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Autore: Kind_of_Magic    20/08/2016    1 recensioni
«Smettila» disse Wanda.
«Di fare cosa?» gli occhi di Loki lampeggiavano di divertimento «Di bloccare la tua mente? Vuoi davvero sapere cosa penso? Basta chiedere, te lo dico io: penso che non siamo così diversi come credi tu»
«Non è vero»

[Post AoU] [Clint/Natasha] [Wanda/Visione] [Loki/Bucky] [accenni a Steve/Bucky]
Un essere misterioso noto come K dichiara guerra ai Vendicatori e la squadra non si tira certo indietro. Questa volta, però, sembra che i loro metodi stiano varcando il limite.
Nick Fury si vedrà costretto a fronteggiare una situazione che non aveva calcolato: come difendere la Terra dai suoi Vendicatori?
Così, mentre Quicksilver si riprende dal coma, Loki cerca di capire perché la realtà sembri sul punto di andare a pezzi e la dottoressa Kim lavora su un progetto che le è stato ispirato da un sogno, il colonnello dovrà assemblare un nuovo team.
Nel frattempo, però, bisognerà scoprire cosa ha trasformato i Vendicatori in dei randagi, cosa li ha fatti deviare dall'obiettivo.
Genere: Angst, Azione, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James 'Bucky' Barnes, Loki, Nuovo personaggio, Pietro Maximoff/Quicksilver, Un po' tutti
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Gli uomini incuranti
Avvertenze, leggere e conservare:
Questo capitolo contiene distruzione di broship, un alto numero di morti e i Vendicatori che tendono pericolosamente all'OOC.
Si avverte il lettore che leggendo il testo afferma di aver preso visione dell'avvertenza e di accettare le possibili conseguenze.
Maneggiare con cura. Tenere lontano dalla portata dei bambini.

Gli uomini incuranti

Noi siamo gli uomini incuranti
Noi siamo i randagi
Che si appoggiano l'uno all'altro,
La testa piena di menzogne. Ahimè!
Le nostre voci fredde, quando
Elaboriamo piani distorti
Sono sommesse e senza senso
Come scossa elettrica nell’acqua
O come zampe di ragno sopra pelle straziata
Nel nostro minaccioso sotterraneo
 
Potere senza ideali, vittoria senza vincitori,
Bandiera priva di colore, forza priva di scopo;
 
Coloro che non sono partiti
Con occhi serrati, verso l'altro Regno della morte
Ci ricordano - se pure lo fanno - non come anime
Coraggiose e altruiste, ma solo
Come gli uomini incuranti
I randagi.


«Clint?» la voce di Natasha era impastata dal sonno e la sua proprietaria non capiva perché lui le avesse improvvisamente afferrato la spalla. Voltandosi verso il suo compagno, si accorse che stava ancora dormendo. Aveva gli occhi serrati così forte che la pelle delle sue guance era tirata sulle ossa. Vedendolo così, Natasha si svegliò completamente. Clint stava avendo un incubo e doveva svegliarlo il prima possibile. Chissà cosa gli stava succedendo in sogno, chissà quanto dolore stava provando.
«Clint!» cominciò a chiamarlo, scuotendolo per un braccio, mentre la sua voce assumeva sempre più una sfumatura di urgenza «Clint, svegliati. Ti prego, svegliati»
La stretta sulla sua spalla si faceva sempre più forte, mentre il respiro del suo compagno continuava ad accelerare, ma Natasha non se ne accorse neanche. L’unica cosa che le importasse in quel momento era di liberare Clint dalla sua sofferenza. Gli passò le mani sul volto, cercando di dargli un po’ di sollievo, ma sapeva che non sarebbe servito a nulla fintanto che non fosse riuscita a svegliarlo.
«Clint!»
Clint spalancò gli occhi nel buio della stanza, il fiato grosso come se avesse appena fatto la corsa più lunga della sua vita. All’inizio non capiva nulla, poi si accorse di essere sdraiato nel proprio letto e di star fissando il soffitto. Iniziò a rilassarsi mentre ricordava quanto tutto ciò che lo circondava fosse familiare e significasse casa e sicurezza. Solo dopo qualche minuto si accorse che Natasha, accanto a lui, era sveglia e aveva una mano posata sul suo viso. Fu allora che realizzò di star stringendo qualcosa. Allentò poco per volta la presa, mentre capiva che era la spalla di Natasha.
«Grazie» disse sottovoce la sua compagna.
«Scusami»
«Non scusarti, stai bene?»
Prima di risponderle, Clint pose quella stessa domanda a se stesso. Stava bene? Sentiva dolore da qualche parte? Esaminò attentamente il proprio corpo, poi la propria mente. Natasha attese con pazienza la sua risposta.
«Sì, credo… credo proprio di sì»
«Vuoi parlarne?»
Voleva parlarne? Parlare di cosa, poi? Di ciò che aveva sognato?
Scosse la testa: «Non mi ricordo nulla»
«No?»
«No» non sapeva se rallegrarsene. In fondo, forse era meglio non sapere cosa avesse sognato «anche se ho la sensazione che stia per succedere qualcosa di importante. A tutti noi»
«A causa del sogno?»
«No. O forse sì. Non ne sono certo, ho soltanto questa sensazione. È diversi giorni che va avanti, ma ora ne sono proprio certo. Tu non senti niente? Come una tensione nell’aria che deve risolversi prima o poi»
Natasha ci pensò per un po’: «In effetti, ora che mi ci fai pensare credo di sì. È come se stessimo tutti aspettando qualcosa senza sapere veramente di cosa si tratti. Speriamo che si affretti a succedere, allora»
«Non lo so, potrebbe non essere del tutto positivo»
«Allora prima succederà e prima ci saremo tolti il problema» Natasha si sforzava di essere ottimista perché si era accorta che l’umore di Clint era nerissimo.
«Sempre che sia un problema che possiamo toglierci» considerò cupamente lui.
«Cosa c’è?» Natasha non poté trattenersi dal chiederlo «Perché ti comporti così?»
«Non lo so, scusami» anche Clint si rendeva conto di star ragionando con estremo pessimismo «Quest’incubo mi ha lasciato l’amaro in bocca. Vorrei proprio sapere di cosa si trattava»
«Forse è meglio di no»
Clint sfiorò con la punta delle dita il punto della spalla di Natasha che aveva stretto con più forza: «No, hai ragione»
«Proviamo a riaddormentarci?» propose lei.
«D’accordo»
Natasha si voltò sul fianco sinistro, dando le spalle a Clint. Lui la abbracciò da dietro e chiuse gli occhi. Al contrario di quanto aveva pensato, si addormentò immediatamente. Era stato davvero un bene non ricordarsi cosa aveva sognato.
Furono invece gli occhi verdi di Natasha a rimanere aperti ancora per molto. La donna era preoccupata. Preoccupata per quei sogni di Clint che ormai si presentavano nei momenti più inaspettati. Non poteva trattarsi di stress: erano più di due settimane che non facevano nulla. Forse era l’inattività. No, non poteva essere neanche quello, perché era cominciato ben prima che le missioni si fermassero.
Ma non era solo il suo compagno a dare pensieri a Natasha. Era preoccupata per Tony. Dalla morte di Pepper era cambiato moltissimo. Aveva qualcosa di più feroce, meno controllato, che si manifestava in tutto, ma raggiungeva il proprio apice quando entrava in laboratorio. Quando lavorava a un progetto, che fosse quello di Bruce o un altro, sembrava che non ci fosse nient’altro di importante al mondo. Non mangiava. Non parlava con nessuno. Diverse volte l’avevano trovato addormentato sui propri calcoli, mentre F.R.I.D.A.Y. cercava invano di svegliarlo. Sam e Rhodey avevano dovuto portarlo a braccia in camera sua in almeno tre occasioni. Natasha non voleva neanche immaginare come sarebbe diventato in missione.
Poi c’era Steve. Nat sentiva che il suo migliore amico aveva bisogno di parlare con qualcuno di ciò che era successo con Sharon. Non aveva voluto chiedergli nulla perché si era detta che sarebbe andato lui da lei una volta che fosse stato dell’umore giusto. Forse quel momento non era ancora arrivato. Il fatto era che passavano i giorni e Steve non era ancora andato da lei per sfogarsi. Né da nessun altro. A Natasha dava sempre più l’impressione che si stesse trattenendo con il mondo, come se non avesse voluto lasciarsi andare con nessuno.
Anche Thor era diverso. Non era solo il suo umorismo che era scomparso proprio come quello di Tony, sembrava che l’asgardiano fosse sempre da un’altra parte anche le poche volte che si trovava davvero all’Avengers Facility. Forse pensava a Jane, forse aveva perso il suo riferimento sulla Terra e desiderava tornare ad Asgard, Natasha non lo conosceva abbastanza bene da poterlo dire. Tutto ciò che sapeva era che il gigante biondo non rideva più e da quando Jane era morta non gli aveva sentito dire più di dieci parole di fila.
Clint aveva ragione: c’era nell’aria una forte tensione, ma forse non si trattava di qualcosa che stava per succedere, bensì di tutto ciò che era già successo. Se esisteva un Dio, doveva essere davvero adirato con gli Avengers, si disse Natasha. Sperava che ci fosse veramente qualcosa che stava per capitare, perché la squadra ne aveva un bisogno matto.


