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Autore: Cat in a box    29/04/2009    2 recensioni
[…] Ma in seno all’odio si sviluppa l’Amore, e il cupo e il denso dell’animo si stempra nei sentimenti più teneri. Quest’uomo odia molto perché ha amato molto. L’odio è infinito, perché infinito è l’amore, e il dolore è disperato, perché non c’è vendetta uguale all’offesa. Tutto questo trovi mescolato e fuso nel suo mesto racconto, non sai se più terribile o più pietoso. Accanto alla lacrima sta l’imprecazione; e spesso in una stessa frase c’è odio e c’è amore, c’è rabbia e c’è tenerezza; come l’ultimo suono delle sue parole […]. | Attualmente sto correggendo e 'ristrutturando' i capitoli già scritti [ultimo in data 26/08/13].
Genere: Fantasy, Fluff, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albus Silente, Altro personaggio, Il trio protagonista, Severus Piton, Voldemort | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Da VI libro alternativo
Capitoli:
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Il nono capitolo O.O! Ho dovuto sacrificare un po’ delle mie ore di sonno per riuscire a finirlo, ma ne è valsa la pena^^. Mi sto lasciando trasportare dalla storia. Spero che vi piaccia^^!

 

 

Lacrime di cristallo

 

Era domenica mattina. Adelia si svegliò di buon ora, verso le sette e un quarto. Non aveva dormito tanto la notte precedente, e si sentiva ancora effettivamente stanca, ma non voleva provare a dormire ancora. Si alzò dal letto, e tirò fuori dalla gabbia la sua creatura-batuffolo. “Buongiorno pigrone!”. A contrario di lei, questo pareva ancora intenzionato a dormire. Lo avvolse tra le mani e iniziò ad accarezzarlo amorevolmente, mentre si dirigeva verso la poltrona. Si sedette e iniziò a contemplare il paesaggio imbiancato dalla neve, che si poteva osservare fuori dalla finestra. Era il 22 Dicembre, il giorno del suo compleanno. Un giorno infelice, per lei. Da quando sua madre non c’era più, non aveva più festeggiato quel giorno…non avrebbe avuto alcun senso. Sospirò. Non aveva intenzione di rimuginare ai suoi ricordi. Il passato era il passato, e lei avrebbe dovuto piuttosto preoccupparsi dell’avvenire. Era un periodo di festività, e tutti sembravano tranquilli e sereni, come se nulla di brutto sarebbe potuto accedere proprio a Natale. Già, tutti erano spensierati. Come facevano ad esserlo? Un’imminente minaccia stava incombendo su Hogwarts, ma nessuno sembrava darci molto peso. Solo ieri mattina, Harry le aveva mostrato un articolo sulla Gazzetta del Profeta, al riguardo del nuovo attacco dei Mangiamorte, in uno dei quartieri babbani della periferia di Londra. Avevano distrutto intere case, e dato fuoco alle macerie che ne restavano. Tuttavia, nessuno era morto, ma c’erano stati molti feriti, tra cui anche babbani. Il Ministero della Magia era intervenuto immediatamente, mandando una squadra di obliviatori, a cancellare la memoria ai babbani coinvolti. Il resto degli agenti del Ministero, si era già messo sulle tracce dei Mangiamorte. Nella seconda pagina del giornale, vi era persino una fotografia in bianco e nero, che ritraeva il volto magro e sciupato di Cornelius Caramell. Aveva l’aria di essere parecchio teso e sconvolto. Negli ultimi tempi, si era fatto vivo poche volte, e Silente le aveva riferito che il Ministero aveva parecchi grattacapi di cui occuparsi. In effetti, Adelia non era una priorità (o almeno, così lei credeva di essere!), per cui non avrebbero avuto tempo da perdere, per una studentessa di diciassette anni. “Quanti anni erano passati...”. Pensava. Aveva diciassette anni, l’età prevista per diventare maggiorenne, l’età esatta per finire la scuola e cominciare a vivere un nuovo futuro. Ma quando guardava un po’ più in là, non vedeva altro che il nulla più assoluto. Quale futuro si sarebbe potuto aspettare una dannata? Era difficile immaginarsi, che cosa le avrebbe portato l’avvenire. Più che altro, faticava ad aspettarsi un lieto fine. Aveva concepito che la Vita non era una favola. La Realtà, non era come le avvincenti storie dei Fratelli Grimm, che una volta si faceva leggere da sua madre come fiaba della buonanotte. Non sempre, tutto era destinato a finir bene. Avrebbe voluto immaginare la sua vita, come una favola. Avrebbe desiderato tanto che, il suo destino finisse con un ‘…e vissero per sempre felici e contenti.’. Non esisteva illusione più distorta di quella fiabesca frase. Sospirò nuovamente. La sua creatura-batuffolo iniziò a stridere, quasi come se volesse attirare l’attenzione della sua graziosa padrona. “Sua Maestà si è svegliata?”. Lo canzonò ironicamente Adelia, ridendo. La pallina di pelo iniziò a rotolare avanti e indietro sulle sue mani, provocandole involontariamente un piacevole solletico. “D’accordo, è ora della colazione Batuffolo.”. Si alzò dalla poltrona e poggiò sul letto ancora disfatto, la creatura. Rovistò nel cassetto del suo comodino, dove aveva riposto alcuni fogli di carta ruvida, che aveva messo da parte per il suo tritatutto cartaceo. Quando estrasse alcuni pezzi di carta, mostrandoli all’ingorda creatura, questa iniziò a canterellare dall’entusiasmo. “Ecco a Voi, Maestà”. Si divertiva a chiamarlo con quel buffo nomignolo! Mancava solo che portasse una coroncina dorata, e sarebbe stato delizioso. Posò i fogli sul letto, che all’istante vennero assaliti dalla piccola pallina di pelo rosa. Iniziò a divorarli con una voracità spaventosa, che sarebbe stata capace di lasciare di stucco chiunque! Lo osservò per un po’, finché non distolse lo sguardo per contemplare ancora la finestra. Si affacciò al vetro appannato, e osservò ancora una volta il paesaggio innevato. Tutti gli alberi erano ricoperti dalla neve, tranne ovviamente il Platano Picchiatore. Nel cortile, si potevano vedere delle scure carrozze appena allestite, che contrastavano il candore della neve. Erano state preparate per portare gli studenti a Hogsmeade, ‘ove avrebbero preso il treno per tornare a Londra. Ma sarebbero ritornarti tutti quanti, giusto per festeggiare l’ultimo dell’anno, al tanto atteso e ambito ballo del 31 Dicembre. Non mancavano molti giorni, e Adelia era agitata. Di sicuro non lo era come le altre ragazze, che ormai si preoccupavano solo di cosa avrebbero indossato per l’occasione, e di come avrebbero acconciato i capelli! Era preoccupata per Ron. “Chissà come la prenderà, non appena mi vedrà al ballo!?”. Adelia se lo chiedeva instancabilmente, da due giorni. Era assillata dai sensi di colpa. Non voleva festeggiare alcun ballo!

 

 

