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Autore: _Sherazade_    24/08/2016    1 recensioni
Raccolta di One-Shot, Flash fiction e Drabble originali legate dal filo conduttore della stagione più calda dell'anno: l'Estate.
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Questa Raccolta partecipa a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
"Sinfonia Estiva", partecipa al contest " War of Drabbles " indetto da Alexalovesmal
Genere: Romantico, Science-fiction, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitoli: One shot
Tipo di coppia: Het
Categoria: Storie originali - Fantascienza
Genere: Introspettivo, Science-fiction, Drammatico
Rating: Giallo
Avvertimenti: Tematiche delicate, Furry

Storia partecipante a "The Seasons Challenge" indetta da Jadis_ sul forum di Efp.
Stagione: Estate
Prompt: Afa - Condizionatore


 
The Ice Queen and the Blood Mark

 
Sembravano passati secoli dall'ultima vacanza, ma quell'afa mi stava uccidendo. Il condizionatore era rotto e quel caldo insopportabile mi aveva costretta a prendere la decisione di lasciare la città.
Era quasi una settimana che non dormivo, per il caldo e l'afa mi ero persino procurata un ventilatore, ma non era la stessa cosa. Passavo le notti a girarmi e rigirarmi nel letto, avevo la faccia così sfatta che nemmeno tre mani di fondotinta riuscirono a nascondere il terribile stato in cui mi ero ridotta.
La situazione sembrava sempre più critica, così mia zia paterna Letizia mi venne in soccorso, offrendomi una vacanza. Lei disse che non se la sentiva di partire per via di alcuni controlli medici dei quali si era scordata; io sospettavo invece che quella fosse una scusa, e che lei avesse acquistato il biglietto apposta per me.
Non ero entusiasta all'idea di partire, ma dato che l'unica fronte di refrigerio aveva tirato le cuoia, e dato che i tecnici sarebbero stati in vacanza per altre due settimane, non potevo lasciarmi sfuggire l'occasione. Avevo parecchi giorni di ferie in arretrato, e lo stress dato da caldo e mancanza di sonno, stavano facendo calare il mio rendimento.
I miei capi furono ben felici di accordarmi un paio di settimane di vacanza.


La notte prima della partenza non era stata molto diversa dalle precedenti, con un'unica differenza: l'insonnia non era dovuta solo dall'afa infernale che si insinuava in casa, ma anche dall'agitazione per il volo. Io e gli aerei non eravamo grandi amici.
Mi alzai ancora prima del suono della sveglia, mi vestii un po' svogliatamente prendendo i primi capi che mi capitarono a tiro, agguantai la valigia e mi soffermai a guardare la mia figura riflessa allo specchio dell'ingresso.
Regina di Ghiaccio... ecco come mi chiamavano i miei colleghi, per via del mio carattere schivo e dei miei meravigliosi occhi chiarissimi.
Qui non c'entra la modestia, i miei occhi sono l'unico tratto di me che posso dire di aver adorato fin dall'infanzia, durante anche gli anni bui dell'adolescenza.
Regina di Ghiaccio... se lo fossi stata davvero, avrei di certo trasformato la mia casa in un igloo. Ma invece no, ero una normale ragazza che pativa terribilmente l'estate.
Un problema viscerale: quando arrivava la stagione estiva e il primo caldo, io stavo male, tanto da dovermi perfino assentare un paio di giorni dal lavoro.
Uscii in strada, in attesa di veder comparire l'auto di mia zia, che mi avrebbe accompagnata all'aeroporto.


