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Autore: AnnabethJackson    13/08/2016    2 recensioni
Zach scosse la testa, facendo un sorriso amaro. «È assurdo.»
«Che cosa è assurdo?» domandò Hailey, anche se sapeva esattamente a cosa lui si stesse riferendo.
Zach rimase in silenzio per qualche istante, poi fece un cenno con il mento. «Questo» disse. «Io e te, qua. Dopo cinque anni.»
Calò il silenzio: che cosa si poteva dire dopo una frase del genere?
"Sì, è assurdo. E sì, sono passati cinque anni. Ma che ti aspetti, Zach?" Se Hailey avesse risposto in quel modo, al suo posto se ne sarebbe andata via senza un'altra parola. Dopotutto, tra i due, era lei a dovergli delle spiegazioni.
«Pensavo di non vederti mai più, sai? Non dopo cinque anni in cui non ti sei più fatta viva.»
«Mi dispiace. Non era mia intenzione andarmene così, credimi.»
«Non era tua intenzione? Davvero?»
«No, Zach» sussurrò. «Te lo giuro. É che... Ho dovuto.»
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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2.ALL I KNOW IS WE SAID HELLO
 


PRESENTE


 

« Pronto? »

« Hailey. Sono io » La voce dell'altra parte dello schermo era debole come se la persona che la stava chiamando fosse a una certa distanza dal microfono.

Malgrado ciò, la fronte di Hailey si distese impercettibilmente, quasi fosse sollevata di sentirlo: sapeva a chi apparteneva quella voce e sopratutto conosceva l'uomo che stava parlando.

Suo padre.

« Papà, ciao! Mi fa piacere sentirti » attaccò a dire, cercando di fare mente locale sull'ultima volta che l'aveva sentito. Dovevano essere passate due settimane, durante le quali Hailey non aveva trovato un singolo instante per chiamarlo a sua volta. A causa dei turni serali sfiancanti del ristorante, alle varie commissioni e al dover seguire Ben quando lui non era all'asilo, non era riuscita a ritagliarsi nemmeno un secondo. Perciò era davvero felice di quella piccola sorpresa che le stava permettendo di staccare un attimo la spina dalla routine.

« Non indovineresti mai cosa è appena successo! A Ben è caduto il primo dente » continuò mentre sul suo volto si distendeva un sorriso. « Pensa un po', credeva che qualcuno glielo avesse staccato durante la notte » aggiunse, ridendo tra sé e sé. Suo figlio sapeva come intrattenerla, molto spesso involontariamente.

« Ah, sì? »

Hailey mosse la testa su e giù un paio di volte – anche se suo padre non poteva vederla – mentre recuperava l'ultimo paio di calzini dall'asciugatrice, mettendoli poi nella cesta dei panni puliti. In seguito spostò lo sguardo in basso, sul figlio, il quale era lì al suo fianco, il palmo destro aperto davanti a sé su cui era ancora posato il piccolo dente. Lo stava osservando come se fosse stato qualcosa di alieno, ma abbastanza interessante da scatenare in lui qualche oscura domanda circa la provenienza che, sicuramente, presto avrebbe posto alla madre in cerca di risposte, come sempre.

« Già, e dalla sua espressione credo proprio che non aspetterà molto per iniziare un nuovo Interrogatorio » scherzò, cercando la complicità del padre riguardo all'argomento. Ad esclusione di Allison e della maestra dell'asilo, loro due erano i soli a sapere quanto Ben potesse essere insistente, a volte.

Stava passando per la seconda volta la mano tra i capelli di Benjamin, un suo gesto abituale a cui non avrebbe mai potuto rinunciare, quando Peter, dall'altra parte della cornetta, emise due suoni di gola a un breve intervallo l'uno dall'altro come risposta.

All'istante, nella testa di Hailey scattò un allarme.

Che cosa erano quei due gemiti di assenso? Da quando suo padre rispondeva in quel modo?

Peter Anderson odiava di principio chi emetteva quei versi – che lui attribuiva essere caratteristici di un animale. Secondo l'uomo, una persona non poteva permettersi di cadere in simili banalismi da primato, non quando l'evoluzione millenaria aveva portato l'essere umano in una posizione strategica sulla scala animale. Dopotutto, sempre seguendo le convinzioni di suo padre, un uomo aveva le capacità di emettere dei fonemi che, se messi in un ordine, davano origine a un qualcosa di sensato proprio perché una serie di fortunate mutazioni avevano fatto in modo che l'uomo potesse comunicare sfruttando tale capacità, non per abbassarsi ai livelli dei primati e dei loro versi.

Nel corso della sua vita, Hailey poteva giurare di non aver mai sentito Peter lasciarsi andare a simili barbarie – già, gli studi antropologici di suo padre si facevano sentire in qualche modo.

In casa loro, una delle poche regole a cui la ragazza era sempre stata sottoposta, era proprio il divieto dell'uso di risposte-non risposte. Il fatto che Peter avesse controbattuto in quel modo era la causa dei campanelli dall'allarme nella testa di Hailey, la quale strinse la presa sul cellulare all'orecchio.

All'improvviso, tutta la sua attenzione era puntata sul pensiero di suo padre dall'altra parte del telefono, il dente di Benjamin accantonato in un angolo della testa.

Hailey sentiva che qualcosa non andava.

« Papà » mormorò. « Che succede? »

« Nulla. Perché me lo chiedi? » rispose Peter dopo un piccolo istante di silenzio.

Ovviamente quella impercettibile pausa non sfuggì all'orecchio della ragazza, la quale accigliò lo sguardo puntato sulla porta del bagno aperta che Benjamin aveva appena varcato, diretto chissà dove – probabilmente in camera sua per andare a intrattenersi con qualcuno dei suoi innumerevoli giochi.

Hailey aspettò in silenzio che il padre aggiungesse qualcosa, ma non si aspettava di certo che quest'ultimo riprendesse la conversazione cambiando argomento: non era da lui tergiversare. Peter amava andare dritto al punto.

