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Autore: _crucio_swag_    31/08/2016    2 recensioni
Sesto anno ad Hogwarts. Draco si ritrova a dover ingannare Harry oltre ad uccidere Silente. Sembra facile ma un sentimento mai provato prima a cui neanche il re delle serpi sa dare un nome gli impedirà di portare a termine ciò che il Signore Oscuro gli ha ordinato. Riuscirà a cambiare la sua anima? Riuscirà a distinguere ciò che è giusto da cio che non lo è? Riuscirà a sciogliere il ghiaccio che avvolge i suoi occhi e il suo cuore?
Questa storia non sarà delle più felici ma vi posso assicurare che avrà un bel lietofine.
Genere: Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Un po' tutti | Coppie: Draco/Harry
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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Note dell'autrice:  Eccomi di nuovo qui con un'altro capitolo!
Vi avviso che sarà un po' più corto e magari più noiosetto di altri ma è comunque fondamentale per far capire lo stato d'animo di uno dei due nostri protagonisti. I prossimi penso saranno migliori o almeno più coinvolgenti, intendo.

Come potete vedere il titolo di questo capitolo è: accecato dal dolore.
E invece quello in cui si descriveva lo stato d'animo di Harry e di conseguenza il suo comportamento, si intitolava: accecato dalla paura.
C'è un motivo preciso per cui l'ho fatto.
Quindi vi dico già che in questo si parlerà appunto di Draco, visto che nell'altro abbiamo parlato di Harry.

Godetevelo. Spero vi piaccia!












 


Capitolo 18

accecato dal dolore



Voci contrastanti che gli gironzolavano per la testa.
Capitava spesso a Draco in quegli ultimi tempi.
 
“Draco, cerca di muoverti, parla, fai qualcosa. Non puoi sempre startene chiuso in dormitorio a fare niente”
-Non è vero che non faccio niente!-
“Si, invece. Altrimenti dimmi cosa sarebbe questa cosa che dici di fare”
-Penso-
“Pensi? E a cosa di preciso?”
-Ho paura-
“E di cosa?”
-Di Harry-
“Perché?”
-Perché mi odia-
“E se non fosse così?”
-L’hai visto tu stesso, la rabbia nei suoi occhi quando mi picchiava-
“A me pareva più che altro che ti baciasse, a modo suo ovviamente”
-Ma certo! Se quello lo chiami baciare allora la Umbridge è gentile!”
“Ma scusa, come fa ad odiarti se poi ti dice tutte quelle cose del tipo: non puoi scappare, sei mio?”
-E che ne so! E’ impazzito!-
“Ci sarà un motivo no? Magari si comporta così per attirare la tua attenzione in modo da riuscire a fare pace”
-Impossibile. Nemmeno uno stupido non riuscirebbe a capire che quello non è il metodo giusto-
“E allora cosa pensi che ci sia dietro al suo comportamento?”
-Mi odia, te l’ho già detto-
“Anche se fosse vero…beh… meglio no? Così non ci starai male una volta che l’avrai ucciso”
-Forse non hai capito quanto voglia bene ad Harry. Non ho scelto a caso di salvare lui al posto di mia madre-
“Oh…”
-Io non posso ucciderlo. So cosa ha fatto, come mi ha trattato, forse anche meglio di lui. Ma non potrei mai fare una cosa del genere, non ora che ho scoperto com’è il vero lui. L’unico modo sarebbe tornare indietro e cancellare tutto ciò che è successo ma non voglio dimenticare. Ci sono ricordi troppo belli per essere cancellati-
“Se è vero che lui ti odia allora torna ad odiarlo anche tu come hai sempre fatto negli anni precedenti”
-Non è facile sai? E comunque quello non era odio ma una specie di interesse o attrazione se preferisci chiamarla così. E’ stato complicato ammetterlo pure a me stesso ma ho fatto cose più difficili nella vita. Io lo provocavo, litigavo con lui, lo prendevo in giro solamente perché sentivo il bisogno di ricevere attenzioni da parte sua, era difficile accettare l’idea che ci fosse qualcuno migliore di te e a cui non interessavi per niente. Te lo giuro, anche io all’inizio pensavo fosse odio ma con il tempo ho scoperto che non lo è-
“Tu lo ami, vero?”
-No, io non so amare… Io sono un mostro-
 
