota, ai piedi della scalinata, ridusse in briciole la foglia, stropicciandola tra le magre dita coperte di pizzo nero. «Mi occuperò io di lei. Ma noi non rimanderemo: questa è l’occasione perfetta. Io ho aspettato fin troppo e tu hai promesso.»
«Non ho intenzione di venir meno alla mia parola. Sto soltanto dicendo che sarebbe saggio scegliere una sistemazione maggiormente discreta.»
«Sei stato tu a dire che se vogliamo che funzioni, la villa è il posto migliore. Inoltre, qualsiasi altro luogo potrebbe sollevare sospetti. Ora, taci. Arriva mio marito.»
Il signor Woodhams, appena uscito dalla veranda, li stava raggiungendo.
Anna, dalla finestra, lo vide.
Ma i colpi alla porta la costrinsero ad allontanarsi.
«Anna?» chiamò Lily, dall’altro lato, trovando la serratura bloccata.
Anna andò ad aprire.
La cameriera le disse di essere appena stata mandata dal padrone: «Hai ancora mal di capo?»
«Sì...»
Non era più una bugia: l’agitazione si era tradotta in pena fisica e adesso sentiva davvero la testa pesante.
Poco più tardi, Lily tornò con un vassoio: un piattino di leccornie e una tazzina dalla quale si levava un profumo di arancia. Sistemò il vassoio sul piano del vanity, al quale Anna si era seduta, con il mento tra le mani. «Infuso di passiflora e scorza d’arancia. Un toccasana per il mal di capo. Biscotti e gelatine le manda la signora Blackwell. Speriamo non sia un raffreddore in arrivo. ― Oh, be’! In ogni caso, questo rende l’ultima notizia meno spiacevole...»
Anna la fissava, in attesa dell’ultima notizia.
«Dovrai cenare qui, in camera. Il padrone andrà a Maidstone con il signor Hall. Pare che la signora Hall abbia-»
«Signora Hall? Ma non era scapolo?»
«La signora Hall è la moglie del maggiore dei fratelli Hall. Credo si chiami Clifford. Ti dicevo: mi è parso di capire che l’abbia fatto ambasciatore di un invito improvvisato a Ellsworth House. Madam, però, ha declinato.»
«E lo zio andrà da solo?»
Lily fece spallucce e intrecciò le mani davanti al grembiule. «Stando a quel che mi ha detto la signora Blackwell, il padrone è molto affezionato a tutti gli Hall. E loro lo considerano al pari di un parente.» Azzardò un sorrisetto. «Immagino che al padrone non dispiacerebbe se la parentela tra i Woodhams e gli Hall diventasse reale.»
Anna, sprofondata in pensieri lontanissimi da quella camera, e dal chiacchiericcio di Lily, impiegò più del dovuto a capire di cosa si stesse parlando. Avuta l’epifania, alzò lo sguardo su Lily e in tono piatto commentò: «Mio zio dovrà trovare un’altra nipote da far sposare a William Hall.»
«Perché dici così? Lui non ti piace?»
«Come pretendi che lo sappia? Non lo conosco» sbuffò Anna. «E poi, in biblioteca, mia zia mi ha chiamata scimmia. Finirà col fargli credere che sono una bestiola incivile.»
«O, magari, il signor Hall preferirà farsi un’opinione da sé.»
«Sì, be’...» Anna sollevò la tazzina: la stringeva come fosse stato un bicchiere di liquore. Bevve un sorso. Il vapore le carezzava le guance. «In ogni caso, io non ho la stoffa della moglie. Non riesco a ubbidire a nessuno.» E il discorso venne abbandonato.
Venne l’ora di cena, che Anna consumò nella solitudine della camera. Ma mangiò poco e controvoglia. Angoscia e nervosismo le scorrevano sottopelle, finendo col concentrarsi in un nodo alle viscere. Non aveva più toccato più l’anello, abbandonato sulla mensola; e per un po’, non seppe far altro che starsene stesa sulla schiena, a fissare in cagnesco il soffitto. Era ormai tarda sera, quando comprese l’inutilità di quel suo rimuginare. Doveva decidere: ignorare o indagare.