« Come sta Ben? Cosa stavi dicendo a riguardo, prima? »

La fronte di Hailey si increspò ulteriormente e una piccola fossetta andò a delinearle il centro della parte inferiore della fronte, appena sopra allo spazio tra le due sopracciglia.

Quella era un'altra cosa che andava a scontrarsi con il tipico atteggiamento di Peter: da buon studioso e saggista, tendeva a ricordarsi più o meno tutto ciò che sentiva e che gli veniva detto. A volte ciò era andato a svantaggio di Hailey, in particolare durante gli anni da teenager quando le – poche – tipiche bugie innocenti che gli rifilava si rivelavano essere controproducenti – « No, papà, non ho bevuto niente » – , ma l'incredibile memoria di Peter era anche una delle migliori caratteristiche che lo rendevano un uomo competente e affidabile e un padre fantastico sotto molti punti di vista.

Non erano passati nemmeno due minuti da quando Hailey aveva smesso di raccontare di Ben, quindi com'era possibile che lui non se lo ricordasse già più?

« Papà » ripeté di nuovo, questa volta utilizzando un tono di voce che non ammetteva repliche. « Cosa c'è che non va? É successo qualcosa a casa? »

Dall'altra parte dello schermo, Hailey udì un sospiro appena accennato e un cigolio, che lei sapeva essere quello della sedia dello studio di Peter – segno che quest'ultimo si era accomodato –, prima che lui decidesse infine di gettare la spugna e parlare.

« Tesoro, puoi stare tranquilla. Davvero » disse lentamente, mentre la figlia tirava un metaforico sospiro di sollievo. Tutto andava bene, quindi perché Peter sembrava così strano quel giorno?

« É solo che in questo periodo sono un po' malato » riprese a dire suo padre poco dopo. « Però non c'è nulla di cui tu ti debba preoccupare, sul serio. In qualche giorno mi rimetterò in sesto, vedrai. »

Ma Hailey era preoccupata eccome: suo padre non era un uomo che amava parlare e lamentarsi delle proprie condizioni di salute. Le poche volte che si era preso qualche malanno, che fosse l'influenza o un semplice raffreddore, aveva banalizzato tutto con un gesto vago della mano in direzione delle domande premurose della figlia, dicendo che sarebbe passato tutto nel giro di poco e che non aveva bisogno di medicinali. Hailey lo aveva sempre lasciato fare, monitorandolo a distanza, e ogni volta tutto era andato bene.

Fino a quel momento.

« Che cosa ti senti? » domandò, cercando di non far capire al padre che aveva intenzione di fargli il terzo grado.

Puntualmente, proprio come la ragazza si aspettava, Peter minimizzò la situazione. Hailey era sicura che l'uomo stesse gesticolando all'aria, gli occhiali appoggiati sulla fronte e i ciuffi di capelli biondi un po' in disordine a causa delle numerose volte in cui probabilmente vi aveva passato la mano.

« Nulla di che, sul serio. Penso sia per colpa del freddo che ho preso la scorsa settimana a Portland. Ricordi che ti ho parlato del mio viaggio? »

Hailey, come prima, era ben consapevole che quello fosse un'ulteriore tentativo di cambiare argomento, ma non si sentiva ancora pronta ad accantonare la questione tirato in ballo da suo padre: dentro di lei, in un punto imprecisato del petto, all'improvviso era nato qualcosa, come un bozzolo di tulipano ancora chiuso, ma che pulsava.

Lo percepiva nel profondo dello sterno, là dove i suoi polmoni si dilatavano e dove la bocca dello stomaco di contraeva se voleva chiedere di essere riempita. La sensazione, però, non era affatto piacevole: anzi, era come se davanti ai suoi occhi stesse accadendo qualcosa di brutto, senza che Hailey potesse intervenire.

Ma razionalmente, lei non poteva fare nulla.

Dopotutto, Peter sosteneva di stare bene, quindi non c'era motivo di preoccuparsi ulteriormente.

Perciò alla fine sospirò e decise di concedere a suo padre la brusca modifica della conversazione.

« Sì, papà, me lo ricordo. Come è andata? » domandò, uscendo dal bagno con la cesta del bucato piegato sotto un braccio, il cellulare tra la spalla e la tempia e i piedi che percorrevano il corridoio in direzione del salotto del suo modesto appartamento.

« Bene grazie, e... »



 

Hailey premette il bottone sopra la sua testa e la luce del lampadario della camera si spense, lasciando spazio al buio ingombrante della notte. Dopo aver appoggiato la testa sul cuscino duro – quel genere di sprimacciamento che piaceva a lei –, strinse tra le dita il tessuto morbido delle lenzuola che la coprivano, anche se fuori cominciava a fare caldo – dopotutto la fine di Maggio era dietro le porte così come l'estate tipicamente torrida in Georgia.

Con un'occhiata alla sveglia sul comodino davanti ai suoi occhi constatò che erano passate da poco le dieci di sera e che la città stava appena entrando in quel momento della giornata in cui i suoni del traffico si attutiscono e le sirene degli agenti di polizia e della ambulanze fanno da colonna sonora agli schiamazzi dei pub affollati.

Di solito, a quell'ora il corpo e la mente di Hailey erano già proiettati a quelle magnifiche ore di sonno che l'attendevano, ma quella sera sembrava che tutto in lei fosse vigile, come se il suo cervello volesse prendere parte a qualche festino, sedersi a un bancone e ordinare una birra fresca. Ovvio che il motivo non era quello: per Hailey il momento della baldoria era già forzatamente terminato cinque anni prima, ma la sensazione era la stessa.

Lei sapeva bene cosa stesse accadendo: dopo aver chiuso la telefonata con Peter, non aveva avuto il tempo di formulare un pensiero che Benjamin era tornato all'attacco con il dente al seguito. Poi era arrivata l'ora della cena, quella del bagnetto e quella della favola, quindi Hailey non si stupiva che la sua testa avesse conservato energie sufficienti a sfruttare la notte per pensare: era stata lei stessa a classificare la questione sotto l'etichetta “importante” proprio quel pomeriggio, inconsapevolmente.

