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Autore: Nykyo    23/07/2016    2 recensioni
Dorian amava la biblioteca di Skyhold. A volte si infuriava, trovandola caotica e disordinata, e faceva il possibile per rimediare, ma quell’angolo del castello era di gran lunga il suo preferito, anche perché era un ottimo “punto di vedetta”. Un luogo di passaggio per gli agenti dell’Inquisizione, per gli studiosi o per i maghi come lui in cerca di testi specifici, così come per le spie che si recavano a fare rapporto e, naturalmente, per l’Inquisitore. Lavellan spesso andava a trovarlo o percorreva svelto, quasi trottando, la balconata circolare, diretto al piano di sopra alla voliera per consultarsi con Leliana e affidare un messaggio alle ali scure dei corvi.
Era la prima volta, però, che Dorian vedeva il Comandante Rutherford aggirarsi tra gli scaffali carichi di tomi di ogni tipo. Non che ritenesse l’ex Templare un bruto incolto, ma non gli era mai successo di poterlo osservare mentre era intento nella ricerca di un libro, e per di più al di fuori della sezione dedicata alle armi, alla strategia e alle tecniche di battaglia.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Cullen, Dorian Pavus
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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4. della fase finale del corteggiamento

 

Lo studio di Cullen era sempre immerso nella penombra, quasi come la biblioteca. Aveva un arredamento pratico e abbastanza spartano, ma non era privo di un tocco personale. Il che saltava all’occhio di chiunque fosse in grado di leggere oltre le apparenze e capire che l’uomo che trascorreva gran parte del suo tempo in quella stanza non era né incolto né privo di gusto.

Dorian si guardò intorno e sorrise nel notare che, tra i libri che Cullen teneva nei piccoli scaffali abbastanza ordinati, ora c’era anche qualche romanzo. La prima volta che era stato lì, per riferire un messaggio dell’Inquisitore e chiedere a Cullen quando prevedeva di dargli una rivincita a scacchi, i tomi ben tenuti, proprio come quelli impilati sulla scrivania, erano stati tutti trattati a tematica militaresca, a parte un paio riguardanti i Templari e qualche altro che parlava di magia.

Sì, Dorian aveva notato fin dal primo giorno parecchi tra i titoli e l’aveva fatto in poco più che un colpo d’occhio. Quando uno era abituato a svolgere ricerche e stilare una bibliografia – cosa che spesso lui aveva fatto anche per ragioni di studio e nell’assistere il suo mentore Alexius – non era difficile farsi un’idea precisa del contenuto di una libreria e dei gusti o degli interessi del suo proprietario. Quelli di Cullen erano meno diversi dai suoi di quanto si potesse pensare.

Dorian l’avrebbe fatto notare a Cullen, se lui si fosse finalmente deciso a sollevare il naso dal rapporto che stava leggendo.

Dorian aveva bussato alla porta dello studio svariati minuti prima e Cullen l’aveva invitato a entrare, ma non era ancora riuscito a concedergli la propria attenzione.

La sua scrivania era disseminata di carte varie. Le missive con i loro sigilli in ceralacca, spezzati e di colori e fogge diverse, spiccavano sul mare di documenti e sulle mappe solo in parte ripiegate.

Dorian aveva chiesto se quello fosse un brutto momento e Cullen aveva scosso il capo, scoccandogli un’unica occhiata prima di immergersi nella lettura.

Era arrossito nel vedere il proprio mantello che gli pendeva da un braccio, o era stata solo un’impressione di Dorian? Probabile che si stesse sbagliando, era difficile capirlo in quella semioscurità.

Nel frattempo erano entrate un paio di guardie e uno degli emissari di Leliana. Tutti e tre avevano aspettato conferma di poter conferire con Cullen, malgrado la sua presenza, e Dorian era certo che ciascuno di loro avesse notato il mantello che aveva con sé. Era un capo d’abbigliamento così unico e riconoscibile.

Cullen non aveva paura dei pettegolezzi che potevano sorgere da un gesto altruistico come quello che aveva compiuto la notte prima? La gente ci metteva così poco a traviare il senso di una cortesia, leggendo chissà quali intenti anche nel mero buon cuore.