Il dio del tuono percorse con lo sguardo la costruzione che si stagliava davanti a lui. La nuova base degli Avengers era certamente meno imponente di quella vecchia, principalmente perché non si sviluppava in altezza, ma si estendeva in larghezza. La nuova Avengers Facility era di certo più attrezzata ad accogliere la squadra, ma Thor avrebbe preferito mille volte l’Avengers Tower, dove aveva vissuto e si era allenato con i suoi compagni tanto da riuscire a sentirsi a casa.
Era già stato là dopo la morte di Jane, ma era stato come non andarci proprio: non riusciva a interessarsi delle vicende quotidiane, quando il pensiero di lei occupava tutta la sua mente. In un certo senso, gli sembrava di mancare alla sua squadra da parecchio tempo.
Pensando di tornare da loro dopo quella lunga assenza, gli nacque un sorriso sulle labbra: i suoi compagni gli erano mancati molto in quei giorni. Si ricordò, però, che l’atmosfera che avrebbe trovato non era la stessa che persisteva nei suoi ricordi. Tony aveva sicuramente sofferto la perdita di Pepper quanto lui aveva sofferto quella di Jane. Ricordava anche che qualcuno, forse Visione, gli aveva comunicato che buona parte del team aveva il morale a terra.
Non che Thor potesse dire di essere di ottimo umore, a dire il vero, ma Natalie aveva ragione. Tornare dai suoi compagni lo avrebbe di certo aiutato a distrarsi e chissà che non riuscisse a essere anche lui un sostegno per loro.
«Benvenuto, signor Odinson» lo salutò la voce di F.R.I.D.A.Y. aprendogli la porta «Le apro la camera?»
«Sì» rispose Thor, ricordando che aveva una camera anche là, e si sentì rilassato per qualche attimo. Fu come se fosse stato tutto pronto per lui, come se il destino l’avesse voluto lì. Che impressioni dà il tornare in un posto dopo qualche tempo, si disse poi, scuotendo la testa. Si incamminò verso la propria stanza, lasciando che le sue gambe gli insegnassero di nuovo la strada e ringraziò l’intelligenza artificiale appena prima di entrare.


Era ora. Il momento era arrivato. Dopo oltre due settimane di inattività, gli Avengers sarebbero dovuti tornare sul campo. Il Tony di qualche tempo prima avrebbe trovato degno di nota che la prima missione dei Vendicatori dopo quella pausa fosse una vendetta. Avrebbe detto ai propri compagni che avevano l’occasione di rendere onore al proprio nome una volta per tutte. Ma ormai non gli importava più, era tutto uguale. Niente poteva veramente interessarlo.
Una parte di lui ancora rideva per qualche sagace battuta che gli veniva in mente, la stessa parte che avrebbe voluto far notare ai suoi compagni quel divertente gioco di parole sul nome. Ma ormai quella parte di lui se ne stava per lo più in silenzio sepolta sotto una coltre di indifferenza. Forse una volta che avesse ottenuto giustizia e vendicato la morte di Pepper avrebbe potuto cominciare a ritrovare quel vecchio Tony, ma per il momento non ne era in grado. E non lo voleva neppure.
Chiese a F.R.I.D.A.Y. di convocare tutti nella sala centrale per il briefing, poi si avvicinò al piccolo frigo-bar che era integrato nella sua camera. Aprì l’anta e passò in rassegna ciò che conteneva con lo sguardo, poi la richiuse con un sospiro. Proprio non gli andava di bere nulla.


A Wanda piaceva allenarsi con Sam. Normalmente non adorava le persone che facevano battute in continuazione, come Tony prima che succedesse tutto quanto, e alla lunga le davano fastidio. Con Sam, però, si trovava estremamente a proprio agio. Forse la differenza era che lui non aveva la pretesa di essere divertente, non cercava in tutti i modi di farla ridere ogni due secondi.
In quel momento erano nel bel mezzo di uno degli allenamenti che praticavano più spesso, sia perché era utile a entrambi e sia perché ancora non lo padroneggiavano benissimo. Wanda sollevava Sam con i propri poteri il più in alto possibile, mentre lui se ne stava raggomitolato su se stesso in posizione fetale. Al segnale, Wanda interrompeva il controllo telecinetico e Sam cominciava a precipitare verso terra. L’allenamento dell’ex-paracadutista consisteva nel distendere le proprie ali in tempo per non schiantarsi al suolo e poi riprendere quota. Alcune volte Falcon non era abbastanza pronto e allora toccava a Scarlet impedire con uno scudo di energia che si facesse male seriamente.
Sam stava proprio planando con il torace a pochi centimetri da terra quando nel suo ricevitore arrivò la convocazione di F.R.I.D.A.Y. nella sala centrale.
«A quanto pare Tony ha qualcosa da dirci» comunicò a Wanda mentre atterrava al suo fianco «Ci troviamo nella sala centrale appena possibile. Vado a chiamare Steve»
La giovane donna annuì e rispose che lei avrebbe cercato Visione per avvertirlo. Da vero cavaliere, Sam le tenne la porta: «Signorina Maximoff»
«A dopo, signor Wilson» rise lei.
Era bello vedere Wanda allegra, pensò Sam. Da quello che aveva capito, tra lei e Visione era finalmente sbocciato ciò che Sam aveva sperato da parecchio tempo. E d’altronde, non vedeva proprio come si potesse non sperarlo, dopo averli visti insieme.
Forse lei non se n’era accorta, ma da qualche tempo era più solare. Non capitava più che si rabbuiasse improvvisamente come quando si ripensa a qualcosa di brutto. Succedeva piuttosto il contrario: rideva per le battute, ogni tanto ne azzardava timidamente qualcuna e a volte Sam la sorprendeva a sorridere senza un vero motivo. Ripensandoci, però, gli venne in mente che tutto ciò era cominciato dopo che lei e Visione avevano cominciato a frequentarsi di più. Chissà, forse si era trattato di qualcos’altro.


Bruce si trovava già nella sala centrale, quando gli arrivò la convocazione. Gli piaceva la quiete che riempiva quella stanza così grande quando era vuota, quando le voci degli Avengers sembravano distanti anni luce.
A volte si chiedeva che cosa ci facesse insieme a quegli altri. Loro erano dei supereroi, facevano del bene, salvavano la gente, potevano comparire nei telegiornali senza spaventare i bambini. Lui non era un supereroe, era soltanto un superpericolo. Certo, gli faceva piacere sapere che i suoi amici si fidavano di lui tanto da includerlo nella squadra, ma a volte avrebbe tanto voluto liberarsi dell’Altro. Si trattava soltanto della curiosità di come si sarebbero comportati gli altri con lui se fosse stato soltanto Bruce Banner e non anche l’alter ego di Hulk.
Ormai, però, se n’era fatto una ragione: non sarebbe mai riuscito a separarsi dall’Altro se non uccidendo entrambi. Sarebbe stata comunque una valida alternativa, ma aveva ormai provato in tutti i modi, fallendo. L’Altro sembrava immortale e lui non poteva morire finché Hulk sopravviveva. Uccidersi era impossibile quanto inventare il teletrasporto.
Voltò la pagina del proprio quaderno su cui aveva rifatto per la centesima volta i calcoli per quell’invenzione. Aveva detto a Tony che avrebbe lasciato perdere, ma non ce l’aveva fatta. Aveva continuato a tentare, con l’ostinazione di un bambino. Con l’ostinazione di Hulk, si disse. Doveva finirla con quella storia. Aveva bisogno di trovare un altro fine per se stesso. Chissà, forse Tony avrebbe potuto avere la risposta a quei suoi problemi. Avrebbe potuto procurargli uno scopo.