Perciò si meravigliò di se stessa quando, nel silenzio della sua camera da letto, nessun razionalismo guidò il corso dei suoi pensieri. Nella sua testa c'erano solo immagini confuse di suo padre, delle sue parole e del relativo tono di voce. Hailey stava inevitabilmente pensando al peggio.

Non riusciva a impedirsi di ipotizzare la situazione più catastrofica: Peter in un letto d'ospedale e lei al suo capezzale.

Così quando alla fine un singolo, ma essenziale pensiero razionale si estese al centro della sua mente, non perse tempo ad accendere la luce della stanza. Scostò malamente le lenzuola, posando i piedi nudi sul legno freddo del pavimento – incredibile come questo resistesse anche alle temperature più alte – e si precipitò nel corridoio, superando la cameretta di Benjamin, il bagno e il salotto.

Indaffarata com'era sempre, aveva dimenticato il cellulare esattamente dove l'aveva posato dopo la chiamata di suo padre: la cucina. Una volta preso tra le mani, fece scorrere l'indice con controllata frenesia sullo schermo, cercando l'unico nome che in quel momento poteva esserle d'aiuto.

Mentre attendeva che gli squilli cadenzati – e fastidiosi, se doveva dirla tutta – si interrompessero, il suo piede batté sul pavimento, producendo un rumore simile a quello dell'acqua quando la si schizza con la mano.

Ciack, ciak, ciack, ciack, cia-

« Pronto? »

« Allison! Sono io » esclamò, illuminandosi improvvisamente in volto. Sentire la voce della sua migliore amica – anche se a distanza – era sempre confortante.

« Hailey! Ti stavo per chiamare io, sai? » iniziò Allison, la cui voce sembrava essersi rianimata, come se avesse appena finito di bere decine di tazze di caffè. A quel pensiero Hailey sorrise, malgrado tutto. « Non sai cosa mi è appena successo! Hai presen- »

« Allison » disse Hailey, fermando a malincuore qualsiasi cosa stesse per dire l'amica, consapevole che se questa avesse iniziato a raccontare, difficilmente sarebbe riuscita a fermarle prima di un paio di ore.

Era sempre la prima se si trattava di ascoltare i suoi racconti – Allison lo sapeva –, ma quella sera aveva urgenza di sistemare un'altra questione: tutto il resto poteva attendere.

E proprio come la prima sapeva di poter contare su Hailey, quest'ultima era consapevole del silenzio che dall'altro capo si era creato improvvisamente dopo che Allison aveva udito il tono della sua voce: quello era esattamente il motivo per cui erano rimaste migliori amiche anche dopo che Hailey era scappata da Manning.

« Hai per caso visto mio padre, di recente? » domandò, catturando il labbro inferiore tra i denti. Allison era l'unica persona a cui potesse chiederlo, non perché il suo nuovo numero di cellulare l'aveva solo lei – se si escludeva Peter –, ma perché Allison lavorava come infermiera al Clarendon Memorial Hospital, il piccolo ma efficiente centro ospedaliero di Manning.

« Uhm... Sì » rispose la ragazza, dopo un momento di meditazione. Nel mentre, il cuore di Hailey perse un piccolo e impercettibile battito. « In effetti l'ho visto la settimana scorsa in fila allo sportello dei prelievi. Stavo andando al reparto di cardiologia, sai a guardare l'intervento del nuovo cardiologo, Charlie, quello carino. Presumo stesse facendo i soliti accertamenti... »

« Perché non me l'hai detto? » mormorò Hailey, aggrottando la fronte.

Allison attese un momento prima di rispondere, ma il suo tono di voce, dopo, era controllato e tranquillo, rassicurante: conosceva fin troppo bene Hailey per non comprendere la situazione con poche, semplici frasi.
« Pensavo stesse facendo un prelievo di routine. Hailey, puoi stare tranquilla. Alla sua età questo genere di esami vengono fatti mediamente ogni anno, non è affatto strano come invece potrebbe sembrare » disse, ed Hailey malgrado tutto era sicura che se la sua amica fosse stata lì al suo fianco, in quel momento avrebbe posato una mano sopra la sua.
Ecco perché Allison era finita a fare l'infermiera: i pazienti con lei si sentivano al sicuro a discapito di qualsiasi intervento o esame dovessero affrontare. E allo stesso modo si sentiva Hailey in quel momento. Dentro di lei il nodo allo stomaco si stava pian piano allentando e i pensieri nefasti lasciavano lentamente spazio a quelli più miti.

Perciò, dopo aver scambiato ancora qualche altra battuta con l'amica, salutò Allison – la quale doveva tornare al suo turno serale in ospedale – promettendole di chiamarla il giorno dopo per ascoltare le novità, e tornò a letto con il cuore leggermente meno pesante.

Non si stupì poi molto, però, quando la sua mente non ne volle sapere di spegnersi e di concedersi qualche beata ora di riposo: il pensiero era lì, ormai radicato nel suo cervello. Non era un'immagine precisa, un figura a cui potesse dare una definizione calzante. Ma Hailey conosceva fin troppo bene suo padre per poter accantonare la preoccupazione con irrilevanza.

Sentiva qualcosa, lì nel suo stomaco.

Fu solo qualche minuto più tardi che finalmente riuscì a capire cosa fosse: istinto. E questo le stava dicendo a chiare lettere qualcosa che mai avrebbe immaginato di formulare, non prima di un altro paio di anni, almeno.

Il suo istinto gridava casa.

 



 

Le lettere lampeggianti del cartello segnalatore erano appese sopra un palo che non raggiungeva nemmeno gli otto metri di altezza, ma era abbastanza luminoso da attirare l'attenzione dei viaggiatori anche in pieno giorno, quando il sole era alto nel cielo e le luci artificiali risultavano praticamente inutili.

