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Autore: kyonnyuchan    24/07/2016    1 recensioni
Kiriko Kirishima, una cinica, disincatata studentessa diciassettenne di Tokyo si troverà suo malgrado (e molto controvoglia) catapultata, assieme ai suoi "amici" in un mondo in completamente diverso dal suo. Un mondo di eroi, demoni, castelli, magia e spade, tale da sfidare il suo senso comune e la sua logica inattaccabile. Ce la farà a farsi strada in questo universo fantasy o ne verrà divorata?
Genere: Azione, Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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'Cuz every healthy teenager has a few porn mags under the bed

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Kiriko era sempre stata una ragazza piuttosto perspicace e di ottima memoria. Altrimenti, non si sarebbe spiegato come riusciva puntualmente a ottenere punteggi alti nei test pur studiando il minimo indispensabile.

Eppure, fosse stato per lo shock di ritrovarsi in una realtà alternativa, fosse stato per il risvegliarsi neonata, di una cosa si era letteralmente scordata, dal suo arrivo a Valetanya: per la precisione, la frase introduttiva del sistema di gioco, nel momento in cui era stata “catturata”.

 

I quattro soggetti prescelti sono stati selezionati. Inizio trasferimento a Vaeltanya.

 

In altre parole, non aveva realizzato che in quel mondo c'erano altri tre suoi compagni di scuola nella sua medesima situazione.

 

A dire il vero, anche Hinata, Eichiro e Tomoya si erano completamente dimenticati di questo, mentre tentavano più o meno faticosamente di sopravvivere. Ma uno di loro, per una serie di fortuite coincidenze, trovò un oggetto che lo condusse a rammentare la frase udita dodici anni prima, davanti al cancello del suo liceo, e realizzare, con una grassa risata, che una, almeno una di loro, era ancora viva e vegeta.

 

* * *

 

 

“Bollard! Addara! Venite qua, presto!”

Quell'urlo perentorio proveniva dalle labbra di un robusto e abbronzato omaccione, i cui capelli, un tempo neri, si erano inesorabilmente rassegnati alla canizie, tingendosi di un color grigio cenere. Eppure, nessuno di quelli che lo conosceva avrebbe anche solo pensato di definirlo vecchio. Oltre ad avere un fisico ancora possente e muscoloso, emanava un'aura intimidatoria che pochi avrebbero osato sfidare apertamente; oltretutto, chi lo riteneva un uomo tutto muscoli e niente cervello aveva provato a proprie spese quanto ciò fosse lontano dalla verità. Era infatti uno dei più lungimiranti e astuti mercanti di una città che pure ne pullulava e che aveva nel commercio estero la sua principale fonte di reddito.

Il suo nome era Texian Ramia, signore indiscusso di una delle più grandi compagnie commerciali della libera repubblica di Averia (detta anche la “signoria del Toro”, visto che la sua bandiera era un toro rampante rosso in campo dorato). Nonostante il suo business principale fosse il traffico di armi, si poteva benissimo dire che non esistesse merce che non era mai stata imballata nelle galee di sua proprietà, che facevano la spola tra i principali porti del sud del continente.

Eppure, nonostante avesse potuto tranquillamente curare gli affari standosene a casa e dando ordini ai propri subordinati, era una di quelle persone che era incapace di cambiare il proprio stile di vita, per cui continuava a partecipare direttamente ai viaggi della “Leonessa”, la nave ammiraglia della sua flotta personale e caricare e scaricare casse come l'ultimo dei marinai.

Ovviamente latrando senza sosta secchi ordini e altrettanto ovviamente intercalandoli con una cospicua dose di bestemmie.

Questa volta, tuttavia, avrebbe dovuto tenere a freno la propria lingua, dato che era in missione diplomatica: si trattava di far salire a bordo niente di meno che l'imperatore di Veltemyn, assieme ad una piccola parte della propria corte, e scortarlo ad Averia.

 

Per chi era digiuno di politica sarebbe parso molto strano che una figura di così alto lignaggio, per recarsi in visita nella signoria del Toro, dovesse chiedere un passaggio ad una nave mercantile; Texian però sapeva benissimo che le casse dell'impero erano disperatamente vuote e che, nel corso degli ultimi quindici anni, Veltemyn aveva dovuto vendere pezzo dopo pezzo quanto rimaneva della propria pietosa flotta al puro scopo di fare cassa. Pur senza fare conti precisi, era molto probabile che lo stesso Texian, da privato, disponesse di entrate molto superiori all'impero.

Ciò nonostante, si trattava comunque di un imperatore e il suo datore di lavoro, ossia il podestà di Averia, ci aveva tenuto a premurarsi che venisse trattato con tutti gli onori possibili, in qualità di ospite di rango della repubblica.