- E mi raccomando: goditi questa vacanza! - disse lei aiutandomi con il bagaglio.
Quel sorriso sornione che le si era stampato sul volto, mi aveva fatta preoccupare. Dopo l'ultima cena da lei organizzata, ero restia ad andarla a incontrare sotto invito.
Aveva organizzato una cena per noi due, e, proprio per caso, quella sera era sopraggiunto un impegno imprevisto. La cena sembrava essere rovinata, ma il vicino di casa, un bel ragazzo celibe di trentacinque anni, si era gentilmente offerto di farmi compagnia.
La serata era stata piacevole, ma già dopo i primi scambi di battute avevo capito che quello non era il ragazzo che faceva per me.
La delusione sul volto di zia Letizia, quando le raccontai l'esito della serata, mi diede piacere. Nessuno poteva permettersi di mettere becco nella mia vita privata, neppure la mia amatissima zia!
L'improvvisa morte del mio condizionatore, mi aveva fatto pensare che non fosse solo una malaugurata coincidenza, ma che dietro a tutto ci fosse il suo zampino.
Conoscendola, sperava che in vacanza potessi trovarmi un ragazzo, non faceva altro che ripetermelo: “Mia cara, stai invecchiando, più aspetti e meno occasioni avrai per trovarti un buon marito!”
Io però stavo bene da sola, perché nessuno riusciva a superare il mio efficiente, quanto inappagabile, metro di giudizio. Ero esigente, e non intendevo accontentarmi di un uomo qualunque pur di non stare sola.
Così come nella vita privata pretendevo molto, così anche nel mio lavoro.
Ero efficiente, e i miei capi erano contenti del mio operato; sia le mie colleghe che i miei colleghi mi schernivano per il mio essere distaccata e fredda. Mi riusciva difficile comprendere il perché di tanto astio, ma finché potevo lavorare in santa pace, non mi curavo delle loro critiche.
Ero sola, dedita unicamente al mio lavoro; non avevo amici o conoscenti con cui passare il venerdì e il sabato sera. Agli occhi della gente questo mi rendeva patetica e degna di essere compatita. Odiavo che la gente mi compatisse. Io ero felice della mia vita, esattamente così come era.
Una delle mie colleghe più anziane, segretaria di uno dei capi, Luisa, coetanea di mia zia, preoccupata per certe voci che giravano, aveva deciso di avvisare subito Letizia, e la donna aveva cercato in ogni modo di tirarmi fuori dal mio “guscio”, per rendermi una persona accettabile per il resto del mondo.
Dopo un infinito numero di insuccessi, speravo che si fosse stancata di cercarmi incessantemente un compagno o una compagnia con cui uscire. Dimenticavo, però, l'incredibile tenacia che contraddistingueva i membri della nostra famiglia.


L'aereo si era staccato dalla pista, e io sentii una stretta al cuore, mi mancava l'aria.
Il volo fu tranquillo e, una volta che l'aereo si stabilizzò, riuscii a rilassarmi... fino al momento della discesa per l'atterraggio. Affondai così saldamente le unghie nel bracciolo che cominciai a temere che non sarei più riuscita a staccarle. La gentile hostess, una ragazza di si e no venticinque anni, si preoccupò per me, consigliandomi una tecnica di respirazione che funzionò alla perfezione.
Se al lavoro mi avessero vista così sfatta e agitata, non l'avrebbero più finita di prendermi in giro.
Inspirai profondamente e chiusi gli occhi, cercando di non pensare a nulla.
Rimpiangevo quasi la terribile afa dalla quale ero fuggita e la mia adorata casa che era diventata un insopportabile forno.
Mi ero estraniata a tal punto che non mi accorsi nemmeno dell'atterraggio. Non mi accorsi nemmeno dell'avviso del pilota che ci invitava a scendere ordinatamente.
- Siamo arrivati, signora. - mi chiamò la gentile hostess. Rimasi un po' stupita nel sentirmi dare della “Signora”. Apparivo così vecchia agli occhi degli altri?
Mi stiracchiai e mi apprestai a scendere. Mia zia mi aveva procurato il viaggio, e io avevo accettato in preda alla disperazione, ma non mi ero preoccupata di controllare la destinazione. Se avessi saputo dove stavo andando, avrei chiesto di sostituire quella vacanza anche con una bettola dispersa chissà dove.