Steve si sentiva incredibilmente bene quando si allenava da solo con il sacco. Ogni colpo che tirava gli faceva tornare in mente quel giorno in cui Fury gli aveva proposto di entrare a far parte degli Avengers. Mille volte si era detto che era stata la scelta peggiore della sua vita. Milleuno volte si era contraddetto. Era quello il suo scopo, si diceva, essere l’eroe di cui l’America aveva bisogno, essere il sogno che l’America aveva bisogno di sognare.
Era anche per quello che aveva rifiutato l’offerta di Wanda e Sam di allenarsi con loro. Ma soprattutto perché aveva bisogno di pensare. Ma non doveva pensare a Sharon. Non doveva ricordarsi di quello sguardo triste con cui l’aveva lasciato. Non doveva ripensare alle parole che aveva pronunciato quella sera, cercando di trovarne di migliori per convincerla che… Non doveva pensare a Sharon, maledizione!
Si fermò per un attimo, annaspando come qualcuno sul punto di annegare. Doveva parlare con qualcuno di tutto ciò che gli stava succedendo. Gli tornarono in mente tutte le occhiate che Natasha gli aveva lanciato in quei giorni. Sapeva che lei si stava trattenendo dal chiedergli di aprirsi. Sapeva che avrebbe dovuto chiederle di andare a bere qualcosa insieme e raccontarle tutto ciò che sentiva. Aveva bisogno di condividere quei pesi con qualcuno e sapeva che Natasha era la persona giusta, eppure esitava.
A se stesso diceva che non voleva caricare la sua migliore amica con più problemi di quanti già ne avesse. Aveva visto le sue occhiaie. Aveva visto che Clint aveva qualcosa che non andava e lei naturalmente se ne preoccupava. Era normale. A se stesso ripeteva che non aveva il diritto di scaricare tutto su di lei.
Ma in realtà sapeva che semplicemente non aveva voglia di parlarne con nessuno, neanche con Natasha. Non gli andava proprio di scavare dentro di sé abbastanza a fondo da trovare parole con cui spiegare cosa gli stava succedendo. Eppure avrebbe dovuto farlo prima o poi, si disse, e meglio prima che poi. Meglio con Natasha che con chiunque altro.
Fu quasi grato a Sam, che comparve alla porta per distoglierlo dai suoi turbinosi pensieri e comunicargli che Tony li aveva convocati nella sala centrale. Finalmente un po’ di distrazione. No, non avrebbe dovuto considerare le missioni come distrazioni, non era da lui. Era una cosa seria, c’erano sicuramente delle persone in pericolo. Ma non poteva impedirsi di ringraziare per quella possibilità di staccare.


«Mi cercavi?» domandò Visione, passando attraverso uno dei muri e comparendo di fronte a Wanda.
«Più che altro ti aspettavo» rispose lei con un sorriso «Immaginavo che non ci avresti messo molto a trovarmi. Suppongo che tu abbia sentito la convocazione di Stark»
«Ecco perché sono qui. Ma tu vuoi dirmi qualcosa, sbaglio?»
«No» Wanda aveva smesso di chiedersi come facesse Visione a sapere sempre in anticipo quando lei doveva parlargli di qualcosa. Aveva semplicemente accettato il fatto così com’era «Non sbagli»
«Puoi parlarmene mentre andiamo?»
«Certo. Non è che ci sia molto da dire. Volevo solo farti sapere che Pietro è vivo»
«Davvero?» la gioia manifestata da Visione era incredibile, ma Wanda era certa che fosse spontanea. Sorrise davanti alla sua reazione e annuì.
«Ne sei certa? Come lo sai?»
«L’ho visto con i miei occhi. Un pomeriggio ero lì che leggevo e pensavo a lui. Mi sono concentrata moltissimo, volevo sapere se fossi capace di vederlo. Invece ho avuto una visione di un sogno. Eravamo nella casa di quando eravamo piccoli. Io leggevo quello stesso libro e a un certo punto è entrato nella stanza. Ci siamo parlati, ci siamo abbracciati. Credo che lui stesse sognando. È stato così bello vederlo vivo. Mi ha detto che ancora non è guarito e non riesce praticamente a muoversi, ma è vivo. Vivo!»
Visione non disse nulla e continuò a sorridere, mentre pensava a quanto era felice di vedere il volto di Wanda illuminato da quella letizia.


«Ancora!» chiese Clint ansimante, rimettendosi in posizione di attesa.
«Non hai già preso abbastanza scosse, Samurai?» lo prese in giro Natasha.
«E tu non sei già sufficientemente tagliuzzata?» rispose con un sorriso il suo partner.
Natasha gli lanciò uno sguardo che voleva dire “E così vuoi la guerra?” e si lanciò contro di lui. Il ritmo della lotta era serratissimo, nonostante i due combattessero con stili completamente diversi. La russa aveva in mano due bastoni, che imitavano i suoi Pungiglioni. Ogni volta che riusciva a trovare una falla nella difesa di Clint, lo colpiva come avrebbe fatto con le armi reali e l’arciere imitava la reazione che avrebbe avuto se avesse ricevuto una vera scossa.
Da parte sua, Clint impugnava una lama lunga e sottile, ispirata nella progettazione a diverse armi orientali. La maneggiava con estrema disinvoltura, ma all’occorrenza la lasciava cadere per estrarre un corto pugnale o combattere a mani nude. Nessuna delle due lame era affilata, ma Natasha simulava di aver ricevuto i tagli ogni volta che lui riusciva a colpirla.
Dopo diversi minuti di combattimento, Natasha riuscì ad afferrare il braccio di Clint che impugnava la spada e a torcerglielo finché lui non la lasciò cadere. Clint utilizzò la forza dell’altro braccio per spingerla indietro. Natasha atterrò con una capriola all’indietro per diminuire l’urto sulla schiena e poi si rialzò mentre lui sfoderava il pugnale. La russa si lanciò contro di lui, ma Clint si abbassò all’ultimo momento e la sbilanciò afferrandole le ginocchia. Dopo averla fatta cadere, si mise a cavalcioni del suo stomaco e le puntò il pugnale alla gola, ma Natasha gli diede una scossa con i due Pungiglioni. Clint abbandonò per un attimo il controllo sui propri muscoli e lei ne approfittò per spingerlo lontano da sé. Stava per lanciarsi su di lui per cercare di togliergli anche il pugnale, quando arrivò la convocazione nella sala centrale.
Gettò a terra i finti Pungiglioni e vide Clint fare lo stesso con il pugnale, poi gli porse la mano per aiutarlo a rialzarsi.
«Io mi faccio una doccia, prima di andare di là» gli annunciò «Temo che questa sessione di allenamento mi abbia fatto sudare giusto un po’»
«Penso che seguirò il tuo saggio esempio» rispose Clint «Ci troviamo in camera?»
«Perfetto»
Natasha gli diede un veloce bacio sulle labbra e poi sparì verso lo spogliatoio delle donne per la palestra di allenamento. Clint la guardò andare via e poi si avviò nella direzione opposta, pensando a quanto era stato maledettamente fortunato.


«Senti, Steve…» cominciò Sam, cercando le parole giuste, mentre si recavano nella sala centrale «Io lo so che stai passando un brutto periodo e magari non ti va di parlare con nessuno…»
«Esattamente» rispose Steve, un po’ più tagliente di quanto non avrebbe voluto «Con nessuno. Visto che lo sai, Sam, forse sarebbe meglio se lasciassi perdere subito l’argomento»
«No, in realtà, non è di questo che volevo parlarti»
Steve si voltò a guardarlo, sorpreso: «No?»
«No, ecco, si tratta di Tony»
«Tony?»
«Sì, lui… Non so, forse te ne sei accorto anche tu o forse hai avuto altro a cui pensare, ma non è più lo stesso. Prima Pepper, poi tu e Thor che siete andati via di colpo, insomma, non è stato facile neanche per lui. Rhodey ha provato a parlarci, ma non ne ha ricavato molto e pensavo che magari, visto che tu sei uno dei suoi migliori amici, con te sarebbe riuscito ad aprirsi un po’ di più, che ne dici?»
Ascoltando Sam, Steve si accorse che aveva ragione. Tony non parlava più con nessuno. Tony stava sempre attaccato ai suoi computer o in laboratorio. Tony quasi non mangiava più. Tony… da quanto tempo non ci faceva una bella chiacchierata come si deve? Era stato così preso dai propri problemi che si era dimenticato di cosa stesse passando Tony.
Si sentì tremendamente in colpa. Sapeva per certo che se la situazione fosse stata invertita Tony non avrebbe esitato a offrirgli il proprio appoggio. Lui, invece, non aveva saputo fare altro che piangersi addosso e andarsene proprio nel momento in cui il suo amico avrebbe avuto più bisogno di lui. Stava succedendo tutto troppo in fretta. Stavano succedendo troppe cose insieme.
«Hai ragione, Sam, devo proprio parlargli» concluse con un sospiro «Magari ora che arriviamo, se non ci sono ancora tutti, provo a dirgli due parole, ti sembra una buona idea?»
«Certo» Sam sembrava soddisfatto della sua risposta «Tanto nessuno vi disturberà, se vedranno che Tony sta parlando con qualcuno»
Erano davvero arrivati a quel punto? Steve si chiese cosa avesse avuto davanti agli occhi fino a quel momento che gli impedisse di vedere come stavano le cose.