 

Per quanto riguarda il fine di quella missione diplomatica, per quanto non gli fossero stati dati particolari dettagliati, non era difficile immaginare di cosa potesse trattarsi. Era una disperata richiesta di aiuti, probabilmente militari, per timore di un prossimo assalto dei Teumig.

 

Nell'immaginario collettivo pareva impossibile pensare che Veltemyn, la città più antica del mondo conosciuto (e per lungo tempo anche la più popolosa, anche se tristemente ciò non era più vero da almeno un secolo), protetta da quattro cerchie di altissime mura concentriche, capitale di un regno che, pur contraendosi fino a ridursi a poco più di una città stato, durava da più di mille anni, potesse crollare.

Eppure, alla realtà importava decisamente poco cosa ne pensasse la gente, mentre se ne andava per la sua strada. E non gliene fregava proprio nulla del fatto che le persone pensassero che, se una cosa era rimasta per più di mille anni, allora dovesse restare per sempre. E gli imperatori questo lo sapevano.

Purtroppo, gli imperatori sapevano anche che si trattava di una missione praticamente impossibile. Perché se era vero che gli averiani avevano il quasi totale controllo dell'economia di Veltemyn e la consideravano ormai una “seconda Averia”, era anche vero che la guerra, specialmente una contro un avversario forte e contro cui non si era sicuri di vincere, come potevano essere i Teumig, faceva male agli affari...

 

E giusto per non farsi mancare niente, c'era anche da ricordare il dettaglio non del tutto trascurabile che per i regni del nord i daemiti erano pur sempre degli eretici.

Certo, gli averiani non erano noti per la loro grande fede (piuttosto erano famosi per il detto: “Prima averiani, poi seguaci della dea.”), ma la prospettiva che il gran sacerdote della Dea lanciasse contro di loro una guerra santa (cui si sarebbero associati certo tutti gli stati invidiosi della ricchezza di Averia per spartirsela.) per aver aiutato dei “traditori della vera religione” non era gran che rassicurante.

 

Ma tutto questo, in fondo, a Texian importava ben poco. Si era tenuto per tutta la vita accuratamente lontano dalla politica, se non per l'inevitabile stretto indispensabile per evitare troppe noie burocratiche. Al solito, l'unica cosa su cui doveva e voleva concentrarsi era prendere il pacco, portarlo a destinazione, sentirsi dire che aveva fatto un buon lavoro ed essere pagato per questo. Quello che sarebbe avvenuto dopo, semplicemente non era un problema suo.

Se sua maestà Cadwalader VIII avesse saputo che nella mente del capitano della nave su cui stava per salire era qualificato come “pacco”, molto probabilmente sarebbe salito di corsa su un'altra galea, ma, fortunatamente, non lo scoprì mai.

 

“Bollaaard! Allora, ti vuoi muovere? Gli ospiti stanno per salire!”

Al nuovo urlo di Texian, finalmente da sottocoperta fece la sua comparsa il proprietario di quel nome, suo figlio dodicenne. Sebbene fosse “in ghingheri come il più bastardo dei marchesi” (stando alla definizione del genitore), Bollard non dava una grande immagine di sé. A partire dalla bassa statura, proseguendo per l'aspetto gracile da spaventapasseri, sino ad arrivare ai capelli biondo paglia sempre in disordine, nessuno avrebbe detto di lui che era sangue del grande Texian Ramia, tanto che a suo tempo si erano persino sparse voci sulla presunta infedeltà di lady Garia Ramia. Altri pettegolezzi, però, sottolineavano come la nascita dello scricciolo avesse corrisposto ad un periodo particolarmente fortunato per gli affari dei Ramia, le cui rendite, negli ultimi dodici anni, erano cresciute in maniera esponenziale. Per tale motivo Bollard era stato soprannominato “portafortuna”. Era per questo – si diceva – che il ragazzino non avesse mai subito le ire del suo vecchio. Perlomeno non troppo...

Texian, però, sapeva bene quanto la fortuna non c'entrasse proprio nulla. Per quanto lo concerneva, Garia poteva essersi anche scopata un toro, ma se il risultato era stato quello, che la dea benedicesse pure il suo adulterio!

Il piccolo Bollard, infatti, aveva mostrato un mostruoso e precoce talento per la gestione contabile e logistica degli affari di famiglia ed era grazie alle sue rivoluzionarie idee, che la compagnia aveva continuamente accumulato capitale, anche nelle congiunture negative. Sotto il visino fine e delicato, si nascondeva la mente di un genio.

