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Autore: _Blanca_    22/07/2016    3 recensioni
«Mi segue» disse Anna.
«Di che cosa parlate, miss Hawkins? Chi vi sta seguendo?»
«La morte.»

Ottobre 1875. Dalle coste della Nova Scotia, Anna Hawkins si imbarca per l’Inghilterra, dove vivrà con gli zii Woodhams, ricchi borghesi del Kent. Anna sa che vivere nel cuore dell'Impero, tra i bianchi sudditi della regina Vittoria, non sarà semplice. Lei è una Metis. È figlia di un inglese, che ha fatto fortuna come cacciatore di taglie, e di una donna della Prima Nazione. Ma Anna sa anche di non poter tornare indietro. Il suo viaggio è una fuga. Una fuga dalla solitudine, dalle responsabilità, da un destino che la terrorizza. La nuova esistenza nel Kent, tuttavia, si rivelerà diversa da qualsiasi speranza o timore. Anna dovrà affrontare i segreti di una vecchia casa e di una stanza che non deve mai essere aperta; dovrà tenere testa a una zia decisa a odiarla e a uno scrittore di racconti del terrore, capace di dare un’impronta fin troppo realistica agli incubi di carta e inchiostro. E, sullo sfondo del tutto, toccherà a lei risolvere l’enigma di un misterioso suicidio.
Genere: Horror, Mistero, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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IX. Danse macabre





La carrozza risalì il viale, il cocchiere tirò le redini e scese dalla cassetta.Anna lo riconobbe: era Benton. L’uomo spalancò lo sportello e dalla carrozza emerse la dinoccolata, e sempre elegante, figura di William Hall: tirava mollemente l’orlo del guanto destro mentre gli occhi, pervasi dall’abituale piglio mesto, parevano studiare le finestre più alte della facciata.
‘Ha un bel coraggio a ripresentarsi qui!’ Anna era risoluta a non dar credito alle congetture di Lily, giacché il solo immaginare una relazione tra la vecchia zia e lo scrittore le suscitava ripugnanza. Purtroppo, però, quello era anche il genere di tarlo che, una volta iniziato a rosicchiare i pensieri, era impossibile da scacciare.
Ma quando un secondo passeggero uscì dalla carrozza, Anna trasalì. Scese dal sedile, lasciando cadere Milton; e il gatto per poco non finì calpestato, mentre la ragazza se la svignava dal parlour con una fretta del diavolo. Corse al piano di sopra, passando per le scale di servizio, si rintanò in camera e supplicò che gli ospiti si limitassero a lasciare un biglietto. ‘La zia non li riceverà’ si disse. ‘Non è nelle condizioni di ricevere visite.’
In capo a dieci minuti, però, Lily bussò con un’ambasciata: madam chiedeva la presenza di Anna nel parlour perché il signore e la signorina Hall avevano espresso il desiderio di incontrarla.
Anna non cedette al panico: era pronta a mettere sul tavolo la carta dell’emicrania. Ma d’un tratto si domandò che scopo avesse sfuggire all’incontro del pomeriggio, quando di lì a pochi giorni avrebbe dovuto fronteggiare la famiglia Hall al completo e alla presenza di testimoni?
Assicurò a Lily che sarebbe scesa nel tempo di rendersi presentabile. Con cura, e con più tempo del necessario, spazzolò la gonna, pettinò i capelli, arrotolò la treccia.
E si presentò al pian terreno.
La porta del parlour era spalancata, così che Anna, fermandosi a un passo dalla soglia, poté posare lo sguardo sugli ospiti prima che loro si accorgessero di lei. William era in piedi, davanti al caminetto acceso; come sempre vestito di scuro, tranne per il panciotto ― un grigio dalla sfumatura bluastra ― e per la testa dell'argento della spilla sulla cravatta. Teneva una mano appoggiata alle mensola e l’altra, serrata in un pugno, dietro la schiena. Lo si sarebbe detto in contemplazione dei guizzi del fuoco.