Nel contempo, a insaputa di Adelia, si stava protraendo da una buona mezzora, una lunga e accesa discussione. Nell’ufficio del Preside, Piton e Silente stavano discutendo al riguardo della fanciulla, ognuno dei due in pieno disaccordo sulle opinioni dell’altro. “Questa è utopia! Il Ministero non può approfittarsi della Maledizione di Adelia, per togliersi di mezzo l’Oscuro Signore! Perché non mandano i loro Auror!?”. Sbottò un Severus piuttosto spazientito. Silente lo osservò, mentre camminava nervosamente attraversando la sala. “Sono decisioni del Ministero, che noi non possiamo contrastare.”. Rispose il vecchio Mago, in tono pacato. “Tu sei il Presidente del consiglio di Wizengamot, ci sarà pur qualcosa che tu possa fare!?”. Ribatté Piton. “Il possibile che ho potuto fare, è stato quello di convincere il Ministero a lasciarla sotto la protezione di Hogwarts per ancora qualche mese…”. Ammise. “Che cosa intendi dire con questo?”. Ci fu un attimo di silenzio. Dopo un po’, Silente prese a parlare, sotto gli scuri occhi riprovanti di Severus. “Devi sapere che, Adelia è molto preziosa per il Ministero. In tutti questi anni, si sono rimboccati le maniche per proteggerla il più possibile. Hanno persino falsificato il suo necrologio, e occultato i suoi dati all’ufficio anagrafe. Adelia Blackford è un nome inesistente. L’hanno fatto scomparire, per preservare il suo destino all’avvenire. Solo ora, in questo momento di panico e confusione, il Ministero ha concesso ad Adelia di restare a Hogwarts, per ancora tre mesi.”. “Tre mesi?”. Sbottò Piton. “Il 3 Marzo, una squadra di Auror la scorterà fino al Ministero della Magia. Noi abbiamo già fatto il possibile, non c’è altro che possiamo fare...è inutile insistere.”. Severus si rabbuiò d’improvviso. “Certo…”. Disse, facendo per andarsene. “…quando si tratta di organizzare feste e balli per la scuola, non perdi tempo! Ma quando si tratta di salvare una giovane da un destino atroce, te ne lavi le mani…”. Borbottò, allontanandosi fino alla porta. Silente fece finta di non sentirlo, e lo lasciò andare. Piton sbatté la porta, facendosene un baffo di quello che pensava Silente. Come poteva essere così cocciuto? Era peggio di un bambino troppo viziato. Si incamminò di fretta lungo i corridoi, qualche volta urtando degli studenti, ma senza preoccuparsene più di tanto. Si affrettò a raggiungere il terzo piano. Era suo compito di tutore, accompagnarla ‘ovunque’ lei desiderasse andare per il castello. Non avrebbe mai permesso che si aggirasse da sola, almeno che non si trovasse in un’aula appresso, come a pozioni. Raggiunse finalmente il terzo piano, e bussò alla porta della sua prediletta. Un momento dopo, Adelia aprì la porta. Si era già cambiata, e indossava un delizioso completo in satin blu oltremare, che faceva perfetto contrasto con i neri ricami a motivi floreali sul corpetto. La gonna vaporosa a strati, metteva in evidenza le gambe slanciate, coperte da un paio di calze nere dalla trama ricca di ghirigori. I capelli, a differenza del solito, erano raccolti da un nastrino di velluto del medesimo colore. “Buongiorno Professore.”. Esordì, in tono alquanto entusiasta. “Non ti sei ancora messa il mantello?”. Chiese Piton, con espressione di finta sorpresa. “Il mantello? Non ne vedo la necessità, dal momento che nel castello non è freddo.”. Disse di rimando, lasciando travedere una vena speranzosa di uscire fuori dal castello, dopo tanto tempo. “Dentro no, ma fuori sì.”. Adelia intuì quello che il Professore le voleva far intendere. Un ampio sorriso si dipinse sul suo viso, e lasciando incurante la porta semiaperta, sgattaiolò davanti al suo armadio per prendere il mantello. Quando tornò, Piton la aspettava ai primi scalini, in procinto di scendere. La ragazza esitò un momento, scambiando uno sguardo nei suoi profondi occhi neri. “Posso portare anche la mia creatura?”. Chiese con solita gentilezza, cercando di convincerlo. Severus si limitò ad un pigro gesto di assenso, e felice come non mai, Adelia prese la sua creatura-batuffolo. Lo posò su una spalla, come se fosse stato il pappagallino di un pirata, questo si aggrappò saldamente con le zampette al mantello, e iniziò a canticchiare una gioiosa cantilena. Severus si limitò ad un sorriso compiaciuto, dalla buffa scena che aveva sotto gli occhi. Guardargli, avrebbe fatto sorridere chiunque. “Oggi ho intenzione di portarti a Hogsmeade.”. Disse d’un tratto Piton, mentre Adelia lo fissava ancora incredula. “Hogsmeade?”. Ribatté lei. “E’ un villaggio non molto distante da Hogwarts, lo raggiungeremo in meno di una mezzora.”. Non poteva credere che fosse vero! Finalmente fuori dalle mura del castello. Non le importava se per poco, almeno avrebbe potuto ancora una volta godere della sua libertà.

 

 

Quando si trovarono fuori dal castello, Adelia non poté fare a meno di restare incantata, dal vasto paesaggio cui si trovava di fronte. Mentre Severus proseguiva indisturbato davanti a lei, Adelia si chinò a toccare a mani nude la neve. Un brivido gelido le attraversò il braccio proteso in avanti, facendole avvertire una piacevole sensazione di freddo-ghiacciato. Da quanto tempo non provava più quella piacevole sensazione. Da troppo tempo. Era ormai abituata al fatto, di non uscire quasi mai, che aveva persino scordato i piccoli piaceri della vita. D’un tratto una voce la riportò sulla terra. “Adelia? C’è qualche problema?”. Chiese, guardandola perplesso, mentre stava ancora china con le mani ormai affondante nello spesso strato di neve. “Ehm, no.”. Si affrettò a rispondere, ritraendo le mani. “E’ solo che…era da tanto che non sentivo più la neve.”. Si alzò, e guardò fisso lo sguardo di Piton, sulla quale si dipinse una smorfia. “E’ ancora fredda come l’hai sentita la prima volta?”. Chiese quasi ironicamente, facendo esitare la ragazza a rispondere alla sua domanda. “Sì…è fredda.”. Rispose lei, seriamente. Raggiunse il Professore, dopodiché insieme proseguirono verso Hogsmeade, accompagnati da un’allegra cantilena in sottofondo. Ad un tratto, Piton irruppe nel ‘silenzio’ con una domanda a dir poco prevedibile. “Ma canta tutto il tempo?”. Chiese, indicando la creatura-batuffolo aggrappata al mantello della fanciulla. “Quasi sempre, a parte quando mangia...”. Sorrise lei, raccogliendo dolcemente tra le mani la pallina di pelo, che si azzittì immediatamente. “…e quando riceve la mia attenzione.”. Severus la guardò con aria divertita. Era particolarmente radiosa, quando era felice e spensierata. Amava vederla così, vederla come avrebbe voluto lui, per sempre. Mentre la fissava, con una certa luce degli occhi, lasciando travedere una vena di tenerezza nei suoi lineamenti. “Quanto manca a Hogsmeade?”. Chiese curiosa. “Meno di una decina di minuti, ma sarà meglio riprendere il passo di prima, se vogliamo arrivare in tempo.”. Le ultime due parole le risuonarono piuttosto sospettose, come se Piton avesse voluto alludere a qualcosa. “In tempo per cosa?”. Chiese lei, dopo qualche attimo. “Ogni cosa a suo tempo, Adelia.”. Fu la sua risposta, poco convincente. Dopo qualche minuto di cammino, come le aveva detto Severus, giunsero dinanzi ad un villaggio di bizzarre casette, ma dall’aria accogliente e calorosa. Non aveva mai visto nulla di simile, dovette ammettere a sé stessa. Seguì Piton, stando al suo fianco, quasi come se lo tenesse per mano. Arrivarono al centro del paesello, che dava su un piccola piazzetta centrata da un pozzo, e lì si fermarono.“Questa è Hogsmeade.”. Iniziò Piton. “Ci sono diversi negozi, dove potrai trovare diversi articoli di magia che ti potrebbero interessare. Scegli quello che ti piace di più, penserò io a pagarlo.”. Stava per pronunciare un ‘ma…’, che non fece in tempo ad uscire dalla sua bocca, poiché Piton si affrettò a parlarle sopra. “Non accetto obbiezioni.”. E la accompagnò nel primo negozio, che si trovava di fronte a loro. Si chiamava Scrivenshaft. In apparenza pareva essere una cartoleria, a giudicare dalla mercanzia esposta nella vetrina. Quando vi entrò, constatò che effettivamente non aveva torto. Vi erano quaderni, calamai, inchiostro, pergamene e piume. Si guardò intorno, senza badare a Piton, che si era soffermato sulla soglia del negozio a chiedere qualcosa al bottegaio. Adelia si sentiva sinceramente a disagio. Non era abituata a ricevere regali, soprattutto nel giorno del suo compleanno! E a proposito di quello, come aveva fatto a scoprire che era il suo compleanno? “Beh, ad ogni modo è il mio tutore...il Ministero lo avrà informato della mia data di nascita.”. Pensò. Si guardò ancora per qualche istante in giro, dopodiché raggiunse il Professore all’ingresso. “Andiamo al prossimo negozio?”. Le chiese gentile. “Sì.”. Rispose timidamente lei. Non poteva negare che, quella situazione la metteva piuttosto in imbarazzo.

