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Autore: SagaFrirry    21/08/2016    1 recensioni
Hope è una ragazza apparentemente normale. Venuta a sapere del malessere dello zio, decide di tentare l'impossibile: riunire la famiglia. Essa è a dir poco originale, piena di dissapori e soggetti pittoreschi. Riuscirà la Speranza a far trovare un accordo alla "famiglia più importante del Mondo"?
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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III

 

Rio de Janeiro, Brasile

 

Ocean odiava i viaggi in aereo. Detestava alzare in ogni modo i piedi da terra, salvo per restare sospeso fra le onde. Per questo preferì un più lungo, ma meno stressante a suo dire, viaggio in nave. Con il favore di un suo amico di vecchia data, con residenza a Sidney, poté partire immediatamente e, data al velocità dei mezzi moderni, arrivò in tempi relativamente brevi. L’amico gli fece notare che in aereo ci avrebbe messo attorno alle tre ore, se non di meno, risparmiando tempo, ma Ocean gli ricordò il tempo buttato al controllo bagagli e alle inutili trafile burocratiche aeroportuali.

Così la ebbe vinta ed arrivò a Rio de Janeiro prima del tramonto, come si era augurato.

Con il mese di febbraio la città diveniva meta molto ambita dai turisti di tutto il Mondo, tanta gente e tanti stranieri si accalcavano per le strade.

Ocean provò, invano, a contattare il cugino. Perlomeno avrebbe avuto la certezza di un posto letto grazie a lui…forse.

La capitale era immensa ma Ocean sapeva dove alloggiava solitamente il parente e si diresse là, sperando di trovarlo in casa. Si guardò attorno, lasciandosi distrarre dalle belle brasiliane e dall’allegria della gente in festa. Stava calando la sera e tutti si riversavano per le vie, sfruttando le ore fresche ed approfittandone per far baldoria.

Il giovane si fermò in un piccolo locale sulla spiaggia e si fece un aperitivo in completo relax. Da lì poteva osservare agevolmente la finestra dell’appartamento del cugino. Notando la luce spenta decise che era inutile salire quel grattacielo per poi tornar giù causa assenza del consanguineo. In realtà aveva più voglia di osservar fondoschiena locali piuttosto che ascoltar la solita depressione del cugino. Cominciò a ballare felice, lasciando in un angolo la valigia e andando a mettersi il costume da bagno in una cabina. Fece subito amicizia con alcune ragazze e si sentì molto meglio quando si ritrovò con i piedi nell’acqua del mare.

Il Sole tramontò velocemente e venne la sera, il buio calò in fretta e vennero accesi dei fuochi e delle torce per illuminare la spiaggia.

Dopo un paio di ore di bagordi si sentì chiamare per nome.

“Ocean? Sei tu?”.

“E tu chi sei, straniero?” rispose l’interrogato, non molto lucido data la notevole quantità d’alcol che aveva ingerito.

“Sono Kriss” rispose l’altro, a braccia incrociate e lo sguardo di rimprovero.

“Impossibile! Mio cugino Kriss ha la barba e i capelli lunghi. Fila via, ragazzino!”.

Kriss lo prese per il braccio e, gentilmente, lo spinse in mare con la faccia. Ocean si scosse.

“Sei proprio tu! Sei il mio cuginetto Kriss! Ma…cosa ti è successo? I capelli…la barba…il tuo solito look…”. 

“I tempi cambiano, cugino. Ci si deve adattare”.

Colui che Ocean aveva di fronte aveva i capelli dritti, si vedeva subito però che non erano lisci naturali ma drizzati con la piastra, e gli occhi scuri, molto grandi. Aveva un’appena accennata barbetta che gli dava qualche anno in più. Sbuffando, scostò il ciuffo che gli copriva parte del viso e sorrise al parente che lo fissava con stupore.

“Kriss…che fine hanno fatto i tuoi capelli mossi? Lunghi fino alle spalle? Che razza di taglio è mai questo? Non sarai mica Emo…tutto ma non questo! Ti prego! Qualsiasi cosa, anche un assassino, ma non un Emo!”.

Kriss sbuffò ancora.

“Non sono Emo, idiota. Ma mi piace questo taglio di capelli. E ho sempre le mie ragioni per essere perennemente depresso”.

Aveva una maglia azzurro cielo con la scritta “El Espìritu Santo es mi amigo” e dei pantaloni a fiori in tinta. Non aveva l’abbigliamento di chi voleva tagliarsi le vene o era depresso.