L’unica voce nella stanza era quella di Ada Hall, che condivideva il divanetto insieme alla signora Woodhams. Ada era giovane, bella e ben vestita: indossava un abito color fiordaliso e guantini di merletto bianco.
Ma, dettaglio più importante di tutti, Ada Hall era la stessa donna che Anna aveva soccorso in Goudhurst Close.
William, portando lo sguardo sul divanetto, si accorse di Anna e la salutò con un cenno del capo. Il gesto venne inevitabilmente colto dalle due donne, che si voltarono verso la porta.
«Anna, vieni avanti» ordinò la signora Woodhams. «Ada, ti presento la figlia di mio fratello» disse, con un tono che sfiorava l’annoiato.
Ada Hall fissava Anna come se fosse entrata nella stanza capeggiando un corteo di circensi: improvvisamente muta, allibita, sembrava persino trattenere il fiato.
E Anna temette il peggio.
Poi, con sua somma sorpresa, in un battito di ciglia, l’espressione di Ada cambiò: sfoderò un sorriso e si alzò in piedi non appena Anna fu accanto al divanetto. La fronteggiò ― si equiparavano in altezza ― e le strinse gli avambracci. «Sono così felice di incontrarvi.» Ada aveva labbra piene, rosse come ciliegie, e occhi grandi, di un azzurro più vivo e intenso di quello del fratello, privi di severità o malinconia. Nel complesso, era una versione ingentilita della bellezza algida e aristocratica dello scrittore. «William non fa che parlare di voi. Mi ha messo una tale curiosità di conoscervi.»
Essere il soggetto di conversazione prediletto dal signor Hall, per Anna, fu una rivelazione inaspettata.
In quanto allo scrittore, non batté ciglio: aveva appoggiato un gomito alla mensola e rimirava le zampe leonine del divanetto.
«Il piacere è mio» recitò Anna.
Ada la prese per mano e la trascinò con sé, obbligandola a prendere posto sul divano, mentre lei si accomodava tra zia e nipote. «Mi sarebbe dispiaciuto non trovarvi in casa: William mi ha detto che vi piace passeggiare. Certo... certo, so cosa state pensando: simili inconvenienti potrebbero venir evitati, se ci prendessimo il disturbo di annunciare le nostre visite. Ma dovete capire che per me, e per i miei fratelli, Bon Fleur è una seconda casa.» A differenza del fratello, Ada possedeva palesemente uno spiccato talento per il soliloquio. Quantomeno, aveva una voce gradevole: piena e fresca. «Ad ogni modo, ora che siete qui, William potrà consegnarvi il presente con le sue stesse mani.»
Chiamato in causa, il signor Hall drizzò la postura e atteggiò le labbra a quanto di più simile a un sorriso di circostanza. Andò al tavolo: c’era una cartellina di pelle. La raccolse e la portò ad Anna.
Lei lo fissò, dal basso.
«Che cos’è?»
«Una copia del mio ultimo racconto. Pensavo vi avrebbe fatto piacere.» Abbassò la cartellina, e il mento. «Ma capisco ora, dal vostro sguardo perplesso, che non parlavate seriamente. Il mio ego di scrittore mi ha ingannato.» Lo disse con tanta umile dolcezza che Anna, per un istante - uno soltanto - dimenticò ogni cattivo pensiero mai formulato su di lui.
«No! Voglio dire: sì. Sì che desidero leggere i vostri racconti.» Prese la cartellina dalle mani dello scrittore. «Non credevo ve ne sareste ricordato. Tutto qui.»
«Quando avrete terminato con i lavori di mio fratello» disse Ada, «dovete permettere a me di consigliarvi qualche lettura. ― Avete familiarità con i saggi di Mary Wollstonecraft?»
Anna si confessò ignorante.