 

 

Nei successivi negozi che visitarono, Adelia rimase incuriosita e ammagliata dalla bizzarra mercanzia che vi era esposta. Non era mai stata portata a far compere, e difatti ci stava mettendo anche parecchio tempo per decidersi su cosa scegliere! Aveva paura che Piton avrebbe perso la pazienza, da un momento all’altro, ma quando lo scrutò di nascosto nell’ennesima bottega, invece parve piuttosto disinvolto e pacato. Se ne meravigliò con grande sorpresa. Ormai avevano visitato tutti i negozi a Hogsmeade, e l’unico che restava era un piccolo botteghino, affacciato sull’angolo Ovest della piazza. Vi entrarono. Era un negozio di amuleti, pendagli, talismani, pietre magiche e così via discorrendo. Non pareva molto grande, ma le cose che vendeva erano davvero uniche e interessanti. Come ormai suo solito, Piton sostò all’ingresso, in attesa che Adelia terminasse di fare il suo giro. Nel contempo, lei stava esaminando degli amuleti magici, contenuti in una bacheca. Si fermò a scrutarne uno in particolare. Era un bellissimo pendaglio d’argento, con incastonata una pietra nera, perfettamente lavorata a mano. Uno splendido capolavoro di oreficeria, sulla quale vi erano inoltre incise decorazioni elfiche con meravigliosi ghirigori che si riavvolgevano l’uno sull’altro, come fossero serpenti. Vi era anche inclusa una catenina in argento. Ma quando osservò il prezzo, quasi non le si drizzarono i capelli. Stava giusto per distogliere lo sguardo, quando un ometto goffo e vestito quasi completamente in verde fango, non le si avvicinò. “Ti ho vista molto interessata al *Sigillo dei Capricorni, mia cara.”. Soggiunse questo in tono sospettoso. Adelia non aveva benché la minima idea di cosa si trattasse, ma notando che si rivolgeva chiaramente all’amuleto che aveva scrutato poco prima, annuì. “Devi sapere che è un amuleto molto potente, e veglia solo su coloro che sono nati sotto il segno del Capricorno. Difatti, la pietra che vi è incastonata sopra è puro onice. La pietra più amata dai Capricorni…ma basta con i discorsi, desideri provartelo?”. Chiese con sicurezza, tirando fuori dalla bacheca l’amuleto. Adelia non aveva intenzione di far spendere tutti quei soldi per una collana! “Ehm, no no…ma io, non sono intenzionata a comprarla.”. Si affrettò a difendersi, ma ormai il bottegaio le stava mettendo al collo l’amuleto. “Ti dona davvero tantissimo.”. Si complimentò con tanto di smancerie. Improvvisamente l’amuleto iniziò a illuminarsi, di una fioca luminescenza cerulea. “Davvero prodigioso! Amuleti del genere, si illuminano solamente quando vengono indossati da una cuspide. Ovvero, una persona nata proprio a cavallo tra l’inizio o la fine di un segno zodiacale. Quindi, oggi dev’essere il tuo compleanno, esatto?”. Chiese con sguardo furbo, fissandola con attenzione. “Sì…”. Rispose. Ormai non sapeva come sbarazzarsi di quel negoziante! “Ho-ho! Magnifico!”. Aggiunse entusiasta l’ometto, mentre si dirigeva alla cassa. “Visto che oggi è il tuo compleanno, sarò disposto anche a farti lo sconto del sessanta per cento!”. Adelia si tolse l’amuleto, riponendolo delicatamente sul vetro della bacheca. “No, ma io non…”. Stava per ribattere, quando una voce subentrò nella conversazione. “Ti donava moltissimo quel amuleto, e mi sembrava che ti piacesse…”. Ci si era messo pure Piton! Era imbarazzata, e le sue guance rosate avevano iniziato a sfumare sul rosso. “Io…ehm…non posso farle spendere così tanto!”. Si fece coraggio. Il Professore, per un attimo non aggiunse altro. Poi si voltò verso il bottegaio, che attendeva dietro alla cassa, e con un cenno di assenso, esordì deciso. “Lo impacchetti.”. Il buffo ometto levò un sorriso da guancia a guancia, e iniziò a preparare un pacchetto da regalo. Severus si voltò verso Adelia, guardandola quasi con aria di rimprovero. “Adelia, ti avevo chiesto di scegliere quello che più ti piaceva, indistintamente dal prezzo…”. “Aveva solo detto di scegliere quello che desideravo, e non ‘indistintamente dal prezzo’.”. Si difese lei. Piton si limitò ad un sorriso divertito, per la sua precisa attenzione. “D’accordo…”. Ammise, quando uscirono dal negozio. “…ma ricorda che oggi è il tuo compleanno, e il prezzo di un regalo non conta.”. Le rispose porgendole il pacchetto. “Buon compleanno.”. Le sorrise. Adelia rimase per qualche attimo ancora sorpresa. A dire il vero, si stava per lasciar travolgere dall’emozione. Ma tutto sommato , non era tanto per aver ricevuto un regalo il giorno del suo compleanno (anche il Ministero le faceva regali, se per questo!), ma era rimasta sbalordita dall’evidente affetto che ormai le dimostrava da tempo. Tutto questo non le dispiaceva affatto, anzi, era sinceramente contenta di esser riuscita a trovare qualcuno che si interessasse veramente a lei. Piton, era in assoluto l’unica persona ad averle dimostrato un briciolo di umanità. Lasciando a parte, quello che era successo nei primi due mesi di scuola, ormai era diventato gentile e premuroso nei suoi confronti. Nessuno era mai stato così per lei. “Grazie del pensiero.”. Esordì ad un certo punto, ricambiando il sorriso a Piton. Avrebbe tanto voluto abbracciarlo, ma sarebbe stato molto impulsivo da parte sua, per cui si trattenne. “Torniamo a Hogwarts, ormai sarà ora di pranzo.”. Disse lui, guidandola verso il sentiero imbiancato che avevano intrapreso per raggiungere il villaggio. Adelia annuì, e si misero in cammino sulla strada di ritorno.

 

***

 

A pranzo, Adelia riuscì a mettersi a sedere tra Ginny e Ron. Hermione, come ormai suo solito, aveva preso le distanze. Mentre Harry e Neville sedevano uno affianco all’altro, di pochi posti più in là. “Dove sei stata tutta la mattinata?”. Le chiese Ron, sospettoso. “Ero a Hogsmeade con il Professor Piton.”. Rispose lei, mostrandosi alquanto disinvolta. “Cosa!? E che ci facevate a Hogsmeade?”. Domandò sempre più curioso, suscitando anche l’interesse altrui, alla loro conversazione. “Ehm…”. Adelia esitò un attimo. Non aveva intenzione di raccontare la verità, ma avrebbe dovuto inventarsi qualcosa alla svelta! “…eravamo andati a comprare materiale per la scuola.”. Recitò, cercando di essere più convincente possibile. E ci riuscì. “Peccato, ti avevo anche tenuto il posto a colazione…”. Borbottò abbassando la testa, come un bambino offeso. “…tra l’altro oggi pomeriggio partiranno le carrozze, per portarci a Hogsmeade.”. Aggiunse ancora. Aveva un’aria veramente abbattuta. “Non sembri contento di andare via da scuola…”. Osservò lei. “Niente affatto! Io vorrei stare qui con te!”. Con quella frase suscitò suo malgrado l’attenzione di quasi tutti i presenti al tavolo di Grifondoro, che iniziarono a canzonarlo. “A-Ron-piace-Adelia! A-Ron-piace-Adelia! A-Ron-piace-Adelia!”. Nel contempo, Ron aveva cominciato a diventare sempre più rosso in faccia, quasi da confondersi col colore dei capelli. In quel momento, Hermione sbatté qualcosa sul tavolo che produsse un rumore assordate, e poi si affrettò ad andarsene. Doveva essere parecchio adirata. “Oh, ma che ho fatto di male per cacciarmi in questa sventura!?”. Pensò Adelia. Dopotutto lei non aveva fatto proprio nulla! Era sicura, che da quel momento non avrebbe più avuto un attimo di pace. Harry fece tacere il coretto che stava sminuendo Ron, il quale era diventato ormai di un vivace rosso pomodoro. Adelia cercò di sembrare disinvolta, continuando a tenere la testa bassa sul piatto. Non aveva né intenzione di contemplare le sceneggiate di Ron né di parlare di quello che aveva fatto a Hogsmeade con Piton. Si limitò a mangiare silenziosamente, non destando di uno sguardo le persone che le stavano intorno. Quasi al termine del pranzo, Silente si avvicinò al piedistallo a forma di gufo dorato, che si trovava rialzato in prossimità dei gradini. Attese che tutti rivolgessero la loro attenzione a lui, e poi prese a parlare. “Ho una serie di annunci da farvi.”. Cominciò. “Innanzitutto, le carrozze dirette alla stazione di Hogsmeade, partiranno alle tre in punto dal cortile della scuola. Vi chiediamo di essere puntuali.”. A quelle parole, Adelia sentì mugugnare qualcosa di incomprensibile da Ron, ma non ci diede molto peso. “In quanto riguarda al ballo di fine anno, annunciato per il 31 Dicembre, l’ora di inizio è prevista per le sette di sera. Ricordiamo inoltre, che non è permesso restare nelle proprie stanze durante i festeggiamenti, per ovvie ragioni di sicurezza…”. Adelia non lo ascoltava più. Era per colpa di quel stramaledetto ballo, se ora si trovava nei guai fino al collo! Hermione era invidiosa, e ce l’aveva a morte con lei. Ron non faceva altro che fare sceneggiate amorose, per farla sentire in colpa del suo rifiuto. Ogni giorno, Harry le portava la Gazzetta del Profeta, e le faceva notare tutti gli articoli al riguardo dei nuovi attacchi causati dai Mangiamorte. E come se tutto questo non bastasse, Piton l’aveva costretta ad andare al ballo! Non avrebbe di certo potuto chiederli di stare con lei in camera, o di lasciarla da sola. Di certo, non avrebbe soddisfatto nessuna delle due richieste. Non aveva scampo, e si sentiva con le spalle al muro. Che cosa avrebbe dovuto fare? Non poteva scappare, per cui non avendo altra scelta, si sarebbe decisa ad affrontare tutto a denti stretti. “…e per concludere: vi auguriamo Buone Feste!”. Si sentì rimbombare nella testa, la voce di Silente. Tutti cominciarono ad alzarsi dai tavoli, per dirigersi verso l’uscita della Sala Grande. Adelia cercò di fare in fretta, soprattutto per non farsi seguire da Ron. Sorpassò un gruppo di Tassorosso, spronandosi verso l’uscita, e poi sgattaiolò via dalla sala.