Ed ecco che come sempre i pensieri convergevano tutti nella stessa risposta:
Harry aveva provato ad amarlo.
Lui non aveva saputo ricambiare perché non sapeva cosa voleva dire amare. Non aveva mai provato a farlo.
Ed ora Harry lo odiava, perché amarlo non sarebbe servito a nulla.
E ovviamente il problema di tutto era lui.
Era SEMPRE colpa sua.
Prese coraggio e fece la SCELTA:
Non poteva scegliere la FELICITA’ perché non ne aveva, non più ormai, ora che il vero Harry se n’era andato.
Non poteva scegliere l’AMORE perché non sapeva cos’era.
Non poteva scegliere l’ODIO perché tanto non avrebbe portato a nulla, solo a trasformarlo in un mostro ancor di più di quello che già era.
Non poteva scegliere la SPERANZA perché, dentro di lui, si era spento anche l’ultimo barlume.
Non poteva scegliere la PAURA perché avrebbe solo contribuito a distruggerlo ancor di più. Aveva convissuto un intera vita con quella e non avrebbe retto ancora.
Così scelse il DOLORE.
Si nascose in esso facendosi avvolgere dalle sue fredde braccia.
Lo scelse per darsi una lezione, per riuscire a far capire a se stesso di quanto dolore portasse e a tutti quelli che gli stavano affianco: le persone morivano per colpa sua.
E allora, se ogni male veniva provocato da lui, a che cosa serviva vivere?
Beh ecco… a nulla.
Fu con quella consapevolezza che perse completamente il significato della vita.
Perse la capacità di mangiare, di parlare, di dormire.
E non se ne rese conto.
Perché era intrappolato in quella specie di limbo che era la consapevolezza di non riuscire a combinare nulla di buono.
Si, andava comunque a lezione o dove gli veniva ordinato di andare, ma era come se non lo facesse.
Camminava senza sapere cosa volesse dire farlo, e lo stesso valeva per le altre attività.
Lo sguardo vuoto, il viso inespressivo. Sarebbe stato più facile chiamarlo robot al posto di ragazzo.
Non esprimeva tristezza ne nessun altra emozione.
Le lacrime le lasciava cadere dentro di lui e andare a sbattere contro la sua anima vuota, logorandogli quel poco di cuore che gli rimaneva.
 
Guardava ciò che accadeva davanti a lui ma non se ne rendeva conto, troppo occupato ad autoinfliggersi una punizione, dolore.
Guardava Pansy davanti a lui muovere la bocca e scuoterlo, ma non sentiva nulla. Non sentiva il suo tocco, il suo contatto, la sua voce.
Guardava Astoria singhiozzare e pregarlo in ginocchio di parlare, di reagire in qualche modo, ma il suo corpo non si muoveva.
Guardava Zabini provarci con lui in quel momento più che mai, e lo lasciava fare. Tanto si stancava sempre dopo un paio di minuti di non essere considerato e usciva fuori dal dormitorio sbattendosi la porta alle spalle.
Guardava Tiger e Goyle, che per la prima volta avevano perso la loro solita aria stupida, e sembravano essere seriamente preoccupati per lui. Cercavano anche di farlo ridere in qualche modo ma niente, lui rimaneva sempre con il solito viso inespressivo.
Guardava Nott cercare di farlo ragionare, cercare di fargli mettere qualcosa sotto i denti. Ma lui era sempre impassibile, immobile, mezzo seduto sul suo letto, a fissare il vuoto. Senza rendersi conto di ciò che accadeva al di fuori del suo dolore.
Guardava, guardava ma non vedeva.
E c’era differenza fra i due.
 