Negli ultimi dieci anni quel palo era stato piegato un numero tale di volte che Hailey non riusciva nemmeno a stimarne la quantità approssimativa: ubriachi alla guida e studenti in cerca di emozioni forti – se così si potevano chiamare – per sfuggire alla noia della scuola sembravano ricavare qualche sorta di divertimento nell'andare a sbattere con il paraurti contro la struttura del cartello segnalatore del supermercato. Sicuramente Hailey non era tra quelli.

Quindi, invece di sferzare bruscamente verso destra, superò il palo di metallo grigio e rallentò per prendere l'entrata del parcheggio, fermando l'autovettura in uno dei tanti posti vuoti delineati da delle strisce bianche, talmente schiarite che ormai non si riusciva più a capire dove un lotto terminasse e un altro iniziasse. Probabilmente quello era il motivo per cui parecchie auto presenti erano sistemate in modo asimmetrico, a distanze irregolari una dall'altra.

Mentre estraeva le chiavi dal vano dell'accensione, Hailey cercò di non incrociare la superficie dello specchietto retrovisore che, era certa, stava riflettendo la figura dell'edificio alle sue spalle: la sua vecchia scuola superiore.

Non era di certo un caso che il palo venisse storto frequentemente dagli adolescenti: dopotutto, era lì davanti a loro quando uscivano con i loro catorci dalla scuola e, in qualche modo, doveva essere un richiamo sistematico per coloro cui il processo adolescenziale aveva bruciato parecchi neuroni.

Il motivo per cui Hailey non voleva vedere la scuola, però, era un'altro: ovviamente non correva il rischio di incrociare lo sguardo di qualche conoscente visto che tutti i suoi coetanei si erano lasciati quegli anni alle spalle da molto tempo, ma come un po' tutte le strade di Manning che Hailey aveva percorso negli ultimi tre giorni, non voleva rischiare di risvegliare qualche scomodo ricordo – anche se si rendeva conto essere inevitabile.

Si lasciò sfuggire quello che sembrava essere un sospiro di stanchezza, ma che a tutti gli effetti era solo un tentativo di scacciare il senso di nostalgia affiorato pian piano dal suo stomaco. Poi, recuperata la sua borsa beige dal sedile del passeggero, uscì dalla macchina e si diresse verso la fila di carrelli sul fianco del Walmart. Ne prese uno, inserendo una piccola moneta trovata sul fondo della borsa ed entrò nel negozio, fermandosi davanti alle porte scorrevoli che le sferzarono il volto con una ventata d'aria fresca proveniente dall'interno.

Fu un vero sollievo per Hailey: l'afa di Luglio era talmente intensa che i suoi capelli erano permanentemente attaccati al sudore creatosi sulla sua fronte e, se c'era una cosa che odiava, era proprio il sentirsi sporca. Perché il sudore faceva esattamente quell'effetto.

Con passi sicuri, Hailey spinse il carrello lungo l'entrata, battendo una volta di troppo le palpebre pur di mascherasi la vista all'improvvisa intensità che il bianco candido della pareti irradiava. Dovevano aver tinteggiato da poco perché cinque anni prima quegli stessi muri erano tristemente grigi, “abbelliti” da parecchi graffiti – l'altro svago dei liceali, in alternativa al palo.

Per il resto, nulla sembrava essere cambiato: gli scaffali erano disposti nello stesso ordine lungo le corsie, così come le tre stazioni di pagamento e il bancone dei surgelati. Hailey sospirò di sollievo: non riscontrando difficoltà nell'orientarsi, avrebbe potuto muoversi più velocemente e sbrigare quella faccenda della spesa in poco – relativamente parlando – tempo.

Il giorno seguente al suo ritorno, aveva fatto un ulteriore check-up della casa – in particolare delle credenze in cucina – per essere sicura di non essersi lasciata sfuggire nulla alla lista che aveva scritto la sera precedente. Ad Atlanta, si era abituata a fare una spesa sostanziosa alla fine di ogni settimana, comprando saltuariamente i pochi prodotti che servivano per preparare una cena o un pranzo e che le mancavano.

Aveva, dunque, l'intenzione di mantenere le sue abitudini anche in casa del padre, ma constatato che l'ultima vera spesa fatta da Peter doveva risalire a millenni prima, Hailey si era rimboccata le maniche e aveva stilato una lista di cinquanta voci, più o meno, tra alimentari e utensili necessari per sopravvivere.

In realtà, era in ritardo di un giorno sulla sua tabella di marcia: la situazione in casa di Peter era così disperata che il giorno precedente era dovuta venire a patti con un paio di cartoni di pizza d'asporto – per la gioia di Ben e l'indifferenza di Peter, abituato fin troppo al cibo d'asporto – perché tra il sistemare tutti i loro bagagli, pulire un po' la casa e risolvere alcune questioni, non era riuscita a ritagliarsi un paio di ore per compiere quel duro lavoro.

Quella mattina, Hailey si era svegliata convinta di poter affidare Benjamin a suo padre per il tempo necessario ad andare e tornare dal supermercato. Purtroppo non aveva messo in conto l'impegno di lavoro che avrebbe tenuto lontano Peter da Manning per tutto il giorno e Hailey non aveva alcuna intenzione di portare suo figlio con sé. Non se ne voleva uscire viva.

Ricordava bene l'ultima volta in cui Ben era entrato in un supermercato: c'era mancato poco che Hailey non avesse dovuto pagare un intero scaffale di sottaceti. Quindi no, non se ne parlava proprio.

Per una qualche benedizione dal cielo, però, Allison l'aveva chiamata mentre faceva colazione. Aveva appena terminato il suo turno all'ospedale e stava andando a casa per riposare perciò non si era persa in molte chiacchiere, ma aveva chiesto con entusiasmo ad Hailey se poteva tenere Ben con sé quel pomeriggio, sostenendo di non aver mai passato del tempo da sola con quel bambino da quando era nato.