Dorian ci rimuginò sopra nell’attesa e si disse che in effetti gli abitanti di Skyhold avevano sempre avuto materiale di che parlare alle spalle sue e di Cullen.

Un uomo rigoroso e ligio al dovere come Cullen Rutherford, con un senso della morale tanto spiccato e la tendenza a mostrarsi misurato e mai sopra le righe, che ogni volta che gli avanzava del tempo libero lo trascorreva giocando a scacchi con lo scandalo umano proveniente dall’abominevole Impero del Tevinter. E non in privato – per quanto la troppa privacy avrebbe destato comunque sospetti – ma nei giardini del castello, sotto gli occhi di tutti. Se Cullen avesse voluto evitare l’insorgere di qualunque tipo di diceria non lo avrebbe frequentato affatto. Inoltre non era uno sciocco e il suo essere ai vertici di un esercito dimostrava che era capace di pianificare e di prevedere in anticipo le conseguenze delle proprie azioni.

Con tutti i dubbi che spesso lo assalivano Dorian, che volesse ammettere o meno di essere insicuro, non riusciva proprio a credere che a Cullen importasse delle dicerie che avrebbero potuto cominciare a girare. Non riusciva a convincersi che, quando l’aveva coperto in quel modo, Cullen non avesse immaginato che qualcuno a parte loro due potesse accorgersene. Anche a prescindere dalla decisione di andare a riportargli la sua cappa in pieno giorno e senza sgattaiolare nel suo studio di nascosto, sarebbe bastato che Dorian, anziché risvegliarsi in una biblioteca ancora deserta, avesse dormito più a lungo. Chiunque frequentasse la balconata oltre lui, di passaggio o per consultare un testo, l’avrebbe addirittura visto immerso nel sonno con il mantello di Cullen drappeggiato addosso come una copertina su un neonato.

Quindi, in realtà, era possibile che poco prima Cullen non fosse arrossito affatto. Di certo non aveva dato cenno di nervosismo all’arrivo della spia e delle due guardie. Sembrava soltanto assorto nel lavoro e deciso a venirne a capo subito per poi potergli dedicare la propria attenzione.

Dorian si preoccupava comunque delle possibili chiacchiere a venire. Se si fosse trattato di maldicenze sul suo conto poco male, se ne sarebbe infischiato, o avrebbe finto con classe di farlo. Cullen però non meritava di ritrovarsi nei guai per colpa sua. Cullen era considerato una persona con un’etica ferrea e Dorian si domandava se la sua vicinanza potesse risultargli nociva. Non ci teneva a rovinargli la reputazione, sebbene Cullen fosse convinto di averne una già abbastanza incrinata. Eppure girargli alla larga era difficilissimo. Dorian si sentiva attratto verso di lui come una falena lo era dalla fiamma brillante di una candela.

Quando finalmente Cullen posò i documenti e raddrizzò la schiena, Dorian decise di ricompensarlo con un sorriso più aperto che sornione, in segno della propria gratitudine per la carineria della notte precedente.

Cullen fece una mezza smorfia, quasi che fosse incerto su quanto sorridere a sua volta oppure un po’ imbarazzato all’idea di aver fatto aspettare il suo ospite così a lungo. Come suo solito si portò una mano alla nuca, giocherellando distratto con una ciocca ribelle, poi aggirò la scrivania e raggiunse Dorian al centro della stanza.

Dorian, che aveva atteso appoggiato alla scala di legno che portava al piano di sopra, abbandonò la posa studiata che aveva scelto per darsi un tono senza apparire annoiato e gli tese il mantello.

«Grazie» disse con semplicità, scegliendo per una volta di lasciar perdere le facezie e i giri di parole. In fondo era lì per fare chiarezza, se non altro nei suoi sentimenti.

«Dormivate troppo profondamente, non ho avuto cuore di svegliarvi» rispose Cullen, con un tono che faceva pensare che stesse provando a giustificarsi. Dorian lo fissò dritto negli occhi e Cullen gli diede l’impressione di essere tentato di sviare lo sguardo. Alla fine non lo fece. Invece sorrise a sua volta e si strinse nelle spalle. «Vi lamentate di continuo del clima, dite sempre che finirete con il morire di polmonite in queste lande barbare e ventose. Non potevo lasciare che una sorte così grama stroncasse il mio avversario preferito. Con chi giocherei a scacchi se vi si congelassero quelle dita lunghe e ingioiellate? A chi darei ogni volta delle sonore batoste?»