Rimaneva così giorno dopo giorno, muovendosi solo quando gli veniva ordinato, dimenticandosi del mondo che lo circondava.
E mentre era convinto di torturarsi solo internamente anche l’esterno ne sentiva le conseguenze.
Dimagriva di più ogni giorno che passava e già era esile di natura. I muscoli guadagnati con il Quidditch degli anni precedenti si erano atrofizzati a forza di stare ore e ore in una sola unica posizione e adesso faticava tremendamente a reggersi in piedi, stavano scomparendo. I vestiti gli ricadevano larghi sulle spalle ed era costretto a stringere la cintura dei pantaloni per impedire che cadessero a terra. Era talmente dimagrito che riusciva quasi a far passare una gamba all’interno di una manica di una delle sue solite camicie bianche. Anche i maglioni, prima di taglia perfetta, ora sembravano essersi allungati dato che arrivavano circa a metà coscia. E non era perché si era abbassato di statura, sarebbe stato impossibile, ma perché il suo intero busto, dalle spalle fino ai fianchi, si era ristretto talmente tanto da far sembrare più lungo l’indumento quando aderiva al profilo del suo corpo.
Non sapeva nemmeno lui quanto tempo fosse trascorso dall’ultima volta che aveva parlato, si era completamente dimenticato di quale suono avesse la sua voce.
Gli occhi erano circondati da profonde occhiaie violacee, infatti rimaneva le intere notti a fissare il vuoto senza osare chiuderli nemmeno un secondo. Quelle poche volte che non aveva retto e si era addormentato gli incubi l’avevano subito risvegliato.
La pelle pallida, cadaverica. Da farlo quasi sembrare una statua di cera.
I capelli avevano perso il loro solito colore brillante e ora più che biondo platino tendevano al bianco-grigiastro.
L’intero viso appariva invecchiato e sembrava riportare una quantità incredibile di strazio, eppure rimaneva sempre vuoto, spento, inespressivo.
Lo stesso Draco si guardava allo specchio, ogni mattina, senza maglietta.
Osservava le costole spiccare sulla pelle tesa del petto, poteva facilmente contarle una ad una. Osservava le sue scapole e le ossa del bacino sporgere verso l’esterno di circa una decina di centimetri, come spuntoni dalla punta arrotondata. Osservava il suo profilo e il suo ventre fare una pericolosa curva verso l’interno, eppure non si rendeva conto di quanto fosse grave. Osservava la sua spina dorsale, tremendamente visibile sulla carnagione bianca, attraversare il centro perfetto della sua schiena premendo sul leggero strato di pelle color gesso come se tentasse di uscire completamente dalla sua sede. Osservava le vene, verdi e viola, spiccare paurosamente sui suoi avambracci.
Osservava, eppure non se ne rendeva veramente conto.
Moriva lentamente, sia dentro, sia fuori.
Perdeva la concezione del tempo.
Dimenticava cosa volesse dire vivere, perché quella non si poteva dicerto chiamare vita.
Ma era giusto così, lui una vita non la meritava.
 
Era talmente abituato al DOLORE, sia fisico, sia mentale, che non si accorgeva di nulla.
Non soffriva, non più ormai.
Gli unici che soffrivano erano le persone che tenevano a lui almeno un po’, i suoi amici, che disperati nel vederlo in quelle condizioni non sapevano più cosa provare per ottenere una sua minima reazione.
 