«Allora, sarò felicissima di prestarvi le mie copie.»
«Ada, per favore...» sospirò William.
«Cosa?» saltò su la sorella. «Cosa ho detto? Da quando in qua sei diventato contrario alla Wollstonecraft?»
«Non sono contrario. Ma non dovresti imporre con questa irruenza i tuoi personali entusiasmi alla signorina Hawkins.»
Ada fece un gesto scocciato con la mano. «Sei di una tale boria, fratello mio. ― Adesso perché non usciamo per una passeggiata in giardino? Tra carrozza e divano, non ne posso più di star seduta.»
«Non mi sembra il tempo adatto a star all’aperto di proposito» obbiettò William.
«Andiamo in veranda, allora. Voi che dite, signora Woodhams?»
La signora Woodhams, rimasta a sorvegliare in silenzio i tre giovani, disse pacatamente: «Preferirei restare vicino al caminetto, mia cara.»
Ada si voltò verso Anna, per una tacita richiesta di opinione. E ad Anna bastò quello sguardo per comprendere il reale obbiettivo del giro di pareri: Ada sapeva che gli altri avrebbero rifiutato. Voleva parlare con lei. Da sola.
«Vi farò compagnia io.»
«Ottimo.»
«Non restate sulla veranda a lungo» raccomandò la signora Woodhams. «Fa freddo.»
Anna, catturata saldamente sotto braccio, si lasciò condurre da Ada attraverso la biblioteca. La fretta di essere fuori portata d’orecchio della signora Woodhams era pari a quella della signorina Hall, ma al contempo, l’aver appena lasciato la zia sola con William le metteva addosso una sensazione sgradevole: le sembrava di avere uno spillo, sottile come un capello, conficcato proprio sotto lo sterno. Era preoccupazione? Inquietudine? Stordita gelosia?
Uscirono sulla veranda. «Non avete idea di cosa non avrei dato per ritrovarvi!» esordì Ada, a voce bassa, cospiratrice. «Quello che avete fatto in Goudhurst Close è stato s―»
«Sconveniente» esalò Anna. «Sì. Lo so.»
«Sublime.»
«Eh?»
«Su - bli - me! Grazie!»
«Ah...» Anna non ricordava di essere mai stata ringraziata con tanto ardore per aver picchiato qualcuno. «Ehm... prego. E grazie a voi per non aver detto nulla davanti a mia zia.»
«Non avrei mai potuto farlo. Pensate forse che i miei fratelli sappiano quanto accaduto al negozio di pegni?»
«Già - e esattamente che cos’è che stavate facendo? Chi era quella ragazza?»
«Si chiama Jenny Lee. È ― era la domestica personale di quel Bernbaum. Ma altro che banco dei pegni! Quello è un vero e proprio strozzino. E un uomo orribile. Non soltanto pagava Jenny una miseria, e la batteva in continuazione, ma è arrivato perfino a...» Ada volse lo sguardo davanti a sé e serrò le labbra: d’un tratto, pareva sopraffatta, dallo sdegno e dalla frustrazione.
Anna comprese.
«Se lo avessi saputo, l’avrei colpito con più forza.»
«Io le dissi di lasciare il lavoro. Promisi che mi sarei adoperata per trovarle un altro posto. Ma lei aveva troppa paura. Credo che Bernbaum le avesse letteralmente logorato le forze. Mentali, oltre che fisiche. La terrorizzava. Non riusciva a reagire. Alla fine, capii che non sarebbe mai riuscita a scappare da sola.»
«E così l’avete portata via voi.»
«Dovevo fare qualcosa, prima che fosse troppo tardi. Non sto esagerando quando dico che c’era la possibilità che lui, in uno dei suoi scoppi d’ira, arrivasse ad ammazzarla. Per sbaglio o di proposito.»
«Avete fatto la cosa giusta. È siete stata molto coraggiosa.»
«Però, avrei dovuto essere più prudente. Non fosse stato per il vostro intervento...»