Rhodey aveva accettato il compito di scrivere i rapporti delle missioni assegnatogli da Fury di buon grado. Non gli era mai pesato stilare quel tipo di resoconti e in quel modo aveva la possibilità di rifornirsi di aneddoti da raccontare alle feste. Non gli era sembrato niente di complicato e pareva destinato a rimanere semplice e lineare. Cosa poteva esserci di strano in una missione dei Vendicatori?
E invece ora era là, a cercare le parole per spiegare a Nick Fury che cosa era successo. Ma come poteva trovarle, se neanche lui sapeva esattamente che cosa aveva causato quelle morti? Rimaneva lì, a fissare quei numeri che lo incolpavano silenziosamente di una negligenza che non capiva. Era sempre andato tutto bene: seguivano il piano, minimizzando le perdite civili, e portavano a termine la missione.
Il fatto era, anche se Rhodey non lo avrebbe mai voluto ammettere con se stesso, figurarsi con Nick Fury, che il piano non comprendeva più il numero più basso possibile di perdite civili. Era una cosa accessoria e irrilevante, di cui potevano occuparsi se volevano finché questo non danneggiava la missione. Rhodey, Sam, Wanda e Visione -gli unici a cui importava ancora qualcosa, a quanto pareva- avevano cercato di organizzarsi per fare il possibile, ma in quattro non potevano certo sostituire l'intera squadra. E i numeri salivano.
Aveva cercato di parlarne con Steve, visto che lui e Natasha si occupavano dell’organizzazione tattica delle missioni, ma senza risultato. L’altro a malapena lo ascoltava, gli diceva che aveva ragione e ci avrebbe fatto più attenzione e poi la missione successiva non cambiava nulla. Lo stesso era successo con Natasha, con la lieve differenza che la russa non aveva neanche finto di dargli ragione, lo aveva semplicemente ignorato.
E cosa poteva dire ora a Nick Fury, che chiedeva spiegazioni per quei civili morti? Avrebbe dovuto scrivergli la verità, ma non se la sentiva. Nessuno, neppure Fury, avrebbe lasciato operare gli Avengers in quelle condizioni. Rhodey aveva paura che quel team venisse sciolto. Tony aveva bisogno dei Vendicatori, così come Thor, Steve, Natasha, Clint e Bruce. I lutti che avevano colpito la squadra e tutte le difficoltà che i suoi componenti avevano affrontato avevano messo a dura prova l’unità del team, ma ora sembrava che tutti loro si aggrappassero gli uni agli altri per tirare avanti. Non potevano sciogliere gli Avengers. Rhodey, Sam e Wanda ce l’avrebbero fatta senza, Visione avrebbe trovato un modo, ma gli altri no. Forse era per quello che i piani d’azione delle missioni erano cambiati. I Vendicatori avevano bisogno di sentirsi forti, di portare a termine tutti i compiti con facilità. Salvare i civili era un rischio, un pericolo per la riuscita della missione.
Non aveva ancora preso una decisione, quando gli arrivò la convocazione da F.R.I.D.A.Y. in sala centrale. Chiuse il portatile di scatto e andò via. Finalmente una scusa per non scrivere quella dannata mail.


Tony si incamminò lentamente lungo il corridoio. F.R.I.D.A.Y lo avvertì che Scarlet, Visione e Banner erano già nella stanza, mentre War Machine era quasi arrivato. Gli altri si stavano già dirigendo verso la sala centrale e sarebbero stati lì nel giro di un quarto d'ora. Aprendo la porta, il miliardario si disse che quella sarebbe stata la riunione più lunga della sua vita.
Nell’attesa, Tony ricontrollò con il proprio tablet di avere tutte le informazioni necessarie e rilesse ancora una volta i dettagli. Sapeva che gli altri stavano facendo un grosso sforzo per non fissarlo: Wanda e Visione chiacchieravano e Bruce scarabocchiava sul proprio quaderno -chissà se stava ancora cercando l’errore nella sua formula per il teletrasporto-, ma ciascuno di loro gli lanciava di tanto in tanto delle occhiate furtive. Rhodey entrò in silenzio, salutò a bassa voce tutti e si sedette a una sedia di distanza da Tony, in modo che, se avesse avuto voglia di parlare con lui, Stark non avrebbe avuto alcuna difficoltà. L’amico, invece, gli rivolse a malapena un saluto e tornò al proprio tablet.
La porta si aprì di nuovo ed entrarono Capitan America e Falcon. Wilson annuì leggermente all’indirizzo di Rogers, come finendo una conversazione cominciata prima di entrare, e si sedette al tavolo delle riunioni, dal lato opposto di Tony. Steve, invece, prese la sedia proprio accanto alla sua. I due si fissarono per qualche attimo: entrambi avevano bisogno di parlare e nessuno ne aveva voglia.
«Come stai?» chiese infine Tony. Steve parve quasi sorpreso da quella domanda, che avrebbe dovuto forse porre lui. Rimase un attimo in silenzio, forse cercando una risposta che evidentemente non trovò, perché si strinse soltanto nelle spalle e domandò: «E tu?»
Tony sospirò e scosse la testa: «Cosa vuoi che ti dica?» Steve abbassò lo sguardo: gli altri potevano pensare che Tony stesse piano piano riprendendosi, ma quegli occhi scuri raccontavano un'altra storia e lui non era in grado di sopportare tutto il loro dolore.
«Mi dispiace di non essere venuto al funerale. Io ero... confuso»
A quelle parole, la mente del genio fece un salto all’indietro, al giorno del funerale di Pepper.
Era un pomeriggio piovoso e freddo, sembrava che anche il cielo fosse in lutto. Le prime gocce avevano cominciato a cadere quando la bara stava per essere calata nella terra. Era stato come se tante lacrime avessero bagnato il coperchio di legno scuro. Era stata una cerimonia breve e raccolta, proprio come l’avrebbe voluta Pepper secondo Tony. Non era una cosa da lui, ma quel giorno niente era così, neanche Tony stesso. Era vestito con il solito completo elegante, ma per una volta aveva rinunciato agli occhiali da sole. Spesso li portava perché non voleva che gli altri vedessero i suoi occhi o ciò che stavano guardando, ma quel giorno non gli importava.
Non era venuta molta gente: qualche collega, alcuni dei parenti, qualcuno dei Vendicatori. La squadra aveva proposto a Tony di fare una specie di addio militare a Pepper, ma lui non aveva voluto. Sentiva ancora come colpa sua tutto ciò che le era accaduto e gli sarebbe sembrato terribilmente irrispettoso comportarsi così al suo funerale.

«Tony?» lo chiamò Steve, risvegliandolo dal suo viaggio nei ricordi.
«Scusami. Non ti sei perso granché, comunque, è stato piuttosto penoso. Pioveva, non c'era tanta gente e... Insomma, non ero proprio al mio top, come puoi immaginare»
Steve non disse nulla per un po', pensando che rivoleva il vecchio Tony.
Se gliel'avessero chiesto un mese prima, avrebbe detto che non avrebbe mai sentito la mancanza delle battutine idiote di Stark, qualora lui avesse miracolosamente smesso di farle. E invece la sentiva eccome: Tony era l'ombra di se stesso, senza quella sua fastidiosa ironia.
Sentì crescere dentro di sé una rabbia furibonda verso quegli uomini, quella crudeltà volta solo a cercare la sofferenza del suo amico. Dovevano fare qualcosa, dovevano far capire loro che gli Avengers non si sarebbero piegati così facilmente.

«Hai delle informazioni, allora?» domandò, con una nuova forza nella voce.
Tony parve emergere da un altro mondo per rispondere: «Sì, o almeno spero. Sarebbe la quinta falsa pista in caso mi sbagliassi»
«Allora speriamo che non sia così. Mi dispiace che tu abbia dovuto fare tutto da solo»
Tony lo guardò negli occhi e vide che Steve si sentiva davvero in colpa per essersene andato in quel modo nel momento in cui avevano tutti bisogno di lui. Per non esserci stato al funerale di Pepper. Per non aver aiutato Thor a superare la morte di Jane. Per aver lasciato che lui raccogliesse tutto da solo le informazioni per quella missione.
Perciò gli mise una mano sulla spalla: «Non ti preoccupare, non ho lasciato comunque avvicinare nessuno. Non avrei condiviso quella ricerca neanche con te»

«Avrei potuto provarci» Steve sembrava davvero abbattuto e Tony si sentì quasi in colpa.
«Beh, basta il pensiero, dai» gli disse, accennando un sorriso. Quando vide che l'amico gli aveva sorriso in risposta, si strinse mentalmente la mano da solo per complimentarsi del risultato ottenuto. Si chiese chi dei due si stesse appoggiando all’altro in quel momento.
Entrando, Natasha li vide sorridere e si disse che quei due erano incredibili: entrambi erano stati colpiti duramente, erano confusi e avevano bisogno di un sostegno, ma tutto quello che facevano era cercare di aiutare un amico.
Sentì Clint di fianco a lei fare una battuta rivolta a tutti e si accorse che l'atmosfera si stava pian piano alleggerendo. Sorrise e pensò che non ci sarebbe mai stato superpotere migliore di quello di saper far ridere un amico.