 

 

Non dovette aspettare neanche tanto per essere accompagnata al terzo piano, perché Piton uscì poco prima di Harry, Ron e Neville, e si avvicinò subito a lei. Non avevano il coraggio di andarle a parlare quando Piton le si trovava appresso. Possibile che ne fossero così intimoriti? “Vieni Adelia.”. Le ordinò, facendole cenno di seguirlo. “Dovrò passare un momento nel mio laboratorio privato, a prendere alcuni ricettari che ho lasciato. Dopo andremo al terzo piano.”. Le spiegò, mentre lei lo seguiva a ruota, senza voltarsi indietro. Iniziarono a scendere l’interminabile scala a chiocciola, che portava ai sotterranei. L’aria si faceva via via sempre più umida, e gelidi spifferi d’aria provenivano da tutte le parti. Adelia rabbrividì. “C’è qualcosa che ti turba Adelia? Ti ho vista piuttosto cupa, a pranzo.”. Le disse, non appena si ritrovarono davanti alla porta del laboratorio di pozioni. “Ehm…sì…”. Borbottò lei. “Me ne vorresti parlare allora?”. Chiese gentilmente, aprendo la porta e facendo entrare per prima la fanciulla. “Se preferisci, puoi accomodarti ovunque desideri.”. Aggiunse. Adelia si appostò nel suo solito banco, mentre Piton sembrava in procinto di cercare i suoi ricettari su una mensola, dando le spalle alla ragazza. “Professore, avrei bisogno di chiarimenti.”. Iniziò Adelia. “Parla, ti sto ascoltando.”. Rispose lui, ancora tutto concentrato a rovistare tra i libri. “Vorrei sapere che intenzioni ha il Ministero, con me. Ho il sospetto che stiano tramando qualcosa…”. Severus non si degnò di una risposta, allora Adelia proseguì. “La Gazzetta del Profeta parlava di diverse aggressioni, provocate dai Mangiamorte. E discuteva persino di un possibile attacco alla scuola, ma io non capisco…come può Silente essere così disinvolto e pensare alle feste, piuttosto che preoccuparsi di queste calamità!? Sembra quasi che stia facendo finta di niente…”. “Basta così!”. La interruppe bruscamente Piton. “Meno della metà di quello che c’è scritto sulla Gazzetta del Profeta è la verità. Confido che non ho la più pallida idea di quello che abbia in mente Silente, tuttavia mi fido di lui. Non hai bisogno di allarmarti per quello che succede altrove, a Hogwarts sei al sicuro.”. Quasi sembrava sdegnato dalla sua domanda. Che avesse sfiorato qualche argomento di cui non avrebbe dovuto parlare? Aveva bisogno di risposte, e sul momento decise che rischiare sarebbe stata la soluzione migliore. “Ma tutto questo non quadra! Il Ministero stesso si sta comportando in modo strano, e tutto questo accanimento verso Hogwarts…è molto sospetto! La settimana scorsa, più di una decina di persone è stata assassinata per mano dei Mangiamorte, e pare che tutte le vittime fossero imparentate con qualche studente di Hogwarts. Questa è un’esplicita minaccia!”. Sbottò lei. “Ti ripeto che Hogwarts, al momento, è un luogo sicuro.”. Rispose calmo. “Non per molto…”. Borbottò Adelia, quasi come se volesse protestare contro di lui. “E il Ministero? Che intenzioni ha con me?”. Chiese, dopo averci rimuginato un po’ su da sola. Un pesante volume scivolò distrattamente dalla mano di Severus, che si chinò lentamente a raccogliere. Era evidentemente nervoso. Probabilmente, quella domanda era riuscita a suscitarli una certa soggezione. Ci fu un lungo silenzio. “Posso sapere che intenzioni ha con me, il Ministero della Magia?”. Ripeté ancora più insistente. “Adelia, io non pos…”. Si bloccò, ma riprese subito. “Io non dovrei dirti certe cose.”. Si voltò a fissare Adelia, col suo solito sguardo cupo e penetrante. “Non sono sicuro che il Ministero abbia buone intenzioni su di te, e questo lo deduco dal fatto che…”. Si interruppe. “Dal fatto che?”. Proseguì Adelia, ansiosa. “…abbiano intenzione di sfruttarti.”. La ragazza abbassò lo sguardo, incupita dai funesti pensieri che le fruttavano in mente in quel momento. Si stava accingendo, a quella che sarebbe stata una reazione ‘quasi’ esagerata. “Sfruttarmi?”. Chiese sbigottita, mentre fissava il braccio marchiato. “Hanno intenzione di sfruttarmi per annientare Voldemort!? VOGLIONO SFRUTTARMI PERCHÉ IO SONO MALEDETTA!?”. Urlò. Si strinse forte le spalle, e iniziò a contemplare il vuoto, mentre le prime lacrime iniziarono a salirle agli occhi. “Avrei dovuto aspettarmelo…loro sapevano già tutto, molto tempo prima. Sapevano che ero dannata, e allora hanno pensato bene di sacrificarmi, per gli altri…”. I suoi occhi non erano più fuochi di smeraldo, ma blocchi di grigia cenere. Lacrime iniziarono a scenderle lungo il viso, mentre con le unghie premeva contro la carne, quasi come se volesse ferirsi. “…per loro non sono altro che lo sgravio di questa società, non conto nulla…non importo a nessuno!”. Premette ancora di più le unghie, ma Piton la fermò appena in tempo prima che si ferisse. “Ti sbagli!”. Le afferrò saldamente le braccia, nel tentativo di evitare che commettesse qualcosa di stupido, e la fissò intensamente negli occhi. “Ti sembra che a me non importi nulla di te?”. La stava rimproverando. “Avrei potuto dire anch’io lo stesso, tempo fa. Sai?”. ( E’ riferito al fatto che Adelia, nei primi capitoli, lo odiava e nessuno aveva considerazione di lui.) Adelia lo fissava intimorita. “Non è stato un bene dirtelo, e forse avrei dovuto aspettare il momento giusto, quando saresti stata pronta. Devi accettare quello che sei, Adelia. Non sei lo sgravio di questa decadente società, e non sarai in futuro una vittima sacrificale mandata dal Ministero a sconfiggere Voldemort…”. A quella parola, la ragazza rabbrividì, cercando di guardare qualcos’altro. “Guardami quando ti parlo!”. La sgridò. Adelia rivolse nuovamente lo sguardo a lui. “Potresti fuggire da tutto questo, se solo lo desiderassi…”. All’improvviso le sembrò che quelle parole le avessero risvegliato qualcosa, e prese anche lei la parola. “Fuggire!? Non si può fuggire dallo Stigmata Diaboli! Se non mi sacrifico, non avrò mai un’anima completa…e sarò costretta ad una dannazione eterna! Samael, il demone che mi ha maledetta, continuerà a perseguitarmi…”. Severus si sentì congelare il cuore per un momento, quando sentì quel nome. Samael. Quello era il nome del demone che l’aveva maledetta? Improvvisamente avvertì una strana sensazione, di pericolo. Non avrebbe dovuto conoscere il nome del demone. Silente lo aveva raccomandato più volte, senza spiegarne il motivo o le conseguenze. “Non pronunciare mai più il suo nome.”. “Quale nome?”. Chiese Adelia seccata, quando venne interrotta a metà del discorso, a cui Piton non stava prestando attenzione. “Il nome del demone che ti ha maledetta. Nessuno, al di fuori di te, può conoscere o pronunciare il suo nome. Nessuno.”. “Che cosa succede se qualcuno conosce il suo nome? Lei adesso…lo sa…oh che cosa ho fatto!?”. Stava cominciando a disperarsi, dalla paura di aver combinato qualcosa di grave. “Non lo so, ma Silente mi aveva raccomandato più volte al riguardo. Ma non farne più parola a nessuno…”. La ragazza annuì. “…ora non pensarci più, e torniamo ai piani superiori.”.