“Cosa vuoi, Ocean?” domandò sospettoso.

“Come?! Uno non può far visita al suo adorato cuginetto piccolo senza motivo?”

“Sì. Ma tu non sei il tipo da far una visita senza motivo. Avanti…che cosa vuoi?”.

Ocean sospirò. Si alzò dall’acqua in cui era rimasto seduto, lasciando la possibilità al parente di guardarlo dall’alto in basso per una volta, e gli andò vicino.

“Ti devo parlare, Kriss. È una cosa importante”.

“Ok. Saliamo al mio appartamento. Ti và una pizza?”.

“La pizza Americana è disgustosa…”.

 “Hai ragione. Meglio qualcos’altro…panino al volo?”.

“Vivi di fast food e non sei grasso come un porcello?! Beato te…”.

“Lassù, mio caro Ocean, qualcuno mi ama!”.

I due si misero a ridere, lasciando la spiaggia e avviandosi verso i grattacieli adiacenti.

Ocean adorava quei quartieri. Vie di lusso, per turisti, non la bettola in cui viveva. In fin dei conti preferiva la sua casetta in riva al mare, ma una volta ogni tanto era bello sfruttare l’edonismo del cugino. Era un ragazzo piuttosto strano. Sempre pronto ad aiutare il prossimo, sempre preoccupato per gli altri ma anche sempre pieno di soldi, forniti dal generosissimo padre che compensava la sua assenza con il denaro. Kriss non ci teneva a nasconderlo e viveva nel lusso, ignorando il fatto che voleva abolire la povertà nel Mondo.

Più che un appartamento, l’alloggio di Kriss sembrava un albergo. All’ingresso due uomini sulla trentina si inchinarono e salutarono con un educato “buonasera” ed un sorriso stampato, falso.

Kriss li salutò con la mano e si avviò verso l’ascensore.

“Dai, Kriss! L’ascensore?! Magro come sei dovresti fare un po’ di movimento. Sei gracilino…”. “Ma fatti una buona dose di fatti tuoi, Ocean!” ridacchiò Kriss “Se vuoi puoi fare le scale. Sono 33 piani…”.

Ocean non titubò oltre ed entrò in ascensore con il cugino. Era uno dei quei modelli di lusso, con il velluto rosso e l’aria condizionata, la radio e le luci per la cromo terapia.

“Che tante cazzate che ci sono qui dentro. Manca solo il frigobar!” costatò Ocean.

Kriss sorrise.

“Non sono, come meglio preferisco dire, "cavolate". Ma simpatici orpelli che allietano la salita”.

Si illuminò il numero 33 sul piccolo schermo digitale, avvertimento dell’arrivo al piano designato. Si aprirono le porte e i due scesero.

“Prego, Ocean. Da questa parte!”.

Kriss fece strada e lo condusse alla porta. Aveva la chiave elettronica e la porta si aprì con uno scatto metallico ed un simpatico rumorino elettronico.

“Vuoi una birra?” domandò il padrone di casa.

“Magari…da quando ti dai all’alcol? Non eri tu quello tutto perfettino e puro?”.

“Non sono un alcolizzato. Ma mi piace farmi una birretta mentre guardo i Chicago Bulls per la televisione. Sai…ho lo schermo al plasma…”.

“Sei cambiato, Kriss”.

 “Tutti cambiamo. Nostro cugino è andato in Nepal…”.

“L’hai saputo…”.

“Se sei venuto fin qui per dirmi quello, mi dispiace farti notare che lo so già”.

“Non è per questo. Certo mi sarebbe piaciuto fartelo sapere in anteprima…”

“Peccato. Mettiti comodo. Scegliti un pouf”.

Ocean si guardò attorno. C’era ben poco di normale in quell’appartamento. Al posto delle poltrone e delle sedie c’erano dei pouf dai colori imbarazzanti e dei cuscini giganti, sgargianti. Alle pareti quadri con effetti ottici e immagini sacre di varia natura, con aureole in glitter dorato e sorrisi ebeti. Candele ed incensi spenti erano ovunque, anche sul pavimento. La carta da parati era di vari colori, incompatibili tra loro, con disegni arricciati e incomprensibili. Le finestre erano in stile antico, in legno decorato, e il camino era una piacevole visione. I mobili non avevano nulla a che fare con il resto dell’appartamento, salvo per il fatto che avevano lo stesso colore dei pouf: allucinante. Erano in plastica colorata, trasparente, e dalle forme anormali. Su di essi stavano gli oggetti più diversi ed inutili, da un uccellino in vetro che beveva dal bicchiere al finto acquario che riproduceva il nuotare dei pesci con un nastro a ciclo continuo.