Da quando, nel 2107, avevano scoperto come riportare in vita le creature partendo dal materiale genetico, erano state rianimate un sacco di creature strane.
Fallirono più volte, ma alla fine trovarono la formula perfetta, riportando sulla Terra le creature più temibili mai esistite: i Dinosauri.
Tenerli a bada non fu cosa semplice, ma una volta scoperto l'ormone giusto, furono in grado di ammansire anche il temutissimo T-rex, rendendolo un cucciolone di dimensioni extra-large.
Cominciai a chiedermi cosa si aspettasse mia zia con quella vacanza. Quello era un luogo di villeggiatura pensato soprattutto per le famiglie... Sperava forse che riuscissi ad accalappiare qualche vedovo con prole? Io odiavo i bambini... mi aveva mandata laggiù con l'intento di punirmi per essermi comportata “male”?
Non sapevo cosa mia zia avesse in testa quando aveva comprato il biglietto, ma, non potendo tornare a casa prima di una settimana, non potevo far altro che cercare di godermi la vacanza.
Sbuffai e, una volta ritirato il bagaglio, me ne andai all'accettazione.
Dopo aver compilato i moduli, un giovane di poco più di vent'anni mi accompagnò al mio bungalow.
- Ho visto che la sua è una vacanza regalo. - disse il ragazzo.
- Sì, mia zia riteneva opportuno regalarmene una, dato che a casa faceva troppo caldo e dato che il mio condizionatore si è guastato. - dissi guardandomi intorno. Vidi in lontananza dei bambini giocare con un triceratopo e i suoi cuccioli. Per qualche strano motivo provai come una sensazione di tenerezza di fronte a quella scena. Era insolito per me, ma sorrisi.
- Anche qui fa molto caldo, dall'una alle tre non si respira per colpa dell'afa, ma, proprio per questo, ogni struttura è dotata di un ottimo impianto di condizionamento, e la piscina offre l'occasione perfetta per rinfrescarsi.
Non amavo le piscine, troppa gente, ma il caldo non mi lasciava altra scelta: mi sarei adeguata facendo qualche sorriso e qualche battuta, ma solo se necessario.
- Sua zia le ha fatto proprio un bel regalo: ha pagato per il pacchetto deluxe. - non sapevo cosa comportasse, ma la brochure che mi avevano consegnato appena scesa dall'aereo, e i fogli col programma giornaliero che mi avevano dato alla reception, avrebbero risposto ad ogni domanda.
- Bene, siamo arrivati. - disse fermandosi di fronte a uno splendido bungalow in legno scuro. La struttura era grande, probabilmente era pensata per famiglie di quattro o cinque persone, la tettoia di quasi due metri copriva perfettamente il tavolino: avrei potuto cenare all'esterno, godendo dell'aria fresca della sera.
- Se non vuole cucinare, offriamo un servizio take-away dai nostri ristoranti, o se vuole può venire lei stessa nella struttura principale. - mi guardai attorno, e notai subito un piccolo campo da calcio, cominciando a temere per la salute delle mie povere orecchie.
- Mi dica, fino a che ora possono adoperare quel campetto?
- Non si preoccupi. Lo chiudiamo alle otto, e lo riapriamo la mattina dopo le nove e mezza. - Avrei preferito che la struttura chiudesse prima, ma nel caso avrei fatto uso dei tappi per le orecchie. Poteva andarmi peggio.
- Le auguro un buon soggiorno. - disse lui lasciandomi le chiavi e assicurandomi che avrei potuto chiamare la segreteria in un qualunque momento per qualsiasi necessità.

Appena entrata nel bungalow mi appoggiai alla porta, lasciandomi scivolare a terra. Mia zia non lo sapeva, nessuno lo sapeva: da tempo avevo cominciato ad andare da uno psicologo. Nonostante la mia vita lavorativa fosse soddisfacente, ero stata sull'orlo di un esaurimento, e sia il lavoro che la mia vita privata ne erano state compromesse.
Cosa mi era preso, e perché? Mi sentivo così male, così spossata e affaticata.
Mi piaceva quello che facevo per vivere, eppure... eppure a volte avrei voluto trovarmi altrove. A volte invidiavo la vita semplice delle persone che mi circondavano.
Arrivavano a casa, dalle loro famiglie, si rilassavano, a volte si sfogavano, ma erano sempre circondate da coloro che amavano. Io ero sola invece.
Avevo scelto io di vivere a quella maniera, ma a volte rimpiangevo la strada che avevo abbandonato per intraprendere quella solitaria via che mi stava cominciando ad andare stretta.
A volte, quando nessuno mi guardava, mentre passavo davanti agli uffici, mi soffermavo per qualche secondo ad osservare le foto di famiglia dei miei colleghi. Le guardavo, e per qualche secondo, per qualche microscopico istante, immaginavo di essere io una di quelle donne ritratte, felici della vita che avevano scelto.
Razionalmente, io non volevo una famiglia, non volevo figli... eppure a volte desideravo l'opposto di quello che sapevo non essere adatto a me.
Mi sfuggì una lacrima, la asciugai in fretta, guardandola sulle mie dita e mi asciugai in fretta la mano. Piangere e compatirmi non sarebbe servito a nulla.
Mi alzai e andai subito al frigorifero dove sapevo che avrei trovato delle bottiglie di acqua e un po' di frutta. Trovai anche un biglietto:


Che questa vacanza possa risollevarti.
Datti da fare o invecchierai triste e sola.