Ma la persona che soffriva di più era Harry, consapevole che se ora Draco si trovava in quello stato era solamente colpa sua e della sua stupidità. Perché non era arrivato a comprendere quanto difficile fosse la situazione per il biondo e aveva solo contribuito a distruggere ancora di più quel ragazzo, che di casini ne aveva già fin sopra la testa. Perché, come aveva detto Silente, non si era reso conto che il Serpeverde era solo una pedina nelle mani del Signore Oscuro, da manovrare a suo piacimento.
Una delle cose insopportabili da guardare era il suo comportamento, che lo faceva auto colpevolizzare sempre di più.
In Sala Grande se ne stava sempre immobile a fissare il piatto colmo di cibo ma senza toccarlo minimamente.
Non parlava con nessuno, nemmeno con i suoi amici che cercavano spesso di coinvolgerlo in qualche conversazione, da ciò che poteva vedere Harry da lontano.
A lezione aveva già fatto perdere parecchi punti alla casa Serpeverde perché ogni volta che i professori gli rivolgevano qualche domanda lui non rispondeva e rimaneva fermo a fissare distrattamente la superficie del banco.
E poi lo vedeva. Vedeva il suo corpo dimagrire ogni giorno di più e il suo viso diventare magro, pallido e invecchiato.
E quasi riusciva a sentire le lacrime non versate cadere dentro il Serpeverde, e anche dentro lui stesso.
Ma la cosa che veramente lo faceva star male era il rimanere intere lezioni a fissarlo e non ricevere in cambio ne uno sguardo né un piccolo cenno, a cui era abituato e che, si era reso conto solo in quel momento, gli mancava tremendamente. Non c’era stato verso di farsi notare da lui in alcun modo. E anche per gli altri era lo stesso: Draco, semplicemente, sembrava non accorgersi del mondo che lo circondava.
 
E ne soffriva anche Hermione.
Se per lei c’era una cosa difficile quella era vedere il suo migliore amico così triste. Non era stupida, si accorgeva eccome dello stato in cui stava Draco e di quanto a Harry facesse male vederlo così. E riusciva anche a capire quanto fosse difficile per il suo amico vivere con tutto quel senso di colpa, aveva visto lei stessa con i suoi occhi quello che il moro gli aveva fatto.
All’inizio era rimasta parecchio sconvolta, di certo non si aspettava che Harry potesse arrivare a tanto, e aveva addirittura pensato che non sarebbe mai riuscita a perdonarlo. Ma poi aveva visto la sincerità e il pentimento nei suoi occhi e aveva capito che doveva stargli accanto e dargli un appoggio, dopotutto era a questo che servivano gli amici.
Ogni tanto, quando Ron la lasciava un po’ di tempo sola per andare da Dean, Neville e Seamus, lei entrava nel dormitorio maschile e dei singhiozzi gli giungevano alle orecchie.
A quel punto si sedeva ai piedi del letto di Harry, accanto a una figura invisibile coperta dal mantello, e semplicemente stava lì, in silenzio, ad attendere che il suo amico esaurisse le lacrime e si calmasse.
Le dava fastidio non riuscire a trovare un metodo per mettere fine a tutta quella storia ma essere la strega più brillante della sua età di certo non le permetteva di risolvere certi casini con uno schiocco di dita. Quindi quello era il massimo che poteva fare per aiutarlo.
 