Per sua sorpresa, Allison non aveva dovuto insistere molto perché Hailey aveva accettato senza troppi giri di parole, non smettendo un attimo di ringraziarla per l'aiuto immenso che, inconsapevolmente, le stava dando.

Così, dieci minuti prima, aveva lasciato Ben a casa di Allison, la quale li aveva accolti con una grande abbraccio e il profumo di biscotti appena sfornati. Dentro di sé, Hailey aveva sorriso, complimentandosi con l'amica per l'ottima tattica ideata per assicurarsi la completa simpatia del suo piccolo mostriciattolo goloso.

Si fermò accanto alle scatole di cereali, prendendo da un ripiano intermedio tre confezioni che poi mise nel carrello, tirando una linea sottile sopra la voce della lista che aveva in mano.

Ordine, piani, organizzazione.

Erano tre parole familiari a Hailey. Attraverso di esse poteva gestire la sua vita, controllarla in modo da poter sopravvivere sempre e comunque. Era così che aveva gestito gli ultimi cinque, dieci, quindici anni... Così aveva gestito la sua vita da sempre.

Piani su piani l'avevano portata ad organizzare il suo futuro in anticipo rispetto ai suoi coetanei i quali, all'alba del diploma, si trovavano a girare senza bussola in un oceano, completamente sperduti.

Era divertente pensare che alla fine si era ritrovata nella loro stessa situazione, ma con la differenza che, superato lo spaesamento iniziale, si era rimboccata le maniche e aveva sconvolto i suoi piani precedenti. Ne aveva fatto un altro, profondamente diverso e allo stesso tempo molto più gratificante, e dopo cinque anni Hailey era sì una persona diversa, ma in qualche modo aveva conservato le vecchie abitudini.

Dopotutto, quelle erano sempre dure a morire, no?

Passò allo scaffale successivo, mettendo nel carrello più articoli di quelli che in realtà le servivano – se proprio doveva essere paragonata a qualcosa, preferiva l'immagine di uno scoiattolo che raccattava provviste in vista dell'inverno... L'esperienza le aveva insegnato che non si poteva mai sapere come sarebbero andate le cose con al seguito un bambino di quattro anni turbolento – e nel mentre si ritrovò a canticchiare il motivetto della canzone che l'altoparlante del Walmart stava trasmettendo in quel momento.

Arrivata nella seconda corsia, si trovò quasi a scontrarsi con il carrello di una coppia di anziani: quella che doveva essere la moglie stava sistemando delle scatole in modo quasi maniacale – e se lo pensava Hailey la situazione doveva essere grave sul serio – mentre il marito la osservava annoiato, salvo poi portarsi una mano alla bocca per coprire il colpo di tosse che lo scosse.

Non doveva avere più di settant'anni, ma il suo corpo sembrava fragile.

Per qualche motivo che preferì non indagare, Hailey pensò a suo padre. Si ostinava a non volerle parlare della sua salute, malgrado lei avesse ideato diverse imboscate nel corso degli ultimi due giorni: in qualche modo, Peter riusciva sempre a sfuggirle, nominando un libro che doveva assolutamente leggere o un'idea che doveva urgentemente appuntare da qualche parte, finendo poi con il barricarsi nel suo studio per parecchie ore pur di sfuggire a un altro attacco della figlia.

La notte precedente, circa un'ora dopo che Peter se n'era andato a letto, Hailey era scesa al piano di sotto in punta di piedi, intenzionata a cercare un indizio, qualcosa che potesse dare una risposta alle sue domande.

Ovviamente, come già si aspettava, era stato tutto inutile: Peter Anderson era bravo a nascondere qualsiasi informazione se non voleva far sapere nulla alla figlia, così come era bravo a mantenere un'aura di mistero intorno a ogni libro saggistico che scriveva prima che questo venisse pubblicato definitivamente.

Questo non voleva dire che non avesse nulla da nascondere.

Hailey sapeva che, se voleva trovare qualcosa, avrebbe dovuto cercare nello studio di Peter che era praticamente inaccessibile a chiunque non fosse lui: passando così tanto tempo in quella stanza, e chiudendo a chiave la porta ogni volta che ne usciva, era inimmaginabile credere di potervi entrare senza essere stati prima invitati.

Era bloccata, in tutti i sensi.

Doveva solo continuare a insistere, sperando che prima o poi...

« Hailey? Hailey Anderson? »

La testa di Hailey scattò verso destra mentre la sua coda di cavallo ruotava, disegnando nell'aria un semicerchio perfetto, per poi andarle a sbattere sulla tempia.

A chiamare il suo nome – e pure il cognome – era stata una ragazza in piedi accanto al banco della frutta. Questa la stava guardando con gli occhi spalancati, la bocca tinteggiata di un rosso accesso leggermente dischiusa e le sopracciglia arcate che sparivano sotto la frangetta bionda.

Hailey si concesse un rapido sguardo alla sua figura, da capo a piedi, sperando che lo studio l'avrebbe portata a dare un nome alla ragazza sconosciuta, e in effetti ci riuscì: corpo slanciato, gambe coperte – o meglio, scoperte – da dei pantaloncini di jeans inguinali, una canottiera rosa che accentuava le curve superiori e un paio di sandali con la zeppa ai piedi sulle cui unghie spiccava uno smalto rosa shocking.

Eccome se conosceva quella ragazza.

Purtroppo.

L'istinto le stava gridando di puntare dritto davanti a sé e far finta di non averla sentita. Ma era un po' impossibile ignorare la voce acuta di Amber Walter, com'era assurdo pensare di poter ignorare una zanzara fastidiosa che ti ronza nell'orecchio nel bel mezzo della notte.

Così Hailey si stampò in faccia la sua migliore espressione confusa, nella speranza che Amber rinunciasse.

Ovviamente era una speranza vana.