 
Circa un quarto d'ora dopo, i Vendicatori al completo fissavano l'immagine che Tony aveva proiettato con un ologramma. Rappresentava la casa di Pepper in fiamme. Tutti quanti avevano già visto quelle fotografie, ma guardarle in tre dimensioni e con Tony vicino faceva tutto un altro effetto. La stanza si caricò di quel silenzio rammaricato interrotto solo da schiarimenti di voce e sospiri tipico di chi si sente in dovere di dire qualcosa, ma non riesce a trovare le parole.
«Non dovete scusarvi» disse Tony, la voce un po' tremante «Non è mica colpa vostra» fece una breve pausa che nessuno si sarebbe mai sognato di interrompere, poi spostò quell’immagine olografica e la sostituì con quella di due uomini vestiti con abiti scuri e pratici «Per la precisione, è colpa loro»
«Sono stati mandati da qualcuno» disse Natasha a bassa voce «Due tizi così non attaccano IronMan con tutte quelle informazioni a disposizione»
«Esattamente quello che ho pensato anch'io» rispose Tony «Infatti sono riuscito a risalire a questa base di operazioni, che è evidentemente per un team più ampio di due persone»
La costruzione su vari piani che comparve davanti ai loro occhi era effettivamente sufficiente per ospitare almeno un centinaio di persone. Era uno di quei tanti uffici prefabbricati che si trovano un po' ovunque, con una struttura di cemento a malapena mascherata dall'intonaco.
«Dobbiamo andarci?» domandò Thor, sollevando per la prima volta lo sguardo dalle immagini e rivolgendosi a Tony,
«In realtà, per quanto mi riguarda possiamo anche farla saltare in aria sulla fiducia» fu la risposta. Sam e Rhodey risero a quell'affermazione e pensarono che forse non era tutto perduto, se Tony aveva ancora quel senso dell'umorismo «Guardate che non era una battuta» li gelò lui.
«Tony?» disse Rhodey con un po’ di incertezza nella voce, cercando di fendere quel silenzio che stava schiacciando tutti «Quindi cosa dobbiamo fare?»
«Purtroppo non possiamo farla davvero saltare» sospirò Tony «O almeno, potremo farlo solo dopo che avremo raccolto tutte le informazioni che ci servono. Sono quasi sicuro che quella non sia la loro sede principale»
«Non lo faremo comunque, vero?» domandò Scarlet.
«Perché no?» le rispose Steve con la voce più dura che lei gli avesse mai sentito. Al confronto, il suo scudo sembrava fatto di burro «Hai visto cos’hanno fatto a Pepper. Meritano clemenza?»
«Sono persone, Steve» gli ricordò Falcon «Se anche non meritano clemenza, meritano giustizia. Non decidiamo noi della loro sorte, c’è la legge per quello»
«Possiamo decidere che cosa fare di loro dopo che avremo stabilito un piano di azione» li interruppe Banner «Per ora l’importante è arrivare alle informazioni che servono a Tony, no?»
«Ben detto» convenne con lui Thor «Che cosa cerchiamo?»
«Questo è il problema» rispose Tony.
La mente di Visione registrò quella risposta come sbagliata. Il genio di una volta avrebbe detto qualcosa come "qui sta il bello" oppure "ecco la parte divertente", invece di parlare di problemi con quel tono afflitto. Il genio di una volta faceva attenzione a non colpire il morale dei suoi compagni, cercava di trovare sempre il lato positivo di tutto come forma di difesa, non trasmetteva agli altri il proprio sconforto. Il genio di una volta guardava le persone negli occhi mentre parlava cercando di coinvolgerle nei propri pazzi discorsi, non teneva lo sguardo incollato alle immagini come se avesse parlato al nulla.
Il genio di una volta non c'era più.

«Non sappiamo cosa stiamo cercando?» chiese Natasha.
«Sì e no» rispose Tony «Una cosa la sappiamo: come ho detto, non è l’unica base ed è probabile che non sia neanche la principale. Dobbiamo trovare le altre e sicuramente ci saranno dei file da hackerare, un archivio o qualcosa di simile. Poi potrebbe essere interessante avere qualcuno da interrogare. Per il resto non lo so. Potrebbero avere attrezzatura pericolosa o utile o entrambe, e in quel caso potremmo portarla in laboratorio. Potremmo scoprire che hanno contatti con altre organizzazioni e allora dovremmo capire quali sono. Oppure nulla di tutto questo, la base potrebbe essere completamente deserta perché qualcuno li ha avvertiti del nostro arrivo»
«E quindi, in sostanza, dobbiamo scoprire il più possibile su questi tizi e tutti quelli con cui hanno contatti, prendere i giocattolini da laboratorio che troviamo e se possibile fare qualche “prigioniero”» riassunse Clint.
«Com’è la zona?» si informò Visione «Ci sono abitazioni o potrebbero esserci dei civili?»
«Si sono scelti un posto abbastanza isolato» rispose Tony «Ma comunque se ci fossero delle altre persone si troverebbero nel posto sbagliato al momento sbagliato»
«E noi le porteremmo in salvo» concluse Sam con voce determinata.
«Ne abbiamo già parlato, Sam» disse Steve «Non possiamo mettere a rischio la missione solo per qualche civile»
«No, voi ne avete parlato» ribatté Wanda «Ma questo non significa che noi siamo d’accordo. La nostra missione è anche salvare i civili»
«Fate come vi pare» troncò Natasha «Ma quando abbiamo bisogno di voi dovete esserci»
«E noi ci saremo» concluse Rhodey «Non dubitate»
Natasha e Steve elaborarono velocemente un piano, cui nessuno fece obiezioni. Prevedeva la “pulizia” completa dell’edificio, come l’avevano chiamata, prima di dedicarsi alla ricerca di informazioni. Dovevano avere il campo libero in quel momento.
«Partiamo tra un’ora» decise infine Tony, dopo qualche minuto di silenzio teso «Se qualcuno non se la sente o non è d’accordo, può benissimo non venire»
Nessuno disse nulla e uno a uno i Vendicatori lasciarono la stanza per andare a prepararsi. L’atmosfera, però, non era stata alleggerita di un grammo.
 
«Ti do il cambio?» si offrì Clint dopo diverse ore che Tony guidava «Non è bene che ti stanchi tanto, come combatterai se hai i nervi così tesi?»
«Ho comunque i nervi tesi» ribatté Tony, ma accettò il cambio e andò a raggiungere gli altri. Per qualche decina di minuti nella cabina di pilotaggio regnò il silenzio, poi Clint vide qualcosa con la coda dell’occhio.
Si voltò di scatto e si trovò davanti Wanda che lo guardava come temendo che potesse attaccarla: «Posso?»
«Non vedo perché no» rispose l’arciere rilassandosi sul sedile.
La giovane strega si sedette di fianco a lui: «Beh, diciamo che la discussione di prima è stata un po’ concitata e magari avevi voglia di stare da solo o comunque di non parlare o magari di non parlare con me»
Clint sorrise: «Wanda, le squadre discutono da che mondo è mondo e le cose non cambieranno soltanto perché i componenti sono dei supereroi, ma questo non vuol dire che dopo non si possa parlare e cercare di chiarire la situazione»
«Mi era sembrato che questa volta fosse diversa»
«Lo era» confermò lui «Siamo tutti tesi, molti di noi hanno altro per la testa, ma allo stesso tempo non vogliamo far pensare a Tony che non ci importi della missione perché non è così. Cerchiamo di rimanere presenti perché sappiamo che la squadra ha bisogno di noi, ma non è facile»
«Sì» rispose Wanda «Ma non è questo che intendevo. Non c’è mai stato bisogno di discutere riguardo ai civili. Siamo sempre stati d’accordo su quello, ti ricordi? A Sokovia, tutto quello che abbiamo fatto è stato proteggere delle persone che non c’entravano nulla»
«Le cose cambiano» disse Clint.
«Alcune cose no. Ti ricordi che cosa mi hai detto quella volta? Mi hai fatto un gran bel discorso, mi hai detto che sarei stata un Avenger se fossi uscita da quella porta. Io pensavo che essere un Avenger volesse dire questo»
«Le cose cambiano» ripeté l’uomo «Non devi giudicarci in questo modo. Non sai molte delle cose che stiamo passando»
«"Stiamo"? Anche tu…?» Wanda sembrava sconvolta «Perché non mi hai detto nulla?»
«Non volevo caricarti di un altro peso» mentì Clint.
Se Wanda se n’era accorta, non lo diede a vedere: «Ma siamo amici. Per darti una mano posso sopportare qualunque peso»
«Lascia stare, sono solo degli incubi» minimizzò Clint «Non è nulla di grave, è solo che non riesco a dormire bene e allora mi sembra sempre tutto più difficile»
«Posso provare ad aiutarti, se vuoi» propose Wanda. Clint ricordò a se stesso che i poteri della strega potevano agire anche sul subconscio. Fu tentato di accettare, dicendosi che poteva fidarsi di lei e che sicuramente non gli avrebbe fatto nulla di male, ma poi senza sapere il motivo ebbe paura e decise di rifiutare.
«No, lascia stare, non importa» sorrise allora, decidendo di mentire ancora «Sta migliorando poco per volta»
«Come vuoi»
Per un po’ tacquero entrambi, poi Wanda decise di togliersi un dubbio: «Sarai dei nostri per mettere in salvo i civili?»
Clint rimase per qualche secondo in silenzio, come esitando a rispondere. Sapeva che ciò che avrebbe detto non le avrebbe fatto piacere. Infine si decise, decretando mentalmente che in quella conversazione aveva mentito già troppe volte: «No»
«Scusa?» Wanda non aveva capito. O meglio, la mente di Wanda si rifiutava di capire. Clint aveva parlato a voce bassa e c’era una parte di lei che si aggrappava alla speranza di aver sentito male, ma sapeva benissimo che quella possibilità in realtà non esisteva. Semplicemente, non riusciva a crederci.
«Ho detto di no» rispose l’arciere «La missione è più importante. Non sappiamo che pericoli potrebbero esserci là dentro e io non me la sento di non essere al fianco degli altri»
Era proprio vero. Clint aveva detto di no, senza alcuna possibilità di errore.
Wanda prese velocemente in considerazione varie opzioni, che variavano dal gettarsi dal portellone del Quinjet all’entrare nella mente di Clint e tirare fuori i ricordi di tutto ciò che aveva fatto di male e tutto il dolore che aveva sofferto. Le scartò tutte.