*

Quando Anna si presentò nel tinello dei domestici, Lily stava spazzando il pavimento e i Blackwell riposavano: Bert fumava una pipa mentre la signora Blackwell cercava sollievo dalla fatica quotidiana tenendo i piedi appoggiati a uno sgabello; la gonna sollevata a metà dei grossi polpacci coperti da calze nere. Sul tavolo, tra i due, stavano una teiera e due tazze scompagnate.
Non appena notarono Anna sulla soglia, la signora Blackwell lanciò un’occhiata storta alla fila di campanelli, affissi alla parete; poi costrinse la propria corpulenta figura a levarsi in piedi, rassettando la gonna a suon di scrollate. «C’è qualche problema, signorina?» s’informò, con tono ben poco servizievole.
Bert continuava a fumare, ma Lily mise a tacere il raspare della saggina contro i mattoni del pavimento.
Anna, per un attimo, fu tentata di far dietrofront. Sospirò. Si schiarì la voce. E avanzò verso il tavolo. «Forse, quello che sto per chiedervi vi sembrerà bizzarro» esordì. «Ma vorrei sapere se nel giardino di questa casa, precisamente vicino alla fontana, è mai accaduto qualcosa che definireste violento. Come un’aggressione. O un incidente?» Tacque, avvertendo un tremito al pensiero di nominare l’ultima ipotesi. Si fece coraggio. «Una morte?»
La domanda venne accolta da un silenzio tombale.
Il vecchio Bert non alzò neppure gli occhi. Anzi, parve piegarsi ancor di più su se stesso. La signora Blackwell fissava Anna con un’espressione talmente seria da risultare pressoché indecifrabile. In quanto a Lily, alternava uno sguardo genuinamente perplesso tra Anna e la cuoca.
«Da dove salta fuori questa domanda?» chiese la signora Blackwell.
«Non rispondete alla mia domanda con un'altra domanda» ribatté Anna.
La signora Blackwell si volse verso il marito: lui aveva appena mosso il capo, scoccando uno sguardo sottecchi in direzione della porta. La moglie lo imitò. Ci fu un altro attimo di silenzio. Poi, la cuoca si riaccomodò  al tavolo e, con aria quasi solenne, assicurò che: «Non so chi v’abbia messo in testa certe idee, ma non è successo proprio niente, in questa casa. Né fuori, né dentro.»
Anna interrogò a Bert. «Dice la verità?»
Il vecchio allontanò la pipa dalla bocca e Anna lo vide chinare impercettibilmente il capo, quasi avvertisse il peso dallo sguardo accigliato della moglie. «Non è successo niente» ripeté, in un borbottio a mala pena udibile, e senza guardare in viso né la moglie né Anna.
Anna non domandò altro.
Con una sbrigativa parola di ringraziamento, uscì dal tinello senza mostrarsi né offesa né insoddisfatta.