«Lo sarete la prossima volta. Ma che ne è di Jenny? È al sicuro?»
«Mia nuora aveva bisogno di una nuova cameriera da mettere in cucina. L’ho convinta ad assumere Jenny. Augusta non sa nulla del passato della ragazza e a King Street Jenny è al sicuro. In tutta sincerità, temo ancora una ripicca da parte di Bernbaum, ma lui non si è fatto vivo. ― Sia come sia, adesso sono in debito con voi, miss Hawkins. Se in futuro dovreste aver bisogno di qualunque cosa, non avete che da chiedere.»
Anna scosse il capo.
«No, non ci sono debiti. È sufficiente che questa storia rimanga tra di noi.»
«Lo sarà. Ma, se posso chiedere, dove avete imparato a picchiare a quel modo?»
«In Canada» buttò lì Anna.
«Oh... ehm...»
Prima che Ada potesse tirarsi fuori dalla vaghezza della risposta, Anna si affrettò a trascinare l’argomento verso altri lidi: si chiedeva se Ada fosse, in qualunque misura, a conoscenza del genere di relazione esistente tra la zia Woodhams e il fratello.
«Non ho intenzione di chiedervi favori, però, potreste togliermi una curiosità.»
«Dite pure.»
«Avete detto che vostro fratello vi ha parlato di me. In che termini?»
Ada sorrise. «Non dovrei tradire le confidenze tra fratello e sorella.»
«È un modo per evitare di dirmi che vostro fratello ha una pessima opinione di me?»
«Ma no!» rise Ada. «Vi trova peculiare: ecco la verità. Quasi veniste da un altro mondo. ― Perché vi interessa l’opinione di mio fratello?»
Anna vide una buona occasione; e la colse. Spolverò sulla frase una misera dose di pudico imbarazzo verginale, affermando: «Mio zio scherza sempre su un matrimonio tra me e vostro fratello. Almeno, io credo che scherzi.» Fissava di sguincio il profilo di Ada, pronta a cogliere ogni sfumatura della sua reazione.
Ada schiuse le labbra. Sorrise. E sospirò. «Io sarei felice di avere una sorella come voi.» E poi, dopo una pausa, mentre il sorriso perdeva forza, disse: «E sarei felice di vedere William mostrare interesse in una donna.»
«Lui non è interessato alle donne?»
«Non più negli ultimi anni.»
Ada rallentò il passo.
«Non volevo essere indiscreta» disse Anna. Ma la curiosità scalciava sotto la costruita calma. «È solo... che vostro fratello sembra aver un carattere così chiuso e io non so mai come parlargli.»
«Lo so. È introverso. Lo era anche da bambino» riprese Ada, quasi a mo’ di rassicurazione. Tacque per qualche istante. «Ha l’anima in pena e il cuore in lutto.»
«Ha perso qualcuno?»
«L’amore della sua vita.»
«E chi era?»
Anna non fingeva nemmeno più di voler trattenere le domande.
«Si chiamava Florance. William la conobbe a Londra, subito dopo aver concluso gli studi, all’università. Veniva da una famiglia di piccoli borghesi, onesti ma affatto ricchi ― Florance e William, però, erano spiriti affini. Persino nostro padre, che aveva sempre un occhio rivolto al borsello, non poté rifiutarsi di acconsentire al fidanzamento, tanto era innegabile la sincerità del legame.» Ada fece una pausa, scandita da un debole sospiro. «Ma Florance contrasse il mal sottile. E pochi mesi dopo la sua scomparsa, venne a mancare anche nostro padre: da anni la sua salute si era fatta debole. Per William fu tutto doppiamente più doloroso. Si trasferì a Londra. Facendoci avere sue notizie a distanza di settimane: lettere brevi e aride di dettagli. Conoscendo il carattere di mio fratello, ebbi timore che cercasse sollievo indulgendo in comportamenti distruttivi.» Guardò Anna e abbozzò un sorriso dolente. «Paure infondate: William è sensibile, ma non un debole, non possiede un solo grammo di depravazione in corpo. Si stava dedicando alla scrittura.»