 
*****
 
 
Tre settimane.
Erano passate tre settimane e ancora Draco non dava segni di voler reagire in qualsiasi modo a ciò che succedeva intorno a lui.
Perché non era già morto vi chiederete.
E fate bene perché pure un bambino di tre anni sa che se non mangi e non dormi per tre settimane sei già bello che sepolto sotto terra, dentro ad una lapide, da un pezzo.
La risposta è: perché i suoi compagni Serpeverde avevano trovato una specie di soluzione. Una pozione che dava i principi nutrienti e le calorie necessarie per circa due giornate intere e un’altra che rilassava i nervi e svuotava la mente apposta per chi faticava a dormire.
Altri metodi non erano riusciti a trovarli.
Era vero che Draco si lasciava fare di tutto e non reagiva mai – Pansy aveva pure provato a disegnarli un paio di baffi con un pennarello e poi mettergli davanti alla faccia uno specchio nella speranza di ottenere una qualche reazione – ma tu potevi magari fargli bere roba liquida perché andava giù automaticamente ma se provavi a mettergli in bocca, che so, un pezzo di pane magari, quello nemmeno ci provava a masticare e non esistevano incantesimi per farlo deglutire a comando.
Così l’unico metodo era usare le pozioni.
E funzionavano anche abbastanza bene ma era comunque diverso un sonno artificiale da uno reale o un cibo artificiale da uno reale. Non era la stessa cosa riempirsi lo stomaco di pozioni al posto di cibo solido e così il suo stato continuava comunque a peggiorare.
Tanto che se ne accorsero pure i professori.
Madama Chips infatti venne di persona a visitarlo nella Sala Comune, e fu proprio lei a fornire le pozioni agli amici del ragazzo raccomandandogli di fargliele bere entrambe una volta al giorno, ma se ne andò poche ore dopo sostenendo di non sapere minimamente a cosa fosse dovuto quel comportamento.
E il ragazzo continuava a perdere centimetri di carne, muscoli, vita, tutto.
A guardarlo si sarebbe quasi detto un morto vivente. Si vedeva lontano chilometri che la sua voglia di vivere se n’era completamente andata.
Infatti lui voleva morire.
Così tutto quello strazio sarebbe finito.
Così non sarebbe stato costretto ad uccidere Harry oltre a Silente.
Se uno dei due doveva salvarsi quello era il Grifondoro. Non lui.
Lui non si meritava di vivere, lui non meritava niente. Oltre al fatto che non avrebbe sopportato di vedere Harry morire davanti ai suoi piedi, ucciso dalle sue stesse mani e vivere per il resto della vita con il rimpianto di non essere stato abbastanza coraggioso da sacrificarsi per lui. E’ anche vero che non avrebbe sopportato di finire ad Azkaban se non fosse riuscito nella sua missione così l’alternativa migliore e anche l’unica era morire, sperava che farlo avrebbe messo fine a tutta quello schifo che si ritrovava come peso da portare sulle spalle.
 
 
*****
 
 
Draco continuava a peggiorare e con lui peggiorava anche lo stato d’animo di Harry, nel vederlo così distrutto, così inespressivo, così nulla.
Si, “nulla” era la parola giusta per descrivere una persona che aveva completamente perso il significato della vita.
Dato che passargli vicino nei corridoi o rimanere intere lezioni a fissarlo non era bastato per attirare la sua attenzione prese una decisione coraggiosa da bravo Grifondoro qual’ era, dato anche che non ne poteva proprio più.
Decise che avrebbe provato a parlargli e a chiedergli scusa alla prima occasione. Gli avrebbe detto che era consapevole di essersi comportato malissimo, gli avrebbe spiegato il perché aveva perso la testa in quel modo e tutto il resto, dritto in faccia.
Aveva pure pensato all’inizio di scrivergli tutto per lettera ma poi era arrivato alla conclusione che quella sarebbe stata solo un azione da bambino impaurito e incapace di ammettere i propri sbagli davanti alle persone quindi l’altra opzione gli era sembrata più opportuna.
 