« Hailey? » ripeté quella, avvicinandosi con lunghe falcate e ampi movimenti dei fianchi. Probabilmente stava cercando di essere elegante, con il solo risultato di sembrare solo un'ubriaca instabile sulle proprie gambe. « Sono Amber! Amber Walter, ti ricordi di me, no? »

E come poteva dimenticarsela? Dopotutto, anche se probabilmente la diretta interessata lo ignorava, era stata una delle ragioni per cui Hailey se n'era andata cinque anni prima.

Perciò, costretta all'inevitabile, Hailey allargò lentamente il viso in un sorriso a labbra strette, sperando di riuscire a chiudere la faccenda in fretta e tornare alla sua lista con altrettanta rapidità.

« Amber, ciao! » esclamò, portandosi una ciocca di capelli sfuggiti alla coda dietro l'orecchio. Dentro il Walmart si riusciva a respirare grazie all'aria condizionata e il collo di Hailey si era ormai asciugato dal sudore, così la ragazza si arrischiò a togliersi l'elastico dai capelli, legandoselo al polso dove già ne aveva un paio – non si era mai troppo sprovvisti di elastici.

« Oddio, non posso credere che tu sia qui! » disse con quella vocetta nasale che usava sempre quando voleva mostrarsi cordiale. O quando voleva affascinare qualcuno. O quando... Insomma, la sua voce abituale. « Ho rischiato di non riconoscerti, sai? Sei, come dire, cambiata. »

Amber, invece, non era cambiata affatto. Il modo in cui disse quell'ultima frase era lo stesso che usava quando al liceo si trovava costretta a fare un complimento a chiunque non fosse stato il suo riflesso: in altre parole, Hailey doveva ritenersi quasi lusingata da tanta dimostrazione d'affetto.

Ma non erano solo i suoi modi di fare a non essere cambiati. Con un'altra discreta occhiata, Hailey poté constatare che nemmeno il più piccolo pelo del sopracciglio sinistro era cambiato. Storcendo il naso e con un pizzico della gelosia che l'aveva arsa a suo tempo, Hailey dovette ammettere che Amber Walter era bella e carismatica esattamente come cinque anni prima.

E poi, spostando lo sguardo verso destra, ci mancò poco che si dovesse portare la mano al cuore, accentuando lo spavento che prese quando i suoi occhi videro l'orso alle spalle di Amber.

Beh, non era proprio un orso, ma Hailey non si sarebbe stupita se, da un momento all'altro, lui si fosse messo a grugnire, pretendendo un barattolo di miele per mantenersi buono.

Con una mano a circondare la vita di Amber, c'era l'uomo più massiccio che Hailey avesse mai visto: spalle larghe, bicipiti gonfiai a dismisura, fianchi stretti e gambe fasciate da un paio di jeans strappati, per non parlare della massa informe di capelli che aveva in testa. Da dove diavolo era comparso quel tipo?

In effetti, però, Hailey non doveva stupirsi molto: Amber era sempre stata famosa per la scelta di uomini grandi e grossi, e sopratutto pompati. Da quello che aveva sentito dire in giro, Amber voleva essere sicura di non trovarsi mai in svantaggio, nel caso si fosse stata nei guai.

John Flathcer, Christian Dry, Cole Barry erano solo tre dei componenti della squadra di lotta della scuola con cui Amber era uscita. Li aveva fatti passare tutti, non discostandosi mai troppo dal suo modello tipo tranne che per Zach.

Già, come poteva dimenticarsi di lui? Quei due erano usciti insieme per un anno intero...

« Cara, è passato un sacco di tempo dall'ultima volta che ti ho visto! Insomma, sei sparita dalla circolazione da... quattro anni? Cinque? »

Hailey si strinse nelle spalle, certa che quella fosse una domanda retorica. Anche in caso contrario, non ci teneva molto ad alimentare la conversazione: aveva la sensazione che, sebbene fossero passati molti anni, Amber Walter avesse ancora il suo giro di galline pettegole e che le sarebbe bastato un semplice messaggio alla persona giusta con le informazioni giuste perché tutta la città venisse a sapere gli affari suoi nel giro di poche ore.

« Ti trovo bene » disse Amber, squadrandola indiscretamente da capo a piedi, proprio come aveva fatto Hailey nei suoi confronti, ma senza cercare di nasconderlo. Dalla faccia che fece dopo, però, sembrava invece non aver apprezzato ciò che aveva visto.

Le era forse rimasta una macchia di latte sulla maglietta dopo che Ben l'aveva rovesciato a colazione? Hailey abbassò il capo, sospirando di sollievo quando vide che la sua canottiera era pulitissima.

Che problemi aveva, allora?

« Il tuo taglio di capelli è sensazionale, fattelo dire » commentò, allungando una mano perfettamente curata per prendere una ciocca dei capelli di Hailey che, dal canto suo, si costrinse a rimanere ferma.

« Grazie, anche il tuo mi piace » rispose solo per dire qualcosa. Dei capelli di Amber non le poteva fregare di meno.

« Hai mai pensato di iscriverti in palestra? Sai, James lavora lì e ti potresti stupire dei risultati che si possono ottenere in pochi mesi! » esclamò Amber indicando l'orso dietro si sé.

Nella sua mente, Hailey rise leggermente: Amber non era cambiata proprio di una virgola.

Non ci voleva un genio per capire il messaggio che le stava lanciando, ma si rifiutava di sottostare alle vecchie regole di Amber Walter. Non avevano più diciassette anni e non erano più delle ragazzine, ma adulte, malgrado quest'ultima sembrasse non aver ancora superato la fase adolescenziale.

« Ah, sì? Beh, grazie dell'informazione, ci farò un pensierino » rispose Hailey con tutta tranquillità.

Tornare a una linea perfetta dopo una gravidanza era difficile. Il problema di molte neo mamme stava principalmente nel tempo: dopotutto, con un poppante al carico era un po' complicato ritagliarsi del tempo libero per fare attività fisica.