«Ada!»
Anna e Ada si voltarono: William era entrato nella veranda. Le raggiunse.
«Ada, per noi è ora di andare.»
Ada mimò un broncio, scacciando la serietà. «Peccato. Io e miss Hawkins stavamo discorrendo con tanto piacere. Di te.»
«Sono un interessante soggetto di conversazione?»
«Non particolarmente» decretò Ada.
La carrozza degli Hall scendeva il viale e Anna, dal portico, la scrutava; con le labbra pressate, lo scialle attorno alle spalle e le braccia strette sotto al petto. Indulgeva in un effimero senso di sollievo. Ada Hall le piaceva, diversa come sembrava dal fratello e da sua zia. Inoltre, quanto le aveva confidato riguardo a William, rendeva assolutamente impossibile una relazione tra William e sua zia. ‘Ammesso che’ si insinuò una vocina, ‘il lutto non sia una copertura.’ Scosse il capo. Doveva smetterla di essere sospettosa. Restavano, comunque, altri quesiti: perché la zia Woodhams aveva ricevuto lo scrittore in camera da letto? Era stati davvero nella nursery? Cosa aveva fatto urlare la zia? Perché si era sentita male?
Anna rientrò.
La signora Woodhams era ancora nel parlour. Sedeva con la cartellina del signor Hall in grembo e ne carezzava i bordi con i pallidi polpastrelli. Anna le si avvicinò, cogliendo la possibilità di studiarla con attenzione. Era arduo decidere se fosse più pallida del solito; certo non aveva un’aria stanca o malaticcia. Ed era perfettamente in ordine: l’acconciatura impeccabile, la chatelaine alla cintura, orecchini ai lobi e uno smeraldo alla mano destra.
«Oggi vi sentite meglio, signora?»
«Sì.»
«Posso chiedervi cosa vi ha causato un malore?»
«L’età» rispose imperturbata la donna «Ti prego di non parlarne a tuo zio. Non c’è bisogno di farlo preoccupare inutilmente.»
Anna non rispose.
«Dunque?»
Anna continuò a tacere e la zia volse lo sguardo su di lei.
«Io credo che dovrebbe saperlo.»
«Ciò che che tu credi non ha importanza. Tuo zio può non darlo a vedere, ma è un uomo anziano, stanco e carico di responsabilità. È il suo lavoro a permetterci di vivere nell’agio. Il minimo che possiamo fare è evitare infastidirlo per ogni piccola paturnia.»
Anna inspirò.
«Va bene. Non dirò nulla. Però...»
«Cosa?»
«Lily mi ha detto di avervi sentita urlare.»
«Che sciocchezza. Nessuno urla, in questa casa. Lillian è una ragazzina sciocca e impressionabile, come tutte le cameriere.»
«Non è nessuna delle due cose. È attenta e intelligente. Ma ci avete mai parlato?»
«Non è mia abitudine fare conversazione con i domestici. Ed esigo da te lo stesso comportamento.» Allungò la cartellina alla nipote. «Va’. Fa il tuo dovere. Il signor Hall vorrà sapere cosa ne pensi del suo lavoro.»
Anna tirò via la cartellina dalla mano della zia.
«E voi che ne pensate? Il signor Hall è tutto ‘spettri e fanfaluche’?»
«Non avrei potuto esprimere meglio il pensiero.»
In camera, Anna si gettò bocconi sul letto. Aprì la cartellina. Sul primo foglio lesse solo il titolo del racconto e il nome dell’autore. La calligrafia, inconfondibilmente maschile, era curva e sottile, ma pulita e  leggibile.