 

 

Adelia si trovava sola nella sua stanza. Non erano passati neanche dieci minuti, e già aveva cominciato ad annoiarsi a morte. Si era affacciata alla finestra, e stava guardando le prime carrozze dirette a Hogsmeade, andarsene. Su una di queste vi salirono anche i suoi amici Grifondoro, e quando vide Ron, Harry, Hermione e Neville salire su una carrozza, levò un sospiro di sollievo. A dirla tutta, non era poi così scontenta di non vederli per un po’. Magari Ron avrebbe avuto tempo per riflettere un po’ sul suo rifiuto, e cercare di farsene una ragione. Ora mancavano solo nove giorni al ballo di fine anno. Sospirò ancora, e iniziò a contemplare la sua creatura-batuffolo che stava sonnecchiando indisturbata aggrappata alla sua spalla. “Quanto vorrei essere anch’io una Puffola Pigmea…”. Disse tra sé e sé. Si allontanò dalla finestra, e si adagiò sulla poltrona accanto al focolare acceso, nell’intenzione di leggere un enorme volume di Alchimia pubblicato dallo stesso Nicolas Flamel. Iniziò a sfogliare le prime pagine sprofondando nella lettura, al punto da perdere persino la cognizione del tempo. Mentre il cielo si faceva via via sempre più scuro, e il focolare aveva quasi terminato di ardere le braci nel camino, Adelia si lasciò abbandonare al primo colpo di sonno. Ebbe quasi la sensazione di sentirsi sempre più pesante, e di sprofondare sempre più nella poltrona. Pochi istanti dopo, delle bizzarre immagini colorate si susseguivano a ritroso nelle sua mente. Volti familiari, vivaci colori, voci e persino odori. Sembrava quasi che i suoi Sogni stessero prendendo forma. Ben presto riconobbe il posto in cui si trovava. Era a Merthyr Tydfil, nel quartiere in cui abitava ‘zia’ Verna. Guarda caso si trovava proprio davanti al 17 A di Yew Street. Si guardò intorno. Doveva essere notte inoltrata, visto il cielo cupo e la grande Luna piena, contornata da un alone di stelle che la faceva apparire qualcosa di mistico. Le strade e i marciapiedi erano deserti, e le luci delle case erano spente. Ritornò a contemplare il 17 A, e solo in quel momento notò la porta semiaperta. Dava l’aria di qualcosa di sinistro. Attraversò velocemente il giardinetto, sospinse la porta ed entrò. Tutto normale. Ricordava le scure pareti arredate con diverse nature morte, mobili scuri in legno pregiato, statue rinascimentali, lunghi tappeti sui pavimenti in parquet e scuri drappeggi alle finestre. L’ingresso era la camera madre della casa, perché si collegava a tutte le altre stanze. Proprio così come ricordava: a sinistra c’erano il bagno e la cucina, a destra il soggiorno e la sala da pranzo, mentre davanti a lei una scalinata portava al piano superiore, dove si trovavano le camere da letto. Non c’era niente che non le piacesse in quella casa. Vi aveva abitato per soli sei mesi, eppure si era trovava così bene che tutte le volte che la rivedeva, si sentiva nostalgica di quel luogo. Avanzò di qualche passo ancora, guardandosi curiosa in giro. L’arredamento non era cambiato assolutamente, e tutto era rimasto come lei l’aveva lasciato l’ultima volta. Avanzò ancora, finché un tonfo con la fece sobbalzare. Istintivamente indietreggiò, poi provò a rimuginare al fatto che zia Verna avesse paura dei ladri, per cui sarebbe potuta esser lei. “Zia Verna? Sei in casa? Sono io, Adelia.”. Chiese, guardandosi intorno. Rimase immobile per qualche istante. “Zia Verna?”. Disse ancora, ma nessuno rispose. Stava per ripeterlo per una terza volta, quando venne interrotta da diversi rumori continui, come se qualcosa stesse sbattendo sul pavimento. Ebbe la netta sensazione che i rumori si stessero avvicinando a lei. Con un rapido scatto, estrasse dal mantello la bacchetta. Il rumore iniziò a farsi vicino, finché non intuì che doveva trattarsi dello scalpicciò di passi in avvicinamento. Non doveva trattarsi di Verna. Quei passi erano troppo pesanti per essere i suoi. Seguito a quel rumore, sentì addirittura qualcosa strisciare, ma non ne tenne molto conto. Una scura figura sbucò fuori dall’angolo del soggiorno. Si avvicinava ad Adelia, quasi come se stesse correndo verso di lei. “Chi sei?”. Nessuna risposta. “Dimmi chi sei!?”. Ancora nessuna risposta. La scura figura si stava facendo sempre più vicina. “Immobilus!”. Urlò. La scura sagoma di fermò davanti a lei, di pochi centimetri. Una sbuffata di alito fetente le arrivò in faccia. Adelia si allontanò di qualche passo, e tastando nervosamente una parete per cercare l’interruttore, accese la luce. Quando vide quella ‘cosa’, sobbalzò dallo spavento. Era ‘zia’ Verna, o per lo meno le assomigliava. Era un donna anziana, bassa e grassoccia, con i capelli scompigliati. Le pupille erano dilatate e gli occhi erano iniettati di sangue. La pelle era pallida. Ancora più pallida della Luna che brillava quella notte, e un alone violaceo contornava i globi oculari, che sembravano infossati nel suo cranio. Le labbra erano serrate in un ghigno malefico, ma lasciavano travedere un paio di canini affilati. “Ma che cosa…”. Non ebbe tempo di terminare la frase, che quella ‘cosa’ iniziò a ringhiare. Notò solo in quel momento, che tra le mani serrava un pezzo di carne ricoperto di sangue fresco. Si inorridì ancor di più. Seppure le somigliasse così tanto, non poteva essere la sua ‘zia’ Verna! Il corpo freddo, la pelle bianca, l’istinto selvaggio di volersi nutrire di sangue…non c’erano dubbi: era un Inferius. “No, no…non può essere possibile…”. Lacrime iniziarono a scenderle dagli occhi. Piangere, non le era mai stato così doloroso, prima d’ora. Lacrime sgorgavano dai suoi occhi, e si cristallizzavano poco dopo, scivolando sul viso per poi infrangersi sul pavimento. Tra i singhiozzi e le lacrime, non si rese conto che la luce stava tentennando. “Perché devo soffrire!? Perché tutto a me!?”. La luce si spense definitivamente. Non ebbe tempo di accorgersi che una seconda ombra si stava avvicinando all’Inferius. Quando alzò gli occhi lacrimanti, lo vide. Una possente e scura figura alata, di fronte a lei. “Samael?”. Ansimò. “Grazie per esserti ricordata di me. Ora sbarazziamoci di questa fastidiosa creatura…”. Poggiò la sua mano ossuta sul volto dell’Inferius, e iniziò a recitare uno strano incantesimo che polverizzò la creatura. Adelia rimase un po’ scossa. “Adelia, mia cara…oggi ho sentito che hai condiviso il nostro piccolo segreto con qualcuno…”. Un luccichio sinistro si rifletteva nei suoi profondi occhi neri. “…hai rivelato il mio nome ad un umano.”. La folta chioma rossastra, sembrava lava incandescente sotto i luminosi raggi lunari. “E sai che succede, quando un dannato rivela il nome del demone ad un umano?”. Lei era spaventata. “N-n…non lo so.”. Il demone la afferrò per il braccio marchiato. “Molto male, credevo che ti fossi già informata.”. Il suo ghigno perfido lasciava travedere due lunghe zanne luccicanti. “Succede che il tempo si assottiglia, e il tempo a disposizione che hai per compiere la tua vendetta è già molto scarso. Inoltre, sai che succede se fallisci?”. C’era qualcosa di sadico e di spregevole in quel ghigno. “Non solo tu sarai condannata per l’eternità, ma l’umano, alla quale hai rivelato il mio nome, sarà costretto a una morte atroce…per mano mia.”. Trascinò Adelia per un tratto, e la scaraventò con violenza in un angolo della stanza. “Ora prova a salvarlo…Angelo!”. L’ultima parola fu accompagnata da una sadica risata, che echeggiò nella buia stanza in cui si trovavano. Non poteva credere di aver combinato un tale disastro! Ora non solo la sua Vita era in pericolo, ma la stessa di Severus! Dell’unica persona, forse, che le aveva dimostrato un po’ di affetto. I loro destini erano legati…

 

 

“Se muoio io, muore anche Severus…se muoio io, muore anche Severus…”. Ripeteva a denti stretti, mentre il corpo diventava sempre più leggero. Le mani e i piedi erano tormentati da formicolii continui. Era segno evidente che si stava svegliando. Immagini caotiche si susseguivano a ritroso, scomparendo lentamente, lasciando la sua mente libera e vuota. Quando riaprì gli occhi, si accorse di trovarsi avvolta in una morbida coperta. Era ancora seduta stante sulla poltrona. Le braci del camino erano spente, mentre un buio pesto inondava la stanza, a tal punto che dovette abituare un po’ la vista prima di vederci qualcosa. Si alzò pigramente dalla poltrona, e si avviò verso il comodino per scrutare l’ora. Erano le nove! Come poteva aver dormito così tanto!? La cena era terminata da due ore, e ormai dovette rassegnarsi ad aspettare la colazione del giorno dopo. Pensava che Piton sarebbe venuto a svegliarla, ma evidentemente aveva preferito lasciarla dormire, visto che si era anche preso la briga di coprirla con una coperta. “Oh devo parlare con lui!”. Pensò. “Per colpa mia, ora, sta rischiando la Vita…”. Stava per uscire dalla sua stanza, con la prerogativa di andare a parlare da Piton, quando si accorse che un vassoio e un biglietto si trovavano appoggiati sulla scrivania. Aprì il biglietto e lo lesse.

