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Autore: LokiIsAnAsgardian    31/08/2016    0 recensioni
[Attori]
Amante del suo lavoro di agente dello S.H.I.E.L.D., Yvonne, ha una vita movimentata, che però verrà rivoluzionata ulteriormente dall'incontro con una persona avente un passato delinquenziale, donato solo al procurare del male al prossimo e ai suoi cari.
Questa fan-fiction vede come protagonisti una semplice umana e il dio delle malefatte, che si ritroveranno a vivere insieme infinite avventure al fianco dello S.H.I.E.L.D. e degli Avengers, avventure aventi molteplici sfondi, dai paesaggi di Asgard ai comunissimi appartamenti americani, avventure che faranno rifiorire emozioni e valori preziosi dalle loro anime, i quali troveranno finalmente il posto giusto nei cuori dei protagonisti.
•Tutti i diritti riservati•
Genere: Avventura, Fluff, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: AU, Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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[]

L'allarme acuto ed insistente che proveniva dalla fastidiosa sveglia, interruppe il mio dolce sonno, che sembrava esser durato decisamente troppo poco.
Aprii lentamente gli occhi e, nonostante la vista fosse ovattata, non ebbi molti problemi a riconoscere, alla mia sinistra, il mio adorato comodino di legno, sul quale era poggiata la radiosveglia rossa che produceva quel rumore infernale.

Allungai la mano verso il comò per spegnere l'allarme: sentivo i miei muscoli muoversi difficilmente, non essendosi ancora svegliati del tutto.
Fatto tacere quel suono logorante, feci ricadere il braccio sulla mia fronte e con la coda dell'occhio controllai l'orario scritto sulla sveglia: erano le 6:05.

Probabilmente il mio organismo era ancora abituato al fuso orario di Stoccolma, quindi era estremamente stanco e scombussolato.
Guardai in basso, vicino al letto: sul pavimento, non ancora disfatta, c'era la mia valigia.

La sera prima, verso le otto, tornavo dall'aeroporto, e dopo aver trascorso ben due mesi nella capitale della Svezia, fu un piacere immenso ritornare ad Atlanta e ad abitare un appartamento che fosse a me familiare.
Ero talmente stanca che crollai, senza spogliarmi, sul mio amato materasso, vecchio ma non inutilizzabile.

Quindi la vista della mia vecchia stanza da letto tranquillizzò e rilassò i miei nervi, ma mi ricordò anche che avrei dovuto riprendere la mia vecchia routine giornaliera.
Issai il mio busto in piedi e cercai di fare mente locale: alle 6:30 sarei dovuta trovarmi sul posto di lavoro, dove non erano assolutamente consentiti dei ritardi.

Con un movimento brusco, accompagnato da un mugugno, poggiai le piante dei piedi sul pavimento freddo e, a stento in equilibrio, allungai le braccia verso il basso, per poi, frugare nella mia valigia alla ricerca di un paio di skinny jeans neri e una canotta del medesimo colore, sopra alla quale avrei indossato il mio giubbotto di pelle rosso.
Questa era la mia semplice tenuta da lavoro, il mio capo era indulgente sul vestiario dei suoi dipendenti.

Non ero nervosa, mi aspettavo una giornata abbastanza tranquilla, prendendo in considerazione che quello era il primo giorno in cui tornavo a lavorare alla base di Atlanta, quindi ero sicura che non mi avrebbero assegnato altri compiti quali compilare moduli o testare i nuovi armamenti.

Mi cambiai velocemente, gettai ciò che indossavo prima sul divano color panna in soggiorno e mi diressi saltellando velocemente verso il bagno per stendere un leggero trucco sul mio volto e per pettinare i miei lunghi capelli.

Successivamente afferrai e mi infilai un paio di stivali marroni, aventi un insignificante tacco interno, per poi prendere velocemente la solita borsa bianca che portavo sempre con me, il cui contenuto comprendeva il mio amato ed inseparabile cellulare, e le chiavi della macchina. 

Uscii dalla mia dimora per poi voltarmi e chiudere a chiave la porta, infine inspirai profondamente ad occhi chiusi.
Mi strinsi lentamente nel mio giubbotto di pelle al pensiero di come mi sia mancata questa città.
Per non parlare di quanto abbia sofferto l'assenza dei miei colleghi, anche loro si erano allontanati da Atlanta, a causa di innumerevoli motivazioni e problematiche, e solo quando le acque si calmarono l'intero team si sarebbe riunito nuovamente.
Eccitata, mi diressi verso la mia modesta Fiat nera, entrandovi la misi in accensione e cominciai a guidare lungo un tragitto, ormai ben impresso nella mia mente, che portava verso la base di Atlanta dello S.H.I.E.L.D.

Bastarono circa 25 minuti per raggiungere la mia destinazione, lontana dal centro della città, ma contemporaneamente distante dalla periferia, comunque era situata in un luogo non facilmente accessibile.

<> sussurrai rivolta al "Man in Black" posto al monitoraggio dei cancelli d'entrata della base, cercando di conservare un'espressione seria.
Ogni agente per poter entrare e confermare la propria appartenenza lavorativa in quell'edificio, doveva comunicare il proprio cognome, l'anno in cui ha cominciato ad essere attivo lì e chi lo ha assunto, ovviamente nella propria lingua madre.

Dopodiché, il mio interlocutore, con i suoi strumenti, scannerizzò il mio volto, per poi trascorrere qualche minuto a controllare, sul database dello S.H.I.E.L.D., la veridicità delle mie parole, infine decise di rivolgermi parola, attraverso una voce di circa due ottave più profonda della mia: <>.
A seguire il suo "Scusi per l'attesa, buona giornata" dietro di lui si aprirono gli enormi cancelli, costruiti in ferro, nel cuore dei quali era raffigurata, con il medesimo materiale, una maestosa aquila. 
Pensai per alcuni instanti a quella guardia, al fatto che dovesse necessariamente conoscere ogni lingua esistente su questo pianeta, e non, per confermare il codice d'ingresso di ogni agente che lavorasse ad Atlanta.

Oltrepassai con l'auto quei cancelli, e una gioia incontenibile nacque nel mio petto, un calore il quale mi suggeriva che adesso mi trovavo davvero a casa.

Parcheggiai la mia Fiat, chiusi la portiera e, con un gesto meccanico, riposi le chiavi nella mia borsa.
Quando osservai da vicino l'edificio, che non avevo visto per 62 lunghi giorni, esso suscitò in me infinita commozione, che fece sbocciare un sorriso sincero e genuino sulle mie labbra.
Con indosso quest'ultimo, mi avviai verso l'entrata e, arrivata alla porta, poggiai delicatamente una mano sulla maniglia facendovi una leggera pressione, alla quale conseguì l'apertura di essa. Appena entrata, notai molto movimento all'interno dell'edificio: oggi era il giorno di rientro per molti agenti e scienziati dello S.H.I.E.L.D. in Atlanta.

In lontananza scorsi un volto, che la mia mente non faticò molto a metabolizzare e riconoscere.


~ANGOLO AUTRICE~
Questo è il primo capitolo e tecnicamente non succede assolutamente nulla. Infatti in principio il numero 1 e il numero 2 dovevano essere un unico capitolo, ma -grazie ai reclami di chiunque a cui l'ho fatto leggere- ho deciso che era troppo lungo, quindi diviso, sarebbe stato più agevole da leggere.
Pubblicherò ogni -tot- di giorni, non chiedo stelline, because I don't fucking mind. 
Fatemi sapere cosa ne pensate~
   
 
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