Danse macabre

W. D. Hall

*

Il giorno seguente, lo zio Woodhams tornò a Bon Fleur. E non fu un ritorno a mani vuote. Aveva un dono per la moglie: attrezzi per il cucito, in una scatolina in madreperla a forma di conchiglia. E aveva un dono per la nipote: un orologio.
«Zio, spendete troppo denaro per me» disse Anna, rigirandosi l'orologio tra le mani. Era d’argento, ammirevole sia come opera di orologeria che di gioielleria; la cassa era incisa con roselline in boccio e la catenina era più sottile di un lavoro all'uncinetto.
Dalla poltrona della biblioteca, lo zio Woodhams le rivolse un sorriso mite e sonnacchioso. Quella sera un bicchierino, riempito di cognac, aveva preso il posto della pipa.
«È una cosa di poco conto.»
«Anche se lo fosse, quel che avete speso per l'orologio va a sommarsi con il denaro per tutti quegli abiti.»
«Non discutiamo di soldi, Anna» ribatté lo zio. «Come se non ne sentissi parlare già a sufficienza a lavoro.» Fece il gesto di avvicinare il bicchiere alle labbra, ma si bloccò a metà, abbassando la mano verso il bracciolo. Respirò a fondo.
Anna, seduta sul tappeto ai piedi della poltrona, alzò lo sguardo sullo zio: in quel volto anziano leggeva i chiari segni di stanchezza. Lo sguardo era opaco, le borse sotto gli occhi gonfie e scure, ed era la prima volta che vedeva un'ombra di barba ingrigire le molli guance. Forse la signora Woodhams aveva ragione: lo zio lavorava molto ― troppo ― per un uomo della sua età.
«Siete stanco, zio.»
«Sì» ammise lui. «Colpa della vecchiaia. Ormai, anche i viaggi più brevi iniziano a pesare. E la mia compagna ― l'insonnia ― non vuol saperne di abbandonarmi. Tanto più che niente mi rende più difficile prender sonno come il cambiare letto ― non che l'albergo di Londra non fosse dotato d’ogni comodità.» Che lo zio fosse svigorito ma sempre incline alle chiacchiere fu per Anna motivo di sollievo. Reclinò il capo e appoggiò la tempia al ginocchio dello zio. Seguì la rassicurante danza delle fiamme nel caminetto. Fuori, il vento soffiava feroce; e la villa gemeva.
«Non vedo l’ora di poter andare a Londra.»
Il signor Woodhams le carezzò la nuca con le sue dita tozze e gentili.
«Andremo. Presto.»
«Però, ditemi una cosa: è davvero importante, per voi, che io mi sposi?»
«Per te non lo è?»
«Non lo so. Ma so che non voglio un marito che mi tratti male. O che si vergogni di una moglie bianca solo per metà. Preferisco restare zitella per tutta la vita che ritrovarmi infelice e in trappola.»
«E io non ti spingerei mai ad accettare una proposta sbagliata» disse lo zio. «In cuor mio, sarei felice anche se restassi ad accudire questo tuo noioso zio fino all’ultimo dei suoi giorni. Ma chi rimarrà a far compagnia a te, quando io e la signora Woodhams non ci saremo più? Senza fratelli o cugini, vorresti davvero restare in questa casa, a invecchiare da sola?»
«Esistono destini peggiori della solitudine.»
«Sì. Forse, sì.»
Anna stava per alzare la testa, quando il signor Woodhams aggiunse: «Adesso, ti andrebbe di leggere qualcosa per me? Questa sera, mi sento assillare da brutti ricordi. Sii cara e aiutami a distrarmi. Leggimi Verne. Verne mi mette sempre di buon umore.»
E Anna non poté rifiutare.