L’occasione arrivò un mercoledì della quarta settimana da quando Draco era stato dimesso dall’infermeria.
Harry, appena dopo la fine dell’ultima ora di lezione di quel giorno, Erbologia per l’esattezza, era scattato verso il bagno, siccome non riusciva più a trattenerla, rassicurando i suoi amici che li avrebbe raggiunti poco dopo nella Sala Comune.
Quando era uscito dalla porta, una chioma, che più che biondo platino si sarebbe detta bianca-grigiastra, gli aveva attraversato la visuale e lui era scattato sull’attenti, riconoscendola e collegandola subito alla persona dei suoi piani.
“Malfoy…” chiamò mentre il Serpeverde attraversava a testa bassa il corridoio.
Nessuna risposta. Quello continuò per la sua strada.
“Malfoy!” disse ancora, a voce più alta.
Ma di nuovo quello non diede segni di averlo sentito ne aumentò il passo in alcun modo, magari per scappare, come si sarebbe aspettato Harry. Semplicemente continuò ad avanzare con la solita camminata stanca, che aveva da lì a più o meno tre settimane e mezzo prima, e il viso inespressivo.
A quel punto Harry si stacco dallo stipite della porta, in cui era rimasto appoggiato a braccia incrociate fino ad allora, e con pochi lunghi passi gli fu alle spalle e gli afferrò il polso con una mano. “Draco, dobbiamo parlare!”
Si stupì di dover stringere la mano non poco per impedire al polso del biondo di scivolargli via da quanto piccolo ed esile però si affrettò ad allentare un po’ la stretta subito dopo, quasi aveva paura di staccarglielo da quanto appariva fragile.
Per la prima volta da settimane Draco reagì.
Sentì uno strano tocco rovente circondargli il polso – piuttosto strano dato che ogni volta che chiunque provava a sfiorarlo, in qualsiasi modo, lui non avvertiva niente, come se avesse perso il senso del tatto – e puntò gli occhi, che avevano perso per quei pochi secondi la loro solita inespressività, sulla calda mano che l’aveva bloccato, costringendolo a fermarsi. Partendo da lì risalì con lo sguardo l’intero braccio, poi la spalla, il collo su cui indugiò un attimo, stranamente attratto da esso, infine lo fece scorrere sul viso.
Corrugò la fronte cercando di connettersi per un momento al mondo reale e piano cominciò a notare i capelli neri e folti, la carnagione scura, la cicatrice a forma di saetta sulla fronte, gli occhiali tondi, ma fu quando punto lo sguardo sugli occhi verdi che l’immagine degli stessi occhi ma intrisi di odio si sovrappose alla realtà facendo nascere in lui un ondata di panico.
Si appiattì di colpo contro il muro alla sua destra, desiderando essere un fantasma per scomparire dentro di esso, e strattonando il polso nella speranza di liberarlo dalla stretta del Grifondoro, ma figuriamoci se poteva farcela da debole com’era.
Harry all’inizio rimase un po’ sbigottito da quella strana reazione, contando che il biondo era rimasto per un tempo abbastanza lungo a fissarlo, un momento prima, ma quando vide il viso di Draco trasformato in una maschera di puro terrore mollo di scatto il suo polso.
Quello, con lo sguardo terrorizzato ancora costantemente puntato sul moro, ritrasse subito il braccio portandoselo dietro alla schiena poi fece un paio di passi per allontanarsi dal lui, sempre appiattito contro la parete.
“Draco, ti prego non andare. Voglio solamente parlarti di ciò che è successo” tentò di farlo ragionare Harry, senza osare toccarlo di nuovo per fermarlo, – Non voleva spaventarlo in alcun modo – ma il biondo dopo aver fatto un altro paio di passi indietro si girò di schiena e prese a correre per scappare via.
“Scusami ok?...” gli urlò dietro il Grifondoro “Io non so cosa mi sia preso” concluse fra sé e sé perché il ragazzo era già sparito dietro l’angolo.
Tirò un pugno al muro per sfogarsi, scorticandosi le nocche, poi afferrò la borsa dei libri che aveva posato a terra e cominciò a salire le scale a passo pesante dirigendosi verso la torre di Grifondoro. Arrivò prima di quanto avrebbe voluto.
Appena entrato in Sala Comune si buttò sulla prima poltroncina rossa che trovo e immerse le mani tra i capelli, i gomiti posati sulle ginocchia e la schiena curva in avanti.
Seriamente non aveva idea di cosa fare, non ne poteva più! E non poteva nemmeno assicurare per quanto tempo ancora sarebbe riuscito a reggere, forse veramente poco.
Ron e Hermione gli si avvicinarono appena lo videro.
“Va tutto bene fratello?” chiese il rosso.
Hermione gli posò una mano sulla spalla sospirando, già immaginava il motivo che aveva portato il suo migliore amico a ritrovarsi triste nel modo in cui lo vedeva in quel momento.
Harry valutò le varie risposte che poteva dare:
Dire di sì, ma tanto si sarebbe capito lontano chilometri che mentiva.
Dire di no e mostrarsi debole, ma dopotutto erano i suoi migliori amici e con loro ci poteva anche stare.
“No, non va bene” disse allora. Poi spostò le mani dai capelli portandosele davanti al naso e immergendoci la faccia. “Avrei bisogno di stare un po’ da solo, se non vi dispiace” aggiunse con la voce ovattata dai palmi che gli coprivano la bocca.
Ron gli lanciò uno sguardo interrogativo inclinando la testa di lato salvo poi ricordarsi che in quella posizione Harry non poteva vederlo.
Hermione invece mise le mani a coppa davanti alla bocca e si avvicinò a lui per sussurrargli in un orecchio “Dovresti raccontare a Ron questa storia. Lo so che sembra stupido ma non lo è, ha già cominciato a sospettare che tu gli stia nascondendo qualcosa di importante e in questi ultimi periodi ne sta solamente avendo le conferme”
Harry annuì piano. Magari a quello ci avrebbe pensato fra un po’ eh? Aveva già abbastanza casini da risolvere.
La ragazza prese Ron per mano rivolgendogli un occhiata che il rosso interpretò come un “fai quello che faccio io e non rompere” e si avviò con lui dall’altra parte della Sala Comune, per continuare con i rotoli di pergamena sulla trasfigurazione umana su cui stavano lavorando prima che Harry arrivasse.
Ron non commentò, anzi, cominciò ad auto compiacersi per quanto era diventato bravo ad interpretare ogni singolo sguardo di Hermione, mentre se ne andava via con lei mano nella mano, le guance più rosse dei capelli e uno stupido sorrisino ebete stampato in faccia.
 