Si sarebbe aspettata quella risposta da Visione. Dopotutto, era possibile che secondo i calcoli dell’androide la partecipazione al salvataggio dei civili fosse troppo rischiosa. Se lo sarebbe aspettata da Sam, se Steve lo avesse convinto che il piano poteva risultare più vantaggioso in un altro modo.
Se lo sarebbe aspettata da chiunque altro, ma non da Clint. Non dall’arciere che l’aveva persuasa a entrare nella squadra. Non dall’arciere cui suo fratello aveva salvato la vita. Dove era finito quell’uomo?

«Quando ce n’è stato bisogno» gli ricordò, con la voce tremante di rabbia «Pietro è stato al tuo fianco e ha salvato la vita a te e altre centinaia di persone. Io continuerò a rispettare la nostra missione. Io e gli altri salveremo delle vite come ha fatto Pietro»
Si alzò e raggiunse gli altri, sfregando via dal proprio volto una lacrima con il dorso della mano. Perché stava piangendo? Per Pietro, per Clint o per se stessa? Non seppe rispondere.
Clint rimase seduto al proprio posto, lo sguardo fisso davanti a sé. Non aveva pronunciato una parola dopo l’accusa di Wanda. Non sapeva e non poteva rispondere.
Non potevano perdere tempo, perché non capiva? Quella ragazzina credeva di avere la risposta a tutto, non voleva mai ascoltare. L’arciere sentiva che prima o poi quella storia sarebbe finita male.

 
«Nat» chiamò Steve, con la voce resa roca dal lungo tempo trascorso in silenzio «Una parola»
La russa annuì e si spostò di qualche sedile in modo da essere proprio di fianco a lui: «Dimmi»
«D’accordo che questo forse non è il momento migliore» cominciò Steve «Con la missione che sta per cominciare e tutti i casini che ne deriveranno. E poi ho saputo che Clint ultimamente non sta molto bene e non vorrei crearti altri problemi…»
«Steve» lo interruppe Natasha prendendogli la mano «Non ti preoccupare dei miei problemi e dimmi»
«No, è che pensavo che forse mi avrebbe fatto bene parlare con qualcuno di quello che è successo con Sharon. Ho aspettato perché non me la sentivo e a dire il vero non me la sento molto neanche ora, ma non ce la faccio davvero a tenermi tutto dentro, sento come se mi stesse consumando»
Natasha sorrise. Ormai aveva rinunciato a credere che Steve si sarebbe rivolto a lei e invece proprio quando aveva perso le speranze il suo migliore amico la coglieva di sorpresa: «Non finisci mai di stupirmi»
«Perché?»
«Avevo perso le speranze che me lo chiedessi» rispose lei «Ci andiamo a bere qualcosa una volta finita la missione? Credo che non sia il caso di parlarne qui» sottintese un “davanti a tutti” che Steve colse benissimo.
«Sì, in effetti forse non è proprio l’atmosfera giusta» ammise «Vada per dopo la missione, allora»
 
«A tutta la squadra, siamo in vista dell’obiettivo» comunicò Clint «Comincio la discesa verticale. Prepararsi a lasciare il Quinjet»
Come previsto dal piano, metà dei Vendicatori sarebbe scesa da un lato dell’edificio e l’altra metà dall’altro. Bruce sarebbe rimasto alla guida del Quinjet e lo avrebbe fatto atterrare non troppo distante. Sarebbe intervenuto solo in caso di necessità, come sempre.
«Natasha, ci serve tempo» disse Sam, come preso da un’ispirazione improvvisa.
«Tempo per cosa?»
«Non volete mettere in salvo i civili, bene, ci penseremo noi, ma abbiamo bisogno di tempo» spiegò Sam.
«Si era detto che ci sareste dovuti essere in caso di bisogno e non avreste dovuto compromettere la missione per fare questa cosa» ricordò Steve
«Ed è per questo che vi sto chiedendo del tempo. Se usciremo insieme dal Quinjet, non potremo mai essere disponibili per voi mentre vi infiltrate. Dateci modo di mettere in sicurezza l’area prima di disporvi per entrare»
«Non dovrete farvi notare» disse Thor «La missione dipende anche da quello»
«Opereremo dall’esterno verso l’interno» rispose Rhodey «E quando saremo abbastanza vicini prenderemo le posizioni stabilite e seguiremo il piano»
«Per favore, Nat» disse Sam «la missione andrà avanti come progettato. Dovete solo concederci un po’ di tempo»
Natasha fissò a lungo Sam, Rhodey, Visione e Wanda, che sembravano protesi verso di lei in attesa del suo verdetto. Interrogò Steve con lo sguardo. Gli occhi del Capitano sembravano esprimere una stanchezza e una rassegnazione che la russa non avrebbe mai pensato di vederci. Rabbrividì appena dentro la tuta aderente, ma mascherò il proprio movimento sistemando i Pungiglioni alla cintura.
Infine, con una lentezza esasperante, Steve distolse gli occhi dai suoi e li fissò per terra, annuendo impercettibilmente.

«Un quarto d’ora» concesse infine Natasha «Non un minuto di più. Potete tutti volare, no?»
Il gruppo annuì in silenzio. «Bene, non fatevi notare e non tardate»
Ricevuto il suo segnale, Clint aprì il portellone di dietro per permettere l’uscita dei quattro. Visione prese Wanda tra le braccia e la portò fuori con sé: «Sarà meglio che conservi la magia per cose più importanti»
«Io e Rhodey ci occupiamo del lato nord-est» stabilì Sam nei loro comunicatori «Voi prendete l’angolo sud-ovest. Cominciate da cinquecento metri di distanza e fermatevi a cinquanta metri dall’obiettivo. Per favore, ragazzi, non fate casini e non deviate dal piano. Ne va del rapporto con il resto del team»
Gli altri tre mormorarono delle rassicurazioni e poi le due coppie si separarono.
Sam operava proprio come un falco, notò Rhodey mentre il suo compagno spariva ancora una volta dal suo fianco, provocando uno spostamento d’aria. Era quasi affascinante: individuava una persona, si gettava in picchiata, la afferrava senza neanche fermarsi e poi riprendeva quota. Mentre planava verso il punto di raccolta, spiegava brevemente la situazione, poi scendeva di nuovo vertiginosamente e lasciava il civile in compagnia degli altri.
«Come hai imparato a planare così vicino a terra e a riprendere quota così in fretta?» domandò, sinceramente incuriosito, mentre i loro occhi scrutavano i campi alla ricerca di qualcuno che non sarebbe dovuto essere lì.
«Io e Wanda abbiamo fatto degli allenamenti appositi» rispose Sam «Ore due, Un uomo e una bambina, tu prendi lui» poi si lanciò in picchiata continuando a parlare come se nulla fosse «Ma comunque avere delle ali invece che dei propulsori aiuta. Certo, non ho la vostra potenza, ma in alcuni casi riesco a essere molto più agile»
«Si è verificata un’emergenza» disse Rhodey all’uomo che aveva afferrato «Stiamo evacuando la zona. Lei e la bambina dovrete restare insieme agli altri. Verremo poi a comunicarvi quando sarà sicuro rientrare»
Depositarono i due sulla piazzetta che avevano scelto come luogo di ritrovo e poi si sollevarono di nuovo in aria.
“Visione, Wanda, come siete messi?” domandò Sam nel comunicatore “Credo che qui sia pulito”
Visione rispose per entrambi dicendo che loro avevano finito e stavano per riprendere le posizioni del piano, Wanda stava controllando ancora una volta i dintorni. Era da qualche minuto che l’aveva persa di vista, ma questo a Sam non lo disse.
La giovane strega non disse nulla, perché era completamente presa da qualcosa che aveva trovato. Si trattava di un foglio fissato a un albero con un pugnale. Molto teatrale, si disse Wanda. Staccò la punta del coltello dalla corteccia e lesse il biglietto: “Ciò che leggi non è ciò che è scritto”. Sentiva che c’era qualcosa che non andava in quel foglio, era come… Come se fosse stato finto! Ecco cos’era. Si concentrò sulle parole del biglietto, accorgendosi che erano come alterate, non del tutto reali.
Strinse gli occhi, mentre passava un dito sul foglio, come cercando di cancellare la scritta. Con suo enorme stupore, vide le lettere cambiare davanti al suo sguardo: “Dopo la missione, qui. La realtà trema”. In qualunque altra occasione avrebbe gettato via il foglio senza badarci, ma quella frase, La realtà trema, la colpì. Si ricordò delle immagini di Visione e Nick Fury che aveva visto. Non sapeva chi le avesse lasciato il messaggio, ma quella persona doveva sapere qualcosa di ciò che stava succedendo. Decise che si sarebbe presentata all’appuntamento, poi mise via il biglietto e tornò da Visione.