Dorian rise e gli porse di nuovo il mantello che Cullen non aveva ancora afferrato. Nel farlo notò che, curiosamente, le sue spalle sembravano ancora più ampie senza la rigogliosa pelliccia che di norma le incorniciava.

Quando le loro dita si sfiorarono, come era già successo tempo addietro in biblioteca, Dorian avvertì una scossa che partiva dall’inguine e saliva verso il cuore. A differenza della prima volta, non perse la compostezza.

Non era un bambino e non era stupido. Sapeva di provare anche desiderio. Il ricordo della notte in cui Cullen aveva perso contro Josephine a Grazia Malefica era vividissimo nella mente di Dorian. Il corpo nudo e statuario, la pelle chiara e perfetta, là dove non era segnata da qualche cicatrice, ogni dettaglio gli si era impresso nella memoria.

Se si fosse trattato solamente della voglia di marchiare quel bel collo virile e candido, con le labbra e con i denti, Dorian ci avrebbe bevuto su e tanti saluti. Se ne sarebbe fatto una ragione. Si sarebbe limitato a concedersi di tanto in tanto senza troppa vergogna un piacere solitario che non avrebbe potuto nuocere né a lui né a Cullen. Invece si rendeva conto di non essere attratto solo fisicamente e cominciava sul serio a pensare che la cosa più giusta da fare fosse farci i conti, a rischio di perdere un amico prezioso.

«Ci saranno un mucchio di pettegolezzi» disse, dando voce ai dubbi di poco prima, «non ti dispiace? Cosa diranno i tuoi soldati che mi hanno visto qui, con il tuo mantello sottobraccio? Cosa dirà Madre Giselle quando lo verrà a sapere? Penserà che sto esercitando la mia pessima influenza di pecora nera anche su di te, adesso, non pago dei miei tentativi di corrompere l’Inquisitore e rovinare una volta per tutte la sua immagine ufficiale? Davvero non ti importa?»

Non aveva mai usato un tono così poco formale con Cullen prima di allora. Le loro discussioni erano sempre state vivaci, spesso scherzose, a volte, specie negli ultimi tempi più serie del previsto e molto personali, ma un minimo di distanza almeno nei modi era stata sempre mantenuta.

Dorian aspettò di vedere che reazione ci sarebbe stata al cambiamento e non si stupì nel sentire il morso dell’ansia. Cullen, però, non mostrò la minima traccia di turbamento o di disappunto.

«No» ammise con semplicità e una punta di divertimento. «Non è questo il tipo di giudizio che temo. Se basta così poco per distrarre tutti dal pensiero incombente di Corypheus, lasciamoli chiacchierare. Nel peggiore dei casi avremo fornito materiale utile a risollevare il morale generale. Alle truppe potrebbe far bene e Madre Giselle se ne farà una ragione.»

Dorian tentò di mascherare il proprio stupore e il sollievo immenso che stava provando, ma con dubbio successo.

Avrebbe dovuto prendere quelle affermazioni alla leggera, così come con leggerezza erano state poste. Era ovvio che, proprio come previsto, Cullen non fosse per nulla inquieto all’idea delle voci che potevano iniziare a correre. Era altrettanto ovvio che stesse anche scherzando.

«E di me?» chiese Dorian, incapace di trattenersi. «Non hai mai paura di me?»

Cullen, che si era voltato per appoggiare il mantello sul ripiano della scrivania, tornò a fronteggiarlo con un sopracciglio inarcato. «Dovrei?»

Dorian si avvicinò allo scaffale e finse di esaminare il dorso dei libri. «La maggior parte della gente lo fa. Anche qui a Skyhold. Sono un mago del Tevinter, è come se avessi scritto “Male Assoluto” sulla fronte. E considerando quello che mi hai raccontato sul tuo passato…»

Cullen emise una specie di sospiro dolente. «Se confidartelo è servito solo a farti credere che potrei temerti o sentirmi a disagio in tua presenza, forse avrei fatto meglio a tacere.»