“Sai che i tuoi gusti fanno schifo?” affermò Ocean, storcendo il naso.

“Ha parlato quello che colleziona maschere tribali…”.

“Le mie sono maschere! Queste sono…come posso dire…”.

“Non lo dire e siediti!”.

“Sul pouf rosa shocking o su quello verde schifo?”.

“Per terra, se ti fanno tanto ribrezzo i miei bellissimi pouf!”

Ocean non disse altro e sedette, birra alla mano, su un cuscino giallo.

“Allora, Ocean…di cosa dovevi parlarmi?”.

“Mi manda Hope…” iniziò Ocean, dopo qualche sorso della bionda in bottiglia.

Kriss storse il naso sentendo quel nome. Sedette a sua volta e si versò del vino rosso.

“Vino americano, cugino?” si schifò l’australiano.

“Macché! Ho gusti decenti io!” cominciò Kriss. Notò lo sguardo perplesso del parente ed aggiunse “ Perlomeno nel bere…”.

Ridacchiarono e venne mostrata la bottiglia. Vino italiano di prima scelta. Un patrimonio speso ad ogni sorso. Ma ne valeva la pena, si dissero.

“Te lo manda lo zio dall’Italia?” si informò Ocean.

“No. Perché? Lo zio è in Italia?! E non mi ha detto niente?! Risparmierei un po’ se me lo mandasse lui…vabbé…torniamo a noi…dicevi che Hope ti ha mandato qui…”.

“Veramente è stata un’idea comune. Sai che mio padre sta male. Vorremmo riunire la famiglia”.

“Per stare al suo capezzale?”.

“Per questo e per altro Kriss. Avanti…non dirmi che non ti sei accorto di come la nostra famiglia si è ridotta! Una volta era tutto diverso. Vorremmo ritrovarci tutti assieme, come ai bei vecchi tempi, e discuterne. Magari possiamo aiutarci a vicenda…”.

“Io non ho bisogno di aiuto!”.

“Kriss! Andiamo! Non sono stupido! Ricordo com’eri un tempo e vedo come sei ora! Non sei te stesso! Nemmeno un po’! Come non è più se stesso lo zio che sta a Città del Vaticano e nostro cugino che da anni è in Nepal in cerca di chissà che cosa! Poi mio padre malato…”.

“Io sto bene!” affermò Kriss, incrociando le braccia ed imbronciandosi “E poi ci sono membri della famiglia che non ci tengo a rivedere…”

“So che fra te e la famiglia di Hope non è mai corso buon sangue ma…”.

“Ma niente! Che vuoi che mi importi se sono tutti impazziti?!”.

“Veramente siamo preoccupati anche per te…capisco che per tutta la tua vita non hai fatto altro che cercare di essere l’opposto del cugino non presente, ma ora esageri! Solo perché lui cerca una via più mistica di quella che ha seguito fino alla morte della madre, non serve che ora tu vada a donne e ti dia agli alcolici ed alla ricchezza, che hai sempre considerato inutile!”.

“Chi sei tu per dirmi questo? Non pensi che forse sei tu quello sbagliato, Ocean? Passi le tue giornate facendo surf e rimorchiando turiste. Ti consideri meglio di me, facendo questo?”.

“Io sono sempre stato così! Cosa direbbe tuo padre se sapesse che combini?!”.

Kriss scoppiò a ridere.

“Mio padre?! Scherzi, vero, Ocean?! Hai idea di dove sia mio padre ora? È a Dubai, negli Emirati Arabi! In cima al grattacielo più alto del Mondo, in attesa che sia completato quello nel Kuwait. È fra gli sceicchi ed i signori del petrolio, vicino alla guerra eterna. Ricco e circondato da poveri. Credi veramente che mi riproverebbe se sapesse come vivo qui e come agisco nella mia vita?”.

“Sinceramente non mi importa.Volevo solo sapere dove si trova tuo padre. Non me lo avresti mai detto se non in questo modo”.

Kriss lo guardò male e trattenne il suo fastidio, mordendosi il labbro inferiore.

“Sei venuto fino qui per sapere dove si trova mio padre?” sibilò.