E per Hailey non era stato diverso. Anzi, se possibile era stato ancora più difficile. Era una madre single, viveva da sola in una città lontana dalla famiglia e, sopratutto, era molto giovane. Per quattro anni non aveva fatto altro che pensare a Ben, mattina, pomeriggio e sera, e a volte anche la notte quando lui la svegliava piangendo perché voleva la poppata. Chi aveva il tempo di andare in palestra?

Malgrado ciò, quando si metteva davanti allo specchio, Hailey non era mai troppo scontenta dell'immagine che si trovava a guardare: certo, non poteva pretendere di avere il corpo di una super modella, ma andava fiera delle curve dei fianchi e del seno – maggiormente accentuate dopo la nascita di suo figlio.

Si sentiva più donna.

« Allora, da quanto sei tornata? Subito dopo il diploma sei sparita... Ho sentito dire che sei andata alla Columbia per partecipare a non so quale corso preparatorio, è vero? »

Era stata proprio Allison a far girare quella voce dopo la partenza di Hailey, e quest'ultima non poté fare altro che ringraziarla nella sua testa perché ora le stava fornendo l'alibi perfetto per spiegare la lunga assenza senza che la pettegola della città fosse la prima a scoprire il suo segreto.

« Sono tornata due giorni fa. Ho ricevuto una proposta interessante dalla Columbia e mi sono detta: “Perché no?”. » Beh, la proposta l'aveva ricevuta davvero, ma, ovviamente, aveva dovuto accantonare il sogno della Columbia molti anni prima.

« Capisco... Beh, ci sei mancata » disse Amber con un sorriso, largo tanto quanto la falsità dell'ultima affermazione. « So che sei ancora molto legata a Allison Bye, no? Non eri amica anche di... come si chiama?... Ah, già! Zach Powell? » continuò, sbattendo le ciglia finte una volta di troppo con fare innocente.

Hailey non era stupida e nemmeno indifferente a quel nome, ma conosceva fin troppo bene il gioco che stava facendo Amber: la stronza si ricordava molto bene chi fosse Zach Powell, così come si ricordava tutte le mattine di mettersi tre quintali di fondotinta in faccia per coprire i segni che l'acne giovanile le aveva lasciato.

In fin dei conti, lo aveva tenuto legato al suo guinzaglio di strass per quasi un anno.

Allo stesso tempo, la stronza sapeva anche quanto Hailey e Zach fossero legati e che, in seguito alla partenza della ragazza, il loro rapporto si era incrinato: dopotutto, Amber aveva contribuito in buona parte a quella rottura là dove il loro errore già non era arrivato.

Ma, ancora una volta, Hailey si costrinse a fare un piccolo sorriso di condiscendenza e un cenno con il capo.

« Beh, purtroppo dobbiamo andare. Io e James siamo stati invitanti a uno dei party di Piper Gunt, ci credi? Sarà sicuramente uno sballo. »

Hailey non aveva proprio idea di chi fosse quella Piper Gunt, ma tutt'a un tratto di trovò a ringraziarla mentalmente perché dava feste talmente da sballo che Amber non voleva arrivare in ritardo – festaiola com'era sempre stata, poi, c'era da stupirsi che alle sei di pomeriggio di un venerdì sera fosse ancora sobria.

James, l'uomo alle sue spalle, rimase imperturbabile: come diavolo faceva Amber a uscire con uno del genere? Non che lei fosse molto più interessante...

« È stato bello rivederti » aggiunse Amber, sebbene il suo tono di voce suggerisse il contrario.

Hailey non poteva dire lo stesso: se avesse avuto la facoltà di decidere chi vedere dopo un lungo periodo di allontanamento, Amber non sarebbe stata nemmeno all'ultima posizione della sua lista.

« Anche per me » si costrinse a dire, accompagnando le sue parole con un cenno del mento.

La voglia di mandarla a quel paese era molto forte, ma Amber voltò le spalle in fretta, spinse indietro una ciocca dei suoi capelli platinati e se ne andò in direzione della cassa con al seguito il suo body guard – fosse stata in James, Hailey avrebbe preteso un pagamento per correre dietro ad Amber tutto il giorno – lasciando dietro di sé una scia di profumo scadente.

Ecco come buttare ventitré anni nel cesso, pensò Hailey con una smorfia.

Avesse avuto lei la possibilità di gestire la propria vita indipendentemente, i party certo non sarebbero rientrati nei suoi piani. Ma il destino aveva scelto di riservarle un altro tipo di futuro ed Hailey l'aveva accettato, scoprendo che anche le sorprese più inattese possono riservare sempre qualcosa di bello.

Quando anche l'ultima chiappa soda di Amber Walter scomparve dietro l'angolo, Hailey tornò alla sua lista, lasciando andare il sospiro di sollievo che non si era accorta di star trattenendo.

Quaranta minuti dopo, mentre attendeva in fila alla cassa con un carrello così pieno da scoppiare, il pensiero di Amber le invase nuovamente la testa: era stata la prima persona che aveva visto da quand'era tornata a Manning se si escludevano Allison e suo padre. Ma ciò che mise in agitazione Hailey fu l'analisi delle emozioni provate durante la conversazione con Amber.

Quando si è lontani da casa è facile pensare di essere andati avanti, lasciandosi dietro tutto ciò che prima ci ha turbato, eppure fu destabilizzante scoprire che Amber aveva risvegliato in Hailey quella gelosia che l'aveva colta anche in passato.

Hailey era certa di aver superato tutto.

Evidentemente le cose non stavano così, anche se Amber non stava più con Zach.
 



 

Passo, passo. Respirare.

Passo, passo. Rilasciare.

Quando i polpacci cominciano a far male, quando i polmoni iniziano a bruciare, quando il corpo grida a gran voce di smettere... È allora che il piacere di correre acquista un senso.