Persino la sorella minore Addara, che invece aveva ereditato dal padre agilità e forza fisica, non lo considerava affatto un debole, anzi, aveva sviluppato una sorta di attaccamento morboso e iperprotettivo nei suoi confronti.

 

Nessuno dei due sapeva che Bollard in realtà non era affatto un genio. Era solo la reincarnazione di un ragazzo giapponese mezzo otaku, costantemente pressato da genitori esigenti che volevano addestrarlo alla futura gestione della ditta import-export di famiglia, e che rispondeva al nome di Eichiro Kimura.

 

“Mi raccomando, ragazzo, non deludermi. Dimostrami che non ho buttato soldi nel canale maggiore di Averia, ingaggiando quel precettore profumato come una puttana perché ti insegnasse tutte quelle stronzate da nobile!”

 

“Sì, padre, certamente.” Replicò lui all'ammonimento di Texian, accennando un inchino, senza ormai dar più alcun peso al suo linguaggio tipicamente fine e delicato.

 

Dopo neanche una decina di minuti, l'agitazione nei pressi del porto indicò a Bollard che gli ospiti erano finalmente giunti. Una ventina di balestrieri si disposero con fare impettito su entrambi i lati del pontile presso cui era ormeggiata la “Leonessa”. Un istante più tardi, un araldo, che recava sotto braccio anche il vessillo imperiale (la mezzaluna d'argento), proclamò a gran voce: “Sua Maestà Imperiale Caladwer VIII Ceredig e il suo cesare, sua altezza serenissima Cadogan Ceredig!”

A quel punto, finalmente, ecco arrivare un uomo relativamente giovane, di neanche trent'anni, ammantato della pesante livrea imperiale e, nella mano destra, lo scettro della mezzaluna. In realtà non si trattava dello scettro vero. Quella non era altro che una più modesta copia, fatta fare quando l'antico bastone del comando di Caladwer primo era stato vendu... ahem... misteriosamente scomparso dal tesoro reale. Il suo viso per un istante era parso a Bollard quello di una persona che, se avesse potuto, avrebbe fatto volentieri a meno di tutto quel cerimoniale. Anzi, che avrebbe volentieri dismesso del tutto i panni di sovrano di una città morente. Ciò nonostante, con un visibile sforzo di concentrazione, Caladwer tornò nella parte, cercando di mostrare un aspetto il più solenne e dignitoso possibile. Suo fratello minore, Cadogan, era invece la sua antitesi. Un ragazzo quindicenne che avanzava fiero e pomposo, come se volesse ricordare a tutti che lui da quelle parti era il padrone. Allo stesso tempo, però, nel profondo dei suoi occhi si poteva ancora notare un che di profondamente mite ed ingenuo, come se conoscesse ancora molto poco del mondo.

 

Mantenendo una certa distanza dai due, ecco che iniziarono ad arrivare lentamente anche dignitari, nobili, esponenti del clero e, infine, anche guardie e maggiordomi. In tutto una cinquantina di persone. Pur essendo la Leonessa una nave di una notevole stazza, era pur sempre un mercantile: era evidente che alcune di loro si sarebbero dovute sacrificare e dormire nella stiva, alla faccia del sangue blu.

 

Appena Caladwer e suo fratello presero piede sul ponte, Bollard avanzò di due passi e eseguì con perfetto stile la prostrazione, riverenza riservata ai soli imperatori (mentre con i re ci si inginocchiava solamente). Attese che sua altezza gli ordinasse di rialzarsi, quindi mantenendo la testa china, recitò con calma la frase di rito:

“La corporazione dei Ramia è onorata di avere come ospite Sua Altezza Imperiale. Che il Vostro soggiorno sulla nostra umile nave possa esserVi più gradito possibile.”

 

“Mpf... Speriamo...” Si lasciò scappare in tono scettico e irritato il principe Cadogan. Suo fratello maggiore lo incenerì con lo sguardo, quindi, aggiunse, con fare affabile e cortese, verso il suo anfitrione:

“So bene quanto sia difficile far posto a tanto inutile quanto poco redditizio bagaglio, su un naviglio mercantile – E a quelle parole di autocommiserazione l'imperatore si lasciò sfuggire un sorriso amaro - ... E so anche quanto possa essere difficile guidare una tale galea attraverso le acque agitate del Mare Interno in questa stagione. Spero non vi saremo di troppo incomodo.”

Cadogan rimase piuttosto confuso dalle parole sin troppo umili del fratello maggiore, ma non osò proferire parola, temendo seriamente che potesse decidere di gettarlo in acqua.