“Sì. Perché so che è l’unico che, nella sua posizione, può riunire la famiglia. Sempre che non si sia bevuto del tutto il cervello anche lui!”

“Perché ci tenete tanto a riunirci? Cosa pensate di ottenere?”.

“Non lo so. Ma perlomeno facciamo un tentativo. Se mio padre veramente morisse, penso che sarebbe felice di avere accanto i parenti. Se poi possiamo anche, nel frattempo, far tornare un po’ di tranquillità nell’animo di alcuni di voi…”.

“Credi dipenda dalla morte della zia?” mormorò Kriss, fattosi serio e pensieroso.

Guardava fuori dalla finestra. Aveva un panorama mozzafiato, con la spiaggia e un buono scorcio della città. Ma lui non guardava verso il basso. Si era perso nella contemplazione del cielo stellato.

“Potrebbe essere” rispose Ocean, andandogli vicino.

“Una stella cadente. Ocean…esprimi un desiderio. Te la regalo”.

“Io ho un desiderio che tu puoi far avverare. Vorrei che tu venissi con me. Riuniamo la famiglia, Kriss. Vieni con me”.

Kriss era perplesso. Rimase in silenzio per un po’.

“Credi che la mia presenza possa cambiare le cose?” disse, dopo qualche secondo.

“Non lo so. Ma vorrei tanto che tu mi aiutassi. Vorrei tanto che tu non dimenticassi chi sei”.

“Io non l’ho dimenticato. Ma chi altro lo ricorda?”.

Ocean gli porse una piccola croce dorata, pendente ad una catenina d’argento.

“Sei sicuro di non aver dimenticato?” domandò, sorridendo.

Kriss afferrò il gioiello quasi con rabbia.

“Sei un fottuto doppiogiochista, Ocean!” sbuffò, pur con un mezzo sorriso.

“Sono bravo a trovare i punti deboli…”.

“Ma vaffanculo!” rise ancora Kriss.

“E no! Queste parole non sono da te!” lo prese in giro Ocean.

Kriss spalancò le braccia, tenendo i piedi uniti, e fissò il cugino con aria serafica.

“Sono nelle tue mani, cugino. Mi arrendo. Cosa vuoi che faccia?”.

“Voglio che tu venga con me all’Isola di Kai, dove speriamo di riuscire a riunire tutta la famiglia” rispose Ocean, felice di averlo convinto.

Kriss indossò la collana con la croce e la strinse fra le mani, sorridendo al cielo.

“Ai tuoi ordini, Ocean. Ma non vorrai mica farmi perdere la sfilata del carnevale di Rio?”.

“Certo che no! Ci tengo anch’io a vederla!”.

Bene. E quando pensi di andar a prendere mio padre?”.

“Veramente penso ci vada Hope…”.

“Chiamala. Spiegale dove si trova e dille che se ha dei problemi può rivolgersi a me”.

“Come sei generoso…”.

Si sorrisero.

“Che vuoi fare ora, cugino? La sfilata è domani. Vuoi dormire o vuoi che ti porti in luoghi interessanti della città? La notte è giovane…ed io farei volentieri una passeggiata”.

“Io vorrei farmi una bella nuotata. Magari andare al largo in quella bella baia isolata in cui mi porti sempre. Ma se tu vuoi passeggiare, a me va bene anche far un giro per Rio…”.

“Perché non fare le due cose insieme, cugino?” rise Kriss, prendendo la chiave elettronica.

“Ma…aspetta…usciamo così?! Io in costume e tu con quei pantaloni allucinanti?!”.

“Ma che te frega, Ocean?” sogghignò Kriss, chiudendo la porta dietro di sé.

“Basta vino a te per oggi!” affermò Ocean, notando l’insolita allegria del cugino.

“Ma l’oggi è iniziato da solo un’ora!” protestò Kriss, spingendolo nell’ascensore.

“Appunto…basta!”.

“Ho voglia di biscotti al burro…”.

“All’una di notte?!”.

Assieme, e sorreggendosi a vicenda, si allontanarono dal grattacielo e si diressero verso la spiaggia. Kriss ne conosceva una isolata e tranquilla, senza luci artificiali ed il vociare dei turisti che “rovinavano l’atmosfera”. Andarono al largo. Quella notte un ragazzo giurò di aver visto due uomini sulla trentina in lontananza. Giurò che uno di loro era verde, o blu, mentre l’altro era luminosissimo e camminava sull’acqua. Tutti diedero la colpa all’alcol.

   
 
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