*

«Mentono» sentenziò Anna.
Era tornata in camera da letto e Lily l’aveva seguita, pochi minuti dopo, con il pretesto di sistemare lo scaldino tra le lenzuola. Ora Anna camminava davanti al caminetto, pigiando le nocche contro il palmo; prima una mano e poi l’altra; in quanto a Lily, sedeva in poltrona, le manine in grembo e una quieta perplessità dipinta sul volto.
«Perché credi che abbiano mentito?»
«Perché sono dei pessimi bugiardi. E perché entrambi hanno guardato verso la porta: temevano di veder entrare qualcuno. O di essere uditi. Da mia zia, devo supporre: non c'è nessun altro in casa. Quindi... o loro sanno cosa è accaduto e non vogliono che mia zia ne venga a conoscenza. Oppure, mia zia sa e non vuole che i domestici ne parlino.»
Lily si mordicchiò un labbro, piegato in un broncetto carico di scetticismo.
«Io non ho ancora capito da dove arrivi questa tua idea. Hai visto qualcosa, vicino alla fontana?»
Anna non rispose.
«Anna?»
«È... solo una sensazione» sviò lei. «Ma non è questo l'importante.»
«A me sembra molto importante.»
Anna si fermò. Posò lo sguardo su Lily. Indurì l'espressione.
«Devi dirmi una cosa. E devi essere sincera. Da quando sei qui, hai mai avuto l’impressione... di... di non essere sola - anche quando sei sola?»
«Eh?»
«È che, a volte, sopratutto quando sono in biblioteca, mi sento come se qualcuno mi stesse spiando.»
Lily fissava Anna come se quest’ultima avesse iniziato a parlare in una lingua sconosciuta. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, prima di riuscire a rispondere: «Io... be’... qualche volta, mentre rassetto le stanze, mi sembra quasi che tutta quella gente nei ritratti stia lì a controllare che faccia bene il mio lavoro. E poi c’è quella orribile volpe impagliata nel salottino della colazione. Mi fa venire i brividi. Ma questo è quanto. Ma tu di cosa stai parlando?» Fece una pausa. All’improvviso, rise. «Non starai pensando a dei fantasmi, voglio sperare?»
Anna distolse lo sguardo. Respirò a fondo. «Io... no...» Inghiottì un sospiro, strizzando le palpebre. «Lasciamo stare. Non pensiamoci più. Lavoro troppo di fantasia, tutto qua.»
Lily si alzò, si avvicinò ad Anna e raccolse le mani di lei tra le sue. Le sorrise: un sorriso di dolce intelligenza. «Anna, ascoltami: questa casa è vuota e isolata e capisco che possa... alimentare qualche suggestione. Ma oggi pomeriggio hai preso freddo e adesso sei rossa in viso e senti che mani gelate che hai! Hai bisogno di riposare e stare tranquilla. Una bella dormita, e domani mattina ti sentirai meglio.»
Anna avrebbe voluto, con tutto il cuore, seguire il consiglio di Lily. Ma la notte trascorse insonne, e i pochi minuti di sonno concessi furono vessati da incubi.
Alla prima fredda luce dell’aurora, Anna era già in piedi, vestita di tutto punto; si sentiva stanca, inquieta e aveva il nitido ricordo dell’ultimo sogno ancora davanti agli occhi. Davanti alla fontana vuota. L’anello era caduto sul fondo, risucchiato - svanito - tra le foglie morte. Lo aveva gettato lei. E subito si era guardata le mani e le aveva scoperte sporche. Di sangue. Gocciava, denso e scuro, tra le sue dita.
Non si dovevano mai ignorare i sogni: glielo aveva insegnato sua madre.
Ma Anna aveva voltato le spalle al mondo di sua madre nel momento esatto in cui era salita a bordo dell’Augusta.
E non era disposta a tornare su i suoi passi.
Lasciò la camera e, indossato il cappottino, uscì di casa: la villa ancora fredda e buia come una tomba. Fuori, l’aria pungeva e uno spettrale velo di foschia aleggiava sul prato, imbiancato di brina notturna. Anna scese alla fontana e raggiunse sul bordo della grande vasca ottagonale. Le cornacchie, sul tetto di Bon Fleur, gracchiavano: sembravano l’unico suono udibile, in tutta la campagna.
Anna teneva l’anello tra le mani, raccolte a coppa.
Di nuovo, vide la pietra dipingersi, lentamente e inesorabilmente, di un rosso scurissimo.
Avrebbe voluto gettarlo via, come nel sogno; si limitò a serrare le dita attorno al gioiello. Strinse tanto forte da far sbiancare le nocche, mentre la rabbia scalciava per prendere il posto della paura: com’era possibile che dopo essere fuggita così lontano, dopo essere letteralmente scappata dall’altra parte del mondo, quel maledetto anello continuasse a perseguitarla?
Non era giusto. Non se lo meritava.
‘Che si tengano i loro segreti’ decise Anna. ‘Non mi interessa. Io non ricomincerò con quella vita.’
Si voltò, lo sguardo risalì le mura di Bon Fleur Place e il cuore sobbalzò.
Dietro una finestra la secondo piano, una delle finestre della nursery, c’era una figura: una donna vestita di nero.
Anna si era allarmata perché, per un attimo, complici la distanza e la luce ancora fioca, la figura le era parsa sconosciuta.
Ma non era affatto una sconosciuta.
Era la signora Woodhams. E stava guardando Anna.
Lei ne sostenne lo sguardo, fin quando la zia non si ritirò dalla finestra: arretrò e parve svanire, risucchiata dal buio della nursery.








   
 
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