Due righe in croce che zia Letizia mi aveva lasciato. Non sapevo se sorridere di fronte alla gentile offerta della vacanza che mia zia aveva pagato, o se sentirmi depressa per la seconda frase. Era davvero essenziale che io mi accasassi?
Non potevo prometterle che avrei trovato la felicità, era impossibile promettere una cosa sulla quale non avevamo il benché minimo controllo, però avrei potuto provarci. Potevo solo prometterle che avrei tentato di rilassarmi e divertirmi... forse, un giorno, avrei davvero trovato la mia felicità.


Mi feci portare una pizza, approfittando della veranda e dell'aria fresca della sera. Dopo aver sopportato quel caldo insopportabile, quell'afa opprimente, quella fresca carezza sembrava essere quasi il dolce tocco di un angelo. Forse quella vacanza si sarebbe rivelata migliore di quanto non avessi previsto.
Rimasi fino a tardi di fronte al bungalow, era buio, e la luce dei lampioni era quasi fastidiosa. Stavo per andarmene a dormire quando vidi un piccolo tirannosauro che vagava nel vicino bosco. Il piccolo sembrava spaesato.
Per qualche strano motivo sentii che dovevo avvicinarmi, e con cautela mi incamminai verso di lui. Grazie all'ormone che veniva continuamente spruzzato nell'aria e messo nel loro cibo, sapevo che la creatura non mi avrebbe aggredita, ma si trattava pur sempre di un dinosauro, e io ne avevo comunque paura. La creatura si era fermata fra i cespugli, guardandomi come se fossi stata l'unica persona su tutta l'isola in grado di aiutarlo.
Si lasciò avvicinare, e mi mostrò una grossa scheggia che gli era rimasta conficcata nella zampa. Soffriva moltissimo, e io potevo realmente essergli d'aiuto: si trattava solo di levargli una scheggia.
Corsi verso il bungalow, chiedendogli di restare dov'era, e poco dopo tornai con del disinfettante. Il piccolo si era un po' agitato, specie quando gli versai il liquido sulla zampa, ma poi mi ringraziò a modo suo, leccandomi tutta la faccia.
Sentii un forte ruggito, e poco dopo ci raggiunsero tre tirannosauri adulti, dovevano essere i parenti del piccolo.
- Non abbiate paura. - dissi io con calma. - Il vostro piccolo sta bene adesso, l'ho aiutato a togliere questa. - dissi mostrando la scheggia.
Il mio nuovo amico si strusciò contro le zampe di quella che doveva essere la madre, emise dei versi e il grosso animale mi parve che mi sorridesse. Forse era solo un effetto della luce della luna, ma quello mi era proprio parso un sorriso.
Un inquietante e dolce sorriso di gratitudine.
Tornai nella mia casetta, e sprofondai, stranamente soddisfatta, in un profondo sonno. Era da parecchio tempo che non mi sentivo così bene.

Venni svegliata da un tremore incontrollato del letto; all'inizio non capivo se stessi sognando o meno, ma poi mi fu tutto chiaro: terremoto. Qualsiasi catastrofe naturale mi terrorizzava e, al contempo, mi affascinava.
Le pareti tremavano, e sentii il lampadario del salotto crollare a terra: dovevo lasciare quella casa al più presto!
Spalancai la porta finestra ed uscii di corsa, senza curarmi dei miei effetti personali: la mia vita era di certo più importante di un telefono e di pochi altri oggetti di valore.