*

Il pomeriggio dell’atteso venti di novembre, Lily non conobbe un attimo di respiro. Nelle vesti di cameriera personale, dovette aiutare la signora Woodhams a prepararsi per la cena. Poi, in gran fretta – perché le lancette della pendola erano sempre più vicine al numero sette - dovette soccorre Anna, finita in balia di gancetti, lacci e bottoni. Quando le riuscì di infilare Anna nel vestito, arrivò il momento dei capelli: armata di ferro arroventato tra le braci, riuscì nel miracolo di mutare la liscia cascata corvina in un trionfo di boccoli, da arroccare in un’acconciatura raccolta.
«Perfetto» sospirò, fermando l'ultima forcina. Poggiò le mani sulle spalle di Anna. Mirò il risultato dei suoi sforzi nel riflesso allo specchio del vanity. E sbuffò. «Tutti i riccioli del mondo non serviranno a nulla se terrai su quell'aria da funerale per tutta la sera.»
Anna, tenendosi ben stretta l’aria da funerale, rifilò uno sguardo alla finestra.
Era buio pesto. E pioveva a dirotto.
Ammise a voce alta ciò di cui era intimamente consapevole dal giorno stesso dell’invito. «Non ci voglio andare.» Sapeva di suonare piagnucolosa e irriconoscente, ma non poteva mentire a se stessa e fingersi entusiasta. Sentiva lo stomaco annodato, un grumo sassoso in gola e un accenno di palpitazioni. E il fatto che, a partire dalla mattina, la zia Woodhams l'avesse costretta a un semidigiuno, per assicurarsi di farla entrare in un bustino stretto al limite, non migliorava il suo stato d’animo.
«Sopravviverai» la rassicurò Lily. Si sporse in avanti per prendere il girocollo di raso, sul piano del vanity.
«Mi fisseranno tutti.»
«Lo spero bene ― con la fatica che ho fatto per prepararti!»
«Penseranno che sono una... una... scimmia che cerca di atteggiarsi a signora.»
«Smettila di dirti cattiverie.» Lily annodò il nastrino al collo nudo di Anna e Anna sentì i polpastrelli delicati soffermarsi a carezzarle la pelle, appena sotto il fiocco del girocollo. «Sei incantevole. Solo perché sei diversa dalle altre, non vuol dire che tu non sia bella.»
Ma Anna continuava a interrogare il proprio sconsolato riflesso.
«E se mi chiedono di parlare? Io non so fare conversazione.»
«Ma come? Con tutte le ore trascorse con madam, possibile che tu non abbia imparato nulla?»
«Io... io... ho dimenticato!» sbottò Anna. «Tutte quelle regole. Ho in testa una gran confusione!» Lasciò lo sgabello, proprio mentre Lily le porgeva i guanti. Anna li indossò, a forza di strattoni: erano lunghi fin oltre il gomito. Poi, ricevette il ventaglio, da allacciare al polso destro, e la borsetta a sacca, piena di frange. «Magari posso ancora dire di non sentirmi bene...» borbottò.
Lily non sembrava volerle dare ulteriore spago. «Non ricordo se ho messo un fazzoletto nella borsetta.» E si mosse verso la cassettiera.
Ma Anna, aperta la borsetta, la rassicurò. «Lo hai fatto: eccolo.» Serrò le labbra e aggrottò la fronte. Tirando fuori il fazzoletto, aveva notato un dettaglio: «Questo non è uno dei miei.»
«Oh! Devo aver fatto confusione rimettendo in ordine la biancheria.»
«Chi è ‘M.’?»
Lily fissò Anna, senza capire.
Anna le mostrò il fazzoletto: su un angolo, c’era un’iniziale ricamata. La lettera M.
Lily batté le palpebre e poi, lentamente, corrugò la bella fronte.
«Non saprei...»
«La signora Blackwell, forse?»
«No. Ho sentito Bert chiamarla per nome. Si chiama Sophia.» Lily prese il fazzoletto dalle mani di Anna. «Oh, be’...» E lo sostituì con uno preso dal primo scomparto della cassettiera.