Non passarono nemmeno 5 minuti che Harry si sentì piantare leggermente un dito su una spalla.
Alzò il viso dalle mani e rimase a fissare il piccolo Grifondoro del primo anno, in piedi alto quanto lui da seduto, grattarsi nervosamente la nuca e tenere tra le piccole mani una lettera.
Il ragazzino prese un respiro profondo, agitatissimo, e disse balbettante. “Qu-questa è p-per lei S-si-signor Potter” Allungò una manina tremante verso il moro, che prese la lettera.
“Chiamami pure Harry” disse lui. “E grazie per la lettera” aggiunse. Poi si sforzò di aprirsi in un sorriso rassicurante nonostante non fosse dell’umore giusto. Gli facevano sempre tenerezza i ragazzini dei primi anni, sempre se non rompevano troppo: tipo Colin Canon.
Il piccolo Grifondoro fece un cenno col capo ricambiano il sorriso che a quanto pare era stato abbastanza convincente da farlo smettere di tremare come una foglia, poi si avviò saltellando dai suoi amichetti, seduti ad un tavolo vicino, cinguettando frasi del tipo: “Ommioddio ho parlato con Harry Potter!”
Quella scena bastò per rallegrarlo almeno un pochino.
Aprì la busta che aveva tra le mani, dopo averla rigirata e non aver trovato alcuna indicazioni su chi l’avesse mandata o da dove, e ne lesse il contenuto.
La calligrafia era piccola e piegata verso destra, fu quasi subito certo di sapere a chi appartenesse. Ne aveva ricevute altre di simili durante il corso di quell’anno.
 
 
Mio caro Harry,
Sabato sera alle 8 e mezza.
Ti aspetto nel mio ufficio.
                              
                                       A.Silente







 
   
 
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