Se fosse stato solo un terremoto, non avrei provato quella morsa di terrore che mi assalì non appena vidi cosa stava realmente capitando.
Fuori dal mio bungalow, sembrava che si fosse scatenata l'apocalisse, uno scenario degno dei migliori film catastrofici. Frotte di astronavi riempivano il cielo, le prime che atterrarono distrussero i meravigliosi e imponenti alberi secolari che costeggiavano il villaggio turistico.
Avevo il cuore che galoppava, era una situazione paradossale. Mi chiesi se non stessi sognando, ma capii in fretta che quello non era un sogno.
Non appena vidi quegli strani esseri gelatinosi puntare contro di noi quelle che sembravano essere delle pistole, capii subito che quello non voleva essere un incontro pacifico e che se non avessi trovato un riparo, di me non sarebbe rimasto più nulla.
Avrei voluto scappare, ma le mie gambe erano bloccate sul posto, non riuscivo più a staccarle dal terreno. Le sentivo pesanti, come se fossero fatte di cemento armato.
Era come se mi fossi ritrovata in uno dei miei peggiori incubi. Uno di quelli in cui sai di essere in pericolo e non riesci, in alcun modo e per quanto tu lo desideri, a scappare.
Alcuni degli ospiti del villaggio, corsero nella mia direzione e uno di loro mi urtò, facendomi riprendere il controllo del mio corpo. Dovevamo fuggire verso il folto della foresta, là dove dimoravano i dinosauri, forse lì ci saremmo potuti salvare.
Corsi assieme agli altri superstiti del massacro che gli alieni stavano compiendo alle nostre spalle, e vidi allora spuntare i dinosauri.
Sembravano inferociti, e puntavano verso gli invasori e gli ufo. Le armi aliene non avevano effetto sulle preistoriche bestie, e, infuriati come erano, i dinosauri riuscirono a annientare la minaccia, facendo fuggire i pochi sopravvissuti.
La gente esultava sollevata, gente sconosciuta che si abbracciava sorridente e piangente. Un senso di sollievo riuscì a rasserenare tutti noi, ma dopo qualche minuto, ci sentimmo distrutti per le ingenti morti. Noi eravamo sopravvissuti a tutto quello, ma gli altri, poverini, chissà quale atroce sofferenza avevano provato sotto ai raggi letali degli alieni invasori.
Sentimmo un ruggito, seguito da un altro, e da un altro ancora.
I dinosauri sembravano arrabbiati, e si rivoltarono contro di noi.
Dagli altoparlanti giunsero notizie poco rassicuranti: con l'arrivo degli alieni l'equilibrio dell'isola era stato alterato, e così anche ciò che permetteva ai proprietari di tenere sotto controllo i dinosauri. Ce ne voleva per mandare in tilt il tutto, ma quei maledetti alieni con le loro onde cosmiche, con il materiale che proveniva da un'atmosfera che non era la nostra, avevano mandato tutto a rotoli.
La gente fuggiva in preda al terrore, ed era del tutto inutile: quelle bestie possenti e feroci, avrebbero fatto di tutti noi il loro pasto. I predatori si avventavano non solo contro di noi, ma anche verso i dinosauri erbivori, contro chiunque gli si parasse sulla strada.
Anche se sapevo che era inutile, non potevo restarmene lì ad aspettare che uno di loro giungesse e mi divorasse. Scappai da sola verso l'ignoto, correndo disperata sbattendo contro i rami e le foglie degli alberi del bosco. Speravo di arrivare dall'altra parte dell'isola, dove c'erano le barche, e di trovare ancora qualcuno. Potevamo ancora salvarci, così speravo io.
Sembrava che nessuna bestia mi stesse seguendo, avendo tanta gente nell'area principale del resort, non avrebbero perso tempo a inseguire una preda insignificante come me, così pensai, e non potevo sbagliarmi di più. Non sapevo quanto ancora mi restava da camminare, ma trovai dei tirannosauri a sbarrarmi la strada. La mia corsa era giunta al termine.
Ero spaventata, ma riconobbi quelle enormi bestie: erano gli stessi dinosauri che avevo visto prima che quella che doveva essere una rilassante vacanza, si trasformasse in un incubo.
Sentii un ruggito, e uno di essi, uno di quelli adulti, mi si avvicinò, scrutandomi con quei luccicanti occhi rossi. Sentii il suo caldo fiato addosso e tremai.
Non volevo morire, non così giovane, non così.
Chiusi d'istinto gli occhi, in attesa che la bestia mi dilaniasse, ma nulla di quello che temevo accadde.
Aprii gli occhi e il dinosauro dagli occhi rossi scoprii che mi stava ancora fissando con curiosità. Mi stava studiando, ne ero certa. Forse mi aveva riconosciuta, e stava pensando di risparmiarmi la vita.
Abbassò il muso abbastanza da poter avere gli occhi alla stessa altezza dei miei, e si allungò per sfiorarmi il corpo tremante.
Non so per quale strana ragione, ma io allungai la mano e gli sfiorai il muso verdognolo.
Il tirannosauro alzò la testa al cielo e ruggì così forte che dovetti tapparmi le orecchie, il verso, ne ero certa, venne udito in tutta l'isola.
Mi guardò per un istante e cadde a terra; dopo di lui si accasciarono al suolo anche tutti gli altri. Scossi da delle convulsioni, i loro corpi mutarono, prendendo aspetto umano.
Io li fissai sbigottita, non sapendo cosa fare, come comportarmi.
Mi chiesi se anche nell'altra parte dell'isola i dinosauri fossero mutati.