Dorian si sentì stupido e provò una fitta di senso di colpa. «No» affermò, conscio di quanto calore stava mettendo in quell’unica sillaba. «No, sono lieto che tu ti sia confidato con me, lo… lo considero un onore.»

Andraste, stava diventando patetico, oltre che eccessivamente sincero!

La labbra di Cullen, intanto, curvarono più che mai verso l’alto, mettendo in evidenza la cicatrice che le solcava e il bianco perfetto dei denti. Gli occhi gli brillavano e Dorian aveva voglia di allungare una mano e sfiorargli una gota.

Come diavolo faceva un uomo tutto d’un pezzo come Cullen a sfoderare espressioni come quella? Il suo sguardo era fin troppo eloquente e lo stava trapassando da parte a parte.

Dorian avrebbe dovuto muovere un passo indietro e invece ne mosse uno in avanti.

«Qualunque cosa succeda» dichiarò, fissando Cullen in viso, «di me non dovrai mai avere paura, Comandante, questo te lo giuro. So che sono un mago, so che l’esperienza ti ha insegnato che possiamo diventare mostri, anche senza bisogno di trasformarci in abomini, ma hai la mia parola d’onore. Sulla mia vita, Cullen Rutherford.»

Era un’affermazione così piena di implicazioni e tanto estrema che a Dorian ci volle una manciata di secondi prima di realizzare che l’aveva detto davvero e che era disposto a tutto pur di mantenere fede alla parola data.

Cullen scosse il capo in una maniera che aveva del solenne. «Non ho paura di te,  Dorian, te l’ho detto.» D’un tratto si fece mortalmente serio, prima di continuare. «So di essermi dimostrato diffidente all’inizio, ma non ti conoscevo affatto» ammise. «Sei un uomo coraggioso, Dorian. Hai lasciato il Tevinter e tutto ciò che amavi per rimanere coerente con le tue idee. Hai aiutato l’Inquisizione malgrado il disprezzo e la sfiducia che ti sono stati dimostrati e, quando ti ho confessato le mie debolezze, anziché giudicarmi hai compreso e hai cercato di renderti utile. In te c’è molto di più di quanto appare. Inoltre…»

Dorian non fece nulla per riempire la lunga pausa di silenzio che seguì. Aspettò che Cullen ricominciasse a parlare e nel frattempo continuò a sostenere il suo sguardo.

«Ho… quello che ho passato mi ha reso a lungo una brutta persona…» Era evidente che, malgrado ne avessero già discusso in passato, Cullen faticava ancora a esprimersi su quegli argomenti. «Il rancore che provavo verso i maghi, il terrore, la voglia di vendetta… Ah! Ero cieco e in torto e ho sbagliato tutto.» Sospirò e si passò per l’ennesima volta una mano nervosa tra i capelli. «Amici come Hawke mi hanno aiutato a cambiare idea, Dorian, e tu hai fatto altrettanto. Ti piace mostrarti fatuo e noncurante, ma sei leale e generoso e no, non ho paura di te. A dire il vero non mi sono mai sentito così tanto a mio agio accanto a nessun altro mago in vita mia. Mi fido di te, Dorian Pavus. Ti affiderei la mia vita senza un dubbio o un ripensamento.»

Dorian si accorse di aver smarrito il sarcasmo. Sapeva di non poteva rispondere sempre e solo con l’ironia, ma tanto più una situazione si faceva intima e coinvolgente tanto più il suo istinto era di fingere di non darle peso. Era una difesa automatica così come millantare che la disapprovazione dei suoi genitori non facesse male. In quel momento, però, Dorian non trovava nulla di sciocco da blaterare per farsi scudo e non era certo di volerlo trovare.

Cullen aveva appena affermato che lo considerava coraggioso. Buffo! Quando si trattava di seguire i propri sentimenti Dorian si sentiva spesso un codardo.

Eccolo lì, con il cuore che batteva come un tamburo di guerra e una vocina querula nella mente che gli diceva di scappare. Proprio per quello Dorian decise di ignorarla e di ribellarsi.