Ricevuta da Sam la conferma che avevano assunto le posizioni prestabilite, gli altri Vendicatori scesero dal Quinjet e raggiunsero i propri posti. Occhio di Falco si appostò sul tetto, a ridosso di uno dei lucernari. Thor raggiunse Visione al lato sud della costruzione e i due mantennero una posizione di attesa difensiva, pronti a entrare al segnale, sfondando la finestra in volo. Sam e Wanda si incontrarono all’ala nord e si prepararono a spiccare il volo per un assalto dall’alto oppure entrare attraverso il varco che i loro compagni avrebbero aperto per loro. Steve e Natasha, invece, sarebbero dovuti entrare attraverso la porta di sicurezza, sul lato est, dopo aver neutralizzato chiunque avesse cercato di scappare da quella parte. Dopo aver ricevuto conferma che tutti avevano assunto la propria posizione, Iron Man e War Machine distrussero la porta di ingresso, annunciando rumorosamente la propria presenza.
Per qualche minuto nella costruzione regnò il silenzio più totale, era come se nessuno avesse osato muoversi o parlare. La polvere sollevata dal crollo della porta si depositava per terra e su tutti quanti. Era come neve, soltanto meno rilassante da guardare e più grigia.
La stasi durò poco, però, perché all’improvviso, come se qualcuno avesse premuto il pulsante di accensione, tutti quanti si rianimarono. Alcuni cercarono di attaccare le due armature, mentre altri fuggirono verso l’uscita di sicurezza, dove però trovarono Capitan America e la Vedova Nera pronti ad accoglierli. Steve perse il conto di quanti fossero dopo la prima decina, poi finalmente lui e Natasha riuscirono a entrare.
“Salite al primo piano” disse Vedova Nera a Tony e Rhodey “Qua sotto ce ne occupiamo noi”
Nel frattempo, Clint aveva incominciato la propria opera da cecchino al secondo piano. Prima di tutto aveva spaccato il lucernario, creando una caduta di cocci di vetro che doveva aver ferito almeno una dozzina di persone, poi aveva cominciato a eliminarli uno ad uno. Purtroppo non poteva utilizzare frecce esplosive o incendiarie perché avrebbe potuto distruggere i dati che stavano cercando, ma riusciva comunque a provocare parecchi danni.
Natasha piazzò una piccola carica esplosiva nel muro nord e lo fece saltare in aria, aprendo la strada all’ingresso di Scarlet Witch e Falcon, che si precipitarono dentro e furono subito presi nella lotta.
“Mjöllnir al piano di sopra” comunicò Capitan America. Obbedendo alle sue direttive, Visione e Thor spiccarono il volo quasi nello stesso istante e piombarono al secondo piano sfondando due finestre. Metà dei presenti era già stato trafitto da una o più frecce, ma molti resistevano, armati, e sparavano verso il lucernario, impedendo a Occhio di Falco di prendere la mira. Thor si scagliò contro uno di loro, lanciando il martello a Visione, che lo prese al volo e lo adoperò per colpire alla testa una donna armata di fucile d’assalto che stava per sparare a Clint.
Al primo piano, Iron Man e War Machine stavano eliminando le minacce più gravi cercando di non danneggiare l’attrezzatura, il che era un grave problema visto il tipo di armi di cui erano dotate le loro armature.
“Cercano di fuggire” comunicò Clint “Dall’ala nord, un jet o qualcosa di simile. Riuscite a fermarlo?”
“Andiamo noi” disse Tony “Romanoff, manda qualcuno al primo piano”
La Vedova Nera rispose che l’avrebbe fatto e a un suo cenno Scarlet Witch e Falcon si spostarono di sopra. Sam fu attaccato da due uomini. Wanda ne spostò uno con i propri poteri, mandandolo a sbattere contro un muro. Non si curò di cosa gli stesse succedendo dopo e si voltò a guardare il suo partner, che si era già liberato del secondo avversario e lo stava stringendo per la gola.
«Sam, cosa fai?»
«Lo rendo innocuo senza ucciderlo» rispose quello, mentre l’uomo si abbandonava tra le sue braccia «Ecco, è svenuto. Attenta!»
Il suo avvertimento giunse appena in tempo: Scarlet si voltò e fece volare via alla donna che aveva di fronte la pistola, scaraventando l’arma fuori dalla finestra. Muovendo una scrivania, poi, la bloccò contro il muro, ma quella estrasse un coltello e si preparò a lanciarlo. Wanda rimase perfettamente immobile finché la lama non fu a un metro da lei, poi fece comparire uno scudo di energia che la fermò a mezz’aria e la fece cadere in terra. Probabilmente produsse un rumore metallico, ma nessuno riuscì a sentirlo a causa della confusione e del fracasso.
“Stark, come va laggiù?” chiese Capitan America, recuperando lo scudo con cui aveva appena atterrato due uomini.
“Ci sono solo due persone vive, su quel jet” rispose Iron Man “Ma ormai sono troppo lontane”
“Almeno sapremo dove vanno” disse Occhio di Falco, mentre atterrava al secondo piano dopo aver saltato attraverso quello che era stato il lucernario “C’è una freccia con il tracciatore sul loro mezzo”
“Bene” rispose Vedova Nera “Wilson?”
“Ce la caviamo” disse Sam, portando Wanda qualche metro più a sinistra con la spinta delle ali per evitare che venisse colpita da un calcinaccio che si era staccato a causa della lotta al piano di sopra “Abbiamo praticamente finito”
“Visione?”
“Barton ha completato la pulizia del piano” comunicò l’androide. L’arciere aveva messo via la propria arma preferita ed estratto due lame di foggia orientale, simili a quelle che aveva usato in allenamento con Natasha, ma affilate. In pochi attimi Clint, Thor e Visione avevano concluso il lavoro su quel piano.
La Vedova Nera sparò in fronte all’ultimo uomo rimasto al piano terra, mentre Rogers saliva le scale per aiutare Wanda e Sam. Non trovò, però, alcun avversario ancora in piedi e così tornò di sotto, giusto in tempo per scagliare il proprio scudo contro un uomo che, da terra, aveva estratto la pistola e stava per sparare alla schiena di Natasha.
La squadra si radunò tutta al primo piano e finalmente poterono tirare il fiato. Clint e Natasha si lanciarono a vicenda una veloce occhiata per controllare che l’altro non avesse nulla di rotto. Visione si avvicinò a Wanda e le mise una mano sulla spalla.
«Sto bene» disse la strega, rispondendo alla tacita domanda dell’androide.
Sam prese la mano che Rhodey gli tendeva e si rialzò. Approfittando dello slancio, avvicinò la bocca all’orecchio dell'amico: «Tony come sta?»
Rhodey non rispose, ma fece un lieve cenno con la testa che doveva presumibilmente significare “bene” e gli rivolse un’occhiata come per chiedergli la stessa cosa di Steve. Sam non rispose, ma guardò il proprio amico. Sembrava tutto intero, almeno esternamente. Sapere che cosa gli frullasse in testa, però, era un altro paio di maniche.
Thor non disse nulla, ma portò la mano all’orecchio per accendere il comunicatore e riferì a Banner il risultato della missione: “Niente codice verde. Puoi venire”
Bruce rispose che stava arrivando. Nel frattempo, Tony inserì una chiavetta nel server centrale e cominciò a copiare tutto ciò che conteneva, mentre le sue dita correvano veloci sulla tastiera per inserire i codici di crack. Clint fece segno a Natasha e Steve di seguirlo di sopra e mostrò loro una scatola che aveva trovato.
«Credo si tratti di un prototipo di lama doppia alleggerita» disse, scoperchiandola «So che forse non è il tipo di giocattolino che Tony avrebbe voluto, ma è l’unica cosa degna di nota che abbia trovato»
«Sì» Steve prese la lama e la soppesò con un braccio «Ma chi di noi è capace di usare una lama simile?»
«Io» rispose Clint.
«D’accordo, la porto giù, allora» concesse il Capitano e la sollevò senza sforzo.
«Così ora sarai un vero Samurai, no?» commentò Natasha seguendo Steve al piano di sotto. Clint sorrise e non rispose.
«Siete riusciti a fare prigionieri?» chiese Tony, mentre continuava il trasferimento dati. Era evidente che, se anche l’attacco era stato tatticamente organizzato da Capitan America e Vedova Nera, era Iron Man che comandava le operazioni.
«Non è il mio forte» rispose Natasha.
«Io ne ho tramortito uno, prima» ricordò Sam «È svenuto per mancanza di ossigeno, ma dovrebbe essere ancora in grado di parlare, se vuole»
«E c’è una donna bloccata lì nell’angolo» indicò Wanda «Dietro la scrivania»
«È tutto ciò che abbiamo?» chiese Tony, incredulo «Davvero?»
«Non ci avevi chiesto un ospedale da campo. Ci sono altre persone vive, ma molti sono ridotti parecchio male. Forse, ma dico forse, se chiamassimo adesso l’ambulanza si potrebbe fare qualcosa» rispose Steve «Ti servivano dei prigionieri. Ce li hai»
«Mi serviva anche qualcosa per capire su cosa stessero lavorando qui! Perché costruire questa fabbrica in mezzo al nulla? Non è una caserma, è uno stabilimento con tanto di uffici e computer con poteri di calcolo incredibili per calcolare Dio sa cosa!»
«Una cosa ci sarebbe» disse Bruce, che era arrivato in quel momento «Sotto una scrivania ho trovato questa»
A prima vista sembrava una banale scatola di cartone, ma uno secondo sguardo rivelava che si trattava di metallo estremamente rinforzato ­e resistente –forse vibranio– accuratamente dipinto in modo da sembrare cartone. Insieme al contenitore, Bruce porse a Tony una cartellina, dicendo che l’aveva trovata poggiata sopra la scatola.
Il titolo del dossier era Progetto Terminator.
«Bene» disse Tony «È già qualcosa. Portiamo tutto sul Quinjet, lo studieremo poi con calma quando saremo tornati alla base»
«Ora dobbiamo ripulire tutto qui intorno» disse Capitan America
«Perché?» chiese Sam
«Vuoi che il governo veda questo e sappia che è stata colpa degli Avengers?» rispose Steve.
«Lascia che lo sappiano» disse Tony «Che cosa vuoi che ci dicano? Che cosa vuoi che possano fare? In fondo, siamo noi quelli che chiamano sempre in questi casi»
«Hai ragione» concesse Steve «Ma una volta che lo verranno a sapere l’Avengers Facility non sarà più sicura. Dovremo spostarci da qualche altra parte»
«Ci sposteremo se e quando ce ne sarà bisogno, Steve, è inutile fasciarsi la testa prima di essersela rotta»
In quell’affermazione, Rhodey vide un lampo, una scheggia del vecchio Tony tornare alla luce per un attimo, ma il secondo dopo era già di nuovo scomparsa.
«D’accordo, andiamo, allora?» propose Thor marciando risoluto verso la soglia. Gli altri Vendicatori lo seguirono dopo un attimo di disorientamento.
Sam, Wanda e Rhodey andarono nei punti di raccolta dei civili e comunicarono loro che sarebbero potuti tornare a casa, il pericolo era passato.
Fu solo dopo, una volta che il Quinjet era decollato e stavano tornando all’Avengers Facility, che Visione alzò lo sguardo su Sam, preoccupato come non mai.
«Dov’è Wanda?» chiese, con un filo di voce.
Tutti si voltarono da una parte all’altra, come aspettandosi di vederla accanto a sé, ma invano. La strega era sparita.