Era quasi l'alba, il cielo era chiaro e quegli strani uomini non si muovevano. I loro corpi non erano più scossi dalle convulsioni.
Mi avvicinai incuriosita, e lui, il tirannosauro che mi si era avvicinato prima, era diventato un bel giovane muscoloso dai capelli verdognoli e selvaggi. Mi accovacciai per guardarlo meglio, mi venne istintivamente da sorridere. Dormiva beato, come se niente di ciò che era accaduto, fosse realmente successo.
Non capivo cosa potesse essere accaduto, ma sapevo che non avrei avuto risposte standomene lì a guardare quegli uomini e quelle donne nude che fino a poche ore prima erano stati i dinosauri che avevano tentato di ucciderci.
Dovevo cercare aiuto, speravo che qualche scienziato dei laboratori dell'isola, fosse sopravvissuto e che avesse qualche risposta per quanto era successo. Cercai di rialzarmi, ma la sua mano mi afferrò la caviglia.
- Non andare. - sussurrò lui, con un occhio semi aperto.
Non sapevo se essere più sorpresa del fatto che si fosse trasformato o se essere stupita dal fatto che lui parlasse la mia stessa lingua.
Lui si mise a sedere e mi guardò con dolcezza, invitandomi a sedere accanto a lui. Seppur titubante, io lo accontentai.
Fu questione di un attimo, affondò il viso fra i miei capelli, lo sentii inspirare profondamente per inalare il mio profumo, e poi sentii un dolore acuto al collo: qualcosa di viscido che lo sfiorava. Rabbrividii, cercando poi, inutilmente, di divincolarmi; lui non mi avrebbe lasciata più andare. I suoi denti erano affondati nella mia carne e lui, per evitare che io gridassi, mi aveva tappato la bocca con la mano.
Furono pochi secondi d'angoscia, e quando mi lasciò libera lo fissai con odio e terrore.
- Che diavolo credevi di fare? - gridai inferocita. Lui si leccò soddisfatto l'angolo della bocca, sporco ancora del mio sangue.
- Mi ringrazierai quando prenderemo il controllo di questo mondo. - disse guardando i suoi compagni che stavano riprendendo conoscenza. - Il marchiò che ti ho lasciato sul collo, è la prova inconfutabile che tu sei mia! - rabbrividii per il modo in cui parlava di me. Dalle sue parole e dal suo tono, sembrava che fossi una sua proprietà. - Nessuno ti farà del male. - lui si alzò, e mi tese la mano.
- Questo mondo non vi appartiene più. - sorrise guardandomi con aria di superiorità. - Sta per avere inizio la nostra era.
Mentre il sole si ergeva alto in cielo, la calda brezza mi scostò i capelli, rivelando il marchio che l'uomo-dinosauro mi aveva appena lasciato, sporco ancora del sangue versato.
Non sapevo cosa sarebbe accaduto da lì in avanti, ma sapevo che quella estate afosa, avrebbe per sempre cambiato la mia vita.



 
L'angolo di Shera♥


Finalmente ce l'ho fatta! Questa storia è nata da un sogno, un incubo per meglio dire.
Avevo pubblicato ai tempi la storia, ma non ero del tutto sodisfatta, così l'ho riscritta e riscritta ancora, fino a che non mi son ritenuta soddisfatta.
Questo è il risultato della mia mente assolutamente malata XD.
Nell'originale, la storia finiva proprio come nel mio sogno: la "Regina di Ghiaccio" e il suo dinosauro-uomo, che si stanno godendo una bella serata in un hotel di lusso. Stanno per concedersi un momento romantico, quando l'incantesimo finisce, e il dinosauro perde il controllo, tornando man mano alla sua forma originale, lasciando così la protagonista alla fine orribile che l'attende...
Questa volta ho voluto concederle un momento meno triste.
Spero via piaccia, a presto


Shera♥
  
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