 

Non ho potuto svegliarti. Dormivi in un sonno profondo,

e non sono riuscito a ridestarti in tempo per la cena. Quindi,

ho preferito farti portar su qualcosa da Madama Chips.

 

Nel caso volessi parlarmi o avessi bisogno, mi trovi nella stanza accanto.

 

Severus Piton

 

Non aveva poi così tanta fretta, a dirla tutta. Consumò la sua fredda cena, e cercò di non pensare più a quel Sogno tanto tormentato. Si fermò solo a metà del pasto, quando si accorse di non aver più fame, probabilmente, per il fatto che le si era chiuso lo stomaco. Non indugiò ancora per molto, e una volta indossato un lungo mantello, uscì dalla stanza. Qualche istante dopo stava bussando alla porta accanto. “Professore, avevo bisogno di parlarle.”. Disse lei, quando Severus le aprì la porta, fissandola da capo a piedi. “Certo, entra.”. Entrò, rifiutandosi di sedersi sulla sedia che le era stata offerta. Era troppo tesa. “Allora, che cosa dovevi dirmi?”. Chiese dopo un po’. Adelia prese un lungo respiro, e poi iniziò a raccontare del Sogno. Al termine, nessuno dei due osò far commenti. Calò un imbarazzante silenzio, finché Piton non si voltò di spalle e iniziò ad ordinare delle scartoffie sulla scrivania. “E’ molto interessante, ma credo che tu stia dando troppo peso a quel Sogno…”. Cominciò con aria ‘disinvolta’. Quando era nervoso, aveva preso la brutta abitudine di non guardare in faccia le persone, per distrarsi con altro. “…dopotutto un Sogno rimane pur sempre un Sogno. Non è necessariamente reale…”. “Reale!?”. Sbottò Adelia, tirandosi su la manica per mostrare il braccio marchiato. “Questo non le sembra reale?”. Canzonò l’ultima parola, con una nota accentuata di sarcasmo. “L’ho sognato solo tre volte nella mia Vita, e le posso assicurare che tutte le volte che mi è comparso in Sogno, non è stato per niente casuale!”. Piton le stava ancora dando le spalle. “Professore, mi sta ascoltando!?”. Chiese adirata. “Adelia, trovo solo assurdo quello che mi hai detto. Finché non mi mostrerai delle prove eclatanti, dell’incontro con questo ‘demone dei sogni’, non potrò prenderti sul serio…”. Rispose nuovamente disinvolto. Non si era mai comportato così prima di allora! Come poteva non capire che la sua Vita era in pericolo? Che il suo destino era legato al suo? Oh, l’avrebbe certamente scoperto molto presto. “Eri venuta per riferirmi solo questo?”. Si voltò finalmente verso Adelia, inarcando un ciglio. “Sì, ero venuta solo per questo…”. Rispose in tono del tutto deluso. “…immagino che sarà meglio che vada nella mia stanza. Buonanotte, Professore.”. Adelia uscì, lasciando solo Piton nella sua stanza. Quando la porta si chiuse, ed ebbe la sensazione che Adelia si fosse già ritirata nella sua stanza, si sentì più sicuro. Chiuse la stanza a chiave, e con un rapido colpo di bacchetta, chiuse anche le persiane alla finestra. Una fioca luce di candela illuminava il resto. Cautamente sollevò la manica che copriva l’avambraccio sinistro, e scoprì il Marchio Nero, che stava ormai pulsando da poco più di dieci minuti. Avrebbe dovuto lasciare il castello, ma non poteva farlo…non senza lasciare Adelia con qualcuno. Si precipitò velocemente nell’ufficio di Silente, cercando di evitare chiunque si trovasse per i corridoi (soprattutto Moody). Quando raggiunse finalmente il settimo piano del castello, oltrepassò la statua che lo avrebbe portato nell’ufficio di Silente, e prese a fare gli scalini a rotta di collo. Quando arrivò, l’anziano Mago stava consultando un vecchio formulario di incantesimi, seduto dietro alla sua scrivania. “Severus, non ti aspettavo. A cosa devo questo piacere?”. Chiese sorridendo da guancia a guancia. “Nessun piacere, devo lasciare la scuola.”. Disse mostrando l’avambraccio sinistro a Silente, che comprese immediatamente dove voleva arrivare. “Non c’è alcun problema, resterò io con Adelia. Buona fortuna…”. Li augurò in tono solenne. Qualche attimo più tardi, Piton lasciò il castello.

 

***

 