Un colpo secco risuonò contro la porta della camera, che si aprì senza che Anna avesse pronunciato il permesso. La zia Woodhams entrò, imperiosa, avvolta nel velluto nero, dai riflessi bluastri, di un abito dal lungo strascico. Grossi orecchini ― due gocce di onice ― ondeggiavano ai lati del suo viso, mentre avanzava verso la nipote.
Lily, indegna di attenzione, dovette farsi alla svelta di lato per evitare di venir travolta dalla padrona.
La signora Woodhams esaminò Anna, facendo scorrere due volte lo sguardo da capo a piedi, e a ritroso, come ad accertarsi che non una singola piega del vestito cadesse nel modo errato. Poi, alzò una mano e serrò il mento di Anna tra indice e pollice. La obbligò a voltare il capo, prima da un lato e poi dall’altro, mentre le palpebre si stringevano sulle iridi scure e indagatrici. Era la prima volta che la zia toccava Anna ― e Anna ne ricavò la sensazione di essere una capra al mercato.
«Bene. Non sei impresentabile» decretò la signora. «Andiamo. È tardi. La carrozza è pronta.»
Uscì. E Anna si affrettò a seguirla, mentre Lily chiudeva la breve processione.
«Ricordati» iniziò la zia Woodhams, mentre scendeva la scala a chiocciola. «Parla poco ed educatamente. Non fare domande invadenti e non dare risposte sconvenienti. Se sei in dubbio su cosa dire, taci e sorridi. A labbra chiuse. E mi raccomando: non stringere la mano, non rivolgere la parola a chi non ti è ancora stato presentato ― aspetta sempre che io o tuo zio, o i padroni di casa, ti introducano ― e, sopratutto, non fare smorfie.»
Anna non stava ascoltando. Era troppo occupata a scongiurare di pestare lo strascico della zia.
Sul portico, attendeva Bert: aperto l'ombrello, l’uomo scortò prima la padrona fino alla vettura. Poi, tornò indietro per Anna. Salendo in carrozza, con una certa sorpresa, lei scoprì che lo zio non era ancora lì.
Lo attesero, mentre l’acqua batteva sul tettuccio della carrozza: era un rumore assordante, come una pioggia di sassi. E continuarono ad attendere. Ma dello zio Woodhams nessuna traccia.
Spazientita, la signora Woodhams bussò contro la parete, per chiamare Bert.
«Dov’è il signor Woodhams?» chiese, al vecchio cocchiere, il cui cappello e pastrano grondavano penosamente acqua.
«Non lo so, madam» ammise Bert, con la sua fiacca e tremula voce. «Dev’essere ancora in casa.»
«Va a chiamarlo. Subito.»
Bert obbedì. Tornò in capo a una manciata di secondi: il signor Woodhams era con lui.
Lo zio salì in carrozza e prese posto accanto alla nipote: era elegantissimo, con i guanti bianchi e il suo miglior bastone da passeggio; il viso rasato, le candide basette pettinate e gli aleggiava attorno un buon odore di colonia.
«Dove eravate?» lo interrogò la moglie.
«Chiedo perdono. Mi sono attardato più del dovuto nello studio.»
«Arrivereste tardi anche al vostro funerale, marito mio.»
Il signor Woodhams sorrise e colpì il tettuccio della carrozza con il bastone. Si udì uno schiocco di frusta e, con un debole scossone, la carrozza iniziò a muoversi.










➽ Note autrice.
Siamo ormai (quasi) a metà di questa (dis)avventura vittoriana e io ringrazio, oltre ai lettori che mi stanno ancora seguendo, anche i recensori del capitolo precedente. Risponderò il prima possibile!
Per finire, vi anticipo che la prossima settimana - probabilmente, non sono ancora sicura al cento per cento - pubblicherò due capitoli. Avremo a che fare che un evento di quelli grossi e non voglio farvi soffrire troppo l’attesa.

   
 
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