Nel momento in cui si raggiunge una certa velocità, anche i colori che definiscono la realtà cominciano a sbiadire, a mischiarsi gli uni con gli altri, creando sfumature multicromatiche indefinite su cui è impossibile focalizzare l'attenzione, ma che scorrono ancora e ancora sullo sfondo.

Per gli odori, invece, funziona in maniera diversa, malgrado respirare diventi difficile. Ogni boccata d'aria è come uno schiaffo in faccia, di una violenza tale che non puoi distrarti un attimo perché l'agguato seguente è sempre dietro l'angolo: lo schiaffo successivo può venire da destra, così come da sinistra. Chi può saperlo?

E allora si impara a godere dell'odore acre che ti entra in bocca, nelle narici, giù per la gola e poi ancora giù, là dove il fuoco dei polmoni arde.

Erba, gas di scarico, fiori, pane appena sfornato, pioggia... Zach li sentiva, li sentiva tutti.

Correre non gli era mai piaciuto. Troppo fatico, un dispendio di energie immenso per un movimento banale come il mettere un piede davanti all'altro. Poi, però, un giorno di cinque anni prima era tornato a casa e si era diretto nella sua camera. Calzati i primi pantaloncini corti trovati sul pavimento e una maglietta a mezze maniche, era uscito e aveva iniziato a fare quel movimento.

Una, due, tre volte... il settimo giorno già non ricordava più perché prima odiava correre.

Di solito il suo turno di lavoro finiva ben oltre l'orario di cena e quindi non gli capitava mai di soffrire per il caldo degli ultimi raggi solari – dopotutto cosa c'era di meglio del buio notturno e della luce della luna? Quel giorno però aveva scambiato il turno con Freddie, in modo che quest'ultimo potesse passare la prima metà della giornata con il figlio che già vedeva poco, dopo la recente separazione con la moglie.

A Zach non importava granché, anzi: era felice di aiutare Freddie quando poteva. Quell'uomo gli aveva insegnato molto nei primi mesi del suo tirocinio al laboratorio e scambiare il turno gli sembrava il minimo. Malgrado non fosse ancora padre, Zach poteva capire che poche ore alla settimana erano una benedizione se si trattava di passarle con il proprio figlio.

I suoi piedi continuavano a muoversi in una successione continua di passi perciò lasciò che la mente si liberasse da qualsiasi pensiero indiscreto l'avesse colto durante la giornata.

Si fidava dei suoi piedi.

Si fidava così tanto che impiegò un po' per accorgersi di aver preso una strada diversa dal solito.

Una strada che non faceva mai.

Fu solo quando la punta della sua scarpa destra inciampò in una radice irregolare del terreno che apprese di essere sulla Moye Street invece che sulla Briarcliff. Tradotto: aveva preso la seconda strada a sinistra – quella che evitava come la peste – invece della prima.

Cazzo, non potete tradirmi così, pensò mentalmente Zach rivolto ai suoi piedi mentre si chinava per sistemare la stringa della scarpa incriminata, il fiato grosso e una sensazione strana che cominciava a farsi largo dentro di lui. Le punte delle dita delle mani gli prudevano, così come il sangue nelle gambe sembrava scorrere più veloce del solito.

Possibile che il pensiero di una casa – legno, calcestruzzo, tinturapotesse fargli quell'effetto tutte le volte? Maledetto subconscio: lo faceva sembrare un grande fifone.

Si alzò con uno scatto e lanciò un'occhiata alle spalle per essere sicuro che nessuno l'avesse visto commettere quel passo falso, poi riprese il suo cammino, senza però tornare alla velocità di corsa che aveva in precedenza.

Non poteva. Non finché quella casa non fosse stata alle sue spalle.

Probabilmente fu una fortuna che non stesse correndo, altrimenti sarebbe inciampato nei suoi stessi passi per la seconda volta in una giornata, facendo la figura del coglione più di quanto non lo fosse veramente. Perché dieci metri dopo, dietro al suo faggio preferito – poteva il pensiero di un bacio rubato sotto quell'albero fare ancora male? –, un auto a lui sconosciuta era parcheggiata nel vialetto della sua casa preferita – e alla stesso tempo che più odiava.

Ma ciò che più gli fece rimpiangere di aver sbagliato strada proprio quel pomeriggio fu la figura dolorosamente famigliare nascosta per metà dai sedili posteriori dell'auto.

Perché Zach conosceva molto bene quelle gambe, quei metri quadrati di pelle chiara e liscia lasciati scoperti da un paio di pantaloncini di jeans. Aveva toccato quella pelle, l'aveva accarezzata e l'aveva anche baciata. Cazzo, alcune notti quelle gambe erano persino state oggetto dei suoi sogni più tormentati.

Non stava avendo un'allucinazione, vero? Perché quel giorno mancava solo di finire all'ospedale con una diagnosi di problemi mentali sulla cartella clinica...

Il respiro, che fino a qualche istante prima si stava regolarizzando, ad un tratto riprese ad essere affannoso e veloce come se Zach non si fosse mai fermato dalla corsa.

Non voleva dire quel nome.

Non voleva pronunciarlo.

Eppure il fiato gli sfuggì dalla gola, portandosi dietro un suono candido e chiaro.

« Hailey. »






Annie ☚ Corner


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 UN COMMENTO ARZIGOGOLATO PER LO SCRITTORE E' UN DONO GRATO  
"WHEN WE WERE YOUNG" ON WATTPAD  

Sabato, tempo di aggiornamento direi.
In realtà non dovrei pubblicare visto che non ho ancora finito di scrivere il capitolo seguente, ma tant'è. 
Non ho molto da dire su questo capitolo. Spero non ci siano errori/sviste. Io faccio quel che posso, ma non avendo nessuna beta non posso essere sicura che i testi siano lindi e perfetti. 
Ringrazio come sempre chi legge e leggerà, chi segue e seguirà, chi mi ha lasciato una piccola recensione e chi magari ne lascerà una, chissà.
Alla prossima,

Annie

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