In un altro cielo, lontano da Hogwarts, brillava una spettrale luminescenza verdognola tra le nuvole. Il Morsmorde era stato appena evocato. Un serpente che fuoriusciva dalla bocca di un teschio, si muoveva minaccioso sulla città, appena distrutta, di Merthyr Tydfil. Le macerie bruciavano, mentre in lontananza si sentivano ancora vittime urlanti che tentavano di fuggire da quel luogo insane. Sei scure ombre si materializzarono, in Yew Street, davanti al 17 A. “Qual è la missione? Che cosa dobbiamo svolgere in particolare al 17 A?”. Chiese la stridula voce di Bellatrix, che stava scrutando schifata il quartiere babbano. “Spero non ci sia da sporcarsi le mani…”. Aggiunse. “Tu hai sempre la puzza sotto il naso, vecchia strega!”. Ringhiò una voce. “Fenrir Greyback! A cosa devo la tua spiacevole presenza? Credevo che fossi impegnato a divorare bambini del sud della scozia…”. Rispose beffarda. “Avrei preferito continuare nel mio lieto lavoro da buon lupo mannaro, ma a quanto pare l’Oscuro Signore non doveva aver avuto gran fiducia in voi, dal momento che ha mandato me.”. “Tzè!”. Si aggiunse una terza voce. “Nessuno si fida più dei Malfoy o dei Lestrange, da quando Lucius ha fallito miseramente l’anno scorso!”. Era Amycus Carrow. “Perché? Tu non hai fallito altrettanto anno scorso, quando ti sei lasciato fuggire da sotto il naso Adelia Blackford!? Il principale oggetto della nostra missione!? Un babbano avrebbe fatto meglio di te!”. Iniziò ad ammonirlo Bellatrix. “Bada a come parli di mio fratello, squallida gallina!”. Alecto si rivolse minacciosamente con la bacchetta, verso di lei. “Non è il momento di litigare!”. Irruppe Barty Crouch, con rabbiosa voce. “Stupide teste calde, dobbiamo andare a portare a termine una missione!”. Iniziò a sbraitare come un cane rabbioso. “Che fretta hai? Non vedi che manca ancora uno all’appello?”. Cercò di rassicurarlo Walden Macnair. “Maledetto boia infernale! E tu da dove spunti fuori?”. Urlò Alecto. “Sono arrivato insieme a voi, pochi istanti fa. Mi confondo bene nelle tenebre, neh?”. La canzonò, dandosi ad una lunga e sonora, sadica risata. “Tuttavia, chi manca all’appello?”. Ci fu un momento di silenzio. “Severus Piton. Sarà lui a guidarci, lui dovrebbe conoscere la casa. E una volta ha visto anche quella vecchia decrepita che stiamo cercando. L’Oscuro Signore la vuole morta, entro stanotte.”. Sogghignò Fenrir. “Verna Bloodmire, esatto? Una schifosa mezzosangue a servizio del Ministero. Puah! Le auguro una morte dolorosa…”. Soggiunse Amycus. Ad un tratto, una settima scura figura si materializzò dinanzi a loro, dall’altra parte della strada. Un uomo vestito completamente in nero, con scuri capelli e pelle olivastra. “Quale grande piacere? Qual è l’incarico di questa notte?”. Chiese, recitando la sua parte di cattivo. “Dobbiamo uccidere Verna Bloodmire.”. Furono le testuali parole di Walden, che sogghignò crudelmente sollevando la pesante ascia affilata. “Verna…Verna…Verna…”. Stava scavando nella sua mente, nel tentativo di ricordarsi dove avesse già sentito quel nome. Chi era Verna Bloodmire? Quando si ritrovò davanti al 17 A, comprese tutto. Era la donna che tanto gentilmente aveva ospitato Adelia, quando il Ministero l’aveva affidata temporaneamente a lei. In cuor suo si ripeteva un milione di volte. “Non puoi ucciderla. E’ stata come una zia per Adelia…non hai cuore?”. E in risposta alla sua debole coscienza, il suo lato maligno ringhiava crude parole. “Uccidila, tanto non lo scoprirà mai! Uccidila, tanto non saprà mai che sei stato tu. Uccidila, se non vuoi essere ucciso dall’Oscuro Signore!”. Tanto la sua anima era già sporca. Si era dato alla macchia già da troppo tempo, e un omicidio in più o uno in meno, non avrebbe fatto granché differenza. Circondarono rapidamente la casa. Bellatrix, Amycus e Severus vi entrarono, facendo molta attenzione a non fare rumore. “Bellatrix, tu andrai a destra. Amycus, a sinistra! Io mi occuperò dei piani superiori.”. Era sicuro, di ricordare che ai piani superiori ci fossero le camere da letto. Probabilmente stava dormendo, e avrebbe avuto modo di farla scappare, senza che gli altri se ne rendessero conto. Rapidamente raggiunse la prima camera. Spalancò la porta, ma questa si trovava vuota. C’era solo un letto singolo (la ex-camera di Adelia). Era diversa, dal resto dell’arredamento tetro della casa. Era una camera graziosa e tinta di colori chiari. Sulle pareti erano appesi numerosi quadri di fotografie di Adelia. Doveva aver un buon rapporto con quella donna. No, non poteva ucciderla. Non poteva permetterselo! Richiuse la stanza, quando dietro di sé si ritrovò Bellatrix. “Che ci fai qui?”. Chiese adirato. “Ho controllato il piano di sotto, e non c’è nessuno.”. Si giustificò. “Questo non ti da il permesso di poter abbandonare la tua postazione! Ora, torna di sotto.”. “Chi sei tu per darmi ordini? Maledetto bugiardo…”. Lo derise. “Torna di sotto! Rispetta-i-miei-ordini.”. Scandì bene le ultime parole, nervoso come non mai. Bellatrix rise sadicamente, con quella voce stridula e quella aria trasandata, che la faceva sembrare quasi una che campava sotto i ponti. “Te ne vuoi andare?”. Insistette, ma lei restò lì. Dopo qualche attimo, la porta della stanza accanto si aprì. Una donna corpulenta, in una lunga camicia da notte bianca, vi uscì. “Chi siete voi per entrare così in casa mia?”. Sfoderò prontamente la bacchetta, e la puntò contro Severus, ignorando la donna dietro di lui. “Lei? Lei è l’insegnante di pozioni di Adelia! Oh cielo…”. Indietreggiò spaventata. “…lei è un Mangiamorte! Maledetto mostro impostore! Avviserò il Ministero, maledette carogne…”. Bellatrix si fece avanti. “Expelliarmus!”. La bacchetta volò via dalle mani di Verna. “A chi ha dato delle ‘carogne’, lurida mezzosangue?”. Un luccichio sinistro attraversò gli occhi di Bellatrix, che si avvicinò ancor di più a Verna. “Muori, sporca babbana! Avada Kedavra!”. Tutto successe in un attimo. Una luce smeraldina. Un urlo. E poi un corpo senza vita. “La missione è stata portata a termine. Possiamo andarcene!”. Disse lei freddamente, rivolgendosi ad Amycus, che si trovava ancora ad aspettare al pian terreno. “Adiamo Severus! Non vorrai star lì a contemplare quella feccia!?”. Lo trascinò per un braccio, e si affrettarono ad un uscire dalla casa. Qualche attimo dopo si smaterializzarono, e scomparvero nelle tenebre, senza lasciar traccia.

 

 

Adelia era stata accompagnata da Gazza nell’ufficio di Silente, al settimo piano. Quando arrivò, venne informata dal Preside, che Severus Piton si era dovuto assentare per qualche momento dal castello. Non le spiegò, precisamente, dove e che cosa sarebbe dovuto andare a fare. Fu molto vago, e questo le parve molto sospetto. Per tutto il tempo, era stata in compagnia di Fanny, a giocare con lei. Adorava quella fenice. Si era persino degnata di deliziare Adelia con le più misteriose melodie, suscitando anche l’interesse di Silente, il quale le spiegò che non aveva mai sentito cantare Fanny così gioiosamente per un’altra persona. Qualche volta, si era persino fermata a discutere col Cappello Parlante, al riguardo dei membri dell’Ordine della Fenice. “Katerine Blackford…sì, così si chiamava tua madre. Una grande strega, certamente la più bella che Hogwarts avesse mai visto!”. Ad Adelia iniziarono a brillare gli occhi. “Com’era…mia madre? Ricordi qualcos’altro?”. Fremeva dalla brama di sapere chi era realmente sua madre. “La ricordo come una persona giusta. Era gentile e carina, ricordo che tutti la stimavano, soprattutto per la sua bravura nelle materie di Divinazione, Difesa contro le Arti Oscure ed Erbologia. Erano le sue materie più facoltose! Oh già…poi aveva anche un certo talento per Pozioni…come poterla dimenticare…era uguale a te, Adelia.”. Una lacrima iniziò a scenderle lungo il viso. “Già, vorrei solo che lei fosse ancora qui…”. Bofonchiò. “Tua madre è sempre con te.”. Si sentì porgere una mano su una spalla. Era Silente. “La porterai sempre con te, nel tuo cuore.”. Le sorrise. “Ora, se desideri andare a dormire, ti posso accompagnare nel tuo dormitorio.”. “Grazie.”. Annuì. Quando si avviarono per i corridoi, Silente le stava dinanzi e le faceva strada. Ogni tanto si fermava a salutare il ritratto di qualche buffo personaggio che conosceva. Ormai, era passata voce di ritratto in ritratto, della graziosa fanciulla che parlava ai dipinti. Era cosa insolita per un Mago o una Strega, ma per Adelia non faceva alcuna differenza. Era arrivata a considerarli suoi amici. Sembrava che tutti si ricordassero di sua madre, tutti quanti. E suo padre? Erano certi che Adelia avesse discendenze purosangue, eppure, sembrava che nessuno conoscesse suo padre. Tutti, forse tranne Silente. “Silente, potrei rivolgerle una domanda?”. Chiese d’un tratto, mentre stavano percorrendo il corridoio del quinto piano. “Certo Adelia, chiedi.”. “Lei, conosce qualcosa su mio padre?”. Chiese speranzosa. “Conoscevo bene Katerine, ma non tuo padre. Sapevo che quando tua madre ti aspettava, lei viveva già da sola. Non mi aveva mai parlato di un marito, ma c’era un certo tipo dai capelli rossi che frequentava spesso. Non ricordo come si chiamasse. Tuttavia, è tutto quel poco che so.”. Concluse. Non passò molto tempo, da quella conversazione al salutarsi sulla soglia della sua stanza. Silente se ne andò, e Adelia rimase sola nella sua camera. Non avvertiva la minima stanchezza, e francamente non aveva voglia di andare a dormire. “Chissà dov’è andato Severus…”. Si chiedeva, mentre era stesa sul letto a giocherellare con la sua creatura-batuffolo, che le rotolava davanti. D’un tratto lo prese tra le mani, e lo avvolse. “Tu cosa ne pensi? Dici che è sospetto che Sevy sia uscito dal castello?”. Si bloccò all’istante. L’aveva chiamato ‘Sevy’? “Nah, sarà stato uno scherzo della mia mente.” ( Questo potrebbe alludere a qualcosa! >_< ). Pensò, continuando indisturbata a giocare con la sua Puffola Pigmea. Buttò un’occhiata sull’orologio, e vide che le lancette segnavano quasi la mezzanotte. “E’ così tardi? Oh uffi, non ho voglia di dormire…”. Si rotolò sul letto, imitando ridicolmente la sua creatura-batuffolo, la quale rimase allibita dal comportamento della padrona. Ma qualche attimo dopo si mise a cantare, seguendola a sua volta! Il cielo era completamente buio pesto quella notte. Probabilmente perché era novilunio. “Non mi piacciono le notti di novilunio, sai?”. Disse, rivolgendosi dolcemente alla piccola creatura pelosa che teneva sulla spalla, mentre contemplava il buio dalla finestra. “Mia mamma diceva sempre che portano brutti presagi…”. Sospirò. “Ma non credo che una serata come questa, possa portare a qualcosa di spiacevole…spero che Severus stia bene.”. Non ebbe quasi il tempo di terminare quella frase, che una specie di frastuono la fece sobbalzare. Posò nella cesta in vimini la sua creatura, e si avvicinò alla serratura della porta, per vedere se si stava avvicinando qualcuno. E non aveva tutti i torti. Severus Piton stava salendo a fatica le scale, quasi come se stesse trascinando il suo corpo stanco. Doveva aiutarlo. Aprì la porta, e andò incontro a Severus. “Professore, vuole una mano?”. Chiese avvicinandosi ancora di più, senza far caso che era di malumore ( brutto segno!). “Che cosa ci fai ancora sveglia?”. Non seppe cosa inventarsi sul momento, e tirò fuori la prima cosa che le venne in mente. “Ero preoccupata per lei!”. “Molto nobile…”. Rispose mordace. “La prossima volta preferirei non averti tra i piedi, e per favore, ora tornatene a dormire!”. Era ancora più irritato di prima. Adelia se ne sorprese enormemente. Credeva che ormai avesse finito di rivolgersi a lei così male! Che si fosse sbagliata? Probabilmente lo aveva preso in un brutto momento. “Buonanotte, allora.”. Sfrecciò dritta nella sua camera e chiuse la rapidamente la porta, evitando di incrociare lo sguardo di Piton. Se ne andò quasi subito a dormire, ma non prima di aver origliato Piton per un po’. Sembrava piuttosto sciupato. Che cosa gli era successo quella notte? Forse, un giorno o l’altro, lo avrebbe scoperto…