Fingendo di non notare i giochi di sguardi tra i due, Bollard disse: “Se Sua Altezza permette, è mia premura mostrarVi i gli alloggi che abbiamo preparato per il Vostro soggiorno sulla Leonessa.”

 

“Fateci strada, messer Ramia”, disse, in modo molto franco e semplice Caladwer.

 

Bollard li condusse quindi in quelli che fino al giorno precedente erano stati gli alloggi di suo padre Texian. Dopotutto, non c'era sistemazione più confortevole della cabina riservata al capitano. Subito dietro, silenziosi come statue, due maggiordomi e due guardie, che portavano il bagaglio delle maestà imperiali.

 

Appena aperta la porta, Cadogan si fiondò dentro, guardandosi intorno con un fare a metà tra l'eccitato e lo spaesato. Il suo servitore personale, recando tra le braccia una serie di voluminosi tomi (Bollard immaginò che i libri dovevano essere doni per i signori cui dovevano impetrare favori. Le biblioteche di Veltemyn erano leggendarie al nord e molti anelavano a possedere testi originali degli antichi filosofi daemiti) entrò a sua volta. Purtroppo per lui, non aveva fatto bene i conti delle dimensioni della stanza: il suo piede andò a sbattere contro un basso tavolino, facendogli perdere l'equilibrio, mentre i suoi preziosi scrigni di sapienza si spargevano malamente sul pavimento.

 

Bollard si affrettò a dare una mano a raccogliere. Stranamente, anche il principe Cadogan si mobilitò per aiutarli, pallido e tremante. Quella, si disse il ragazzo reincarnato, era una faccia che conosceva... Era la faccia di chi aveva qualcosa da nascondere. Sì, lo stesso volto che aveva lui quando si affrettava a chiudere le pagine internet nel momento in cui mamma faceva irruzione in camera sua. Inutile specificare il contenuto, di quelle pagine...

 

Lì per lì non riuscì a capire il motivo di tanta agitazione, poi notò un foglietto svolazzante, una sorta di segnalibro, scappato via da quello che doveva essere un voluminoso e indigeribile trattato matematico. Senza porsi troppi problemi lo raccolse con calma. A quel punto il principe quasi glielo strappò via di mano, per nasconderlo rapidamente in una tasca del suo mantello.

 

Cosa diavolo ci sarà mai di così importante su quel cazzo di foglietto...

 

“Ah.” si limitò a mormorare a bassa voce. Per un attimo, prima che la mano di sua altezza glielo togliesse con fare ansioso, Bollard fu in grado di vedere distintamente cosa c'era sul recto del foglio.

 

Era un disegno.

 

Te-te-tentacle rape1? No, figuriamoci, sto avendo delle visioni dettate dalla nostalgia, giusto? Siccome quella pazza asociale mi manca troppo, adesso ho anche le allucinazioni delle porcate che disegnava...”

 

Eppure, la reazione del principino quadrava col fatto che fosse un hentai. Gli aveva ricordato troppo la sua espressione quella volta in cui Kirishima le aveva piantato pubblicamente in mano una delle delle sue ultime creazioni, dicendogli all'orecchio:

Eddai, tieni e non fare tutto l'imbarazzato, Kimura-kun, tanto lo so che ti ammazzi di pippe pure tu su 'ste cose... E' una copia promozionale del mio ultimo lavoro... Ah giusto, solo perché tu lo sappia... Per la protagonista... Ho preso come modello Himamiya. Divertiti, mi raccomando.” Ovviamente quella sadica dal ghigno perversamente obliquo lo aveva fatto apposta... Aveva parlato a bassa voce e siccome nessuno aveva sentito cosa aveva detto, tutti, TUTTI avevano pensato che Kirishima gli avesse fatto il favore, da amica troppo buona e comprensiva verso uno stupido otaku pervertito, di nascondergli temporaneamente i SUOI porno perché i genitori non li trovassero. Senza capire che quei doujinshi in realtà erano tutta roba di Kirishima, accidenti!

 

No, non poteva essere un'allucinazione. Era lei. Era certo al mille per mille che fosse lei. Quello era uno stramaledettissimo disegno di Kiri-chan. Solo lei poteva anche solo pensare di guadagnare soldi in un mondo fantasy facendo comunque la mangaka hentai...

 

Era da qualche parte in quel mondo come lui. Ed era rimasta la solita, dannatissima, divertentissima matta.

 

1Il tentacle rape è un genere di hentai in cui una ragazza finisce denudata e violata da esseri tentacolari in tutti gli orifizi di cui dispone. Giuro che non ho mai capito cosa ci trovano i maschi giapponesi di arrapante nella cosa...

   
 
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