Un passo ulteriore in avanti e fu vicino a Cullen al punto da perdersi in nelle sue iridi color miele. Cullen aveva occhi buoni, che si accendevano di gioia troppo di rado e che nascondevano pozzi senza fondo di dolore e rimorso.

Dorian allungò una mano, la chiuse a coppa sulla nuca di Cullen e lo attirò a sé.

Trattenne il fiato per un istante che gli parve eterno, aspettando di sentirsi spingere via e di essere travolto dall’indignazione o gelato da un gentile diniego. Appena capì che non sarebbe stato scacciato il suo petto si strinse tanto da fare male.

Con le labbra già dischiuse Dorian cercò quelle di Cullen e le trovò arrendevoli e molto più morbide di quanto si sarebbe aspettato. La barba corta e curata gli solleticò guance e mento. Era una sensazione irreale e meravigliosa.

Cullen gli cinse la vita con le braccia e Dorian provò il moto di esultanza più totalizzante che avesse mai sperimentato in tutta la sua esistenza. Forse era una follia e si stava solo illudendo, ma non voleva rinunciare a quell’attimo perfetto per nulla al mondo.

Come se avesse percepito la sua incertezza, Cullen rese il bacio più profondo e volitivo, trascinandolo con un’audacia sorprendente. Dorian gli si premette addosso e malgrado l’acciaio dell’armatura avvertì tutto il suo calore. Erano eccitati entrambi, però nessuno dei due sembrava intenzionato ad andare oltre i baci. Non ancora.

Dorian aveva bisogno della possessività con cui Cullen lo stava stringendo e Cullen sembrava sciogliersi un po’ di più ogni volta che una nuova carezza gli percorreva la nuca e il collo. Le dita di Dorian si tuffarono tra i corti riccioli biondi, scompigliandoli e spezzando le onde disciplinatissime in cui erano stati acconciati. Cullen sospirò sulla sua bocca e lo baciò con maggior struggimento, addirittura con languore.

Se non avessero bussato alla porta – ed era un piccolo miracolo che nessuno fosse entrato fino ad allora, senza nemmeno chiedere prima il permesso – il bacio sarebbe durato ancora chissà quanto a lungo.

Dorian lasciò la presa subito, preoccupato che il visitatore non aspettasse di sentirsi dire che poteva farsi avanti e li sorprendesse ancora abbracciati. Se fosse stato per lui forse non ci avrebbe badato, ma pensava davvero che Cullen non meritasse di essere trascinato per causa sua in una girandola di pettegolezzi.

Malgrado ciò, nel notare che Cullen esitava e lo stava sciogliendo dalla stretta con tutta calma, Dorian provò un moto di puro orgoglio.

All’ingresso di un giovane soldato di origini elfiche Cullen si ricompose del tutto. Raddrizzò le spalle e assunse un tono greve e formale. Dorian rimase a guardarlo ascoltare il breve rapporto, firmare un ordine e impartire istruzioni varie, finché il suo sottoposto non salutò entrambi e li lasciò di nuovo soli.

Dorian si era aspettato un po’ di imbarazzo e in effetti, non appena poté abbassare la maschera del comando, Cullen arrossì e si passò una mano tra i capelli per ravvivarli e perché era così che faceva ogni volta che si sentiva vulnerabile. Dorian lo osservò con dolcezza, e al diavolo se facendolo si stava definitivamente tradendo.

«Ti ho strappato al tuo dovere, Comandante» celiò, provando a ricostruire almeno in parte la barriera di ironia con cui era solito schermirsi e sperando che Cullen facesse qualcosa per impedirglielo. «Credo che sia meglio che io ti lasci tornare al lavoro, prima che…»

Cullen lo afferrò per un braccio e se lo premette di nuovo addosso, imprigionandolo in una presa che era al contempo salda e delicata.

«Puoi interrompere il mio lavoro ogni volta che vuoi, Dorian, nei limiti della lealtà alla causa» gli soffiò sornione sul viso, prima di baciarlo con lentezza.