 

 

Severus si lasciò cadere sul letto. Ormai il suo corpo non riusciva più a sopportare il peso, delle vite innocenti che aveva sulla coscienza. Aveva ucciso, l’unica persona, forse, che aveva dimostrato ad Adelia un po’ di affetto. Era un mostro. Proprio come quella donna aveva urlato poco prima di morire. Un maledetto mostro impostore. Avrebbe voluto che si salvasse, se solo non fosse stato per Bellatrix…non poteva fermarla. No, forse avrebbe potuto in qualche modo. Ma così facendo, avrebbe rischiato di scoprirsi e Voldemort avrebbe capito il suo doppiogioco. Doveva solo stringere i denti, e arrivare fino alla fine, ovunque il destino lo avesse portato. Era pronto alla Morte, e questo lo sapeva sin dall’inizio, da quando giurò fedeltà a Silente e all’Ordine della Fenice. Lo sapeva bene. Si lasciò sprofondare nel sonno, e poco dopo si addormentò indisturbato, sotto la fioca luce di una candela accesa. Viaggiava, viaggiava e viaggiava. La sua mente era confusa e annebbiata, da fitti pensieri funesti. Vedeva ombre e dolore attorno a lui. Non c’era nulla che potesse alleviare il suo male. Quando si accorse che finalmente stava sognando, si trovò in un vecchio giardino abbandonato di una casa diroccata. Aveva l’aria di avere qualcosa di vagamente familiare. Si avventurò dentro alla casa, e riconobbe alcune fotografie appese come quadri alle pareti, e alcuni vecchi mobili. Era la vecchia casa dei suoi genitori. Si sentì terribilmente a disagio. Ricordi riaffioravano in mente, di quando suo padre lo malmenava davanti agli occhi spaventati di sua madre, che non osava alzare un dito. No, non faceva proprio niente. Era solo contento di non essere più ragazzo. Voleva andarsene al più presto da quella casa, ma indugiò a guardare alcune fotografie che si trovavano su uno scaffale. C’erano sia lui che sua madre, solo loro due, insieme. Non aveva mai visto quelle foto prima d’ora. Non poteva lamentarsi dell’affetto ricevuto da sua madre, dopotutto era stata una delle poche persone che erano riuscite ad amarlo, e l’unica a volerlo come figlio. Ma molti lo odiavano, e tra questi anche suo padre. Sospirò. “Il passato è solo il passato…”. Disse. “Non ne sarei tanto sicuro.”. Rispose una voce dietro di lui. Si voltò, e con sua grande sorpresa, scorse una possente figura alata. Le ali nere, lasciavano trasparire la sua appartenenza al mondo demoniaco. “Io sono Samael, un demone battagliero del Basso Inferno. Penso che Adelia ti abbia già parlato di me, non è così? Severus…Piton…”. Rimase allibito per qualche istante. “Certo, impressiono facilmente le persone, non c’è che dire…sono particolarmente famoso all’Inferno per questo...”. Un sorriso sadico li si dipinse sul volto. “Spiacente, ma devo confessarti di aver già visto di peggio di un demone del Basso Inferno.”. Rispose beffardo, Piton. “Con mia grande sorpresa, noto che il sarcasmo non ti viene a mancare…tuttavia, non sono venuto qui per discutere del tempo. Vorrei da te un favore…”. Severus si limitò a guardarlo. “Lo interpreterò per un ‘sì’.”. Sogghignò ancora. “Ho bisogno che tu protegga Adelia Blackford, colei che è stata dannata sotto il mio marchio.”. “Per quale motivo, ora vorresti che io la protegga? Tu l’hai dannata, e avresti dovuto già essere a conoscenza delle conseguenze, che avrebbero potuto concorrere anche alla sua morte!”. Non dimostrava il minimo timore nemmeno dinanzi a un Demone. E questo atteggiamento, quasi non fece sentire in profondo disagio Samael. “In realtà non lo sapevo.”. Ammise, senza dare troppo a vedere il suo pentimento. “Le mie intenzioni erano di ottenere l’anima di colui, che con così tanta crudeltà, strappò la vita di mia moglie e mia figlia, senza alcuna pietà. Voglio vendicare la loro morte.”. Moglie e figlia? Che non si riferisse a… “Hai maledetto la tua stessa figlia!?”. Sbottò Piton. “Era l’unico modo per riportarla in vita, e tenerla legata a me. Sì, Adelia Blackford è la mia legittima figlia, mezzo demone e mezza strega. Desidero che tu l’aiuta a vendicarsi.”.

 

 

.†.†.†.

 

 

Persefone Fuxia Adelia, è decisamente un ragazza che ha sofferto molto in passato. Questo è anche uno dei motivi per il quale è diventata la ‘favorita’ di Severus; in quanto lui è convinto che avendo avuto un passato pieno di sofferenze e di perdite molto simile al suo, riesce a comprenderlo meglio di chiunque altro (e difatti, è così!). In quanto al commento sul vestiario della Umbridge, è diciamo saltato fuori da una considerazione personale. A prescindere dal fatto che, non abbia nulla in contrario a chi ama vestire di rosa, trovo Dolores un personaggio alquanto bizzarro! Un’anziana donna, vestita sempre di rosa dalla testa ai piedi, che riduce il proprio ufficio ad una specie di ‘Barbie-Land’, mi sembra davvero ridicolo XD. Per questo, ho voluto ironizzare un po’ sul fatto che avrebbe le qualità adatte per essere un Mangiamorte (perfida e senza scrupoli), seppure si renda ridicola essendo vestita di rosa (difatti, a quanto so, i Mangiamorte sono sempre vestiti di nero!). Ora, non vorrei svelarti un tassello fondamentale della storia, altrimenti manderei a monte il finale >.< ! Ma non mi farei scrupoli, nel dirti che l’Amore provato da Severus per Adelia, non è un Amore materiale (per cui non si deve per forza attenere alla buona morale!). Essendo un racconto in chiave stilnovistica, l’Amore diventa spirituale, e di conseguenza qualcosa di più elevato, che quasi sfiora il divino (o lo supera!). Grazie infinite per le correzioni grammaticali^^! Mi fa piacere che, al contrario di quello che pensavi, qualcuno mi faccia notare questi errori. Oltretutto, mi sono iscritta su EFP apposta per migliorare le mie qualità di scrittrice, quindi ti ringrazio veramente per il grande favore che mi stai rendendo^^.

 

alida Non voglio rovinarti il finale così in quattro e quattr’otto, quindi posso solo dirti che avevo in mente di scrivere qualcosa di diverso dal solito, qualcosa che fosse un po’ fuori dagli schemi. Non aggiungo altro >.< ! Ti stai interessando parecchio alla storia, e questo mi da molto piacere^^. L’Oblivion è un po’ una curiosa gatta da pelare, come incantesimo. Se qualcuno ne abusa a scopi personali (così come la Umbridge), rischia persino di ridurre una persona ad una specie di vegetale! Tuttavia, ho scoperto da poco che ‘oblivion’ è un termine inglese, che significa ‘oblio’. In psicologia, ho studiato che l’oblio è un periodo di latenza in cui l’individuo non riesce a recuperare i propri ricordi, che rimangono occultati per un certo lasso di tempo. Per cui, non è propriamente un incantesimo che cancella la memoria alle persone, secondo me. Difatti, Adelia non ha rimosso quei ricordi, anzi, sono ancora parte integrante della sua memoria.

   
 
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