Fine prima parte















The Magic Corner:

Salve a tutt*!

Lo so, lo so… State aspettando da un sacco di tempo questo capitolo e oltretutto vi ho creato tanto di quell'hype che probabilmente sarete rimasti delusi. Vorrei però farvi sapere che scriverlo è stato ben più che difficile. Non soltanto perché sono stata in vacanza e poi ho avuto dei casini a casa e simili, ma anche perché la mia mente si rifiutava di scrivere per troppo tempo di seguito cose che facevano così male alla mia indole di fangirl e ho dovuto andare avanti un po' per volta. Uno stillicidio.

Nel mio piccolo, però, spero comunque che questa cosa eterna (sono quasi 9800 parole di capitolo, nel mio documento Word occupano 20 pagine, più del doppio di qualunque cosa abbia mai scritto) vi sia piaciuta almeno un po' e auspico che vorrete farmi sapere cosa ve ne è parso con una recensione, un MP o un pacco bomba (per una presa di posizione molto drastica).

 

Vorrei avere la possibilità di spiegare a chi avrà voglia di leggere alcune cose di questo capitolo:

1) Come le chiama una mia fedelissima lettrice, la Introducing poem (cioè, la poesia di inizio capitolo).

T.S. Eliot mi perdoni. Per chi non lo sapesse/non l'avesse riconosciuta, si tratta di una mia personale rivisitazione della traduzione italiana della prima parte di The Hollow Men. Quella poesia è un'opera d'arte. Ho cercato, in un certo senso, di farle il mio omaggio, perché mi è stata di ispirazione fin dal primo capitolo della mia fanfiction e credo che continuerà a esserlo. Probabilmente molti capitoli della seconda parte avranno titoli tratti proprio da questa mia rivisitazione.

2) "L’Altro sembrava immortale e lui non poteva morire finché Hulk sopravviveva."

Fa molto Harry Potter, lo so. A mia discolpa posso dire che me ne sono accorta dopo averlo scritto e si tratta di una citazione involontaria, anche se zia Jo si merita sempre un omaggio.

3) La scena di Steve con il sacco da allenamento.

Non potevo non metterla. Io amo la scena in cui sfonda il punching ball e poi arriva Fury. Non chiedetemi perché, è semplicemente così.

4) Clint che si appassiona di lame.

Altrimenti detto, facciamo un omaggio all'Occhio di Falco dei fumetti, che è anche un abile spadaccino. Piccola anticipazione, le lame diventano la sua arma preferita quando Clint si trasforma in Ronin, il Samurai senza padrone. Ho voluto fare qualche riferimento già in questo capitolo, ma chissà cosa riserva il futuro…

5) Le scene di combattimento.

Ovvero, io che mi faccio tanti problemi. In caso non ve ne foste accorti, prediligo le scene introspettive in cui l'azione non si sposta di mezzo millimetro, ma ogni tanto devo proprio metterla una scena che fa proseguire la trama. E ogni tantissimo devo mettere una scena di combattimento, per forza, è una storia di supereroi. Solo che non sono proprio la mia specialità. Che sia l'allenamento di Clint e Natasha o le scene di battaglia, ho sempre il dubbio che non siano accurate o in ogni caso non vadano bene.

6) I momenti Stony.

No, non porterà a una ship prima della fine della storia. Ci sono già troppe relazioni in ballo e quei due sono abbastanza sentimentalmente confusi. Ma comunque sì, li ho messi apposta, in caso ve lo steste chiedendo.

7) "Ne abbiamo già parlato, no, voi avete parlato."

Semicitazione da Supernatural, sesta stagione. L'argomento è tutto diverso, ma quello scambio di battute sortisce sempre il suo effetto, secondo me.

8) "Se esci da quella porta sei un Avenger"

La distruzione della broship tra Clint e Wanda. Sappiate che è una delle broship più forti che ho e se ho voluto demolirla in questo modo, tirando in ballo anche quella ben nota citazione da Age of Ultron e Pietro, è stato solo perché dovevo farlo. Necessità di trama. Piango.

9) *si asciuga le lacrime* Il biglietto in "realtà modificata".

Anche questa una semicitazione, stavolta da Shadowhunters. Mi sono ispirata al modo che usa Clary, la protagonista, per rendersi conto di quando qualcuno ha modificato l'aspetto di qualcosa con la magia.

10) Il Progetto Terminator.

*sospira di soddisfazione* non vi dirò di cosa si tratta, ma posso anticiparvi che, come non è il primo progetto che incontrate in questa storia (vi ricordo il Quis custodiet di qualche capitolo fa), non sarà neanche l'ultimo ^^

 

Sì, l'ho tirata un po' per le lunghe, perché questo angolo magico vuole essere un commiato. Non è un addio, ovvio, è un arrivederci, ma potrei stare via molto, forse anche oltre la metà di settembre che vi avevo detto. Ho le idee abbastanza confuse sulla seconda parte (che s'intitolerà I randagi, per informazione), a essere sincera, e mi serve un po' di tempo per chiarirmele e buttare giù qualcosa. Non vorrei dover modificare i capitoli in corso d'opera.

Ciò che posso lasciarvi, come saluto e a tenervi compagnia mentre non ci sono, è proprio The Hollow Men, di T.S. Eliot. Un'opera d'arte, come ho già detto, che secondo me merita di essere conosciuta.

Per la prima volta, poi, voglio menzionare Awakening_Games. La mia storia nacque il giorno che lessi il prologo di quella fic. Mentre la leggevo l'idea ha cominciato a prendere forma nella mia mente. Vorrei quindi tributarle (è proprio il caso di dirlo) i suoi meriti.

 

Infine un grazie sentito a tutti voi che mi avete seguito e mi seguite (e spero continuerete a farlo) nell'affrontare questa storia. Grazie a GreekComedy lei sa perché e a Pouring_Rain11 perché sì e a entrambe perché hanno recensito, grazie a dany the writer per lo sforzo che fa per seguire la storia nonostante non conosca il fandom. Grazie alle 6 persone che hanno messo la storia tra le preferite e alle 10 che l'hanno messa tra le seguite e a tutti quelli che hanno recensito o anche solo letto almeno un capitolo da quando ho iniziato la fic. Spero di ritrovarvi tutti quando tornerò dalla pausa. Nel frattempo continuate a seguirmi, scriverò su altri fandom senza dubbio!

 

Vi saluto come sempre invocando la protezione degli dèi su voi tutti,

-Magic

 

P.S: Oddio quanta malinconia, ora mi suicido -.-''

   
 
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