Quando lo lasciò andare Dorian aveva una smorfia sfacciata dipinta sul viso. Non riusciva a credere che stesse succedendo davvero, eppure era evidente che Cullen faceva sul serio e che non considerava ciò che era appena accaduto come un errore da non ripetere.

«Questo solleverà un vespaio parecchio più rumoroso di un semplice scambio di mantelli, Cullen, specie se la prossima volta qualcuno dovesse vederci mentre tenti di divorarmi con quella tua bocca sensuale da duro soldataccio.»

Cullen annuì allegro e gli appoggiò una mano sul collo. Le gote gli si erano fatte di porpora peggio di prima, la sua espressione però era decisa.

«Puoi indossare il mio mantello ogni volta che vuoi» sussurrò, senza smettere nemmeno per un secondo di fissarlo in viso. «Anche in pubblico. Che pensino quello che vogliono.» Dorian sollevò un sopracciglio e per tutta risposta Cullen rincarò la dose. «Non farò nulla per gridarlo ai quattro venti, specie se non lo desideri» disse calmo, «ma nemmeno mi nasconderò dietro un dito. Sei l’ultima persona al mondo per cui avrei mai pensato di provare qualcosa, Dorian, o da cui avrei mai sognato di essere ricambiato, e invece eccoci qui. Non voglio rinunciare a te, sempre che… sempre che per te tutto questo abbia un briciolo di rilevanza.»

Il brivido che corse lungo la spina dorsale di Dorian fu piacevolissimo. Avrebbe potuto farci l’abitudine davvero in fretta.

Cullen intendeva provarci seriamente. Il mondo all’improvviso aveva cambiato colore.

Eccitato, Dorian desiderava restare dov’era e ricominciare subito con i baci, o magari proseguire andando ben oltre. Lo voleva come raramente gli era capitato di volere qualcosa o qualcuno prima di allora. Ma c’era tempo. Era quello che Cullen stava cercando di dirgli, per assurdo che sembrasse: guerra a parte avevano tutto il tempo del mondo.

Il mago del Tevinter votato all’esilio e disposto a lottare per i propri ideali contro i suoi stessi simili e l’ex Templare che combatteva ogni giorno per diventare una persona migliore. Che strana coppia erano, tanto diversi eppure tanto simili.

Con le loro paure, l’amore per la giustizia, la passione per i libri e l’ansia di essere sbagliati, quanto si erano avvicinati l’uno all’altro, senza nemmeno accorgersene. Adesso Dorian lo comprendeva a pieno. Cullen era parte del suo cuore, ormai, comunque andassero le cose. Era sul serio diventato una delle persone per cui Dorian avrebbe dato ogni cosa, perfino la vita.

Era inutile chiedersi se quello che provava fosse amore. Sì, probabilmente era già amore, o lo sarebbe diventato in fretta, perché malgrado tutto Dorian aveva ancora voglia di crederci e di tentare di essere felice, a qualunque costo. Per se stesso e per Cullen, ne valeva la pena.

«Tornerò più tardi, con un buon libro» disse, prendendo per un attimo la mano di Cullen tra le sue, questa volta senza nessuna remora. «E spero di trovare la scacchiera pronta. Un paio di baci non cambiano il fatto che, se giocheremo, sarò io a batterti.»

Cullen scoppiò in una sonora risata che si spense solo quando Dorian raggiunse la porta.

«Va bene, ma per stanotte lascia perdere il sonnifero» dichiarò, allegro e decisamente malizioso. «Dormire è l’ultimo dei miei desideri.»

«Come vuoi, mio bel Comandante» rispose Dorian faceto, e si richiuse la porta alle spalle, uscendo nella luce gloriosa e abbagliante che inondava i bastioni di Skyold.

Il cielo era terso e perfetto e sembrava rispecchiare il suo umore a meraviglia.

Dorian si rigirò la punta di un baffo tra le dita inanellate, soprapensiero. Era felice, sì, al diavolo le convenzioni, il Tevinter, la guerra, Corypheus stesso! Al diavolo qualunque cosa! Era felice e contava di rimanere in quello stato a lungo. Anche per tutta la vita, se solo il fato e Cullen gliel’avessero permesso.

   
 
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